domenica 30 marzo 2025

Corso di storia dell'architettura: 30 Brutalismo









Il Brutalismo:
materia, etica e linguaggio nell’architettura del secondo Novecento

Il Brutalismo nasce negli anni Cinquanta del Novecento in Inghilterra, in un momento in cui il Movimento Moderno appariva già avviato verso la propria trasformazione. Non si trattò mai di un movimento unitario, con manifesti e scuole codificate, ma di una sensibilità progettuale, un atteggiamento estetico ed etico che puntava a riportare l’architettura a una dimensione di crudezza e sincerità costruttiva.

Il termine stesso deriva dal béton brut di Le Corbusier, il “cemento grezzo” che caratterizza l’Unité d’Habitation di Marsiglia (1950), icona dell’abitare collettivo nel dopoguerra. Celebre resta la frase corbusieriana del 1923 – «L’architecture, c’est, avec des matières brutes, établir des rapports émouvants» – che sottolinea come il materiale non sia un semplice mezzo tecnico, ma un veicolo di emozione, di linguaggio. Il cemento, lasciato a vista, non più rivestito né addomesticato, diventa il simbolo stesso di un’architettura che rifiuta l’ornamento e cerca la verità materica.

Estetica della rudezza e poetica della struttura

Il brutalismo si distingue per l’uso espressivo e scultoreo del cemento armato a vista. I volumi non cercano leggerezza ma peso, plasticità e monumentalità, esaltando le nervature, i giunti, le masse. Gli edifici brutalisti non vogliono sedurre ma imporsi, comunicando forza, resistenza, talvolta perfino ostilità.
La “brutalità” non è tanto violenza, quanto rifiuto di mascherare la verità costruttiva. Da qui la tensione critica: per alcuni il brutalismo è stato linguaggio democratico e sincero, per altri simbolo di una nuova estetica autoritaria.

La stagione internazionale

In Inghilterra il brutalismo trova nei coniugi Alison e Peter Smithson i primi interpreti. Le loro scuole e i loro complessi residenziali (come Robin Hood Gardens, 1972) incarnano l’utopia di un’architettura capace di rifondare la comunità urbana dopo la devastazione bellica. James Stirling ne accentua la dimensione sperimentale e universitaria, con opere come la Facoltà di Storia di Cambridge (1968).

Negli Stati Uniti emerge la figura di Paul Rudolph, allievo di Walter Gropius, che con la Scuola di Architettura di Yale (1963) realizza un’opera paradigmatica: una vera cattedrale di cemento, celebrata e odiata per la sua potenza monumentale.

In Giappone Kenzō Tange e il gruppo dei Metabolisti piegano il cemento alla loro visione futuristica, fondendo tradizione giapponese e brutalismo corbusieriano. In Argentina Clorindo Testa lascia segni decisivi con la Banca di Londra e la Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, esempi di brutalismo emozionale, quasi visionario.

L’esperienza italiana

In Italia, il brutalismo assume connotati peculiari, contaminandosi con il Neoliberty e con il retaggio razionalista. La Torre Velasca a Milano (BBPR, 1956-58) ne mostra l’ambiguità: rudezza strutturale ma anche rimando alle torri medievali lombarde. Non a caso, il critico britannico Reyner Banham, vicino ai brutalisti inglesi, la definì una “ritirata italiana dall’architettura moderna”.

Altri esempi rivelano maggiore aderenza al linguaggio internazionale: la Casa Sperimentale a Fregene di Giuseppe Perugini (fine anni ’60), vera scultura abitabile; il Villino Berarducci a Roma (1969), celebre anche come set cinematografico; la sede dell’Ordine dei Medici a Roma di Piero Sartogo (1966-72), manifesto di béton brut.

A questi si aggiungono opere di grande intensità: l’Auditorium di Riesi di Leonardo Ricci (1963), il quartiere Matteotti a Terni di Giancarlo De Carlo (1971-74), la Chiesa dell’Autostrada del Sole di Giovanni Michelucci (1964), la residenza popolare di Rozzol Melara a Trieste, fino al Palacultura di Messina, completato nel 2009 ma concepito in epoca brutalista. In tutte queste opere il cemento non è supporto ma linguaggio, struttura e forma coincidono, diventando racconto di un’epoca.

Critica e declino

Il brutalismo ha diviso la critica. Per Banham e altri teorici inglesi rappresentava un ritorno all’autenticità e alla funzione sociale dell’architettura. Per molti cittadini, però, gli edifici brutalisti apparivano ostili, opprimenti, inabitabili. La loro monumentalità, pensata come emancipatrice, veniva spesso percepita come alienante.

Già dagli anni Ottanta il brutalismo venne messo in crisi: giudicato retaggio del razionalismo, fu spesso vittima di demolizioni o di abbandono. Solo negli ultimi due decenni si è assistito a una riscoperta critica, che lo valorizza come espressione sincera del dopoguerra, con la sua tensione tra utopia e crudezza, tra etica e materia.


👉 In sintesi, il brutalismo non è soltanto uno stile architettonico ma un manifesto politico e culturale: il tentativo di dare forma visibile alla verità materiale del costruire, di opporre alla leggerezza consumistica la resistenza scabra del cemento. Per alcuni fallimento, per altri poesia di pietra, resta un linguaggio che segna profondamente l’immaginario architettonico del Novecento.

sabato 29 marzo 2025

Corso di storia dell'architettura: 29 Neorealismo architettonico

 







Neorealismo architettonico: genealogia, linguaggi, opere, eredità

Il Neorealismo architettonico nasce in Italia nel secondo dopoguerra come risposta critica tanto al monumentalismo classicizzante del ventennio quanto alle più rigide ortodossie del Movimento Moderno. Non è un “ritorno al passato”, ma un tentativo di rifondare il progetto sulla realtà concreta: condizioni abitative, mestieri, materiali disponibili, forme dell’abitare sedimentate nei borghi. In questo senso si riallaccia al più ampio clima culturale neorealista – in primis cinematografico – che privilegia la vita quotidiana, i luoghi comuni, i margini. Il riferimento al Razionalismo rimane, ma viene temperato: alla standardizzazione e alla serialità cieca si sostituiscono la scala umana, la varietà tipologica, l’attenzione agli spazi intermedi (cortili, slarghi, ballatoi, logge), agli usi sociali e alle culture costruttive locali.

