Viganò 1919
Vittoriano Viganò (Milano, 14 dicembre 1919 – Milano, 5 gennaio 1996) è stato un architetto e accademico italiano. Per il particolare uso del cemento armato, le sue opere sono state annoverate fra gli esempi di brutalismo italiano. Figlio del pittore Vico Viganò (1874-1967), cresce in un ambiente culturale fertile che lo porta a iscriversi al Politecnico di Milano, dove si laurea in Architettura nel 1944. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, Viganò compie un breve apprendistato presso lo studio BBPR e, dopo aver conseguito tra il 1946 e il 1947 il corso di perfezionamento in costruzioni in cemento armato con Arturo Danusso, diviene assistente volontario, incaricato e di ruolo presso la cattedra di Architettura degli interni, arredamento e decorazione affidata a Gio Ponti (1945-1969), poi come docente di Architettura degli interni e arredamento (1979) e di Composizione architettonica. Nel 1947 apre il proprio studio professionale in corso di Porta Vigentina, a Milano, indirizzando i suoi interessi verso più filoni disciplinari, dal disegno del prodotto industriale all'architettura degli interni e all'allestimento, dall'architettura all'urbanistica. Viganò intende l'architettura come un'attività totale, al servizio della vita dell'uomo “dal cucchiaio alla città” e la sua formazione è nel diversificato mondo del Razionalismo italiano del secondo dopoguerra. Perciò l'architettura di interni non è una banale pratica di decorazione, ma una disciplina che condivide le finalità e il metodo dell'architettura e dell'urbanistica. Questi presupposti razionalisti dovrebbero quindi integrarsi con i linguaggi locali per ricostruire un'identità italiana dopo le distruzioni della guerra, dando inizio a una nuova tradizione per il nuovo Stato democratico che stava nascendo. Quindi l'architetto può collaborare attivamente alla costruzione di una nuova società civile.L'impegno sociale di Viganò si concretizza attraverso una comunicazione energica ed esplicita, che si avvale di materiali poveri (ai quali è riconosciuto anche un valore etico), di spazi aperti in rapporto con la città, per ottenere un'estetica semplificata e anti-elegante, non-finita, in contrapposizione con la mentalità borghese. Come negli stessi anni Alberto Burri lacerava stracci e fondeva la plastica per ottenere le sue composizioni pittoriche, così Viganò tormentava il cemento per sperimentarne le caratteristiche statiche ed espressive.Parallelamente all'esercizio della professione e all'attività didattica e di ricerca, Viganò svolge un'intensa attività pubblicistica: dal 1947 al 1963 è corrispondente dall'Italia per la rivista francese diretta dall'amico André Bloc L'architecture d'aujourd'hui, per cui cura, nei primissimi anni cinquanta, due numeri monografici dedicati all'architettura italiana del dopoguerra; in quel periodo è inoltre corrispondente dall'Italia di Aujourd'hui, anch'essa diretta da Bloc.Tra il 1947 e il 1960 è consulente tecnico-artistico di Arteluce, che metterà in produzione alcuni suoi progetti di lampade. Dopo le "prove" degli esordi, dalla sistemazione degli interni del cinema-teatro Dal Verme (1947) alle casette per reduci al QT8 (1947, con Ezio Putelli e Vittorio Gandolfi), dal centro sportivo e di svago a Salsomaggiore (1949, con Francesco Clerici) al condominio in viale Piave (1951, con Carlo Pagani), cui si alternano significativi lavori a una scala minore, come l'arredamento di appartamenti e l'allestimento di gallerie d'arte, il nome di Viganò balza alla notorietà internazionale con il progetto dell'Istituto Marchiondi Spagliardi a Milano (1958), ricordato da Reyner Banham come uno dei pochi esempi italiani del movimento neobrutalista.Nel 1969 Bruno Zevi dedica all'architetto milanese un intero fascicolo della rivista L'architettura. Cronache e storia, pubblicando alcune tra le più rilevanti opere portate a compimento da Viganò tra i primi anni cinquanta e la fine degli anni sessanta: il piano di valorizzazione del Parco Sempione a Milano (1954 e 1962), la casa "La Scala" per André Bloc a Portese del Garda (1958), il negozio Arteluce di Milano (1962), la "Ca' della Vigna" a Redavalle, presso Broni (1964), il colorificio Attiva a Novi Ligure (1967). A Milano realizza, nel 1985, l'ampliamento della facoltà di Architettura del Politecnico. Presente nelle Triennali del 1951, 1954, 1960 e 1968 e attivo nel dibattito architettonico e urbanistico, Viganò è membro del MSA (Movimento di studi per l'architettura), dell'INU (Istituto nazionale di urbanistica), dell'IN/ARCH (Istituto nazionale di architettura), dell'ADI (Associazione per il disegno industriale), dell'Accademia di San Luca. Nel 1991 viene allestita, prima al Politecnico di Milano e poi all'Accademia di San Luca a Roma, la prima mostra retrospettiva di Viganò, dal titolo A come architettura. Nello stesso anno gli viene conferito, su segnalazione dell'Accademia di San Luca, il Premio per l'Architettura del Presidente della Repubblica. Vittoriano Viganò muore il 5 gennaio 1996.
Nessun commento:
Posta un commento