LA SITUAZIONE SOCIALE DEL ‘400
Mentre in Europa ci si avvia alla costituzione degli stati nazionali, l’Italia, che manca di un’autorità centrale, resta suddivisa in tanti piccoli staterelli, fra loro rivali ed antagonisti. Comuni e signorie hanno, però, economie urbane concorrenziali, per cui incoraggiano lo sviluppo delle arti e delle corporazioni, con continue commesse di lavoro. Emblematico è l’esempio di Firenze. La crisi comunale ha portato al potere un gruppo di famiglie aristocratiche che, dal 1380, per mezzo secolo, dirigeranno la vita della città. L’impianto urbano non deve essere più modificato (né si avrebbe la forza per farlo), occorrono l’adeguamento, la rifinitura e il perfezionamento qualitativo dell’architettura già esistente (Duomo, Battistero, chiese conventuali periferiche, il palazzo dei Priori, ecc.).
Sembrerebbe trattarsi di un’epoca di transizione, senza troppe pretese, lontana dalla rivoluzione gotica. Invece, nasce a Firenze una proposta nuova ed originalissima, destinata, per un secolo, a condizionare tutta l’architettura europea, lo stile rinascimentale.
Sembrerebbe trattarsi di un’epoca di transizione, senza troppe pretese, lontana dalla rivoluzione gotica. Invece, nasce a Firenze una proposta nuova ed originalissima, destinata, per un secolo, a condizionare tutta l’architettura europea, lo stile rinascimentale.
LE CONDIZIONI IN TOSCANA PER LA NASCITA DEL RINASCIMENTO
Se è vero che lo stile gotico fu creato per l’abate di St-Denis, il rinascimento lo fu per i mercanti ed i banchieri di Firenze. La premiata ditta Medici, con agenti a Londra, Gand, Lione, Milano, Avignone e Venezia, è un partito-azienda, fatto di podestà di Firenze (1296, 1376, 1421) e duchi di Toscana, che riesce a far chiamare Cosimo, Padre della Patria, e Lorenzo, il Magnifico.
Per non parlare dei Pitti, dei Rucellai, degli Strozzi...
A costoro serve l’immagine ed il consenso, il rinascimento è la macchina giusta per fornirgliela.
Vi sono i presupposti culturali (l’arte etrusca, S. Miniato, S. Croce, S. Maria Novella, S. Maria del Fiore, Petrarca, primo poeta laureato dei tempi moderni, incoronato in Campidoglio nel 1341); vi è il dinamismo imprenditoriale (repubblica mercantile rivolta alla concretezza ed alla prassi); vi è una nuova condizione operativa dell’intellettuale, un libero professionista, pagato adeguatamente e socialmente considerato, in virtù del proprio genio (si pensi all’aneddoto di Michelangelo che, sentitosi offeso da un familiare del papa fugge, da Roma, lasciando detto al papa che, se lo cercava, sapeva dove trovarlo). L’uomo torna al centro della scena, è la misura di tutte le cose, il trascendente si allontana.
Per non parlare dei Pitti, dei Rucellai, degli Strozzi...
A costoro serve l’immagine ed il consenso, il rinascimento è la macchina giusta per fornirgliela.
Vi sono i presupposti culturali (l’arte etrusca, S. Miniato, S. Croce, S. Maria Novella, S. Maria del Fiore, Petrarca, primo poeta laureato dei tempi moderni, incoronato in Campidoglio nel 1341); vi è il dinamismo imprenditoriale (repubblica mercantile rivolta alla concretezza ed alla prassi); vi è una nuova condizione operativa dell’intellettuale, un libero professionista, pagato adeguatamente e socialmente considerato, in virtù del proprio genio (si pensi all’aneddoto di Michelangelo che, sentitosi offeso da un familiare del papa fugge, da Roma, lasciando detto al papa che, se lo cercava, sapeva dove trovarlo). L’uomo torna al centro della scena, è la misura di tutte le cose, il trascendente si allontana.