Cornice storica e istituzionale: dal Piano INA-Casa alla città “di quartieri”

Il veicolo decisivo è il programma INA-Casa (1949-1963), concepito per ridurre la penuria abitativa e creare lavoro. Dietro gli obiettivi sociali ed economici c’è un’idea di città policentrica fatta di quartieri dotati di servizi di prossimità, con una morfologia che richiama la vita di borgo: strade a misura di pedone, piccole piazze, cuciture tra pubblico e privato. La committenza pubblica incoraggia la micro-variazione dei tipi edilizi, l’uso di materiali semplici (laterizio, intonaco, pietra locale, coppi) e un disegno che, pur moderno, riconosce l’eredità italiana dei tessuti continui e dei vuoti civici.

In questo quadro si impone una generazione di progettisti – Mario Ridolfi, Ludovico Quaroni, Carlo Aymonino, Ignazio Gardella, Giovanni Michelucci, Michele Valori, tra gli altri – che rilegge la lezione del Razionalismo alla luce dell’esperienza bellica e della questione sociale. La critica (Zevi, Benevolo, e più tardi Purini) riconosce in questa stagione non un episodio pittoresco, ma un esperimento di rifondazione disciplinare.

Poetica e tecnica: una razionalità “calda”

Il neorealismo architettonico persegue una razionalità non astratta. L’impianto è chiaro, la costruzione è onesta, ma la misura del progetto è l’uso: si modellano percorsi e soglie, si cercano spazi di relazione dove i gesti ordinari (incontrarsi, sostare, sorvegliare i bambini) possano accadere senza regia monumentale. La tipologia edilizia diventa strumento duttile: case a schiera e in linea convivono con palazzine a tre-cinque piani; le altezze contenute, le scale esterne, i ballatoi e le logge generano gradazioni di pubblico/privato. La matericità (laterizio a vista, cornici, marcapiani, intonaci grezzi) non è decorazione ma costruttività visibile, capace di coinvolgere saperi artigianali e filiere locali.

Questa “razionalità calda” si oppone sia ai simulacri classicisti sia all’anonimato della griglia funzionalista. La forma non nasce da un dogma compositivo, ma da vincoli concreti (pendenze, venti, orientamento, usi sociali) e da un’etica della prossimità.

Opere chiave e significati

Quartiere INA-Casa Tiburtino, Roma (1949-1954)
Coordinato da Ridolfi e Quaroni, con la partecipazione – tra gli altri – di Michele Valori, è il manifesto del linguaggio neorealista. Le case collettive a cinque piani si dispongono per addizioni articolate, generando visuali variate e una fitta rete di spazi pubblici minuti. Scale, rientranze, sedute in muratura e piccole corti configurano un habitat dove la socialità di vicinato non è un residuo, ma un obiettivo progettuale.

Valco San Paolo e Tuscolano, Roma (primi anni ’50)
Nei lotti INA-Casa si sperimentano palette tipologiche differenti, adattate a suolo e preesistenze. Il Tuscolano mostra come la variazione controllata di teste, corpi scala, profili di gronda e trattamenti di facciata possa evitare l’effetto “caserma” senza scadere nel pittoresco.

La Martella, Matera (1951-1954)
Borgo rurale promosso nel quadro del risanamento dei Sassi, con l’impulso di Adriano Olivetti. Il gruppo guidato da Quaroni (con Federico Gorio, Michele Valori e altri) progetta un impianto comunitario che integra chiesa, servizi e spazio civico come matrice della vita collettiva. L’uso di materiali e tecniche locali e la disposizione a recinti abitati restituiscono un equilibrio tra modernizzazione e continuità culturale.

Torre Spagnola, Matera (concorso UNRRA-Casas, 1954)
Il progetto premiato di Valori e Gorio organizza case in linea che formano due recinti adiacenti; gli accessi sono rivolti all’interno per creare uno spazio civico protetto dove si concentrano servizi e vita del borgo. La chiesa parrocchiale – lodata da Benevolo come una delle invenzioni più alte del neorealismo – diviene fulcro urbanistico e simbolico, non monumento isolato.

Mausoleo delle Fosse Ardeatine, Roma (1945-1949)
L’architettura civile e memoriale condivide la cifra neorealista della gravità etica e della matericità essenziale: piani orizzontali pesanti, tufi, luce misurata. È un lessico che parla di memoria più che di retorica.

Le “palazzine” romane degli anni ’50
Tipologia paradigmatica: scala ridotta, verde di pertinenza, facciate mosse da balconi e logge, spesso laterizio a vista. Qui il neorealismo elabora la casa media urbana come luogo di convivenza civile, distante sia dalla villetta suburbana sia dal blocco compatto.

Corviale, Roma (1972-1982)
Opera posteriore e non propriamente neorealista (megastruttura tardo-moderna), ma spesso inclusa come esito problematico di una ricerca sull’habitat collettivo. La lezione neorealista sugli spazi intermedi e sulla scala mostra qui per contrasto i suoi limiti di trasferibilità quando la dimensione cresce fino alla linear-city.

Rapporti con il cinema e con la critica

Come nel cinema di Rossellini, De Sica, Visconti, l’architettura neorealista rinuncia al set costruito e cerca la verità dei luoghi: strade polverose, intonaci scabri, tetti bassi, una quotidianità senza enfasi. Zevi legge in questa stagione il rifiuto del retaggio accademico e una scommessa organica sull’abitare; Benevolo ne evidenzia la coerenza con l’urbanistica riformista del dopoguerra; Purini – con sguardo più tardo – ne coglie la tensione tra memoria e modernità, tra desiderio di continuità e necessità di innovazione linguistica.

Meriti: ciò che il neorealismo ha insegnato

  1. Che la costruzione è parte integrante del linguaggio: materiale, nodo, dettaglio sono argomenti critici, non cosmetica.

  2. Che la tipologia può essere uno strumento di giustizia spaziale: piccoli accorgimenti distributivi (ballatoi, corti, soglie condivise) cambiano la qualità della vita più di una facciata “colta”.

  3. Che la città si ricuce per quartieri e reti di prossimità, non per soli oggetti iconici.

  4. Che il progetto pubblico può sostenere lavoro diffuso e saperi locali, evitando l’omologazione industriale.

Limiti e ambiguità: una critica necessaria

Il neorealismo non è esente da rischi. Il primo è il folklorismo: l’evocazione del borgo può scivolare in un pittoresco morale se non sorretta da reali politiche di servizi e manutenzione. Il secondo è il paternalismo sociale: alcuni impianti presuppongono comunità coese che spesso non esistono più; senza gestione e programmi sociali, gli spazi comuni degradano. Terzo, l’economia di cantiere – pensata per impiegare mano d’opera – entra in crisi con la prefabbricazione degli anni ’60, rendendo difficile la continuità di quel linguaggio. Infine, la scala: ciò che funziona a 2-5 piani fatica a reggere quando si tenta la traslazione a megastruttura (da qui l’equivoco critico su Corviale).

