domenica 19 ottobre 2025

Corso di storia dell'architettura: 18 FUTURISTA
















L’architettura futurista è stata una vera rivoluzione nell’arte e nel modo di pensare gli spazi urbani all’inizio del Novecento, nata in Italia come espressione di un desiderio profondo di novità e rottura con il passato. Questa forma di architettura si caratterizza per un’energia incredibile: linee dinamiche, colori forti e un senso di movimento che sembra quasi prendere vita, come se gli edifici stessi corressero verso il futuro. L’obiettivo era rappresentare la velocità, il progresso, la frenesia della modernità, andando contro ogni forma di tradizione storicista e abbracciando un lirismo potente e innovativo.

Tutto ciò nasce all’interno del Futurismo, un movimento artistico fondato nel 1909 dal poeta Filippo Tommaso Marinetti con il suo celebre Manifesto Futurista. Marinetti e i suoi compagni – poeti, musicisti, pittori come Boccioni, Balla, Depero e Prampolini, ma anche architetti – si unirono in un unico coro di voci appassionate che celebravano la modernità, le macchine e persino la guerra come un impulso vitale necessario per cambiare il mondo.

Tra gli architetti, Antonio Sant’Elia è senza dubbio la figura più emblematica del Futurismo in architettura. La sua visione urbana era audace e potente: immaginava città come immense macchine pulsanti, in continuo movimento, con edifici che sembravano sfidare la gravità e collegarsi tra loro in un sistema fluido e dinamico. Un esempio concreto di questa ispirazione futurista è la fabbrica del Lingotto a Torino, famosa per la pista di prova sul tetto, definita già nel 1934 come “la prima invenzione costruttiva futurista”.

Nel 1912, pochi anni dopo il manifesto di Marinetti, Sant’Elia e Mario Chiattone parteciparono alla mostra delle Nuove Tendenze a Milano, aprendo la strada a quella che nel 1914 divenne una vera e propria dichiarazione di intenti: il Manifesto dell’Architettura Futurista. Anche Umberto Boccioni lavorò a un manifesto simile, seppur mai pubblicato, che venne ritrovato solo dopo la morte di Marinetti.

Negli anni successivi, il dibattito sull’architettura futurista si animò grazie a manifesti e scritti polemici che sfidavano i sostenitori del classicismo, purtroppo con pochi risultati concreti nella costruzione reale. Tra i testi più importanti ricordiamo quelli di Enrico Prampolini, il Manifesto dell’Architettura Futurista–Dinamica di Virgilio Marchi nel 1920, e il Manifesto dell’Arte Sacra Futurista di Fillia e Marinetti nel 1931. L’ultimo manifesto dedicato all’architettura futurista fu pubblicato nel 1934: il Manifesto dell’Architettura Aerea, che spostava lo sguardo verso progetti urbanistici visionari e legati al trasporto aereo.

Dopo la morte di Marinetti nel 1944 e la fine della Seconda Guerra Mondiale, il Futurismo si dissolse e per decenni venne quasi dimenticato a causa delle sue associazioni con il regime fascista. Tuttavia, i suoi protagonisti continuarono a lavorare su strade autonome, lasciando un’eredità che si sarebbe rivelata preziosa per le generazioni future.

La città futurista, quella visione utopica e quasi magica, appare già dalla prima pagina del Manifesto Futurista pubblicato su Le Figaro nel 1909. È una città viva, frenetica, illuminata da luci multicolori, attraversata da treni, automobili e grandi navi in movimento impetuoso. Il paesaggio urbano non è più statico e silenzioso, ma un vortice di energia, rumori e luci che rappresentano la modernità in tutta la sua forza. Per i futuristi, la città è il simbolo del futuro e del progresso, un organismo in continua trasformazione.

Questa idea si concretizza nelle opere di Umberto Boccioni, come “La città che sale” e “La strada entra nella casa”, dove angoli e forme si intersecano in un turbine di movimento e velocità. Sant’Elia stesso scriveva nel suo manifesto del 1914 che la città futurista deve essere come un grande cantiere, dinamica e in costante mutamento, con case che assomigliano a gigantesche macchine.

