sabato 4 ottobre 2025

Corso di storia dell'architettura: 4 Civiltà Minoica e Micenea


Le prime civiltà mediterranee tra Creta e Micene

Vista del palazzo di Cnosso a Creta. Si notino le caratteristiche colonne a rastremazione inversa (tronco di cono rovesciato), alcune delle quali lignee e perfettamente conservate nella loro decorazione a tinte vivaci.


Ricostruzione del palazzo di Cnosso a Creta.

La celebre Porta dei Leoni di Micene, uno dei più grandiosi monumenti dell’antichità.
Dromos ed ingresso del Tesoro di Atreo. La facciata, alta più di 10 m, reca, al di sopra della porta, un triangolo di scarico ornato di colonnine.

Introduzione

Le civiltà del Mediterraneo orientale tra il III e il II millennio a.C. costituiscono un crocevia fondamentale nello sviluppo della storia europea. In particolare, Creta e la Grecia micenea rappresentano due poli di una stessa traiettoria culturale che, pur partendo da influenze asiatiche, sviluppa caratteristiche originali e autonome. Le strutture architettoniche – palazzi, cittadelle e tombe – e le forme di organizzazione politica ed economica costituiscono un patrimonio che segna profondamente la successiva civiltà greca e, in senso più ampio, la storia del Mediterraneo.

La civiltà minoica e il palazzo di Cnosso

La civiltà minoica, fiorita a Creta tra il 2000 e il 1450 a.C., presenta una struttura sociale ed economica complessa, basata sul controllo dei traffici marittimi e su una rete di palazzi che fungevano da centri amministrativi e religiosi. Il palazzo di Cnosso, ricostruito nelle sue linee principali da Arthur Evans all’inizio del XX secolo, è il modello più rappresentativo di questa civiltà.

La sua architettura, priva di mura difensive, riflette un assetto pacifico o, secondo altri, una fiducia nel controllo marittimo, la cosiddetta thalassocrazia cretese¹. Il complesso si articola su più livelli, adattandosi al terreno con terrazze, rampe e cortili interni. Al centro si apre un grande cortile rettangolare, fulcro della vita cerimoniale e politica, attorno al quale si distribuiscono i diversi quartieri: residenze reali, magazzini, officine, spazi religiosi e aree destinate agli spettacoli ginnici, come le celebri acrobazie sul toro.

Un aspetto di rilievo è la presenza di colonne rastremate verso il basso, in legno dipinto, elemento distintivo dell’architettura minoica e simbolo di una estetica originale, lontana dai modelli egizi². Gli affreschi, dai colori vivaci e dai motivi naturalistici, contribuiscono a definire un immaginario estetico raffinato, che pone la natura e il mare al centro della vita culturale.

La città cretese e il mito del labirinto

Il palazzo di Cnosso è circondato da una città dal tessuto urbanistico irregolare, con strade che seguono l’andamento naturale del terreno e case addossate l’una all’altra. Questa struttura ha alimentato, fin dall’antichità, il mito del labirinto e del Minotauro, interpretato dagli studiosi moderni come una trasfigurazione mitologica della complessità palaziale³.

La civiltà minoica, tuttavia, entra in crisi attorno al 1700 a.C., forse a causa di catastrofi naturali (come l’eruzione di Thera/Santorini) o invasioni esterne. Dal 1450 a.C. circa, il predominio sull’Egeo passa progressivamente alla Grecia continentale.

Micene e la civiltà elladica

La civiltà micenea, sviluppatasi tra il 1600 e l’1100 a.C., eredita e rielabora elementi cretesi, ma ne modifica radicalmente l’impostazione. A differenza dei palazzi aperti e non fortificati di Creta, le città micenee – Tirinto, Argo, Pilo, soprattutto Micene – si caratterizzano per l’imponenza delle mura ciclopiche e per la struttura di cittadelle fortificate.

Il cuore politico è il megaron, sala del trono attorno al focolare centrale, elemento che diventerà tipico della successiva architettura templare greca. L’accesso alla città di Micene avveniva attraverso la celebre Porta dei Leoni, capolavoro dell’arte monumentale preclassica, in cui due leoni affrontati sormontano una colonna, segno del potere dinastico e della sacralità del palazzo⁴.

Architettura funeraria: le tholoi

L’architettura micenea si distingue anche per le tombe monumentali, in particolare le tholoi, sepolcri a pianta circolare con copertura a pseudocupola realizzata per progressiva aggettanza dei filari di pietra. Il “Tesoro di Atreo”, alto più di 10 metri, testimonia una capacità tecnica e simbolica che proietta il potere dinastico nella sfera dell’eterno.

A queste si affiancano le tombe a fossa, in cui furono rinvenuti ricchi corredi funebri, tra cui le celebri maschere auree, erroneamente attribuite da Schliemann ad Agamennone. L’apparato funerario testimonia un’ideologia del potere legata alla memoria dinastica e alla legittimazione politica.

Conclusioni

Il confronto tra Creta e Micene non è soltanto un capitolo della storia dell’architettura, ma un passaggio cruciale della formazione del mondo greco. La fluidità marittima e l’apertura culturale dei minoici lasciano il posto a un modello guerriero, centralizzato e gerarchico, che trova eco nei poemi omerici. La memoria di Cnosso e di Micene sopravvive nei miti di Minosse, Teseo e Agamennone, rielaborati dalla tragedia greca e poi dal pensiero occidentale.