LA CENTRALITÀ DELL'UOMO E LA FORMAZIONE DELL'ARCHITETTO
Con l’affermarsi della cultura umanistica (termine che deriva appunto da uomo), l'architettura romana (quella che più di tutte incarna questo ideale di centralità), torna ad esercitare un richiamo irresistibile su artisti e committenti. La formazione dell’architetto non avviene più in cantiere, attraverso la trasmissione, da un capo-mastro all’altro, di una tradizione, eguale ed immutabile. Essa non può prescindere da uno studio accurato dell’antichità fatto con tecniche di rappresentazione grafica accuratissime.
LA NUOVA ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO ARCHITETTONICO
La nuova concezione porta, con sé, la scissione tra le fasi del progetto e dell’esecuzione. Inizialmente, l’architetto rinascimentale deve affrontare difficoltà quasi insuperabili, ma, progressivamente, la sua proposta si afferma, in Italia e in Europa, tanto che, oggi, ci appare del tutto ovvia, ma cinquecento anni fa non era proprio così.
Può essere così sintetizzata.
L'architetto definisce, in anticipo, con disegni e modelli:
- la forma precisa dell'opera da costruire
- l'insieme dell’edificio in scala ridotta;
- la forma tipica (definita dagli ordini) e la proporzione dei particolari (colonne, trabeazioni, archi, pilastri, porte, finestre);
- le misure effettive di ogni elemento;
- i materiali di cui ogni elemento è costituito.
Gli operai e le loro organizzazioni si occupano, sulla scorta dei disegni di progetto, dell'esecuzione.
Esemplificazione del metodo costruttivo e della gestione del cantiere utilizzata dal Brunelleschi nella edificazione della grande cupola di S. Maria del Fiore. |
LA PROSPETTIVA
Il metodo di progettazione rinascimentale si chiama prospettiva. E’ noto, dagli insegnamenti propedeutici di disegno, che, fissata la posizione dell'osservatore e del quadro di proiezione, tale tecnica permette di definire l'orizzonte, la linea di terra, i punti di distanza, i punti di fuga, così che, conoscendo la posizione esatta di ogni singolo punto dell'oggetto, possiamo riprodurlo sul quadro, in maniera assai simile a quella in cui lo vediamo realmente.
Con la prospettiva rinascimentale, la conoscenza di un oggetto, si tinge di un significato nuovo e semplicissimo: vuol dire essere consapevoli della sua conformazione geometrico-spaziale (forma rei figura, la figura come forma della cosa).
Ciò vale, sia rappresentando qualcosa che già esiste, sia anticipando qualcosa che ancora non esiste. Attraverso il disegno è, allora, possibile un atto ideale e materiale di progettazione (di anticipazione della futura realtà), pittorico, scultoreo od architettonico. Infatti, assai spesso, gli artisti di questo periodo, sono le tre cose insieme. Per loro, un problema concreto, è solo un caso particolare di un problema astratto, che va risolto con regole fisse.
Con la prospettiva rinascimentale, la conoscenza di un oggetto, si tinge di un significato nuovo e semplicissimo: vuol dire essere consapevoli della sua conformazione geometrico-spaziale (forma rei figura, la figura come forma della cosa).
Ciò vale, sia rappresentando qualcosa che già esiste, sia anticipando qualcosa che ancora non esiste. Attraverso il disegno è, allora, possibile un atto ideale e materiale di progettazione (di anticipazione della futura realtà), pittorico, scultoreo od architettonico. Infatti, assai spesso, gli artisti di questo periodo, sono le tre cose insieme. Per loro, un problema concreto, è solo un caso particolare di un problema astratto, che va risolto con regole fisse.
LE FONTI DEL RINASCIMENTO
- Da quali fonti attinge il rinascimento?
Principalmente:
dalle fonti documentarie, i monumenti antichi (intesi, però, non come un repertorio di stili o di modelli costruttivi e distributivi, ma come depositari dei principi di un metodo perduto); - da quelle permanenti, la natura (filosoficamente intesa come essentia rei natura, essenza intelligibile delle cose).