Purtroppo, le visioni grandiose di Sant’Elia rimasero sulla carta, perché quelle idee rivoluzionarie erano troppo avanzate per essere accettate e realizzate nel contesto dell’epoca. Tuttavia, la sua intuizione fondamentale – che architettura e urbanistica devono andare di pari passo – ha influenzato profondamente l’evoluzione del pensiero architettonico moderno.

Il movimento futurista non rimase isolato: artisti e architetti europei come il gruppo olandese De Stijl e Le Corbusier entrarono in dialogo con queste idee, riconoscendo l’importanza dell’innovazione proposta dai futuristi. Persino negli Stati Uniti, con l’opera di Richard Buckminster Fuller, si ritrovano echi di quella visione futurista: Fuller immaginava un’architettura tecnologica, accessibile e sostenibile, fatta di case mobili, veicoli aerodinamici e città collegate dal cielo.

Il merito di Marinetti e dei suoi compagni fu quello di rispondere alle sfide di un mondo in rapida trasformazione, proponendo una città che fosse al tempo stesso reale e fantastica, frutto di un’analisi attenta della società industriale e di un sogno di rinascita totale. Anche se la vita di Sant’Elia fu tragicamente interrotta dalla guerra, il suo lavoro ha lasciato un segno indelebile, anticipando molte delle soluzioni architettoniche moderne, come l’idea di mostrare gli ascensori sulle facciate degli edifici, un concetto rivoluzionario per quei tempi.

Infine, i suoi disegni visionari ispirarono anche il cinema, diventando la base per le architetture immaginarie del capolavoro “Metropolis” di Fritz Lang, un altro esempio di quanto il futurismo abbia saputo guardare lontano, oltre i limiti del suo tempo.


Corso di storia dell'architettura: 17 ART DECO


 Porta d'ingresso della boutique Siégel all'Esposizione internationale delle arti decorative e industriali moderne di Parigi, 1925.

L'art déco (nome derivato per estrema sintesi dalla dicitura Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes, Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne, tenutasi a Parigi nel 1925 e perciò detto anche stile 1925) è stato un fenomeno del gusto che interessò sostanzialmente il periodo fra il 1919 e il 1930 in Europa, mentre in America, in particolare negli USA, si prolungò fino al 1940: riguardò le arti decorative, le arti visive, l'architettura e la moda.
L'Expo parigina del 1925 vide trionfare, fra i molti espositori stranieri, la speciale raffinatezza francese in varie categorie merceologiche, dall'ebanisteria agli accessori di moda: Parigi restava il centro internazionale del buon gusto anche negli anni critici seguiti alla prima guerra mondiale. Ma l'art déco non nasceva con l'Esposizione, che fu semmai una sorta di rutilante rassegna di un fenomeno nella fase della sua tarda maturità, scaturito nella stessa Parigi intorno al 1910 ad opera di Paul Poiret, stilista dai molteplici interessi, rivolti alla completa riforma estetica dell'ambiente esistenziale moderno. Oltreoceano, gli Stati Uniti d'America aderirono più lentamente al déco, raccogliendone in un certo senso il testimone verso gli anni trenta, col caratteristico gusto per un modellato aerodinamico del cosiddetto Streamlining Modern, di cui furono artefici principalmente i designer Raymond Loewy, Henry Dreyfuss e Walter Dorwin Teague.
Parigi rimase in ogni caso il centro maggiore del design art déco, col mobilio di Jacques-Émile Ruhlmann che rinnovava i fasti dell'ebanisteria parigina fra Rococò e Stile Impero, con l'azienda di Süe et Mare, con i pannelli e i mobili modernistici di Eileen Gray, con il ferro battuto di Edgar Brandt e gli oggetti in metallo e le lacche di Jean Dunand, con i lavori in vetro di René Lalique e Maurice Marinot, con gli orologi e la gioielleria di Cartier, coi manifesti di Cassandre e Sepo.
Il termine "art déco" non ebbe un ampio uso fino a che quel gusto non fu rivalutato negli anni sessanta.
Il Chrysler Building di New York, uno degli edifici-simbolo dell'art déco
 