Studiare le prime civiltà mediterranee significa, quindi, osservare non solo un’eredità archeologica, ma un laboratorio di simboli e modelli che hanno plasmato la nostra cultura.

Note

  1. V. La Rosa, Il mondo minoico, Milano: Electa, 2002, p. 45.

  2. J. Boardman, La civiltà egea, Torino: Einaudi, 1997, pp. 61-68.

  3. M. Detienne, J.-P. Vernant, Le astuzie della ragione, Milano: Feltrinelli, 1980, pp. 112-117.

  4. H. Schliemann, Mycenae: A Narrative of Researches and Discoveries at Mycenae and Tiryns, London: John Murray, 1878.

Bibliografia essenziale

  • Boardman, J., La civiltà egea, Torino: Einaudi, 1997.

  • Detienne, M., Vernant, J.-P., Le astuzie della ragione, Milano: Feltrinelli, 1980.

  • La Rosa, V., Il mondo minoico, Milano: Electa, 2002.

  • Schliemann, H., Mycenae: A Narrative of Researches and Discoveries at Mycenae and Tiryns, London: John Murray, 1878.

  • Pugliese Carratelli, G. (a cura di), I Greci. Storia, Cultura, Arte, Società, Torino: Einaudi, 1996.



venerdì 3 ottobre 2025

Corso di storia dell'architettura: 3 MESOPOTAMIA

 

Ricostruzione di Hattusa.

Ricostruzione di Ur.

Ricostruzione del Palazzo di Sargon a Korshabad  

Lo ziggurat di Ur.

Tempio di Istar-Kititum

Persepoli

L'apadana diPersepoli
 










Le civiltà antiche dell’Asia Minore e della Mesopotamia

Introduzione

Lo studio delle civiltà che si svilupparono nell’Asia Minore, nella Mesopotamia e nell’altopiano iranico, tra il IV e il I millennio a.C., rappresenta uno dei pilastri fondamentali per comprendere le origini della civiltà urbana, dei sistemi amministrativi centralizzati e delle prime forme di monumentalità architettonica. Nonostante le difficoltà che derivano dalla frammentarietà delle fonti e dalla dispersione dei reperti archeologici, è possibile ricostruire un quadro complesso e articolato dell’evoluzione storica e culturale di queste popolazioni, che segnarono profondamente la storia del Vicino Oriente antico e dell’intera civiltà umana.

Pluralità e continuità culturale

Le civiltà che fiorirono tra Anatolia, Mesopotamia e Persia presentano una straordinaria varietà, ma condividono alcuni tratti fondamentali, legati soprattutto alla gestione delle risorse idriche e all’organizzazione urbana. Nella fertile pianura tra il Tigri e l’Eufrate si susseguirono Sumeri, Accadi, Gutei, Cassiti, Assiri, Babilonesi, mentre in Anatolia si distinsero gli Ittiti, e, più tardi, nell’Iran, gli Achemenidi e i Persiani¹.

I Sumeri, nel sud mesopotamico, furono i primi a trasformare piccoli insediamenti agricoli come Ur, Eridu, Uruk, Nippur e Lagash in vere e proprie città-stato, caratterizzate da ziggurat, templi e archivi cuneiformi². Gli Accadi e i Babilonesi, al centro della Mesopotamia, svilupparono capitali come Akkad, Mari e Babilonia, quest’ultima destinata a diventare simbolo universale di potere e cultura. Gli Assiri, nel nord, fondarono città fortificate e di grande imponenza come Ninive, Assur e Khorsabad, dove il palazzo di Sargon II costituì un modello architettonico senza precedenti.

Urbanizzazione e gestione delle risorse

Il processo di urbanizzazione in Mesopotamia si basava su un principio fondamentale: la gestione collettiva delle eccedenze agricole. I governatori cittadini, spesso considerati rappresentanti del dio locale, avevano il compito di amministrare le terre comuni, raccogliere tributi, gestire scorte alimentari e organizzare lavori pubblici³.

Le tracce materiali di questa organizzazione si rinvengono in:

  • estesi sistemi di canali di irrigazione, che permisero lo sfruttamento agricolo di territori altrimenti aridi;

  • cinte murarie, necessarie per difendere città densamente popolate;

  • magazzini e archivi, dove le tavolette cuneiformi documentavano transazioni, tributi e leggi;

  • templi monumentali, che dominavano lo spazio urbano e sancivano il legame tra religione e potere politico⁴.

Il modello mesopotamico si diffuse anche nelle civiltà limitrofe, con adattamenti legati al territorio e al contesto politico.

L’eredità architettonica: da Ur a Persepoli

L’architettura sacra e civile rappresenta uno dei lasciti più evidenti delle civiltà del Vicino Oriente. L’esempio dello ziggurat di Ur, databile al XXI secolo a.C., testimonia la volontà di rappresentare fisicamente, nello spazio urbano, il rapporto tra l’uomo e il divino⁵.

In Anatolia, gli Ittiti fondarono capitali come Hattusa e il mitico sito di Troia, punti nevralgici non solo per il commercio ma anche per i contatti interculturali con l’Egeo.

Il culmine della monumentalità si raggiunse tuttavia con l’architettura achemenide. La città-palazzo di Persepoli, fondata da Dario I nel 520 a.C., rappresentava una capitale cerimoniale più che politica, destinata a incarnare la maestà universale del sovrano. Il complesso urbanistico, mai completato prima del saccheggio di Alessandro Magno, si caratterizzava per:

  • la terrazza monumentale di 450 x 290 m;

  • le scalinate processionali, progettate per le cavalcature;

  • l’Apadàna, sala quadrata sostenuta da trentasei colonne alte 19 m, capace di contenere fino a diecimila persone;

  • la Sala delle Cento Colonne, il Tacara, l’Hadish e la Tesoreria⁶.

