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Palazzo d'Inverno a San Pietroburgo (1774) di Rastrelli. |
Nella seconda metà del Settecento, alla definitiva affermazione del rococò, fuso colle varianti locali proprie di ogni nazione, si affianca una nuova grande fonte di ispirazione architettonica, che deriva da uno studio più approfondito e maturo dell'architettura antica. Infatti, nel corso dei decenni che vanno fino all'Ottocento, un vasto ma ancora eterogeneo complesso di scoperte e di ricerche sugli edifici dell'antichità (Erco-lano 1711, Villa Adriana di Tivoli 1734, Pompei 1748, ecc.) si struttura, progressi-vamente, come una vera e propria scienza dell'antichità, a cui sarà dato il nome di archeologia. Gli edifici antichi, sono adesso analizzati in maniera approfondita e, grazie ai progressi compiuti dalle tecniche della rappresentazione grafica (sistematizzate dal matematico Monge), diventano oggetto di pubblicazioni dettagliate (I resti dei più bei monumenti della Grecia di David-Leroy 1758, Le antichità ateniesi di Stuart e Revett 1763). La trattatistica specializzata generalizza le esperienze. Poter disporre di una rappresentazione oggettiva dettagliata degli edifici antichi, permette, ad architetti e critici, di ipotizzare operazioni di recupero e restauro dei monumenti antichi filologicamente corrette; basate su meccanismi di estensione imitativa stilistica. Inoltre, lo studio critico di alcuni millenni di storia dell'architettura, basato final-mente su fonti documentarie dirette, permette la scoperta negli edifici del passato di meccanismi strutturali e formali di insospettata complessità ed interesse, che probabilmente vale la pena provare ad imitare.
A muovere queste esperienze non vi è solo un risorto amore per il passato (come era già avvenuto all'epoca dell'umanesimo rinascimentale). La corrente di pensiero dominante in quest'epoca, la filosofia illuminista, dà uno scossone formidabile al castello delle certezze tardo-barocche. Nel Settecento, non a caso detto il Secolo dei Lumi, matura il desiderio di fare chiarezza sull'oggi e sullo ieri, con meticoloso puntiglio ed irridente franchezza. Posta implacabilmente a confronto con il passato, molto spesso, l'architettura contemporanea esce clamorosamente sconfitta.
Non è, come già accennato, un fatto totalmente nuovo. Il Rinascimento, nato nel rifiuto del gotico, aveva riproposto, a suo tempo, una riedizione idealizzata della lezione greca e romana. L'uso degli ordini classici, portati funzionalmente a cinque, affiancando ai tre canonici il tuscanico ed il composito, ne è un evidente aspetto. Nel tardo Settecento si va assai oltre. La riproposta storica (per gli inglesi Histo-ricism) si estende a tutti gli stili, a tutte le epoche, a tutte le nazioni (non solo europee), così avremo il neoassiro, il neoegiziano, il neogreco, il neoromano, il neobizantino, il neoromanico, il neogotico, il neorinascimentale, il neomanierista, il palladianesirno, il neoarabo, il neomoresco, il neocinese, ecc. Questo gusto di classificazione, riproposizione e reinterpretazione storica prende il nome di neoclassicismo. Il neoclassicismo approda anche in Italia e dà luogo a realizzazioni significative a Roma ed a Milano. A Milano opera la personalità più interessante dell'epoca, l'architetto ed urbanista umbro Giuseppe Piermarini (1734-1808), allievo e collaboratore del Vanvitelli. Sorretto da un'amministrazione burocratica statale esemplare, la prolificissima carriera di Piermarini procede in svariati campi: didattico (nel 1776 è nominato docente di architettura alla neonata Accademia di Brera); architettonico (nel 1779 è nominato imperial regio architetto); urbanistico (nel 1782 è nominato supremo controllore dell'urbanistica). In ogni settore ed a qualunque scala operi, Piermarini ottiene successi unanimi. La misura e la sobrietà decorativa, il rigore non banale nell'uso modulare degli ele-menti architettonici, la gestione sapiente dell'articolazione spaziale degli edifici, la ' sensibilità altissima nel confronto del nuovo con le preesistenze, sono le doti unanimemente riconosciutegli.
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J.-B. Rondelet (Trattato teorico e pratico sull'arte di costruire, 1802 |
Il neoclassicismo non è fatto, però, solo della riproposizione aggiornata di un vasto campionario stilistico retrò a cui attingere. Il secondo grande aspetto che, dapprima investe e successivamente caratterizza questo movimento architettonico, è una rapida evoluzione delle tecniche costruttive. Nel Settecento si registra il massiccio sviluppo delle discipline matematiche e fisiche. In architettura, queste ricerche teoriche si fondono con lo studio empirico degli aspetti più propriamente costruttivi (l'analisi dei carichi, lo studio delle proprietà dei materiali, la loro capacità di resistere alle diverse sollecitazioni) ed approdano a risultati generalizzabili, sostenuti da precise leggi, la cui applicazione pratica è facilitata dalla scoperta di nuovi e potenti algoritmi di calcolo.