Continuità e lasciti: dal regionalismo critico alla rigenerazione

Molti temi neorealisti riemergono, decantati, nel regionalismo critico e nella stagione tipologica degli anni ’60-’70 (fino ad Aldo Rossi e alla “Tendenza”): centralità della morfologia urbana, persistenza dei tipi, ruolo dei vuoti e degli spazi pubblici. Oggi la loro attualità è evidente nelle pratiche di rigenerazione: cura degli spazi intermedi, mix funzionale alla scala di quartiere, partecipazione degli abitanti, attenzione a materiali e cicli di vita. Il neorealismo fornisce una bussola: progetta ciò che le persone fanno, non ciò che la retorica vorrebbe che facessero.

Una conclusione critica

Il Neorealismo architettonico è il tentativo più compiuto, nell’Italia del dopoguerra, di saldare etica e tecnica, costume e costruzione, memoria e riforma. La sua forza sta nell’aver riportato l’architettura dentro la società, misurandola sugli usi e non sulle parole d’ordine; il suo limite sta nell’aver talvolta scambiato la forma della comunità con la sua sostanza politica. Resta, però, una lezione decisiva: la modernità può essere civile senza essere monumentale, razionale senza essere astratta, nuova senza amputare la continuità dei luoghi. In tempi di crisi climatica e diseguaglianze urbane, è un patrimonio non solo storico ma operativo.

venerdì 28 marzo 2025

Corso di storia dell'architettura: 28 Razionalismo italiano






Il Razionalismo Italiano: Contesto Storico e Ideale

Il Razionalismo italiano è una corrente architettonica sviluppatasi negli anni Venti e Trenta del XX secolo, in stretta connessione con il Movimento Moderno internazionale. Si fonda su principi funzionalisti e prosegue, in varie forme e frange, fino agli anni Settanta. Le radici ideali del razionalismo affondano nella Romanità vitruviana, nelle teorie rinascimentali di Leon Battista Alberti e nelle esperienze illuministiche di Gottfried Semper. Questo intreccio tra classicità, rigore proporzionale e razionalismo costruttivo fornisce al movimento italiano una forte identità, distinta pur nelle affinità con le correnti europee contemporanee.


Gruppo 7 e la nascita del MIAR

Nel 1926, un gruppo di giovani architetti provenienti dal Politecnico di Milano – Luigi Figini, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni e Ubaldo Castagnoli (sostituito l’anno dopo da Adalberto Libera) – fondò il Gruppo 7, aderente nel 1928 al MIAR (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale).

Il gruppo pubblicò i propri principi sulla rivista Rassegna Italiana (1926), dimostrando una forte apertura verso il Deutscher Werkbund, il costruttivismo russo e le teorie di Le Corbusier, pur prendendo le distanze dai futuristi italiani. La Prima Esposizione Italiana di Architettura Razionale a Roma nel 1928 fu la prima occasione pubblica per mostrare la sintesi dei loro principi, anticipata dalle opere presentate da Terragni alla III Biennale di Monza nel 1927.


Giuseppe Terragni e la Casa del Fascio

L’opera più rappresentativa del razionalismo italiano è la Casa del Fascio a Como (1932-1936), progettata da Giuseppe Terragni. Qui si manifesta chiaramente la fusione tra moderno e classicità:

  • La facciata segue le proporzioni della sezione aurea;

  • L’equilibrio spaziale e la modulazione volumetrica rimandano a principi classici senza imitare stili storici;

  • Lo spazio interno ospitava decorazioni astratte di Mario Radice, integrando pittura e architettura in una comune fucina culturale.

Terragni ripeté simili principi nella Casa del Fascio di Lissone, oggi Palazzo Terragni, consolidando il carattere originale del movimento moderno italiano, dove la classicità è intesa in senso atemporale, come ricerca di ordine, misura e modulazione coerente delle forme.


Sviluppi e protagonisti del Razionalismo

Architetti come Luigi Figini, Gino Pollini, Giovanni Michelucci, Giuseppe Pagano contribuirono alla diffusione dei principi razionalisti, portando quasi 50 adesioni da varie regioni italiane. Tra le realizzazioni significative:

  • Casa elettrica (1930) di Figini e Pollini, presentata alla IV Triennale di Milano;

  • Palazzo di Città di Pescara (1935) di Vincenzo Pilotti, con pianta a elle, travertino e mattoni, espressione solenne del potere civile;

  • Stazione Santa Maria Novella a Firenze (1933) di Michelucci e del Gruppo Toscano, in cui l’integrazione con l’ambiente urbano storico e l’uso sapiente dei materiali (pietra forte) dimostrano l’attenzione razionalista all’equilibrio compositivo;

  • Istituto di Fisica della Città Universitaria di Roma di Giuseppe Pagano, esempio di funzionalismo controllato e sobrio, privo di monumentalismo.

Altri interventi come l’Edificio postale di piazza Bologna a Roma (1932) di Mario Ridolfi mostrano la sperimentazione formale della doppia curvatura, dimostrando che il razionalismo italiano poteva coniugare innovazione e funzionalità.


Il Razionalismo tra Moderno e Regime

Nonostante il razionalismo fosse formalmente moderno e legato a principi internazionali, la sua relazione con il regime fascista fu complessa:

  • Le opere razionaliste mal si adattavano all’ideologia autoritaria, basata su monumentalismo e simbolismo retorico;

  • Le polemiche con la vecchia "accademia" portarono allo scioglimento del MIAR nel 1932;

  • Tuttavia, gli architetti continuarono a operare in ambito pubblico, spesso in contesti locali o istituzionali, mantenendo la coerenza progettuale e la ricerca di equilibrio tra forma, funzione e classicità.


La Scuola Milanese e la diffusione del Razionalismo

Grazie a riviste come Casabella-Costruzioni, dirette da Giuseppe Pagano e Giancarlo Palanti, il razionalismo milanese si impose come centro culturale vitale. Articoli come Intervallo ottimista di Raffaello Giolli documentano l’attività di giovani architetti tra cui Gianni Albricci, Achille e Piergiacomo Castiglioni, Marco Zanuso e altri, evidenziando una rete che coniugava formazione accademica, sperimentazione e ricerca funzionale.


Conclusione: Razionalismo Italiano tra Classico e Moderno

Il razionalismo italiano si distingue dal Movimento Moderno internazionale per la sua ricerca di ordine e modulazione atemporale, in cui la classicità diventa principio di chiarezza, equilibrio e coerenza tra gli elementi architettonici. Le opere principali – dalla Casa del Fascio di Terragni alla Stazione di Firenze – dimostrano come l’architettura possa essere moderna e funzionale, senza rinunciare a proporzioni armoniche e senso dello spazio.