La grandiosità di Persepoli non fu solo un’espressione estetica, ma soprattutto un dispositivo politico: attraverso la messa in scena delle processioni di sudditi e tributari, il potere imperiale si autorappresentava come universale ed eterno.

Conclusioni

Le civiltà dell’Asia Minore e della Mesopotamia non furono semplicemente realtà politiche locali, ma costituirono il laboratorio in cui nacquero concetti destinati a influenzare profondamente il mondo mediterraneo e oltre: la città come spazio politico e religioso, l’architettura come strumento di legittimazione, la scrittura come fondamento amministrativo. La loro eredità si trasmise tanto all’Impero Romano quanto al mondo islamico medievale, e resta ancora oggi un patrimonio imprescindibile della memoria storica universale.

Note

  1. Liverani, M., Antico Oriente. Storia, società, economia, Laterza, Roma-Bari, 2011.

  2. Jacobsen, T., The Sumerian King List, University of Chicago Press, 1939.

  3. Nissen, H. J., The Early History of the Ancient Near East, 9000–2000 B.C., University of Chicago Press, 1988.

  4. Postgate, J. N., Early Mesopotamia: Society and Economy at the Dawn of History, Routledge, 1992.

  5. Crawford, H., Sumer and the Sumerians, Cambridge University Press, 2004.

  6. Kuhrt, A., The Persian Empire: A Corpus of Sources from the Achaemenid Period, Routledge, 2007.

Bibliografia

  • Crawford, H., Sumer and the Sumerians, Cambridge University Press, Cambridge, 2004.

  • Jacobsen, T., The Sumerian King List, University of Chicago Press, Chicago, 1939.

  • Kuhrt, A., The Persian Empire: A Corpus of Sources from the Achaemenid Period, Routledge, London-New York, 2007.

  • Liverani, M., Antico Oriente. Storia, società, economia, Laterza, Roma-Bari, 2011.

  • Nissen, H. J., The Early History of the Ancient Near East, 9000–2000 B.C., University of Chicago Press, Chicago, 1988.

  • Postgate, J. N., Early Mesopotamia: Society and Economy at the Dawn of History, Routledge, London, 1992.

giovedì 2 ottobre 2025

Corso di storia dell'architettura: 2 EGITTO

Complesso funerario di re Gioser a Saqqara. Sorge entro un perimetro murario di calcare bianco di grandi dimensioni (alto 10 m., lati 544m.x77 m.). Semicolonne papiriformi, senza funzione portante, sono addossate ai muri. La tecnica costruttiva è quella dei blocchetti di pietra, usati come paramento dei muri, ricoperti, internamente di mattoni crudi.
La sfinge in cui è effigiato il volto del faraone Chefren
Nel complesso di Giza troneggia la piramide di Cheope (alta 146,70 m., con base quadrata e lato di 230 m.). Architettura più simbolica che utilitaria, è affiancata dal percorso processionale e dal tempio funerario. L'ingresso alla camera funeraria è protetto da complessi dispositivi. Decorata con un raffinato rivestimento in pietra, la sua realizzazione richiese il lavoro di 100.000 persone per circa 20 anni.
Tomba di Montuhotep II a Deir el Bahari. Il tempio funerario, addossato ad una parete rocciosa, è preceduto da terrazze porticate, ulteriore sviluppo delle caratteristiche serie di aperture, allineate nelle rocce delle vicine tombe dinastiche di el-Assàif
 
Il tempio di Luxor.
Il complesso templare di Luxor
Tempio-palazzo di Ramesse III a Madinet-Habu. Il grandioso complesso è simile ad una fortezza, circondata da mura alte 17 m, con portali e merlature di chiara matrice assira, entro cui sorgono il palazzo reale, gli spazi sacri del tempio, le abitazioni del clero, del personale amministrativo, dei soldati e degli ufficiali, le stalle, i magazzini, ecc.
Complesso templare dell’isola di File.
 











Architettura dell’Antico Egitto: dalla piramide alla città templare

Introduzione

L’architettura egizia si sviluppa per oltre tre millenni, dal periodo arcaico (circa 3100 a.C.) fino alla fase tardo-antica e copta (V secolo d.C.). Essa ruota attorno alla figura del faraone, divinizzato non come mero rappresentante di una divinità – sul modello dei sovrani mesopotamici – ma come dio egli stesso, garante dell’ordine cosmico (Maat) e della sopravvivenza della comunità oltre la morte1.

La monumentalità architettonica egizia si fonda su una concezione fortemente simbolica: costruire in pietra significava eternizzare il potere, rendendo visibile la continuità del faraone oltre la vita terrena. Opere quali piramidi, templi, palazzi e complessi funerari non rispondevano solo a esigenze pratiche, ma soprattutto religiose e politiche.

Dalle piramidi ai complessi funerari

Il complesso funerario di re Djoser a Saqqara (XXVII sec. a.C.) rappresenta la prima grande sperimentazione in pietra. Progettato dall’architetto Imhotep, introduce la piramide a gradoni e un perimetro monumentale (544 × 277 m), con semicolonne papiriformi addossate alle mura e blocchetti di pietra a paramento, innovazione rispetto ai tradizionali mattoni crudi2.