Varie e disparate le principali fonti di tale stile eclettico:
    Le prime opere della Wiener Werkstätte, fondata nel 1903, e soprattutto quelle di astratto geometrismo del principale esponente, Josef Hoffmann;
    Le arti "primitive", come quella africana, o antiche come l'egizia o l'azteca;
    La scultura e i vasi dell'antica Grecia, dei periodi geometrico e arcaico;
    Le ziggurat;
    Gli scenari e i costumi di Léon Bakst per i Balletti russi di Djagilev;
    Le forme cristalline e sfaccettate del Cubismo e del Futurismo;
    Le stridenti gamme dei colori del Fauvismo;
    Le forme severe del Neoclassicismo: Boullée, Schinkel;
    Motivi e forme di animali, il fogliame tropicale, i cristalli, i motivi solari e i getti d'acqua;
    Forme femminili "moderne", agili e atletiche;
    Tecnologia da "macchina del tempo" come la radio e i grattacieli;
    Innovazioni tecnologiche in campo automobilistico e aerodinamico;
    Industria della moda;
    Tutto ciò che riguarda il Jazz (Periodo: Hot Jazz e Swing).
Oltre a queste influenze, l'art déco è caratterizzata dall'uso di materiali come l'alluminio, l'acciaio inossidabile, lacca, legno intarsiato, pelle di squalo o di zebra. L'uso massiccio di forme a zigzag o a scacchi, e curve vaste (diverse da quelle sinuose dell'Art Nouveau), motivi a 'V' e a raggi solari. Alcuni di questi motivi erano usati per opere molto diverse fra loro, come ad esempio i motivi a forma di raggi solari: furono utilizzati per delle scarpe da donna, griglie per termosifoni, l'auditorium del Radio City Music Hall e la guglia del Chrysler Building. L'art déco fu uno stile sintetico, e al tempo stesso volumetricamente, aerodinamico, turgido e opulento, probabilmente in reazione all'austerità imposta dagli anni della prima guerra mondiale e della conseguente crisi economica. Fu peraltro uno stile molto popolare per gli interni dei cinematografi, e dei transatlantici come l'Île de France e il Normandie.
Alcuni storici considerano l'art déco come una forma popolare e alternativa del Modernismo o del Movimento Moderno in architettura. Di fatto, il Razionalismo italiano utilizzò alcuni elementi di questa espressione artistica frammisti a strutture razionali, soprattutto nelle nuove città costruite durante il regime fascista - in Italia e ancor di più nelle colonie (Dodecaneso, Libia, Eritrea, Etiopia) - dove riagganci alla tradizione locale ed un certo gusto dell'esotico ne furono il filo conduttore. Come esempi più significativi potremmo citare diversi palazzi di Rodi, che ne portano i segni più evidenti, mentre in città di nuova fondazione ma essenzialmente razionaliste, come Portolago, nell'isola greca di Lero, o Sabaudia in Italia se ne leggono solo accenni in alcuni edifici.
Arnaldo Dell'Ira - Lampada "a grattacielo", 1929
 
L'art déco cominciò a perdere lentamente campo in Occidente una volta raggiunta la produzione di massa. Cominciò a essere derisa perché si riteneva che fosse kitsch e che presentasse un'immagine falsa del lusso. Alla fine questo stile fu stroncato dall'austerità della seconda guerra mondiale.

L'"Art Déco Historic Districts" a Miami Beach, in Florida, è il luogo con la più alta concentrazione al mondo di architettura art Déco. Dalla Ocean Drive alla Collins Avenue, da Lincoln Rd. a Espanola Way, si possono ammirare hotels, appartamenti e altri edifici in questo stile costruiti tra 1923 e 1943.[2] In particolar modo, il frequente utilizzo di elementi tropicali all'interno delle decorazioni (come fenicotteri, palme e fiori), dei motivi nautici e delle tonalità pastello (come il giallo, il celeste, il lilla e il rosa) ha comunemente ribattezzato questo movimento, nel caso di Miami, Tropical Art Déco.