Il movimento, pur attraversando difficoltà politiche e conflitti ideologici, ha lasciato un’eredità duratura nella cultura architettonica italiana, influenzando progettisti e artisti fino agli anni Settanta, e costituendo un modello di integrazione tra innovazione tecnica, funzionalismo e cultura classica.


giovedì 27 marzo 2025

Corso di storia dell'architettura: 27 International Style

 





International Style e Movimento Moderno
negli Stati Uniti (1930-1950)

1. La mostra di Philip Johnson al MoMA (1932)

Nel 1932, Philip Johnson organizza al Museum of Modern Art (MoMA) di New York una esposizione che sancisce una svolta epocale per l’architettura moderna negli Stati Uniti. La mostra raccoglie edifici realizzati tra il 1922 e il 1932 e si accompagna a un catalogo scritto dallo stesso Johnson insieme a Henry Russell Hitchcock, intitolato International Style.

  • Johnson e Hitchcock codificano e promuovono un intero movimento, definendo edifici e architetti come appartenenti a un codice stilistico unitario.
  • L’International Style si caratterizza per la trascendenza delle identità regionali e nazionali, diventando un linguaggio globale dell’architettura moderna.

Principi fondanti

  1. Architettura come volume: gli edifici sono concepiti come spazi definiti da piani sottili e superfici, opponendosi alla percezione tradizionale della massa e della solidità.
  2. Composizione basata sulla regolarità: l’equilibrio nasce da proporzioni interne e ritmo, più che da simmetria evidente o ornamenti superflui.
  3. Gusto per materiali e tecnica: la bellezza risiede nella perfezione tecnica, nella scelta dei materiali e nelle proporzioni, non nella decorazione applicata.

2. L’influenza europea negli Stati Uniti

L’arrivo di architetti europei nel contesto americano rafforza e trasforma l’International Style.

Richard Neutra (Vienna, 1892 – Los Angeles, 1970)

  • Formatosi a Vienna come allievo di Adolf Loos e collaboratore di Erich Mendelsohn, Neutra introduce in America il linguaggio del Movimento Moderno.
  • Caratteristiche principali della sua opera:
    • Rigore tecnico con strutture metalliche e intonaco liscio.
    • Interazione con il paesaggio: le abitazioni dialogano con la natura, inserendosi armonicamente in ambienti drammatici o spettacolari.
    • Progettazione della luce e dello spazio interno: massima attenzione alla percezione ambientale e al comfort abitativo.

Fuga degli architetti europei negli anni ’30

Con l’ascesa del Nazionalsocialismo in Germania, l’architettura moderna viene rigettata come “degenerata”.

  • Architetti come Walter Gropius, Marcel Breuer e Ludwig Mies van der Rohe emigrano negli Stati Uniti.
  • La scuola tedesca Bauhaus influenza programmi accademici come la Harvard Graduate School of Design, integrando concetti di prefabbricazione e modernità applicata.

3. Ludwig Mies van der Rohe e il rigore americano

  • Chiamato nel 1938 a dirigere la sezione di architettura dell’Illinois Institute of Technology, Mies enfatizza un rigore tecnico e compositivo spesso assente in alcune realizzazioni superficiali del modernismo.
  • Obiettivi progettuali di Mies:
    • Ricerca di armonia e proporzione, in continuità simbolica con la sezione aurea.
    • Studio dell’unicità tra particolare costruttivo e architettonico, dall’uso dell’acciaio e vetro ai giunti e texture dei materiali.
    • Realizzazioni iconiche: il Campus IIT di Chicago (1939) e il Seagram Building di New York (1956), esempi dell’apice del modernismo razionale americano.

4. Crisi e superamento dell’International Style

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Modernismo si diffonde in paesi lontani, come: Giappone, Brasile e India. Tuttavia emergono problemi e contraddizioni:

  • La rivoluzione razionalista ha eliminato ogni vincolo sentimentale e sociale, creando edifici spesso astratti e alienanti.
  • Le teorie di Le Corbusier, come la macchina per abitare e le Unité d’Habitation, miravano a un nuovo abitare collettivo, ma risultavano difficili da adattare alla realtà sociale europea postbellica.
  • Il boom edilizio del dopoguerra ha banalizzato le forme moderne, svuotando il Modernismo dei contenuti originari e favorendo la speculazione edilizia.

5. Esperienze nei paesi emergenti

Brasilia (Oscar Niemeyer e Lúcio Costa)

  • Si adottano principi razionalisti come: curtain wall, brise-soleil e pilotis.
  • Tuttavia, spesso le forme risultano astratte e simboliche, prive di vitalità urbana e legame con l’ambiente locale.

Chandigarh (Le Corbusier)

  • Tentativo di calarsi nel contesto indiano: interpretazione dei simboli locali e ricerca di un linguaggio architettonico personale.
  • Opere in cemento a vista mostrano il passaggio dal razionalismo puro a forme più espressive, anticipando estetiche del Postmodernismo e del Brutalismo.
  • Altri progettisti europei o indiani seguono schemi più convenzionali, evidenziando i limiti di applicazione dei canoni internazionali in contesti culturali differenti.

6. Valutazione critica

  • L’International Style rappresenta un codice estetico e tecnico innovativo, capace di unificare linguaggi regionali in una visione globale.
  • La sua applicazione indiscriminata ha però spesso prodotto architetture astratte, formalmente coerenti ma socialmente distanti.
  • Le esperienze di Neutra, Mies e Le Corbusier mostrano diverse strategie di adattamento: equilibrio tra rigore tecnico, rapporto con la natura e considerazioni sociali.
  • La crisi del Modernismo apre la strada a correnti postmoderne e brutaliste, che criticano la freddezza funzionalista e cercano un ritorno a forme simboliche, espressive e contestualizzate.



mercoledì 26 marzo 2025

Corso di storia dell'architettura: 26 Movimento Moderno





La rivoluzione tipologica del Movimento Moderno
sviluppo analitico e quadro tecnico

«La rivoluzione del Movimento moderno è stata, prima di ogni altra cosa, una rivoluzione tipologica: non c’è stato edificio che ha mantenuto, a rivoluzione compiuta, il tipo o i tipi, il modello o i modelli che esistevano prima» (Ludovico Quaroni). Questa affermazione tiene insieme due linee di sviluppo che definiscono la modernità in architettura: la trasformazione delle tipologie funzionali (casa, fabbrica, scuola, ospedale, teatro, edificio amministrativo, grattacielo) e la correlata trasformazione dei linguaggi formali, dei sistemi costruttivi e delle pratiche progettuali. Nel testo che segue si propone un’analisi tecnica e critica, articolata per ambiti — teorico-metodologico, tipologico, costruttivo, urbano e conservativo — con riferimenti a esempi emblematici e considerazioni di metodo.