La fase successiva culmina nel complesso di Giza con la piramide di Cheope (146,7 m di altezza, lato base 230 m), vera e propria montagna artificiale che richiese vent’anni di lavoro e circa 100.000 manovali. Essa rappresenta un’architettura eminentemente simbolica, affiancata da percorsi processionali e templi funerari, con sistemi di protezione complessi per la camera sepolcrale3.

Accanto alle piramidi, emergono altre soluzioni: la tomba di Montuhotep II a Deir el-Bahari introduce il modello del tempio funerario a terrazze porticate addossate alla roccia, creando un dialogo tra paesaggio naturale e architettura.

Il Nuovo Regno e l’urbanistica tebana

Con la XVIII dinastia (1567-1075 a.C.), la capitale si sposta a Tebe, dove la concezione funeraria muta: le piramidi sono sostituite da tombe rupestri scavate nella Valle dei Re, caratterizzate da ingressi nascosti e sigillati.

Grandi opere del periodo includono:

  • Tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahari, raffinata composizione di terrazze porticate degradanti;

  • Complesso templare di Karnak, ampliato per secoli, con la celebre Sala ipostila (134 colonne, 12 delle quali alte oltre 20 m);

  • Tempio di Luxor, collegato a Karnak da un viale di sfingi, eretto da Amenofi III;

  • Abu Simbel, grandioso tempio rupestre di Ramesse II in Nubia, con quattro statue colossali che segnano il portale.

Queste architetture riflettono un nuovo equilibrio tra potere faraonico e culto religioso: i templi diventano centri politico-sacrali, vere “città divine” staccate dagli insediamenti effimeri in mattoni crudi4.

La città egiziana e l’esperimento amarniano

La città egiziana, spesso invisibile per la deperibilità dei materiali, emerge con particolare chiarezza nel caso di Akhetaton (Tell el-Amarna), fondata da Amenofi IV/Ekhnaton durante la sua riforma monoteistica. Qui si realizzò un’urbanistica innovativa, assimilabile a una “città giardino”: case popolari a schiera, ville di funzionari con giardini e un palazzo reale al centro del culto di Aton5.

Questo esperimento urbanistico, sebbene effimero, dimostra che l’architettura egizia non fu solo monumentalità funeraria, ma anche sperimentazione sociale e politica.

Il tempio-palazzo e l’età ramesside

Con Ramesse III (XII sec. a.C.) il tempio-palazzo di Medinet Habu testimonia la trasformazione dell’architettura templare in cittadella fortificata, con mura alte 17 m, portali merlati, spazi sacri, palazzi e magazzini. Questo modello riflette un’epoca di crescente militarizzazione e di progressiva perdita di centralità del faraone, in cui il tempio diventa anche luogo economico e amministrativo6.

L’Epoca Tarda e il sincretismo greco-romano

Dal 525 a.C., con la conquista persiana, e poi con Alessandro Magno (332 a.C.), l’Egitto entra in una fase di decadenza politica ma anche di ibridazione culturale. Durante il periodo tolemaico vengono edificati templi come Edfu, Kom Ombo e Dendera, che pur riproducendo schemi tradizionali, rivelano influssi ellenistici nella decorazione e nell’organizzazione degli spazi7.

Con l’epoca romana, l’architettura egizia sopravvive formalmente, ma perde la sua funzione originaria: i templi divengono monumenti culturali piuttosto che centri vivi della religione faraonica.

Conclusione

L’architettura egizia rappresenta un linguaggio del potere divino: dalle piramidi alle tombe rupestri, dai templi colossali alle città regali, ogni edificio non era semplice costruzione, ma traduzione spaziale dell’ordine cosmico. La sua forza simbolica, la monumentalità e il legame con il paesaggio hanno consegnato al mondo una delle più straordinarie tradizioni architettoniche della storia.

Note

  1. J. Assmann, L’Antico Egitto come cultura della memoria, Bologna, il Mulino, 2005. 

  2. M. Lehner, The Complete Pyramids, London, Thames & Hudson, 1997. 

  3. B. Kemp, Ancient Egypt: Anatomy of a Civilization, London, Routledge, 2006. 

  4. J. Baines – J. Malek, Atlante dell’Antico Egitto, Torino, Einaudi, 1986. 

  5. D. Arnold, The Encyclopedia of Ancient Egyptian Architecture, Princeton, Princeton University Press, 2003. 

  6. K. Bard, An Introduction to the Archaeology of Ancient Egypt, Oxford, Blackwell, 2007. 

  7. R. Wilkinson, The Complete Temples of Ancient Egypt, London, Thames & Hudson, 2000. 

Bibliografia

  • Arnold, Dieter. The Encyclopedia of Ancient Egyptian Architecture. Princeton: Princeton University Press, 2003.

  • Assmann, Jan. L’Antico Egitto come cultura della memoria. Bologna: il Mulino, 2005.

  • Baines, John – Malek, Jaromir. Atlante dell’Antico Egitto. Torino: Einaudi, 1986.

  • Bard, Kathryn. An Introduction to the Archaeology of Ancient Egypt. Oxford: Blackwell, 2007.

  • Kemp, Barry. Ancient Egypt: Anatomy of a Civilization. London: Routledge, 2006.

  • Lehner, Mark. The Complete Pyramids. London: Thames & Hudson, 1997.

  • Wilkinson, Richard. The Complete Temples of Ancient Egypt. London: Thames & Hudson, 2000.




mercoledì 1 ottobre 2025

Corso di storia dell'architettura: 1 ARCHITETTURA PRIMITIVA

Grotta di Lascaux (Francia) visione del soffitto della grande sala (25.000-15.000 a.C.). Le immagini hanno il senso di un'operazione magica per propiziare il successo della battuta di caccia da cui dipende l’esistenza.  