Dimostrazione di prospettiva secondo il cosiddetto «metodo legittimo» del Brunelleschi. |
Il mazzocchio, una complessa figura geometrica disegnata dal celebre pittore Paolo Uccello, per dimostrare le possibilità della prospettiva. |
BRUNELLESCHI
Le contraddizioni di un’epoca, che cerca il nuovo, ma è ancorata al medioevo, portano il segno della personalità straordinaria di Filippo Brunelleschi (1377-1446). Fiorentino, orefice e scultore, solo in età matura architetto. Se vogliamo datare un momento preciso, in cui possiamo dire che un’epoca architettonica nuova è sorta, e sarà detta rinascimento, questo è il progetto della grande Cupola del Duomo di Firenze. Qui matura tutto il contrasto, tra la vecchia e la nuova concezione dell’architettura, che, poi, si appiana gradualmente e diventa moda trionfante nelle opere successive.
La Cupola di S. Maria del Fiore a Firenze del Brunelleschi, completa l'edificio di Arnolfo, diventando centro visivo di tutta la città. Simile al fiore, da cui prende il nome (la cinta muraria è la corolla, la cupola è il bottone centrale), crea un effetto paesistico visibile a molti chilometri di distanza. Sospesi i lavori dal 1402, per proteste degli edili e difficoltà tecniche, Brunelleschi ottiene l’incarico (1423) con un progetto innovativo, studiato con l’aiuto della prospettiva e di un modello in scala 1/12.
Cupola di S. Maria del Fiore a Firenze del Brunelleschi. |
ALBERTI
Al metodo sperimentale di Brunelleschi fa da contraltare la sistematica riflessione teorica di Leon Battista Alberti (1406-72). Nasce a Genova, ma da famiglia patrizia fiorentina, esperto di leggi e di economia, letterato, scrittore, pittore, fisico, matematico, musicista, drammaturgo, brillante cavaliere, spiritosissimo conversatore e, persino, atleta (si pensi al curioso aneddoto, che lo voleva capace di saltare, a piedi giunti, su un uomo in piedi), architetto-dilettante, nel senso più nobile del termine, con grandi entrature nel circuito culturale italiano (Roma, Venezia, Milano, Ferrara). Partito dalla riflessione sugli ordini classici, maturata come soprintendente ai monumenti durante il pontificato di Niccolò V, Alberti giunge a una teorizzazione complessiva del metodo progettuale, raccolta nel primo dei grandi trattati architettonici rinascimentali il De re aedificatoria (scritto a più riprese, a partire dal 1452, in ben 10 libri), dove brilla, accanto allo spirito dell'erudito, fantasia straordinaria ed una autentica vena progettuale sintetizzata nel motto res severa verum gaudium.
La facciata di S. Maria Novella a Firenze dell’Alberti (1455). Impostata sui riquadri policromi già in voga a Firenze (campanile di Giotto, Battistero, S. Miniato al Monte). |
Sant'Andrea a Mantova dell’Alberti (1470). Ci mostra il riuscito tentativo di estendere l’ordine complessivo dell’edificio anche all’interno. |
MILANO
Da quanto finora detto il primo rinascimento è un linguaggio quasi esclusivamente fiorentino, e su di esso matura la figura del pesarese Donato Bramante (1444-1514), pittore ed architetto, che sarà destinato a raccoglierne l’eredità e ad andare ben oltre. Dopo un periodo di formazione ad Urbino, lo troviamo attivo Milano (1479), dove lavora per Ludovico il Moro a S. Maria presso S. Satiro (1482) ed alla Tribuna di S. Maria delle Grazie (1497).
ROMA: DAL PRIMO RINASCIMENTO FIORENTINO AL PIENO RINASCIMENTO ROMANO
Ma, nel 1499, in seguito alla caduta di Ludovico il Moro, Bramante abbandona Milano e raggiunge Roma. è idealmente collegabile a questo viaggio, la fine del primo rinascimento. Inizia una fase architettonica nuova, fondamentalmente romana, di piena maturazione degli elementi fiorentini, a cui si è soliti dare il nome di pieno rinascimento.Roma, all’inizio del ‘500, con il ritorno del pontefice da Avignone, è tornata ad essere un centro internazionale di cultura, quasi obbligatoriamente, si potrebbe dire, perché qui è concentrato l’ideale della classicità e, se si accetta lo spirito del rinascimento, con esso occorre confrontarsi.