1. Premessa teorica: il cambiamento tipologico come dispositivo progettuale

Parlare di «rivoluzione tipologica» significa porre l’attenzione su quel livello di progetto che definisce lo schema organizzativo fondamentale di un edificio: la relazione tra programma, flussi, gerarchie spaziali, sezioni e moduli ricorrenti. Il Movimento Moderno, tra le due guerre mondiali, riorienta tali schemi partendo da tre assunti interconnessi:

  1. la priorità del programma funzionale come vincolo primario (funzionalismo);
  2. la possibilità di ripensare la forma attraverso nuovi materiali e sistemi strutturali (cemento armato, acciaio, vetro, prefabbricazione);
  3. l’idea che l’architettura debba porsi come risposta tecnica e sociale a problemi urbani ed economici nuovi (industrializzazione, urbanizzazione di massa, crisi abitative).

Questo orientamento implica che la tipologia — es. la casa borghese del XIX secolo con pianta tripartita, corridoio centrale, facciata ordinata — non sia più assunto immutabile, ma elemento da ridefinire. La tipologia diventa una variabile progettuale e non una forma ereditata.


2. Antefatti e presupposti: trasformazioni tecnologiche e culturali

Prima della codificazione del Movimento Moderno, alcuni fenomeni prepararono il terreno:

  • la rivoluzione industriale e la produzione di massa, che introducono nuovi criteri di modularità e standard;
  • le teorie di William Morris e la critica all’industria come degrado dell’artigianato, che paradossalmente spingono una generazione successiva a riconciliare tecnica e qualità del progetto;
  • le sperimentazioni dell’Art Nouveau, della Secessione viennese e del Modern Style, che demolirono l’eclettismo ma mantennero spesso una forte accentuazione ornamentale e artigianale.

Questi antecedenti spostano il problema: da “che decorazione usare?” a “come ripensare l’oggetto architettonico in relazione alle nuove condizioni produttive, sociali e tecnologiche?”.


3. Il funzionalismo: principio organizzatore e sue declinazioni

Il funzionalismo, come principio, asserisce che l’ordine architettonico debba derivare dalla natura e dalla gerarchia delle funzioni. Questa posizione ha traduzioni teoriche e pratiche diverse:

  • Funzionalismo analitico: inventaria funzioni, tempi, flussi e le traduce in piante-effettive (es. layout degli ospedali, distribuzione dei reparti industriali).
  • Funzionalismo estético-utilitario: assume che la bellezza emerga dalla chiarezza funzionale e dalla verità dei materiali (linea del “less is more”).
  • Funzionalismo sociale: orienta il progetto verso la risoluzione di bisogni collettivi (case popolari, sanità, scuole), con attenzione alla scalarità economica.

Il funzionalismo non è mera negazione dell’estetica; piuttosto propone una nuova estetica derivata dall’efficacia e dall’economia del sistema costruttivo.


4. Principi formali e tipologici del Movimento Moderno

Qui sintetizziamo i nodi formali che ricorrono nei progetti moderni e che segnano la trasformazione tipologica:

4.1. Separazione tra struttura portante e involucro

La diffusione di strutture a telaio in cemento armato o acciaio separa la funzione portante dalle chiusure: la parete non è più muro portante ma facciata leggera (curtain wall) o tamponamento. Questo apre alla libera composizione della pianta e alla trasparenza della facciata.

4.2. Piano libero (free plan)

La griglia strutturale consente di presidiare le forze di carico in travi e pilastri, liberando il piano dalle partizioni rigide. Tipologia: planimetria a pianta libera (Villa Savoye, 1929–31, Le Corbusier) dove la disposizione interna è subordinata al progetto degli spazi e degli arredi.

4.3. Facciata libera (free façade) e finestratura continua

Le aperture si distribuiscono secondo esigenze d’illuminazione e vista; si afferma la banda finestrata (ribbon window) come elemento tipologico che riformula la gerarchia tra superfici piene e vuote.

4.4. Pilotis e sollevamento della massa

Ingresso libero sotto l’edificio, uso dei pilotis per liberare il terreno e ricomporre relazioni urbane; compone la sezione e il rapporto con il suolo (Villa Savoye, Unité d’Habitation).

4.5. Tetto-giardino

Flat roof come superficie utile, compensazione dell’impermeabilizzazione con spazi esterni aggiuntivi: tetto-giardino come estensione del programma abitativo.

4.6. Modulazione e standardizzazione

L’adozione di moduli dimensionali e di sistemi di prefabbricazione (Modulor di Le Corbusier come tentativo di un modulo antropometrico standard) influenza la scala e le proporzioni tipologiche.

4.7. Purezza volumetrica e riduzione ornamentale

La forma come risultato di intersezione di volumi puri, superfici bianche, piani ortogonali; l’ornamento viene rifiutato o trasposto in forma costruttiva (traccia della giunzione, incisione del giunto di calcestruzzo).


5. Tipologie trasformate: casi esemplari

5.1. La casa unifamiliare → tipologie dell’abitare

La casa borghese tradizionale si trasforma in case ad unità razionalizzate (Ville Savoye; Casas de Le Corbusier): piano libero, cucina razionalizzata, servizi igienici standard, razionalizzazione delle camere. Nasce la tipologia della casa- macchina per abitare.

5.2. Alloggi collettivi → Unités e slab-blocks

La domanda di abitazioni popolari porta allo sviluppo di tipologie seriali: case a schiera standardizzate, slab-block (edifici-lungo) e point-block (towers) su parco. L’Unité d’Habitation (Marsiglia, 1947–52) sviluppa una tipologia ibrida: cellula abitativa ripetuta, spazi di servizio integrati, corridoio/strada interna come sistema distributivo verticale.

5.3. La fabbrica e l’edificio industriale

La pianta produttiva viene organizzata secondo flussi di processo; l’involucro diventa grande apertura per luce zenitale (shed roofs) o superfici vetrate continue. La fabbrica ottimizzata (Fagus Werk, Gropius) anticipa la relazione tra modulazione produttiva e immagine aziendale.

5.4. Il teatro, la scuola, l’ospedale

Queste tipologie vengono ridefinite sulla base di efficienza funzionale: teatri più razionalizzati nella vista e nell’acustica; scuole con aule modulabili e ventilazione naturale; ospedali con reparti organizzati per notte/giorno, flusso pazienti/servizi. I progetti razionalisti indagano percorsi, livelli di servizio e igiene.