 

Epoca paleolitica e cultura materiale
Il nostro viaggio attraverso il tempo, nelle mondo delle costruzioni, comincia nella notte dei tempi, nell’epoca paleolitica.
Quello che troviamo lo possiamo già definire architettura?
Probabilmente no, dice il grande storico dell’arte statunitense Gideon.
L'ambiente costruito è solo una modificazione superficiale dell'ambiente naturale, utilizzo di cavità naturali, ripari di pelli sostenuti da esili strutture di legno, ancora troppo poco per individuare una precisa volontà edificatoria.
Dagli scavi archeologici emerge la cosiddetta cultura materiale (lavorazioni delle pietre e del legno, distribuzioni intorno al nucleo di un focolare).
 
Società neolitiche
E’ solo colle società neolitiche che troviamo un pezzo di natura trasformato secondo un progetto umano, che comprende:
· i terreni coltivati per produrre il cibo;
· le abitazioni degli uomini e degli animali domestici;
· i depositi del cibo prodotto perché si conservi per un lungo periodo;
· gli attrezzi per la coltivazione, l'allevamento, la difesa, l'ornamento e il culto.
I resti archeologi degli insediamenti neolitici sono già architettati in una forma regolare, che ci permette di ricostruire le loro parti mancanti e ci dà indicazioni su di una prima grande differenziazione architettonica, quella relativa alle popolazioni nomadi e sedentarie.
 
Ancora oggi esistono popolazioni nomadi, un retaggio che dura da migliaia di anni.
 
Popolazioni nomadi
I nomadi (cacciatori, pescatori ed allevatori) seguono la migrazione delle prede o praticano l'alternanza dei territori di pascolo. Le popolazioni nomadi mantengono, nel corso del tempo, uno stato di precarietà che impedisce una reale evoluzione della loro architettura. Approntano solitamente tettoie rudimentali, che poi abbandonano al tempo della campagna di caccia o di pesca, ma, talvolta, si tratta di vere e proprie abitazioni mobili, smontabili, leggere e trasportabili.
Per farcene un’idea più precisa possiamo prendere ad esempio alcune tipologie abitative ancora oggi utilizzate:
· quelle dei pastori Pelu del Mali e del Niger, fatte di pali lignei curvi unibili in una cupola ogivale da rivestire con foglie e fascine;
· quelle dei pastori sahariani, che stendono teli di lana su una leggera struttura di legno;
· quelle degli indiani Inuit del Canada; che in estate, usano tende rivestite con pelli di caribù o di foca, mentre in inverno, igloo con blocchi di ghiaccio, assemblati come conci di pietra.


Capanna coperta di feltro, detta yurta (Mongolia).
Villaggio primitivo palafitticolo
 
Popolazioni sedentarie
Assai diverso è il discorso per le popolazioni sedentarie, gruppi sociali stabili e politicamente strutturati, che, accanto alle residenze individuali, approntano edifici collettivi con chiare funzioni di rappresentanza. Le popolazioni sedentarie, favorite dalle cicliche inondazioni dei fiumi delle pianure alluvionali, che consentono raccolti sicuri e accumulo di eccedenze, propongono nuove strutture architettoniche stabili. Citiamo come esempi di strutture ancora oggi utilizzate:
·    la casa circolare, con diametro variabile tra 5 e 10 m. (ritrovamenti a Gerico nel 6500 a.C., a Gawrà nel 5000 a.C. e ad Arpad nel 4000 a.C.), struttura muraria a thôlos (come l'igloo), fatta di sassi, mattoni o pietre squadrate.
· nelle Nuove Ebridi, l'edificio per le riunioni degli uomini, detto nagamal, capanna rettangolare con tetto a due falde e copertura vegetale, retto da tre file di puntoni a forcella; 
·  nei villaggi Dogon, l’edificio collocato al centro del villaggio fin dalla sua fondazione, detto toguna;
· nei villaggi amazzonici la casa degli anziani, con la sala delle riunioni.

Abitazione di un capo con decorazione di conchiglie nelle Isole Fiji (Melanesia).
 
Villaggi primitivi
Quando le piccole fattorie isolate degli agricoltori cominciano a moltiplicarsi, nascono i primitivi villaggi.
La necessità dell’aggregazione di più edifici evidenzia i limiti delle costruzioni rotonde, in favore di edifici a pianta quadrata con muri verticali, le cui esigenze costruttive portano all’aggiornamento tecnico delle murature in terra cruda, proto-industrializzazione della manifattura del laterizio e della ceramica.

Allineamenti di menhir a Carnac (nel nord ovest della Francia)
 
Architettura megalitica
Parallelamente alle tipologie precedenti (in massima parte extraeuropee), in ambito europeo (Inghilterra, Francia, Spagna, Italia) e nelle isole del Mediterraneo, si ha un’originale ed autonoma evoluzione: l’architettura megalitica, (termine che significa grande pietra).
I luoghi rituali, le sedi di importanti sepolture, i punti di riferimento per il percorso processionale o per le osservazioni astronomiche, trovano espressione nei:
• menhir, in bretone, pietra lunga, conficcata nel suolo;
• dolmen, tavola di pietra di notevoli dimensioni, sorretta da ritti anch’essi di pietra;
• cromlech, in gallese, cerchio di pietre assemblate.
Gli esempi più significativi si trovano in Francia, a Carnac, ed in Inghilterra, nella contea di Salisbury, lo straordinario Tempio del Sole di Stonehenge.
In Italia, nelle Puglie e in Sardegna, la tecnica megalitica avrà un’appendice nelle costruzioni della civiltà nuragica e dei trulli.
Nuraghe su Nuraxi e villaggio a Barumini (Sardegna)


Ricostruzione dei giardini pensili di Babilonia.