Corso di storia dell'architettura: 16 LA SCUOLA DI CHICAGO





https://youtu.be/exnjcHEj8D0?si=9KWwpNdahpJpW0-Q

La Scuola di Chicago

Si tratta di un movimento architettonico che ha avuto origine nella città statunitense nel tardo XIX secolo, noto per le sue innovazioni nel design e nella pratica architettonica. Questo movimento ha avuto un impatto significativo sullo sviluppo dell'architettura moderna negli Stati Uniti ma non solo. 

Lo spunto che dà vita a questo movimento è il tremendo incendio che nel 1871 aveva devastato Chicago. In particolare la ricostruzione investe le pregiate aree centrali, quelle del cosiddetto loop. Il desiderio di concentrare molte attività su una superficie edificabile relativamente modesta pone la necessità di creare strutture che si sviluppino in altezza. Le condizioni urbane affollate e la necessità di massimizzare lo spazio del centro città portano ad una spinta verso l'alto, con edifici di decine di piani.

Ma per fare ciò sono necessarie nuove modalità costruttive delle strutture e nuove modalità distributive dei singoli piani.

Le risposte date dai progettisti costituiscono alcuni dei principali elementi distintivi della nascente corrente architettonica che sarà definita Scuola di Chicago.


Vediamo le innovazioni strutturali e tecnologiche.

Principalmente esse sono: un uso ottimizzato del cemento armato ed un rivoluzionario sistema di incastro delle colonne in acciaio, che rendono possibile la costruzione di edifici più alti e più sicuri. 

In particolare l'uso del telaio in acciaio, permetterà la costruzione di edifici altissimi per l’epoca, che furono scherzosamente denominati skyscrapers cioè “grattacieli”. 

Innovazioni distributive interne.

Gli architetti della Scuola di Chicago introducono l'idea dei piani aperti, gli antenati dell’open space moderno, che permettono una maggiore flessibilità nello spazio interno degli edifici. Questo concetto influenza profondamente il design di uffici e grandi magazzini, consentendo una maggiore adattabilità e una migliore illuminazione naturale. In particolare la possibilità di usufruire di finestre con ampie vetrate orizzontale crea un nuovo modello di infisso, la cosiddetta finestra di Chicago, costituta da tre ante, due laterali più piccole apribili per l’areazione ed una centrale grandissima fissa per l’illuminazione.


La Scuola di Chicago ha lasciato un'eredità duratura nell'architettura moderna, influenzando molti degli stili e delle pratiche che caratterizzano ancora il design degli edifici di oggi.


Ecco alcuni dei principali architetti esponenti della Scuola di Chicago:


William Le Baron Jenney


William Le Baron Jenney (1832-1907). Il suo lavoro ha avuto un impatto duraturo sull'architettura americana, influenzando il design dei grattacieli e contribuendo allo sviluppo della moderna architettura urbana.

È considerato il "padre del grattacielo" per il suo contributo fondamentale alla tecnologia che ha reso possibile la costruzione di edifici alti.


Uno dei suoi progetti più famosi è l'Home Insurance Building a Chicago, completato nel 1885. Questo edificio è generalmente considerato il primo vero grattacielo del mondo. Jenney ha utilizzato una struttura di acciaio leggera e resistente per supportare la struttura dell'edificio, consentendo di superare le limitazioni delle costruzioni in muratura e di raggiungere altezze senza precedenti.

L'Home Insurance Building ha stabilito un nuovo standard per l'architettura urbana e ha ispirato numerosi altri grattacieli in tutto il mondo. Il lavoro di Jenney ha avuto un impatto duraturo sull'architettura americana e ha contribuito a definire il paesaggio urbano delle città moderne. 

Oltre all'Home Insurance Building, William Le Baron Jenney ha lavorato su diversi altri progetti significativi durante la sua carriera. Ecco alcuni esempi:



Manhattan Building (1889) situato a Chicago, che è stato uno dei primi grattacieli a utilizzare una struttura in acciaio rivestita però ancora da una facciata in terracotta. 


Second Leiter Building (1891) un edificio commerciale a Chicago, che utilizza un telaio in acciaio a vista. La struttura in acciaio è stata esposta all'esterno dell'edificio anziché essere nascosta dietro una facciata in muratura, dimostrando la sua efficacia e la sua estetica rivoluzionaria.