5.5. Il grattacielo modernista

Il Chicago school evolve in un’interpretazione modernista: struttura a scheletro, facciata libera in vetro e metallo (Mies van der Rohe — Seagram Building come esempio di sviluppo successivo), ma con nuove gerarchie spaziali legate al controllo dell’illuminazione e dell’aria.


6. Materiali e tecniche costruttive: dalla sperimentazione alla standardizzazione

6.1. Cemento armato

Il cemento armato diventa il materiale-simbolo: portata elevata, duttilità formale, possibilità di gettare elementi monolitici. Tecniche: getti in opera, casseforme, travature reticolari. Limiti: problematiche di durabilità, controllo delle armature, fenomeni di carbonatazione e corrosione.

6.2. Strutture metalliche e telaio in acciaio

L’acciaio concede luci maggiori e leggerezza complessiva; viene utilizzato per telai prefabbricati e per sviluppare grandi trasparenze.

6.3. Vetro e sistemi di chiusura

Dalla finestra a telaio alla facciata continua: sviluppo di sistemi di giunti, profili in alluminio, sealant per continuità a tenuta. Tecniche incipienti di curtain wall negli anni ’20–’30, evoluzione tecnologica nel dopoguerra.

6.4. Prefabbricazione e industrializzazione

Le ricerche sul prefabbricato nascono dall’esigenza di rapidità costruttiva e costo ridotto: pannelli prefabbricati in calcestruzzo, elementi standard, connessioni meccaniche. La precisione dimensionale impone controllo strettissimo sugli accoppiamenti e sulle tolleranze.


7. Urbanistica modernista: CIAM, Carta di Atene e modelli funzionali

I Congressi Internazionali di Architettura Moderna (CIAM) e i testi come la Carta di Atene (1933/1943) propongono una visione della città funzionale: zonizzazione (abitare, lavorare, ricreazione, circolazione), densificazione controllata e verde pubblico. Le proposte teoriche (Ville Radieuse di Le Corbusier) leggono la città come macchina organizzata per efficienza, salute e mobilità. Materialmente, questo produce il modello del tower-in-park e la gerarchia di reti (strade di scorrimento, accesso locale).

Critiche classiche: la rottura con tessuti storici, l’omogeneizzazione del paesaggio urbano, la perdita di complessità morfologica, problemi di vita pubblica spontanea nelle nuove realtà residenziali.


8. Linguaggio formale: da De Stijl al Razionalismo

Il Movimento Moderno non è monolitico: include correnti divergenti con affinità strutturali:

  • De Stijl: astrazione geometrica, uso di piani ortogonali, colorazione primaria (Mondrian): influenza sulla composizione spaziale e sull’uso del colore come elemento strutturale.
  • Bauhaus: integrazione delle arti applicate e dell’industria, ricerca di unità tra progetto, produzione e didattica; impostazione progettuale sistematica.
  • Razionalismo italiano: rielaborazione locale con attenzione al contesto, all’ornamentazione nuova (come pattern materici) e alla tipologia pubblica (es.: Casa del Fascio, Como, Terragni).
  • Costruttivismo russo: tensione verso monumentalità sociale, uso espressivo di struttura e segno come linguaggio politico.

Le differenze si manifestano su scala formale (trattamento del volume, uso del colore, articolazione del vuoto), ma convergono su principi di chiarezza, sperimentazione tecnologica e rifiuto dell’ornamento storico.


9. Contrasti: l’architettura organica di Wright e la risposta umanistica di Aalto

Frank Lloyd Wright sviluppa una traiettoria fortemente contestativa del modernismo «internazionale»: enfatizza la relazione con il sito, l’uso del materiale locale, la prospettiva orizzontale e la connessione tra interno ed esterno (Fallingwater). Alvar Aalto rappresenta una via europea umanistica: pur adottando principi razionali, integra il legno, curvature e una cura puntuale dell’ergonomia (Paimio Sanatorium), progettando dettagli e arredi con sensibilità locale. Queste posizioni rivelano che il Movimento non è sinonimo di un dogma formale, ma di un campo di tensione tra universalismo tecnico e attenzione al luogo.


10. Critiche storiche e valutazione delle conseguenze sociali

Le critiche al Movimento Moderno si concentrano su più piani:

  • Urbanistico-sociale: torri su parco, zonizzazione funzionale e piani a griglia hanno talvolta prodotto spazi con scarsa vitalità sociale e problemi di sicurezza e manutenzione.
  • Culturale: l’universalismo formale può condurre a perdita di valore identitario e marginalizzazione del patrimonio vernacolare.
  • Tecnologico: alcune soluzioni moderniste (facciate continue, isolamento inadeguato) hanno manifestato criticità energetiche e di durabilità quando esportate senza adattamento climatico.

Va tuttavia riconosciuto il merito: trasformazione della scala progettuale, razionalizzazione produttiva, standardizzazione utile per rispondere a crisi abitative, ridefinizione del rapporto tra architettura e industria.


11. Conservazione e problemi di restauro del patrimonio modernista

Il patrimonio modernista pone problemi tecnici e filosofici peculiari:

  • Degrado dei materiali: calcestruzzo armato (carbonatazione, corrosione armature), vetri originali e sigillature degradate, rivestimenti metallici ossidati.
  • Compatibilità delle riparazioni: uso di materiali moderni a basso impatto ma con caratteristiche meccaniche termiche diverse può generare ulteriori danni. Interventi devono essere reversibili e documentati.
  • Isolamento termico e adeguamento energetico: ritrovare equilibrio fra conservazione dell’integrità formale (larga superficie vetrata) e miglioramento delle prestazioni energetiche attraverso sistemi compatibili (vetri a controllo solare con profili sommariamente simili, schermature esterne recuperabili).
  • Valore immateriale: preservare il progetto intellettuale (modulo, griglia, rapporto tra pieni e vuoti) oltre ai singoli elementi materiali.

Linee guida tecniche: diagnostica approfondita (carotaggi, analisi dei materiali), messa a punto di interventi conservativi specifici su conglomerati cementizi, valutazione della reversibilità, gestione del «gap» normativo fra protezione monumentale e necessità d’uso contemporanee.


12. Eredità e sviluppi successivi

Il Movimento Moderno ha lasciato tracce pervasive: dalla cultura del progetto razionalizzato alla prassi della serializzazione, dalle tecnologie costruttive alle scuole di pensiero. Le declinazioni successive — New Brutalism, High-Tech, Minimalismo, Neo-Modernismo — riprendono e ripensano principi modernisti in chiavi diverse; la contemporaneità li rilegge ponendosi problemi di sostenibilità, adattamento climatico e rigenerazione urbana.