L'attenzione degli studiosi si estende anche al processo costruttivo, che viene analizzato nelle sue componenti essenziali, col dichiarato scopo di razionalizzare sia i cantieri di restauro delle antichità, sia i cantieri delle nuove edificazioni. L'analisi storica, procedendo a ritroso, scopre l'esemplarità del cantiere gotico, che diventa il modello operativo ideale, in cui si fondono arte, tecnologia, razio-nalità statica ed organizzazione del lavoro. In esso, infatti, la scelta dei materiali, della struttura, della forma dell'edificio e delle opere decorative, si fondono coll'abilità progettuale del capomastro (che ad un edificio dedica talvolta un'intera esistenza) e con quella esecutiva delle maestranze (che simboleggiano la ricchezza, l'operosità e la professionalità di un intero popolo, di cui l'edificio diventa momento di espressione e di riconoscimento comune).
Lasciati in secondo piano gli aspetti formali e decorativi (ormai esasperati dalla ricerca del rococò), un nuovo modo di pensare comincia a farsi strada: l'architettura è l'arte della costruzione. Questo concetto, espresso con chiarezza dal grande studioso di statica J.-B. Rondelet (Trattato teorico e pratico sull'arte di costruire, 1802), porta a compiere un passo decisivo nella storia delle costruzioni: costruire non è più solo un'arte, ma anche una scienza, la scienza delle costruzioni.
Così, con una rapidità che non ha avuto mai uguale, fino ad allora, nella storia della didattica architettonica, prende piede il processo di formazione sistematico di una nuova categoria di progettisti. Sulla scorta del collaudato modello formativo della accademia per gli architetti, che, col tempo, si sono di fatto trasformate in accademie per architetti deco-ratori, nascono le nuove accademie per architetti costruttori, da cui nascerà una figura professionale inedita per il settore: l'ingegnere. Emblematica in tal senso risulta L'Ècole des Ponts e des Chaussées, sorta a Parigi nel 1747 (a cui ne faranno seguito altre nelle diverse nazioni), finalizzata alla precisione del calcolo strutturale ed alla razionalizzazione dei processi costruttivi, in netta antitesi con il graficismo estetizzante degli architetti.
La serena regola di forme consolidate nel tempo (sistematizzate dall'archeologia), unita alla sicurezza di regole statiche pratiche (sistematizzate dalla scienza delle costruzioni), sembrano avvalorare l'immagine di un artista neoclassico illuminato da un solare e produttivo razionalismo. Ma non è così. Un sentimento di tensione ed inquietudine pervade lo spirito del neoclassicismo, fenomeno artistico tra i più complessi.
Alla nascente contrapposizione tra architetti ed ingegneri, si aggiunge un terzo ed antitetico elemento: l'affermarsi della ideologia dello Sturm und Drang, il Romanticismo. Essa propone l'ideale di un artista anticlassico, che si pone nei confronti della realtà e della natura in modo nuovo. L'artista deve considerarsi svincolato da precise regole condizionatrici, che non possono essere poste aprioristicamente. Le regole indispensabili vanno ricercate e dedotte nell'osservazione della natura che ci circonda e nell'introspezione psicologica, scavando dentro se stessi, in quanto facenti parte di una natura più vasta. La ricerca di una personale via alla bellezza è legittima, poiché coincide con la ricerca di una bellezza assoluta della natura. L'artista è disponibile ad ascoltare la lezione del passato, ma solo nella misura in cui esso gli propone regole generali di interpretazione della natura, non basate sulla pratica dell'imitazione ma dell'invenzione. L'invenzione assoluta, cioè il desiderio titanico di piegare o reinventare la realtà colla forza del proprio inge-gno e coll'originalità del proprio talento, è per l'artista romantico la massima espressione della naturalezza, la mancanza assoluta di ogni forzatura.
Non è difficile immaginare che, un tale movimento, cali sul neoclassicismo come la furia di un ciclone. Lo tinge di una vena nuova, di inquietudine e di desiderio del nuovo. Lo rende effervescente. Ma in Europa, in questo periodo, tutto è estremamente effervescente. In Francia è scoppiata una grande rivoluzione sociale, compiuta dalla borghesia, contro gli esclusivi privilegi nobiliari. Scardinerà per sempre le certezze assoluti-stiche monarchiche. In Inghilterra è in corso una rivoluzione industriale, destinata a diffondersi nel mondo ed a cambiare per sempre i meccanismi produttivi. Sposterà masse enormi dalla campagna verso la periferia delle città. Il neoclassicismo evolve, abbatte le regole, mescola gli stili, diventa eclettico, muore.
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