Dal villaggio neolitico nasce la città, molto di più di un villaggio ingrandito, un salto decisivo che chiamiamo rivoluzione urbana. Le prime tracce sono reperibili, stando alle nostre attuali conoscenze archeologiche, nella regione della mezzaluna fertile (fra i deserti dell'Africa e dell'Arabia, dal Mediterraneo al Golfo Persico), quando la specializzazione degli occupati nell’industrie e nei servizi (artigiani, scribi, sacerdoti, funzionari, guerrieri, ecc. destinati a diventare il gruppo sociale dominante), porta a favorire la crescita di una produzione agricola, tale da permettere di mantenerli con l’eccedenza di chi lavora la terra (contadini e allevatori, destinato a diventare il gruppo sociale subalterno).

Il simbolo assiro di città: un cerchio quadripartito. Da un lato il cerchio, simbolo dell’uovo cosmico, è diviso dagli assi in quattro parti (equivalenti ai quattro elementi primordiali: aria, acqua, fuoco e terra). Dall’altro gli assi verticali ed orizzontali del rotundum, il mondo, nel loro punto di incontro stabiliscono un centro e rivelano il reticolo primigenio dell'orientamento. Così, da un lato, la forma fisica quadrata della città, orientata dagli assi cardinali, è l'archetipo del mondo uscito dal suo caos originario, ma dall’altro, la sua forma geometrica ideale è da immaginare come quella di un circolo che circoscrive un quadrato. Si pensi, ad esempio, a Roma quadrata che sorge dal circolo tracciato da Romolo con l'aratro (e lo storico Varrone fa risalire il nome di città al circolo, urbis da orbis e da urvare=arare intorno).


La torre di Babele di Bruegel il Vecchio.

La rivoluzione urbana neolitica
Dal villaggio neolitico nasce la città, molto di più di un villaggio ingrandito, un salto decisivo che chiamiamo rivoluzione urbana. Le prime tracce sono reperibili, stando alle nostre attuali conoscenze archeologiche, nella regione della mezzaluna fertile (fra i deserti dell'Africa e dell'Arabia, dal Mediterraneo al Golfo Persico), quando la specializzazione degli occupati nell’industrie e nei servizi (artigiani, scribi, sacerdoti, funzionari, guerrieri, ecc. destinati a diventare il gruppo sociale dominante), porta a favorire la crescita di una produzione agricola, tale da permettere di mantenerli con l’eccedenza di chi lavora la terra (contadini e allevatori, destinato a diventare il gruppo sociale subalterno).

La città-stato ieratica
Uno degli apporti decisivi allo studio della storia delle costruzioni, è quello rivolto all’analisi delle modificazioni del territorio operate dall'intervento dell’uomo ai fini insediativi. La ricerca e la classificazione dei segni di antropizzazione del territorio è disciplina studiata dalla storia dell’urbanistica. Di essa riveste particolare interesse lo studio della storia del più importante degli elementi insediativi: la città. Quando e dove nascono le prime civiltà urbane? Si va progressivamente affermando la convinzione (sostenuta dalla datazione del radiocarbonio), che la loro comparsa si possa far risalire al X millennio a. C.. Si può collocare il loro sorgere in una zona estesa a tutta l'area mediorientale, fino al Mediterraneo, con particolari resti concentrati nel delta del Tigri e dell’Eufrate, databili 3500 a.C. A questo tipo di città è attribuito il nome di città-stato ieratica, cioè sacra, e da essa discende la grande città classica. Proviamo a schematizzare le fonti informative che abbiamo su di essa e la sua evoluzione.

