














L’architettura futurista è stata una vera rivoluzione nell’arte e nel modo di pensare gli spazi urbani all’inizio del Novecento, nata in Italia come espressione di un desiderio profondo di novità e rottura con il passato. Questa forma di architettura si caratterizza per un’energia incredibile: linee dinamiche, colori forti e un senso di movimento che sembra quasi prendere vita, come se gli edifici stessi corressero verso il futuro. L’obiettivo era rappresentare la velocità, il progresso, la frenesia della modernità, andando contro ogni forma di tradizione storicista e abbracciando un lirismo potente e innovativo.
Tutto ciò nasce all’interno del Futurismo, un movimento artistico fondato nel 1909 dal poeta Filippo Tommaso Marinetti con il suo celebre Manifesto Futurista. Marinetti e i suoi compagni – poeti, musicisti, pittori come Boccioni, Balla, Depero e Prampolini, ma anche architetti – si unirono in un unico coro di voci appassionate che celebravano la modernità, le macchine e persino la guerra come un impulso vitale necessario per cambiare il mondo.
Tra gli architetti, Antonio Sant’Elia è senza dubbio la figura più emblematica del Futurismo in architettura. La sua visione urbana era audace e potente: immaginava città come immense macchine pulsanti, in continuo movimento, con edifici che sembravano sfidare la gravità e collegarsi tra loro in un sistema fluido e dinamico. Un esempio concreto di questa ispirazione futurista è la fabbrica del Lingotto a Torino, famosa per la pista di prova sul tetto, definita già nel 1934 come “la prima invenzione costruttiva futurista”.
Nel 1912, pochi anni dopo il manifesto di Marinetti, Sant’Elia e Mario Chiattone parteciparono alla mostra delle Nuove Tendenze a Milano, aprendo la strada a quella che nel 1914 divenne una vera e propria dichiarazione di intenti: il Manifesto dell’Architettura Futurista. Anche Umberto Boccioni lavorò a un manifesto simile, seppur mai pubblicato, che venne ritrovato solo dopo la morte di Marinetti.
Negli anni successivi, il dibattito sull’architettura futurista si animò grazie a manifesti e scritti polemici che sfidavano i sostenitori del classicismo, purtroppo con pochi risultati concreti nella costruzione reale. Tra i testi più importanti ricordiamo quelli di Enrico Prampolini, il Manifesto dell’Architettura Futurista–Dinamica di Virgilio Marchi nel 1920, e il Manifesto dell’Arte Sacra Futurista di Fillia e Marinetti nel 1931. L’ultimo manifesto dedicato all’architettura futurista fu pubblicato nel 1934: il Manifesto dell’Architettura Aerea, che spostava lo sguardo verso progetti urbanistici visionari e legati al trasporto aereo.
Dopo la morte di Marinetti nel 1944 e la fine della Seconda Guerra Mondiale, il Futurismo si dissolse e per decenni venne quasi dimenticato a causa delle sue associazioni con il regime fascista. Tuttavia, i suoi protagonisti continuarono a lavorare su strade autonome, lasciando un’eredità che si sarebbe rivelata preziosa per le generazioni future.
La città futurista, quella visione utopica e quasi magica, appare già dalla prima pagina del Manifesto Futurista pubblicato su Le Figaro nel 1909. È una città viva, frenetica, illuminata da luci multicolori, attraversata da treni, automobili e grandi navi in movimento impetuoso. Il paesaggio urbano non è più statico e silenzioso, ma un vortice di energia, rumori e luci che rappresentano la modernità in tutta la sua forza. Per i futuristi, la città è il simbolo del futuro e del progresso, un organismo in continua trasformazione.
Questa idea si concretizza nelle opere di Umberto Boccioni, come “La città che sale” e “La strada entra nella casa”, dove angoli e forme si intersecano in un turbine di movimento e velocità. Sant’Elia stesso scriveva nel suo manifesto del 1914 che la città futurista deve essere come un grande cantiere, dinamica e in costante mutamento, con case che assomigliano a gigantesche macchine.
Purtroppo, le visioni grandiose di Sant’Elia rimasero sulla carta, perché quelle idee rivoluzionarie erano troppo avanzate per essere accettate e realizzate nel contesto dell’epoca. Tuttavia, la sua intuizione fondamentale – che architettura e urbanistica devono andare di pari passo – ha influenzato profondamente l’evoluzione del pensiero architettonico moderno.
Il movimento futurista non rimase isolato: artisti e architetti europei come il gruppo olandese De Stijl e Le Corbusier entrarono in dialogo con queste idee, riconoscendo l’importanza dell’innovazione proposta dai futuristi. Persino negli Stati Uniti, con l’opera di Richard Buckminster Fuller, si ritrovano echi di quella visione futurista: Fuller immaginava un’architettura tecnologica, accessibile e sostenibile, fatta di case mobili, veicoli aerodinamici e città collegate dal cielo.
Il merito di Marinetti e dei suoi compagni fu quello di rispondere alle sfide di un mondo in rapida trasformazione, proponendo una città che fosse al tempo stesso reale e fantastica, frutto di un’analisi attenta della società industriale e di un sogno di rinascita totale. Anche se la vita di Sant’Elia fu tragicamente interrotta dalla guerra, il suo lavoro ha lasciato un segno indelebile, anticipando molte delle soluzioni architettoniche moderne, come l’idea di mostrare gli ascensori sulle facciate degli edifici, un concetto rivoluzionario per quei tempi.
Infine, i suoi disegni visionari ispirarono anche il cinema, diventando la base per le architetture immaginarie del capolavoro “Metropolis” di Fritz Lang, un altro esempio di quanto il futurismo abbia saputo guardare lontano, oltre i limiti del suo tempo.
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