Le prime opere di Bramante a Roma, sono commesse di ridotte dimensioni, il Chiostro di S. Maria della Pace (1500) ed il Tempietto di S. Pietro in Montorio (1502), ma contribuiscono al consolidamento della sua fama.
Chiostro di S. Maria della Pace (1500) del Bramante. Esso ha pilastri con lesene addossate al piano terreno; ed una loggia aperta, con snelle colonne architravate, al piano superiore. |
LA FABBRICA DI S. PIETRO
Con papa Giulio II (1503), Bramante ha l’occasione della vita, i progetti per il Vaticano. Prima, gli viene affidato l'imponente cortile del Belvedere, grande spazio articolato su tre livelli e concluso da un anfiteatro, di cui, però, realizza solo una scala elicoidale in una torre (1505); successivamente la ristrutturazione della basilica costantiniana, che consiste nella demolizione di gran parte d’essa, per far posto ad un innovativo tempio a pianta centrale (1506).La morte di Giulio II (1513), lascia, però, sospesa quest’ultima opera. Per la soluzione del problema, nel corso di secoli successivi, saranno coinvolti artisti del calibro di Raffaello, Peruzzi, i Sangallo, Michelangelo, Maderno, Bernini. Anche lo stile delle proposte evolverà passando dal manierismo, al classicismo e al barocco.
RAFFAELLO
Nel 1515 Leone X, il papa Medici, nomina soprintendente alle antichità romane (incarico che già era stato dell’Alberti) e successore di Bramante negli incarichi vaticani della fabbrica di S. Pietro, l’urbinate Raffaello Sanzio (1483-1520), geniale pittore ed erudito. Per quanto la sua attività di pittore, già da sola, lo pone ai vertici dell’arte di tutti i tempi, Raffaello si copre di altri altissimi meriti. Nello studio delle antichità, si deve a lui l’impostazione filologico - accademica della scienza delle antichità, l’archeologia. Raffaello, tra le altre attività, soprintese alla traduzione dell’opera di Vitruvio ed al rilievo di Roma antica, in previsione del restauro di quegli edifici. Proprio la citazione letterale della classicità, fa, di Raffaello, una figura nuova d’architetto, come appare chiarissimo nelle piante e decorazioni della sua opera architettonica più compiuta, la romana Villa Madama (1517-20), conclusa dai suoi allievi, in seguito alla sua prematura scomparsa.
SANGALLO IL GIOVANE
Alla morte di Raffaello, il cantiere vaticano, viene affidato all’architetto fiorentino Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546), suo prezioso e stimato collaboratore.
Il progetto di S. Pietro, anche se con grande lentezza, evolve, mentre l’architetto consolida la sua fama colla realizzazione di Palazzo Farnese (concluso però dopo la sua morte da Michelangelo).
Nel 1536, nominato architetto di tutte le fabbriche pontificie, propone un nuovo progetto per S. Pietro, esemplificato in un grande e dettagliato modello ligneo. Il progetto non ottiene il successo sperato e viene fortemente osteggiato da Michelangelo.
E’ un chiaro segnale che qualcosa, nel gusto delle nuove generazioni di artisti emergenti, è mutato. Inizia la parabola declinate del grande ciclo del rinascimento.
Il progetto di S. Pietro, anche se con grande lentezza, evolve, mentre l’architetto consolida la sua fama colla realizzazione di Palazzo Farnese (concluso però dopo la sua morte da Michelangelo).
Nel 1536, nominato architetto di tutte le fabbriche pontificie, propone un nuovo progetto per S. Pietro, esemplificato in un grande e dettagliato modello ligneo. Il progetto non ottiene il successo sperato e viene fortemente osteggiato da Michelangelo.