Fair Store (1893) è un grande magazzino a Chicago, noto per la sua facciata in ghisa decorativa. Questo edificio ha dimostrato l'uso creativo di materiali moderni e ha contribuito a definire l'aspetto commerciale della città.


Daniel Hudson Burnham

Daniel Hudson Burnham (1846 – 1912) si forma nello studio di William Le Baron Jenney, e ben presto riesce ad accedere ad importanti incarichi svolgendo un ruolo importante nell'evoluzione della cosiddetta "Scuola di Chicago", realizzando alcune opere rilevanti per la sperimentazione delle nuove tecniche costruttive.


Tra il 1889 ed il 1891 realizza a Chicago il Monadnock Building una curiosa inversione di tendenza in quanto è un edificio non più costruito con una gabbia metallica ma con una struttura portante in muratura, cosa che portò il piano terreno ad avere dei setti dello spessore di ben 2,40 metri. 


Nel 1891, Burnham si dedica all'urbanistica aderendo allo stile neoclassicista europeo dell'École des Beaux-Arts divenendo uno dei principali esponenti del movimento americano City Beautiful. Nel 1909 guidò la Commissione per la pianificazione di Chicago, che produsse un celebre Piano Urbanistico. Il Piano ebbe un impatto significativo sulla forma urbana di Chicago e successivamente venne imitato in molte altre città negli Stati Uniti.


Nel 1902 realizza a New York il celeberrimo Flat Iron Building. Questo grattacielo, fra le prime strutture in acciaio e vetro realizzate, all'epoca risultava essere uno fra i più alti del mondo ed era molto caratteristico nella forma planimetrica triangolare, che si adattava al lotto del terreno a disposizione, conferendogli la tipica volumetria di un "flat-iron", un ferro da stiro per l'appunto. 

William Holabird e Martin Roche

William Holabird (1854 - 1923) e Martin Roche (1853–1927) sono stati due importanti architetti americani. Formatisi anch’essi nello studio di William Le Baron Jenney, nel 1883, fondano la Holabird & Roche. Insieme hanno contribuito con molte innovazioni all'architettura dell'epoca, specialmente in quella che oggi viene chiamata Chicago School. 

Hanno progettato diversi edifici importanti, tra cui il nel 1899 il Marquette Building e il Gage Building. 

Quest'ultimo includeva una facciata progettata da Louis Sullivan destinata a diventare punto di riferimento architettonico di Chicago. 

Louis Henry Sullivan

Louis Henry Sullivan (1856 – 1924) è considerato unanimemente il padre del Movimento Moderno negli Stati Uniti d'America. Da molti è ritenuto il primo vero caposcuola dei moderni grattacieli, anche per l'influenza teorica e pratica che egli esercitò sulla Scuola di Chicago dove appunto nacquero questi nuovi edifici alla fine dell'Ottocento. Nel suo studio, che egli divise con Dankmar Adler, si formò Frank Lloyd Wright, il futuro padre dell’architettura organica. Louis Sullivan era nativo di Boston, e studiò architettura al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Ma si trasferì a Chicago nel 1873 prendendo parte al boom edilizio creatosi in quella città dopo l'incendio del 1871. Qui lavorò dapprima nello studio di William LeBaron Jenney, che era la personalità più influente della nascente Scuola di Chicago. Dopo aver studiato due anni a Parigi all'École des Beaux-Arts, nel 1880 tornato negli USA divenne socio a Chicago di Dankmar Adler, con il quale ebbe inizio il periodo più produttivo della sua vita di progettista. 

Nel 1896 realizzano il Guaranty Building a Buffalo. 

Nel 1889 realizzano il loro capolavoro l'Auditorium di Chicago (dove Adler e Sullivan riservarono l'ultimo piano al loro studio).

Del 1891 è il Wainwright Building a St. Louis nello stato del Missouri.

Del 1899 i magazzini Carson Pirie Scott, altra opera eccezionale, che ”fa di Sullivan” - come dice il grande critico Bruno Zevi - ”il profeta dell'architettura moderna”. 
La struttura d'acciaio permette edifici più alti con larghe finestre, il che significa più luce interna e più superficie di piano, più spazio architettonico agibile. I limiti tecnici delle strutture murarie tradizionali erano sempre stati un impedimento a più affrancate espressioni, ma adesso improvvisamente quegli ostacoli erano spariti e, i precedenti storici e gli stili, che avevano guidato fino ad allora l'architettura, erano posti in crisi da questa nuova libertà creativa legata a soluzioni tecnologiche prima sconosciute. 