Una lettura contemporanea dell’eredità modernista richiede quindi di coniugare due tensioni: la necessità di preservare il patrimonio tecnico-intellettuale del Novecento e l’esigenza di aggiornare le soluzioni progettuali alla crisi ecologica e sociale del XXI secolo.


13. Conclusione: la tipologia come dispositivo per il progetto critico

La rivoluzione tipologica del Movimento Moderno non è stata esclusivamente stylistic shift ma una ridefinizione dei rapporti tra programma, tecnologia, produzione e società. La trasformazione delle tipologie — dalla casa alla fabbrica, dallo spazio pubblico al grattacielo — ha istituito una nuova grammatica progettuale: griglia, modulo, piano libero, facciata come membrana, prefabbricazione e standard. Questa grammatica ha reso possibile sia progetti di larga scala (housing sociale, infrastrutture) sia sperimentazioni formali di alta qualità.

Il compito del progetto contemporaneo è oggi duplice: comprendere storicamente le ragioni formali e tipologiche del Movimento Moderno e aggiornare quelle soluzioni con criteri di sostenibilità, contesto e cura del materiale. L’analisi tipologica rimane lo strumento critico- operativo fondamentale per pensare e praticare l’architettura, in continuità con l’eredità di cui Quaroni individua la portata.


Bibliografia selettiva per approfondimento tecnico (indicativa)

  • Le Corbusier, Vers une architecture (1923) [principi e Cinque punti].
  • CIAM, La Carta di Atene (1933/1943).
  • Sigfried Giedion, Space, Time and Architecture (1941).
  • Reyner Banham, Theory and Design in the First Machine Age (1960).
  • Kenneth Frampton, Modern Architecture: A Critical History (storico-critico).
  • Paul Rudolph, testi su prefabbricazione e beton armé (per tecniche costruttive).
  • Testi tecnici su calcestruzzo armato, durability e conservazione (manuali di ingegneria delle costruzioni moderniste).


martedì 25 marzo 2025

Corso di storia dell'architettura: 25 Espressionismo




https://youtu.be/7XYRBrPHsUg?si=G26a7xE9xxwDJ6eR

L'Architettura Espressionista: Una Rivoluzione nell'Estetica Urbana































Architettura Espressionista: dove la città diventa emozione

Immagina di entrare in un edificio e avere la sensazione che ti stia parlando. Non con parole, ma con curve, tagli di luce, superfici che vibrano come un’orchestra. Questa è l’Architettura Espressionista: un linguaggio nato per dare forma a emozioni forti, un’arte che nel XX secolo ha osato più di chiunque altro trasformare la città in un’esperienza sensoriale.

Le radici: un tempo inquieto, un’energia nuova

All’inizio del Novecento l’Europa è un laboratorio in ebollizione. La Prima guerra mondiale sconvolge certezze e mappe; nelle arti, la pittura espressionista rompe l’armonia accademica per dire il mondo così com’è: teso, frammentato, potentissimo. In Germania, questo clima genera un’architettura che rifiuta la compostezza classica e la ripetizione storicista: cerca invece visioni, comunità nuove, edifici capaci di confortare e scuotere insieme.

Nascono così idee ardite: città di cristallo, cattedrali laiche, teatri cavernosi, torri fluide come corpi in movimento. Sulle scrivanie di architetti e artisti circolano manifesti e lettere—celebre la “Gläserne Kette” (Catena di Cristallo), corrispondenza utopica promossa da Bruno Taut dopo il 1919—dove si immaginano architetture di vetro e luce come strumenti di rigenerazione morale.

Principi: forma, luce, materia—senza compromessi

L’Architettura Espressionista è un atteggiamento prima ancora che uno stile.

Forma come emozione.
Linee curve che si tendono come muscoli, profili a lama, volumi scultorei: la geometria diventa gesto, una pennellata nello spazio. La facciata non è un vestito, ma il volto dell’edificio.

Luce come materia prima.
Vetri prismatici, lanterne, pareti filtranti: la luce non “illumina”, costruisce. Scava, addensa, alleggerisce; al mattino un volume è quieto, al tramonto vibra. Ogni ora racconta un edificio diverso.

Materia come linguaggio.
Cemento armato, acciaio, vetro, ma anche mattoni cotti, smaltati, tagliati a disegnare ombre: gli espressionisti non adorano la tecnologia in sé, bensì la forza espressiva della materia. Anche quando il cemento manca, si inventano soluzioni (rivestimenti, intonaci, laterizi sagomati) per raggiungere l’effetto desiderato.

Spazio come esperienza.
Percorsi che si stringono e si aprono, fuochi visivi, acustiche avvolgenti nei teatri: l’utente non “usa” l’edificio, lo vive. La pianta è una partitura; chi entra è l’esecutore.

Integrazione col contesto.
Audacia non significa isolamento. Molti progetti nascono ascoltando il luogo: la curva che asseconda una strada, il mattone che richiama le città del Nord, la massa che incornicia una piazza. L’edificio partecipa alla vita urbana.

Officina di visioni: opere e cantieri che hanno fatto scuola

Il Padiglione di Vetro di Bruno Taut (1914).
Una lanterna multifaccettata per l’Esposizione del Werkbund a Colonia: vetri colorati, scale che scintillano, superfici che spezzano e moltiplicano la luce. Un manifesto: la città potrebbe essere un cristallo abitabile, etico e gioioso.

Il Großes Schauspielhaus di Hans Poelzig (1919).
Teatro berlinese trasformato in una grotta di gocce stalattitiche: le volte interne disegnano un cielo poroso, l’acustica avvolge. Entrare significava passare dal caos della strada alla grande scena collettiva. (L’interno originale è perduto, ma la lezione rimane: lo spazio può “recitare”.)

La Torre di Einstein di Erich Mendelsohn (1920–24).
A Potsdam, un osservatorio che sembra modellato dal vento: un corpo plastico continuo, privo di spigoli, con aperture come fenditure di luce. Dove il cemento armato non bastò, si mimò la continuità con mattoni e intonaco. Risultato? Un’icona del dinamismo.

L’Espressionismo in mattoni (Backsteinexpressionismus).
Nel Nord tedesco e non solo, il mattone diventa materia musicale: facciate increspate, prore navali che tagliano gli isolati, torri che ritmano il cielo. Qui la temperatura emotiva è calda, terrosa—l’espressione non dipende dal calcestruzzo, ma dalla plasticità del laterizio.

La Scuola di Amsterdam.
Curve morbide, finestre come occhi, tetti che ondeggiano: il quartiere sembra un animale urbano. L’idea di città come organismo—non come griglia astratta—si consolida.