E’ un chiaro segnale che qualcosa, nel gusto delle nuove generazioni di artisti emergenti, è mutato. Inizia la parabola declinate del grande ciclo del rinascimento.
IL PALAZZO DI CITTÀ
Alla nuova borghesia urbana serve un nuovo tipo di palazzo, che non sia più il medioevale luogo di difesa o di magazzini e commerci. Ecco perché esso diventa un elemento chiave della tipologia architettonica rinascimentale.
Il palazzo non è più solo la residenza di una grande famiglia, ma, la sua immagine, si indirizza ad un vasto pubblico: strumento di potere, da un lato, intervento generoso che modifica il tessuto urbano e determina la magnificenza della città, dall’altro.
Alcuni elementi si ritrovano costanti:
• facciate, talvolta bugnate, definite da ordini classici sovrapposti;
• finestre incorniciate definite da pilastri d'angolo;
• arditi cornicioni;
• sontuoso portone d'ingresso;
• solenni scalo_ni;
• ampi cortili chiostrati con leggeri porticati.
Il prototipo del nuovo palazzo fiorentino è rappresentato dal Palazzo Medici-Riccardi, a Firenze, progettato (1444-59) da Michelozzo Michelozzi (1396-1472), scultore ed architetto fiorentino.
Un altro edificio, degno di grande nota, è Palazzo Strozzi a Firenze, progettato (1489) da Benedetto da Maiano (1442-1497), anch’egli architetto e scultore fiorentino.
Il palazzo non è più solo la residenza di una grande famiglia, ma, la sua immagine, si indirizza ad un vasto pubblico: strumento di potere, da un lato, intervento generoso che modifica il tessuto urbano e determina la magnificenza della città, dall’altro.
Alcuni elementi si ritrovano costanti:
• facciate, talvolta bugnate, definite da ordini classici sovrapposti;
• finestre incorniciate definite da pilastri d'angolo;
• arditi cornicioni;
• sontuoso portone d'ingresso;
• solenni scalo_ni;
• ampi cortili chiostrati con leggeri porticati.
Il prototipo del nuovo palazzo fiorentino è rappresentato dal Palazzo Medici-Riccardi, a Firenze, progettato (1444-59) da Michelozzo Michelozzi (1396-1472), scultore ed architetto fiorentino.
Un altro edificio, degno di grande nota, è Palazzo Strozzi a Firenze, progettato (1489) da Benedetto da Maiano (1442-1497), anch’egli architetto e scultore fiorentino.
Palazzo Medici-Riccardi a Firenze di Michelozzo (1444-59). Appare sul lato strada un organismo chiuso, con una facciata possente bugnata e un ritmo regolare delle aperture. |
Villa Madama a Roma di Raffaello (1517-20).
Essa è una raffinata rilettura delle terme romane e dell’impianto decorativo della Domus Aurea neroniana. Alle decorazioni utilizzate viene dato il nome di grottesche, in quanto derivate dai resti archeologici dissepolti, cioè ospitati nelle grotte. Nel progetto originario, solo in parte realizzato, ambienti pluriabsidati e nicchie, si sviluppano attorno ad un cortile circolare, con una grande loggia decorata dal suo allievo Giulio Romano |
LA RESIDENZA DI CAMPAGNA
Anche il tipo architettonico della residenza di campagna ha, in questo periodo, notevole fortuna. In essa si fondono l’eco di molteplici edifici: abitazione agricola, con orto e giardino, castello e casa, che ricorda gli agi di quella di città.
Il prototipo della villa è rappresentato dalla Villa Medicea a Cafaggiolo, progettata (1450) dal Michelozzi, mentre, un interessante esempio, è costituito dalla Villa Medicea a Poggio a Caiano, progettata (1480) da Giuliano da Sangallo (1445-1516), architetto, ingegnere militare, scultore ed intagliatore fiorentino.