Di fatto l’architettura dell’epoca era centrata su una struttura muraria, magari anche molto articolata nella sua volumetria, ricoperta di elementi decorativi che si rifacevano agli stili storici del passato.
Sullivan abbracciò per primo il cambiamento che derivava dall'uso della struttura d'acciaio, creando un linguaggio di forme che si adattavano alle nuove altezze, semplificando l'apparenza degli edifici attraverso l'uso di una decorazione semplificata ed eliminando gli stili storici. Introdusse solo un ornamento floreale inserito in bande verticali che enfatizzavano la verticalità delle costruzioni e pose in relazione la loro forma al loro scopo. È il famoso detto “la forma segue la funzione” che sarà uno dei basamenti teorici del futuro movimento del cosiddetto Funzionalismo e, di riflesso, del cosiddetto Movimento Moderno. Tutto ciò era rivoluzionario, architettonicamente affascinante, ma anche commercialmente affidabile e di successo.
Sullivan è il primo architetto moderno americano. La composizione architettonica dei suoi edifici, semplificata, guidata dalla natura funzionale del tema e dalla tecnologia, anticipa temi e soluzioni del Movimento Moderno. Un'architettura regolata da necessità oggettive, che abbandoni l'ornamento.
L'architettura di Sullivan ha comunque un grande fascino visivo ed un disegno attento e "selezionato" che va dal particolare architettonico all'insieme. 

Tutto ciò è ben evidenziato nelle bande verticali del Wainwright Building, nell'esplosione Art Nouveau di ferro lavorato sull'entrata d'angolo dei magazzini Carson Pirie Scott, 

nell'eleganza complessiva delle tre parti in cui Sullivan divide il grattacielo (zona basamentale, parte intermedia e attico), così magistralmente esemplificati nel  Guaranty Building di Buffalo.



Corso di storia dell'architettura: 15 ART NOUVEAU

Si è parlato di Esposizioni Universali e, di alcune, che hanno marcato la storia dell'architettura del secolo, con la presenza di edifici molto significativi. Proviamo adesso a chiederci: cosa stava dentro all'avveniristico Palazzo di Cristallo progettato dal geniale architetto-giardiniere Paxton per l'Expo di Londra del 1851? A leggere le critiche delle menti più acute dell'epoca, la risposta è chiara: dentro quel meraviglioso ed inusuale gigante di vetro regnava sovrana la delusione. È questa la reazione all'appiattimento della qualità formale dei prodotti esposti, derivato dalla serializzazione della produzione industriale. Ma, se la standardizzazione industriale aveva portato alla banalízzazione del prodotto, come si poteva reagire? E più o meno su queste basi che, nella seconda metà dell'800, nella industrializzatissima Inghilterra, si sviluppa un dibattito, su quali debbano essere i corretti rapporti tra l'arte e la società in un sistema produttivo industriale ca-pitalistico.

ARTIGIANATO ED INDUSTRIA
Ne sono protagonisti numerosi soggetti, artistici e politici, col risultato di spostare il frutto delle loro teorizzazioni verso una critica radicale che, dal risultato del prodotto, si estende a tutto il sistema di produzione. Lo scrittore e critico d'arte inglese J. Ruskin (1819-1900), ad esempio, teorizza un radicale ritorno alla produzione artigianale, organizzata secondo il corporativismo medioevale.

