sabato 29 marzo 2025

Corso di storia dell'architettura: 29 Neorealismo architettonico

 







Neorealismo architettonico: genealogia, linguaggi, opere, eredità

Il Neorealismo architettonico nasce in Italia nel secondo dopoguerra come risposta critica tanto al monumentalismo classicizzante del ventennio quanto alle più rigide ortodossie del Movimento Moderno. Non è un “ritorno al passato”, ma un tentativo di rifondare il progetto sulla realtà concreta: condizioni abitative, mestieri, materiali disponibili, forme dell’abitare sedimentate nei borghi. In questo senso si riallaccia al più ampio clima culturale neorealista – in primis cinematografico – che privilegia la vita quotidiana, i luoghi comuni, i margini. Il riferimento al Razionalismo rimane, ma viene temperato: alla standardizzazione e alla serialità cieca si sostituiscono la scala umana, la varietà tipologica, l’attenzione agli spazi intermedi (cortili, slarghi, ballatoi, logge), agli usi sociali e alle culture costruttive locali.

Cornice storica e istituzionale: dal Piano INA-Casa alla città “di quartieri”

Il veicolo decisivo è il programma INA-Casa (1949-1963), concepito per ridurre la penuria abitativa e creare lavoro. Dietro gli obiettivi sociali ed economici c’è un’idea di città policentrica fatta di quartieri dotati di servizi di prossimità, con una morfologia che richiama la vita di borgo: strade a misura di pedone, piccole piazze, cuciture tra pubblico e privato. La committenza pubblica incoraggia la micro-variazione dei tipi edilizi, l’uso di materiali semplici (laterizio, intonaco, pietra locale, coppi) e un disegno che, pur moderno, riconosce l’eredità italiana dei tessuti continui e dei vuoti civici.

In questo quadro si impone una generazione di progettisti – Mario Ridolfi, Ludovico Quaroni, Carlo Aymonino, Ignazio Gardella, Giovanni Michelucci, Michele Valori, tra gli altri – che rilegge la lezione del Razionalismo alla luce dell’esperienza bellica e della questione sociale. La critica (Zevi, Benevolo, e più tardi Purini) riconosce in questa stagione non un episodio pittoresco, ma un esperimento di rifondazione disciplinare.

Poetica e tecnica: una razionalità “calda”

Il neorealismo architettonico persegue una razionalità non astratta. L’impianto è chiaro, la costruzione è onesta, ma la misura del progetto è l’uso: si modellano percorsi e soglie, si cercano spazi di relazione dove i gesti ordinari (incontrarsi, sostare, sorvegliare i bambini) possano accadere senza regia monumentale. La tipologia edilizia diventa strumento duttile: case a schiera e in linea convivono con palazzine a tre-cinque piani; le altezze contenute, le scale esterne, i ballatoi e le logge generano gradazioni di pubblico/privato. La matericità (laterizio a vista, cornici, marcapiani, intonaci grezzi) non è decorazione ma costruttività visibile, capace di coinvolgere saperi artigianali e filiere locali.

Questa “razionalità calda” si oppone sia ai simulacri classicisti sia all’anonimato della griglia funzionalista. La forma non nasce da un dogma compositivo, ma da vincoli concreti (pendenze, venti, orientamento, usi sociali) e da un’etica della prossimità.

Opere chiave e significati

Quartiere INA-Casa Tiburtino, Roma (1949-1954)
Coordinato da Ridolfi e Quaroni, con la partecipazione – tra gli altri – di Michele Valori, è il manifesto del linguaggio neorealista. Le case collettive a cinque piani si dispongono per addizioni articolate, generando visuali variate e una fitta rete di spazi pubblici minuti. Scale, rientranze, sedute in muratura e piccole corti configurano un habitat dove la socialità di vicinato non è un residuo, ma un obiettivo progettuale.

Valco San Paolo e Tuscolano, Roma (primi anni ’50)
Nei lotti INA-Casa si sperimentano palette tipologiche differenti, adattate a suolo e preesistenze. Il Tuscolano mostra come la variazione controllata di teste, corpi scala, profili di gronda e trattamenti di facciata possa evitare l’effetto “caserma” senza scadere nel pittoresco.

La Martella, Matera (1951-1954)
Borgo rurale promosso nel quadro del risanamento dei Sassi, con l’impulso di Adriano Olivetti. Il gruppo guidato da Quaroni (con Federico Gorio, Michele Valori e altri) progetta un impianto comunitario che integra chiesa, servizi e spazio civico come matrice della vita collettiva. L’uso di materiali e tecniche locali e la disposizione a recinti abitati restituiscono un equilibrio tra modernizzazione e continuità culturale.