Il prototipo della villa è rappresentato dalla Villa Medicea a Cafaggiolo, progettata (1450) dal Michelozzi, mentre, un interessante esempio, è costituito dalla Villa Medicea a Poggio a Caiano, progettata (1480) da Giuliano da Sangallo (1445-1516), architetto, ingegnere militare, scultore ed intagliatore fiorentino.
Villa Medicea a Poggio a Caiano di Giuliano da Sangallo (1480) |
LA FORTEZZA
Il problema della fortificazione, in conseguenza dell’enorme evoluzione della tecnica militare, assume, nel rinascimento, una nuova declinazione. Il castello e la cinta muraria medioevali, appaiono definitivamente superati. Nuove soluzioni, tecniche e formali, sono quelle fornite dal senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1502), pittore, scultore, architetto ed ingegnere militare, uno specialista del settore, autore di un Trattato di Architettura, che riesce a coniugare orografia e scienza militare nei suoi imponenti bastioni, capaci di conferire una dimensione paesaggistica nuova al contesto. Emblematica, in tal senso, appare la sua realizzazione più significativa: la Rocca di Sassocorvaro.
LA CHIESA RINASCIMENTALE
Nel rinascimento, si comincia a superare, la concezione monodirezionale e gerarchica dello spazio, connessa alla pianta basilicale. Un nuovo grande interesse è, adesso, rivolto alla pianta centrale, già largamente adottata nell'architettura classica, paleocristiana ed altomedievale, che torna alla ribalta, associata, nella teologia architettonica, al rapporto tra la perfezione divina e la perfezione geometrica del cerchio. Se si unisce, a ciò, il nuovo interesse per l’arco trionfale, la volta a botte e la cupola, ci si rende conto verso quale forma armonica, ideale, perfetta, volga l’edificio cultuale rinascimentale, teso verso la suprema perfezione della divinità. Sul modello codificato da Bramante, ma già anticipato dalla pittura, nascono le chiese del rinascimento maturo, composte e solenni, valga l’esempio della Chiesa della Madonna di San Biagio (1518) a Montepulciano, progettata da Antonio da Sangallo il Vecchio (1455-1534).
Chiesa della Madonna di S. Biagio a Montepulciano di Antonio da Sangallo il Vecchio (1518). |
VASARI: RIFLESSIONE SUL CONCETTO DI RINASCIMENTO
Nel 1568, Il pittore, teorico ed architetto aretino Giorgio Vasari (1511-1574), pubblica una summa delle sue riflessioni sulle arti visuali, intitolata Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori, un esauriente rapporto sulla situazione artistica del suo tempo.
In tale opera, viene introdotto, per la prima volta, il concetto di principio della rinascita (la ribellione di Giotto all'antinaturalismo bizantino), mix di imitazione del naturale, organizzazione spaziale geometrica dei dati visivi e riproposta dei modelli classici romani.
Di qui possiamo far derivare il termine rinascimento. Ma il grande trattatista toscano va ben oltre.
Storicizzando l’esperienza del suo tempo, Vasari individua alcune fasi ideali, che possono così essere riassunte:
- Cimabue, Giotto ed Arnolfo sono individuati come precursori.
- Brunelleschi si svincola dalla “barbarie” architettonica gotica.
- Alberti sistematizza la rilettura dell’architettura classica romana.
- Leonardo fissa il rapporto arte-scienza.
- Bramante, Sangallo il Giovane e Peruzzi producono opere pienamente rinascimentali.
- Raffaello intuisce che, la base di una scelta creativa, è l'idea.
- Michelangelo supera l’imitazione classica (“licentia” nella regola) e raggiunge la perfetta maniera, superando gli antichi.
- Le opere di Michelangelo diventano, allora, termine di paragone per giudicare tutte le altre età.
Di qui la genesi del termine manierismo, che può risultarci utile a comprendere l’evoluzione (e l’involuzione) del rinascimento.
Ma quando comincia a scricchiolare il complesso castello di certezze rinascimentali?
Con Bramante e la generazione successiva, si comincia ad evidenziare i limiti dello stile ed a verificare la reale portata della sua universalità, sotto il peso drammatico dell’incalzare degli avvenimenti culturali, sociali e politici del ‘500. Ne proviamo a riassumere i principali nello schema seguente.