MORRIS E LA RED HOUSE
Sembra trattarsi di una sfida teorica, marcatamente anacronistica, ed invece, a raccoglierla dal punto di vista operativo, è W. Morris (1834-1896), pittore, scrittore e designer inglese, aderente alla Pre-Raphaelite Brotherhood, movimento artistico fondato dal pittore D. G. Rossetti (1828-82), che auspica un ritorno della pittura al periodo che precede Raffaello, ritenendo che, con esso, si fosse concluso un ampio ciclo dì ricerca formale. Morris auspica (sulle idee di Ruskin e dei pensatori socialisti) il lavoro artigianale, per superare l'alienazione dei lavoro capitalistico, ed indirizza. socialmente il senso della sua ricerca formale, volgendolo decisamente, dalla pittura e dalla scultura, verso il settore delle arti applicate. Ne è un primo risultato la sua residenza destinata ad entrare negli annali della storia dell'arte con il nome dì Red Housc, progettata con Webb, nel 1860, in uno stile che, all'epoca, apparve solo sobriamente neogotico, ma che, in realtà, contiene già in sé elementi che contribuiranno al superamento dell'eclettismo imperante.
Il secondo passo compiuto da Morris, è la fondazione della ditta d'arredamento artistico Morris, Marshall, Faulkner and Co., vero e proprio crocevia di numerosi artisti di primo piano, che, puntualmente, saranno chiamati a collaborare al rinnovamento delle arti applicate: W. Crane, E. C. Burne-Jones, Madox Brown, D. G. Rossetti, P. Webb. Il successo internazionale della produzione della ditta, contraddistinta da straordinarie invenzioni decorative con arabeschi, è immediato e fa subito tendenza.
Il terzo passo, è quello di generalizzare la sua esperienza, sia sul versante teorico che su quello pratico. Per far questo Morris, infaticabile animatore, ha bisogno di uno strumento di propaganda sociale agile, efficace, continuativo ed internazionale, che, costantemente, puntualizzi i risultati raggiunti da una ricerca formale, che tende verso un'arte integrata, che si ponga come tramite tra l'ambiente naturale ed il fruitore.
Il modello organizzativo è fornito da numerose iniziative, sorte nel corso di questi anni che mirano alla rifondazione di un'arte del popolo per il popolo (nel 1882  nasce la Century Guild di A. Mackmurdo, nel 1884 la Art Worker's Guild di W. Crane, nel 1888 la Guild and School of Handicraft dell'architetto inglese C. Ashbee. L’organismo da lui fondato, insieme ad una vasta schiera di suoi collaboratori, prende il nome di Arts and Crafts Exhibition Society e, dal 1888 al 1912, organizza periodiche esposizioni, destinate a segnare un'epoca, in cui le nuove tendenze vengono pubblicizzate.
Nonostante la fondamentale importanza che le contraddistingue, le Arts and Crafts rappresentano contemporaneamente un successo ed un fallimento. Il successo artistico è completo e porta, come conseguenza, il superamento degli stili storici di stampo accademico. Ma non va taciuto nemmeno il fallimento sociale del progetto. I prodotti delle Arts and Crafts non sono (e non vogliono essere) adatti per una riproducibilità industriale che, abbassando i costi, possa essere estesa alla massa. Non riuscendo a superare la limitatissima dimensione quantitativa di una produzione artigiana di alta qualità, i prodotti sono univocamente destinati ad una élite borghese ricca, colta e raffinata. L’industrial design, insomma, deve ancora nascere. 

ll dibattito che le Arts and Crafts portano nell'architettura, segna la fine del neo-classicismo e dell'eclettismo. Nla dove attingere, ora, una volta superati gli stili classici? La risposta viene da un connubio che, a prima vista, sembra impossibile: lo spirito ideale romantico, giunto alla sua completa maturazione, si declina con la concre-tezza produttiva dell'imprenditorialità borghese e sceglie, nella natura, la sua pri-ma fonte di ispirazione. Non nel tempo storico, allora, ma nello spazio naturale, vanno cercati i nuovi termini dell'ispirazione. Nel 1895 Samuel Bing, un vulcanico mercante d'arte d'origine amburghese. apre una show room a Parigi, su cui campeggia l'insegna di Art Nouveau Bing.  Il suo progettista è un giovane arredatore belga, Van de Velde, destinato a raggiungere presto la celebrità. Gli oggetti che vi sono esposti sono  rivoluzionari, ma il gusto dell'epoca è pronto per questa rivoluzione (che si estenderà ad ogni settore delle attività umane, dall'urbanistica, all'arredamento, all'oggettistica quotidiana più minuta). Il fenomeno si estende dando luogo ad un movimento artistico.