Torre Spagnola, Matera (concorso UNRRA-Casas, 1954)
Il progetto premiato di Valori e Gorio organizza case in linea che formano due recinti adiacenti; gli accessi sono rivolti all’interno per creare uno spazio civico protetto dove si concentrano servizi e vita del borgo. La chiesa parrocchiale – lodata da Benevolo come una delle invenzioni più alte del neorealismo – diviene fulcro urbanistico e simbolico, non monumento isolato.

Mausoleo delle Fosse Ardeatine, Roma (1945-1949)
L’architettura civile e memoriale condivide la cifra neorealista della gravità etica e della matericità essenziale: piani orizzontali pesanti, tufi, luce misurata. È un lessico che parla di memoria più che di retorica.

Le “palazzine” romane degli anni ’50
Tipologia paradigmatica: scala ridotta, verde di pertinenza, facciate mosse da balconi e logge, spesso laterizio a vista. Qui il neorealismo elabora la casa media urbana come luogo di convivenza civile, distante sia dalla villetta suburbana sia dal blocco compatto.

Corviale, Roma (1972-1982)
Opera posteriore e non propriamente neorealista (megastruttura tardo-moderna), ma spesso inclusa come esito problematico di una ricerca sull’habitat collettivo. La lezione neorealista sugli spazi intermedi e sulla scala mostra qui per contrasto i suoi limiti di trasferibilità quando la dimensione cresce fino alla linear-city.

Rapporti con il cinema e con la critica

Come nel cinema di Rossellini, De Sica, Visconti, l’architettura neorealista rinuncia al set costruito e cerca la verità dei luoghi: strade polverose, intonaci scabri, tetti bassi, una quotidianità senza enfasi. Zevi legge in questa stagione il rifiuto del retaggio accademico e una scommessa organica sull’abitare; Benevolo ne evidenzia la coerenza con l’urbanistica riformista del dopoguerra; Purini – con sguardo più tardo – ne coglie la tensione tra memoria e modernità, tra desiderio di continuità e necessità di innovazione linguistica.

Meriti: ciò che il neorealismo ha insegnato

  1. Che la costruzione è parte integrante del linguaggio: materiale, nodo, dettaglio sono argomenti critici, non cosmetica.

  2. Che la tipologia può essere uno strumento di giustizia spaziale: piccoli accorgimenti distributivi (ballatoi, corti, soglie condivise) cambiano la qualità della vita più di una facciata “colta”.

  3. Che la città si ricuce per quartieri e reti di prossimità, non per soli oggetti iconici.

  4. Che il progetto pubblico può sostenere lavoro diffuso e saperi locali, evitando l’omologazione industriale.

Limiti e ambiguità: una critica necessaria

Il neorealismo non è esente da rischi. Il primo è il folklorismo: l’evocazione del borgo può scivolare in un pittoresco morale se non sorretta da reali politiche di servizi e manutenzione. Il secondo è il paternalismo sociale: alcuni impianti presuppongono comunità coese che spesso non esistono più; senza gestione e programmi sociali, gli spazi comuni degradano. Terzo, l’economia di cantiere – pensata per impiegare mano d’opera – entra in crisi con la prefabbricazione degli anni ’60, rendendo difficile la continuità di quel linguaggio. Infine, la scala: ciò che funziona a 2-5 piani fatica a reggere quando si tenta la traslazione a megastruttura (da qui l’equivoco critico su Corviale).

Continuità e lasciti: dal regionalismo critico alla rigenerazione

Molti temi neorealisti riemergono, decantati, nel regionalismo critico e nella stagione tipologica degli anni ’60-’70 (fino ad Aldo Rossi e alla “Tendenza”): centralità della morfologia urbana, persistenza dei tipi, ruolo dei vuoti e degli spazi pubblici. Oggi la loro attualità è evidente nelle pratiche di rigenerazione: cura degli spazi intermedi, mix funzionale alla scala di quartiere, partecipazione degli abitanti, attenzione a materiali e cicli di vita. Il neorealismo fornisce una bussola: progetta ciò che le persone fanno, non ciò che la retorica vorrebbe che facessero.

Una conclusione critica

Il Neorealismo architettonico è il tentativo più compiuto, nell’Italia del dopoguerra, di saldare etica e tecnica, costume e costruzione, memoria e riforma. La sua forza sta nell’aver riportato l’architettura dentro la società, misurandola sugli usi e non sulle parole d’ordine; il suo limite sta nell’aver talvolta scambiato la forma della comunità con la sua sostanza politica. Resta, però, una lezione decisiva: la modernità può essere civile senza essere monumentale, razionale senza essere astratta, nuova senza amputare la continuità dei luoghi. In tempi di crisi climatica e diseguaglianze urbane, è un patrimonio non solo storico ma operativo.

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