Usando il termine maniera, Vasari non ha intenzione dispregiativa (come invece succederà nell’800, in epoca romantica, dove l’imitazione è vista come un delitto, perché equivale a rinunciare alla spontaneità personale). Anzi, viene sostenuto che, mettere a frutto l'esperienza dei migliori, è atto meritorio e contribuisce ad aumentare le capacità personali.
Con Bramante e la generazione successiva, si comincia ad evidenziare i limiti dello stile ed a verificare la reale portata della sua universalità, sotto il peso drammatico dell’incalzare degli avvenimenti culturali, sociali e politici del ‘500. Ne proviamo a riassumere i principali nello schema seguente.
Usando il termine maniera, Vasari non ha intenzione dispregiativa (come invece succederà nell’800, in epoca romantica, dove l’imitazione è vista come un delitto, perché equivale a rinunciare alla spontaneità personale). Anzi, viene sostenuto che, mettere a frutto l'esperienza dei migliori, è atto meritorio e contribuisce ad aumentare le capacità personali.
Vasari afferma che l'arte, ha fatto tutto ciò che una disciplina imitatrice della natura può fare, è salita tanto in alto che, mai più, potrà innalzarsi oltre. Tutt’al più, si può realisticamente temere, una sua caduta. Come si vede, non c’è disprezzo. Nelle sue parole affiora, al massimo, un esile pessimismo.
L’operazione critica di sistematizzare le esperienze del suo tempo, porta, però, con sé, conseguenze notevoli.
Se, infatti, l’ideale classico non è più un dogma assoluto, ma circoscritto alla sua reale dimensione storica, allora, entrano in crisi le premesse generali comuni, che sono i veri e propri capisaldi dell’architettura rinascimentale:
- i principi sono insufficienti a risolvere, aprioristicamente, tutte le possibili occasioni che si presentano, ma ogni applicazione va controllata;
- le tradizioni locali ed i principi generali interagiscono, secondo un compromesso empirico, ogni volta variabile;
- la progettazione e l’esecuzione danno luogo a conflitti risolvibili solo con reciproche limitazioni;
- le tre diverse arti visuali (che, virtualmente, posso rappresentare ognuna, singolarmente, tutto l'universo), entrano in conflitto tra loro, sul problema di riconoscere, a quale, spetti il primato.
Riletto, allora, sotto la decisiva ottica del Vasari, il cinquecento ci appare un secolo inquieto e percorso da una contraddittoria tendenza di fondo: da un lato, l’ansia di innovare, dall’altro, il desiderio di codificare precisamente il classicismo e di fornirne una sorta di formulario pratico applicativo.
E’ l’epoca di un nuovo genere di trattati architettonici. Ricordiamo quelli di Serlio (1540), di Vignola (1562), di Palladio (1570), scarni nelle speculazioni teoriche, ma ricchi nelle indicazioni numeriche e geometriche, non adatti come stimolo ideale per i capolavori, ma ottimi per il lavoro di tutti i giorni. Al genio rinascimentale, segue il professionista manierista.
A prima vista, sembra il trionfo di un empirismo di bassa lega, di un lavoro di bassa manovalanza culturale, con il fiato, inevitabilmente, corto. Viceversa, il miracolo inverso si compie. Sostenuto, soprattutto, dal singolare talento di Palladio, questa architettura, poco assoluta, ma molto empirica, si universalizza e si diffonde, in ogni paese d'Europa e, quindi, nel mondo intero.
Il catalogo ideale delle opere del cinquecento è vasto, colmo di grandi artisti e di capolavori. Proviamo a farne una stringatissima sintesi, ben consci dell’alto numero di esclusioni effettuate.