Henry Van de Velde (1863-1957)




Al di là delle imponenti novità formali, uno spirito nuovo pervade l'Art Nouveau. che può essere vista come il risultato finale di una lenta maturazione, iniziata con la ricerca neoclassica.

Quello che la contraddistingue, e la rende possibile, è uno spirito di progettazione globale in cui:
• all'elevata invenzione progettuale corrisponde una pari qualità realizzativa delle maestranze;
• assume un'adeguata importanza la componente ambientale;
• diventa prassi comune l'unità progettuale tra interno ed esterno;
• viene perseguita la coerenza stilistica tra struttura, decorazione ed arredo.
I risultati raggiunti in questo ventennio, pongono alcuni edifici dell'Art Nouveau ai vertici dell'architettura di ogni epoca.
In Italia, l'Art Nouveau viene detta floreale, o Liberty (dal nome di Arthur Lesenby Liberty, proprietario degli omonimi magazzini londinesi), e trova la sua affermazione con l'Esposizione d'Arte Moderna di Torino del 1902. L'arretratezza sociale e culturale in cui versa l'Italia in questo periodo, permette, tuttavia, di raggiungere risultati solo episodicamente originali ed il liberty italiano resta un ibrido con la tradizione accademica eclettico-storicística.

ITALIA
Raimondo D'Aronco (1857-1932)







Givanni Sommaruga (1867-1917)









Ernesto Basile (1857-1932)







Di ben diverso livello appaiono i risultati di altre nazioni europee in cui, dalla sostanziale unitarietà del fenomeno artistico, si sviluppano le diverse accezioni.

L'Art Nouveau diventa:
• Modern Style in Inghilterra;
• Modernismo in Spagna;
• Coup de Fouet in Belgio,
• Stile Métro in Francia (per le stazioni della metropolitana realizzate in questo stile);
• Jugendstil in Germania (dal titolo della rivista jugend, giovinezza, fondata a Monaco nel 1896, i cui collaboratori si costituiscono in movimento nel 1897 con l'apertura delle Vereinigten Werkstatte far Kunst im Handwerk, laboratori riuniti per l'arte applicata);
• Sezessionstil in Austria e ancora in Germania (dove il termine secessione indica il distacco dalla progettazione storicistico-accademica, Secessione di Monaco 1892, di Vienna 1897, di Berlino 1898).
 
FRANCIA
Hector Guimard (1867-1942) 






Auguste Perret (1874-1954)



Tra le personalità più interessanti del panorama europeo dí questa nuova tendenza architettonica, possiamo, senza dubbio, annoverare l'architetto belga V. Horta, a cui dobbiamo il primo esempio compiuto dí tale stile, nella celebre Casa Tassel in rue de Turin, a Bruxelles, nel 1892, edificata secondo una perfetta rispondenza funzionale, spaziale, strutturale e decorativo-formale tra interno ed esterno.

BELGIO
Victor Horta  (1861-1947)








Un'altra singolarissima personalità di questo periodo, è quella dell'architetto catalano A. Gaudì y Cornet, il quale riuscì a realizzare, tra l'altro, un esempio unico di straordinaria urbanistica architettonico-scultorea, nel Parco Guell, alle pendici del Tibidabo di Barcellona, grazie alla protezione ed al sostegno economico del conte Guell, industriale illuminato, esponente della ricca e colta borghesia catalana.

SPAGNA
Anton Gaudì y Cornet (1852-1928)














Non si può infine non citare un'altra. originalissima figura di progettista, quella di. R. Mackintosh, arredatore ed architetto scozzese. Celebre per le sue invenzioni formali nel design d'arredamento e per la capacità di individuare una vibrante luminosità delle superfici, unita ad armoniose soluzioni ritmiche spaziali, è nella. Nuova Scuola d'Arte di Glasgow che fornisce la testi-monianza più convincente di un nuovo modo di interpretare l'architettura, come atto di progettazione totale, concetto che costituirà le basi sui cui si andrà for-mando il Movimento Moderno.

INGHILTERRA
Rennie Mackintosh (1868-1928)












AUSTRIA
Otto Wagner (1841-1918)



Josef Hoffmann 
(1870-1956)