L'evoluzione della città
La città antica evolve in senso razionalista (calcolo economico, aumento della divisione del lavoro, commercio, ecc.), il carisma del capo e della dinastia si combina con le cerimonie, i misteri, le feste, i calendari, la storiografia, i canti, la letteratura, la tecnica, la scienza profana e sacra, i codici giuridici, la valutazione dei ranghi professionali e burocratici.Ma la città antica non evolve dal punto di vista fisico, è un’entità fissa, la sua forma non prevede i principi dello sviluppo, assai temuti, perché significherebbero un ritorno al caos, risolto, a suo tempo, con la propria nascita.L’ampliamento della città, infatti, è visto come una realtà assai più complessa di una semplice operazione urbanistica. Passa solo attraverso la ricostruzione delle mura ed una nuova cerimonia di riconsacrazione, per scongiurare la sua alterazione nel tempo.La sottomissione ad un ordine cosmico, richiede una concezione del tempo ciclico e non evolutiva, aperta e continua qual è quella dinamica della realtà storica. Non è casuale che, l’origine delle parole templum, temenos e tempus, sia la stessa, come non è casuale che, ad una rifondazione politica o religiosa, segua, spesso, un nuovo inizio sancito dalla riforma del calendario. Un’altra fondamentale caratteristica della città-stato ieratica è il carattere sacro ed inalienabile della proprietà urbana, perché emanazione di una stirpe (genos). Il rapporto tra uso e possesso del suolo della città, non è un legame giuridico, ma mistico, proprio della gens che, attraverso il suolo, testimonia la propria appartenenza sociale.Così il filosofo greco Platone fissa, addirittura, il numero delle unità familiari, oikai, della sua città ideale; lo statista greco ateniese Solone prevede, nella sua legislazione, che la vendita delle proprietà comporti la perdita della cittadinanza; il condottiero ebreo Mosè, impone che, ogni cinquant'anni, in occasione del giubileo, i beni venduti, tornino alla famiglia originaria. Nello stato primitivo, chiuso, si entra solo attraverso la porta dell’hospitalitas. Ma, con i Greci, diventa definitivo ed irreversibile il passaggio dalla sacralità alla ragione, dal mythos al logos. Essi non inventano la ragione, ma una delle ragioni possibili, importante, però, nella misura in cui la civiltà occidentale (e quindi la nostra), la farà propria. Se, a livello di mito, più civiltà potevano essere accomunate in un piano sintetico di lettura, a livello di ragione, ogni civiltà transita al logos secondo un proprio stile ragionativo, difficilmente confrontabile. Dalla Grecia in poi l’evoluzione delle civiltà che si sottraggono a questo modello, se viene interpretata secondo il logos greco, risulta incomprensibile. Da questo momento in poi, di tutti i percorsi evolutivi, potremo seguire solo quello che, dalla polis greca, porta a noi. Ma la città antica non evolve dal punto di vista fisico, è un’entità fissa, la sua forma non prevede i principi dello sviluppo, assai temuti, perché significherebbero un ritorno al caos, risolto, a suo tempo, con la propria nascita.  L’ampliamento della città, infatti, è visto come una realtà assai più complessa di una semplice operazione urbanistica. Passa solo attraverso la ricostruzione delle mura ed una nuova cerimonia di riconsacrazione, per scongiurare la sua alterazione nel tempo.  La sottomissione ad un ordine cosmico, richiede una concezione del tempo ciclico e non evolutiva, aperta e continua qual è quella dinamica della realtà storica.  Non è casuale che, l’origine delle parole templum, temenos e tempus, sia la stessa, come non è casuale che, ad una rifondazione politica o religiosa, segua, spesso, un nuovo inizio sancito dalla riforma del calendario.Un’altra fondamentale caratteristica della città-stato ieratica è il carattere sacro ed inalienabile della proprietà urbana, perché emanazione di una stirpe (genos).  Il rapporto tra uso e possesso del suolo della città, non è un legame giuridico, ma mistico, proprio della gens che, attraverso il suolo, testimonia la propria appartenenza sociale.Così il filosofo greco Platone fissa, addirittura, il numero delle unità familiari, oikai, della sua città ideale; lo statista greco ateniese Solone prevede, nella sua legislazione, che la vendita delle proprietà comporti la perdita della cittadinanza; il condottiero ebreo Mosè, impone che, ogni cinquant'anni, in occasione del giubileo, i beni venduti, tornino alla famiglia originaria. Nello stato primitivo, chiuso, si entra solo attraverso la porta dell’hospitalitas.Ma, con i Greci, diventa definitivo ed irreversibile il passaggio dalla sacralità alla ragione, dal mythos al logos. Essi non inventano la ragione, ma una delle ragioni possibili, importante, però, nella misura in cui la civiltà occidentale (e quindi la nostra), la farà propria. Se, a livello di mito, più civiltà potevano essere accomunate in un piano sintetico di lettura, a livello di ragione, ogni civiltà transita al logos secondo un proprio stile ragionativo, difficilmente confrontabile. Dalla Grecia in poi l’evoluzione delle civiltà che si sottraggono a questo modello, se viene interpretata secondo il logos greco, risulta incomprensibile. Da questo momento in poi, di tutti i percorsi evolutivi, potremo seguire solo quello che, dalla polis greca, porta a noi.

 












 

Dalla Grotta di Lascaux alla città-stato: origini e sviluppi dell’abitare umano

Introduzione

La storia delle costruzioni umane non coincide immediatamente con la storia dell’architettura. Come ha notato Sigfried Giedion, il grande storico dell’arte e dell’urbanistica, nelle prime fasi dell’umanità l’intervento sull’ambiente non è ancora espressione di una precisa intenzionalità architettonica, ma piuttosto un adattamento tecnico e culturale a esigenze di sopravvivenza1.

La visione del soffitto della Grande Sala della grotta di Lascaux (25.000-15.000 a.C.) ne è un esempio paradigmatico. Le pitture rupestri, interpretate come pratiche magiche volte a propiziare la caccia, ci restituiscono una cultura in cui il rapporto con l’ambiente naturale è ancora intrinsecamente simbolico e sacrale. Non si tratta di “architettura”, ma di “cultura materiale” che prelude alla costruzione di spazi significativi2.

Paleolitico ed epoca delle culture materiali

Nel Paleolitico l’abitare si manifesta attraverso ripari provvisori: cavità naturali, tende di pelli sorrette da pali lignei, capanne di rami. L’organizzazione dello spazio è centrata sul focolare, nucleo vitale e simbolico della comunità. Le tracce archeologiche rivelano strumenti litici, ossa lavorate, e la distribuzione degli oggetti secondo un ordine funzionale.

Tali soluzioni, pur ingegnose, restano espressione di un adattamento contingente. Il passaggio a una vera e propria architettura richiede una trasformazione radicale del rapporto uomo-ambiente: la sedentarizzazione.