Passeremo, quindi,, in rassegna le principali personalità, cercando, al di là di una poco proficua successione cronologica, di individuare alcune tendenze ed evoluzioni, in un arco ideale di esperienze che cominciano con Michelangelo e si concludono con Palladio
E’ l’epoca di un nuovo genere di trattati architettonici. Ricordiamo quelli di Serlio (1540), di Vignola (1562), di Palladio (1570), scarni nelle speculazioni teoriche, ma ricchi nelle indicazioni numeriche e geometriche, non adatti come stimolo ideale per i capolavori, ma ottimi per il lavoro di tutti i giorni. Al genio rinascimentale, segue il professionista manierista.
A prima vista, sembra il trionfo di un empirismo di bassa lega, di un lavoro di bassa manovalanza culturale, con il fiato, inevitabilmente, corto. Viceversa, il miracolo inverso si compie. Sostenuto, soprattutto, dal singolare talento di Palladio, questa architettura, poco assoluta, ma molto empirica, si universalizza e si diffonde, in ogni paese d'Europa e, quindi, nel mondo intero.
Il catalogo ideale delle opere del cinquecento è vasto, colmo di grandi artisti e di capolavori. Proviamo a farne una stringatissima sintesi, ben consci dell’alto numero di esclusioni effettuate.
Passeremo, quindi,, in rassegna le principali personalità, cercando, al di là di una poco proficua successione cronologica, di individuare alcune tendenze ed evoluzioni, in un arco ideale di esperienze che cominciano con Michelangelo e si concludono con Palladio
MICHELANGELO
E’ con Michelangelo Buonarroti (1475-1564), uno dei più grandi geni artistici di ogni tempo, che si verifica il pieno e consapevole passaggio, dal rinascimento, verso una nuova era architettonica (la cui eredità sarà pienamente raccolta dal barocco), fatto questo ancora più sensazionale, se si pensa che egli approda all'architettura attraverso la scultura.
Michelangelo sperimenta, per la prima volta, a Firenze (Cappella Medicea 1512, Biblioteca Mediceo-Laurenziana 1524-34), un canone nuovo (che diremo manierista), in cui, i motivi classici, sono usati in modo diverso da Bramante (che li aveva, a sua volta, mediati da Vitruvio).
Questa scelta, prosegue e si consolida a Roma, dove Michelangelo, dal 1546, è impegnato in una serie di opere prestigiose: il nuovo impianto del Campidoglio, il completamento di San Pietro, la cappella Sforza in Santa Maria Maggiore, la trasformazione delle terme di Diocleziano nella chiesa di Santa Maria degli Angeli.
La pacata serenità dell’umanesimo è superata per sempre.
Villa Farnesina a Roma di Baldassarre Peruzzi (1508). |
PALLADIO
Dopo le esperienze fiorentine di Michelangelo l'architettura manierista si diffonde e con essa il germe dell'inquietudine. Rimandiamo alle didascalie delle illustrazioni delle opere il coglierne le infinite sfaccettature. Vale invece la pena effettuare una più approfondita analisi di un altro autore destinato a caratterizzare la diffusione del manierismo nel mondo: Andrea Palladio (1508-80). Il futuro grande architetto padovano nasce come muratore e tagliapietre. La sua formazione si svolge a Roma, attraverso un lungo periodo di apprendistato grazie anche al proficuo incontro con Sebastiano Serlio. Tornato in Veneto, il suo programma architettonico appare subito chiaro: sinte-tizzare l'eredità classica con le moderne esigenze d'uso dell'aristocrazia veneziana (che è la sua committente principale). Sotto la maschera classicheggiante della simmetria, Palladio progetta organismi modernissimi, dove si individua un originale rapporto tra distribuzione planime-trica e prospetto, tra concezione degli interni e spazio esterno. Palladio raccoglie la riflessione sui modelli del proprio apprendistato e sulla propria esperienza di progettista nei Quattro libri dell'architettura (1570), un fortunatissimo trattato, i cui disegni assumeranno la funzione di modelli assoluti del classicismo nella pratica costruttiva internazionale (l'imitazione dello stile classico cinquecentesco italiano, propagandata dallo scenografo ed architetto inglese Inigo Jones, nel '600, prenderà il nome di palladianesimo).
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