Le società neolitiche e la nascita della progettualità

Con il Neolitico (a partire dal 10.000 a.C.) assistiamo a un salto qualitativo. L’uomo non si limita più a sfruttare la natura: la trasforma. I campi coltivati, i villaggi stabili, i depositi alimentari e le abitazioni per uomini e animali domestici costituiscono le prime forme di ambiente antropizzato.

Gli insediamenti neolitici mostrano già regolarità planimetrica, segno di una intenzionalità progettuale. Si sviluppano le prime differenziazioni architettoniche tra popolazioni nomadi e sedentarie: i primi mantengono strutture mobili e smontabili (dalle tende dei pastori sahariani alle yurte mongole), i secondi elaborano case in muratura circolare o rettangolare, e soprattutto edifici collettivi per assemblee e culti3.

Nomadismo e sedentarietà: due paradigmi abitativi

Il confronto tra culture nomadi e sedentarie rivela due diversi paradigmi di costruzione.

  • Nomadi: la mobilità impone leggerezza e transitorietà. L’igloo inuit o la yurta mongola sono esempi di ingegno adattivo, ma non prevedono monumentalità.

  • Sedentari: la stabilità agricola e la gestione delle eccedenze richiedono strutture permanenti e collettive. A Gerico (6500 a.C.) e Gawra (5000 a.C.) compaiono abitazioni in pietra e mattoni, mentre i villaggi amazzonici e dogon mostrano edifici comunitari (toguna, nagamal) con valenza sociale e rituale.

Questo dualismo continua ad attraversare la storia dell’architettura, riaffiorando in epoche diverse (ad esempio, nelle tensioni tra urbanesimo e pastoralismo nel mondo mediterraneo antico).

Architettura megalitica: pietra e sacralità

Parallelamente agli insediamenti agricoli, in Europa si sviluppa un fenomeno autonomo: l’architettura megalitica. Menhir, dolmen e cromlech non rispondono a bisogni abitativi, ma a funzioni rituali, funerarie e astronomiche.

Luoghi come Carnac in Bretagna o Stonehenge in Inghilterra testimoniano la capacità di organizzare spazi sacri attraverso la disposizione monumentale di grandi pietre. In Italia, la tradizione megalitica sopravvive nei nuraghi sardi e nei trulli pugliesi, esempi di continuità culturale nel Mediterraneo4.

Dalla rivoluzione neolitica alla rivoluzione urbana

Il passaggio decisivo avviene con la cosiddetta rivoluzione urbana (IV-III millennio a.C.), quando il villaggio agricolo si trasforma in città. La specializzazione del lavoro (artigiani, sacerdoti, scribi, guerrieri) e l’accumulo di eccedenze agricole favoriscono la nascita di centri stabili con funzioni politiche e religiose.

Le prime città della Mezzaluna Fertile — Uruk, Ur, Lagash — introducono una concezione gerarchica e sacra dello spazio urbano, rappresentata simbolicamente dal reticolo quadripartito: il cerchio cosmico che contiene il quadrato degli assi cardinali5.

La città diventa così microcosmo ordinato, specchio dell’universo e garanzia di permanenza contro il caos.

La città-stato ieratica

Le città mesopotamiche ed egiziane sono definite da alcuni studiosi città-stato ieratiche: insediamenti in cui il potere politico è inscindibile da quello religioso. L’urbanistica riflette un ordine cosmico e sacrale. L’espansione urbana non è vista come evoluzione, ma come riconsacrazione ciclica: la città, entità “fissa”, non cresce se non attraverso riti di rifondazione.

Questa concezione differisce radicalmente da quella greca, dove il passaggio dal mythos al logos segna l’inizio di una razionalizzazione dello spazio politico. La polis greca, pur derivando dal modello sacrale orientale, inaugura una concezione nuova: la città come spazio di ragione e dibattito pubblico6.

Conclusione

Dalle pitture rupestri di Lascaux alla polis greca, l’evoluzione dell’abitare umano mostra un progressivo spostamento:

  1. dall’adattamento naturale alla progettualità tecnica;

  2. dal simbolo magico al rito collettivo;

  3. dalla sacralità urbana al logos politico.

La città nasce non solo come struttura materiale, ma come espressione di un ordine simbolico e sociale. Comprendere questo percorso significa cogliere le radici profonde della nostra stessa civiltà urbana.

Note

  1. S. Giedion, Space, Time and Architecture, Harvard University Press, 1941.

  2. A. Leroi-Gourhan, Le religioni della preistoria, Laterza, Bari, 1965.

  3. C. Renfrew, Archaeology and Language: The Puzzle of Indo-European Origins, Cambridge University Press, 1987.

  4. J. Le Roy Ladurie, Storia delle campagne europee, Einaudi, Torino, 1978.

  5. H. Frankfort, The Birth of Civilization in the Near East, Indiana University Press, 1951.

  6. M. Eliade, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino, 1957.

Bibliografia

  • Eliade, Mircea. Il sacro e il profano. Torino: Boringhieri, 1957.

  • Frankfort, Henri. The Birth of Civilization in the Near East. Bloomington: Indiana University Press, 1951.

  • Giedion, Sigfried. Space, Time and Architecture. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1941.

  • Leroi-Gourhan, André. Le religioni della preistoria. Bari: Laterza, 1965.

  • Le Roy Ladurie, Emmanuel. Storia delle campagne europee. Torino: Einaudi, 1978.

  • Renfrew, Colin. Archaeology and Language: The Puzzle of Indo-European Origins. Cambridge: Cambridge University Press, 1987.