Le chiese di Dominikus Böhm.
Volumi severi, luce tagliata con precisione, interni potenti e raccolti: la spiritualità nasce dal contrasto tra ombra e squarci luminosi, tra massa e rarefazione.

Tecniche e invenzioni: la poesia dell’ingegneria

Gli espressionisti amano le strutture-simbolo: gusci sottili, nervature radiali, archi che sembrano danzare. Prima dei software parametrici, tutto si calcola a mano e si disegna con pazienza: cassaforme complesse, pelli continue di intonaco, vetri speciali. Nascono dettagli inediti—cornici che piegano la luce, giunti che diventano calligrafia. L’acustica dei teatri è testata come in uno strumento musicale; la luce naturale è trattata come un materiale da modellare.

Utopia e realtà: dalla visione alla città quotidiana

L’Espressionismo è anche una politica del sentimento: in un’epoca di fratture, spera di ricucire con spazi intensi, comunitari. Al cinema, scenografie angolate e prospettive impossibili (pensiamo al clima di Caligari) dialogano con i progetti di teatri e sale pubbliche. Ma gli anni Venti portano anche altre priorità: Nuova Oggettività, edilizia economica, standardizzazione. Molti architetti espressionisti—come lo stesso Bruno Taut—si spostano verso quartieri residenziali moderni, pragmatici nelle tecniche, poetici nella composizione urbana (colori, semicorti, piazze verdi).

Poi arrivano crisi e regimi autoritari: libertà formale e sperimentazione vengono soffocate, cantieri interrotti, carriere spezzate o emigrate. La “fiamma” non si spegne: si incunea in altri linguaggi.

L’eredità: onde lunghe fino a oggi

Dire che l’Espressionismo abbia “influenzato il Brutalismo e il Postmodernismo” è vero, ma va spiegato.

  • Brutalismo: spesso ruvido e onesto nel materiale (calcestruzzo a vista), eredita dall’Espressionismo la pulsione scultorea. Alcune opere di Chiese e sale civiche del dopoguerra—insieme a capolavori come Ronchamp di Le Corbusier—mostrano come il volume possa farsi icone emotive anche quando la pelle è grezza.

  • Postmodernismo: riapre al simbolo e al racconto. L’Espressionismo gli fornisce il coraggio di parlare all’utente con metafore, silhouette riconoscibili, persino ironia.

  • Neo-espressionismo del dopoguerra: gusci sottili e strutture ardite (si pensi a Pier Luigi Nervi, alle coperture che fioriscono come conchiglie; a Eero Saarinen con il TWA Flight Center; a Jørn Utzon con l’Opera House di Sydney; a Oscar Niemeyer con Brasilia) riportano in auge l’idea che un edificio possa essere un gesto nel paesaggio.

  • Contemporaneo: la progettazione digitale permette quelle continuità fluide che gli espressionisti disegnavano a mano. Le architetture di Zaha Hadid o Santiago Calatrava sono eredi, per ambizione plastica e dinamismo, di quella prima, coraggiosa insurrezione della forma.

Come riconoscerla, camminando in città

  • Profili non ovvi: angoli taglienti alternati a curve tese; torri che “ruotano”.
  • Facciate come pelli vive: mattoni mossi, intonaci scolpiti, vetri che non sono semplici finestre ma lame di luce.
  • Interni teatrali: scale come scenografie, volte che comprimono e rilasciano, acustiche pensate per avvolgere.
  • Dettagli espressivi: maniglie, ringhiere, lucernari progettati come micro-sculture.

Perché ci riguarda ancora

L’Architettura Espressionista ricorda che una casa, un teatro, un municipio possono fare più che riparare dalla pioggia: possono dare senso, comunità, speranza. In un’epoca che chiede sostenibilità, ci propone anche una sostenibilità emotiva: edifici che non invecchiano come meri contenitori, ma restano amati perché sanno parlare a chi li abita.

Conclusione

Più che uno stile, l’Espressionismo è un atto di fiducia nella creatività umana. Ha osato dire che la città può essere una cattedrale di luce, un organismo vivo, una scena condivisa. E quando oggi attraversiamo uno spazio che ci fa rallentare, guardare in su, sorridere senza motivo, è probabile che—consci o no—stiamo incrociando la sua scia. Forme audaci, visione avveniristica, emozioni in piena luce: ecco perché l’Architettura Espressionista continua a ispirare e affascinare chiunque si avventuri nei suoi spazi straordinari.


Principali Architetti Espressionisti e le Loro Opere Iconiche

1. Erich Mendelsohn (1887-1953)






Erich Mendelsohn è considerato uno dei pionieri dell'architettura espressionista. Nato in Polonia e formatosi in Germania, Mendelsohn ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama architettonico del XX secolo con opere innovative e futuristiche. Tra le sue opere più celebri si annoverano:

  • Einsteinturm (Torre Einstein) a Potsdam, Germania: Questa torre di osservazione astronomica, completata nel 1924, è un esempio iconico di architettura espressionista, caratterizzata da forme curve e una facciata dinamica.

  • Teatro del Mondo (Universum Kino) a Berlino, Germania: Progettato nel 1927, questo cinema all'aperto è famoso per la sua facciata ondulata e la sua forma che ricorda una nave pronta a salpare.

  • Magazzini Schocken a Berlino

2. Bruno Taut (1880-1938)




Bruno Taut è stato un altro importante esponente dell'architettura espressionista tedesca. Le sue opere si distinguono per l'uso audace del colore e delle forme geometriche. Alcune delle sue realizzazioni più significative includono: Glass House a Vienna. Padiglione di vetro.

3. Hans Poelzig (1869-1936)





Hans Poelzig è stato un altro importante architetto e scenografo tedesco, noto per la sua opera eclettica che spaziava dall'espressionismo al neoclassicismo. Tra le sue realizzazioni più rilevanti si annoverano: Grosses Schauspielhaus (Grande Teatro) a Berlino, Germania: Questo teatro, completato nel 1919, presenta una facciata imponente e un interno sontuoso, che combinano elementi espressionisti e neoclassici.

4. Fritz Höger (1877-1949)



Fritz Höger è stato un architetto tedesco, noto soprattutto per il suo capolavoro, il Chilehaus. Nato nel 1877, Höger ricevette la sua formazione presso la Scuola Tecnica Superiore di Amburgo e successivamente lavorò per importanti architetti dell'epoca, tra cui Martin Haller e Johannes Otzen.

L'opera più celebre di Höger, il Chilehaus, è situata ad Amburgo ed è considerata uno dei più significativi esempi di architettura espressionista del mondo. Costruito tra il 1922 e il 1924, il Chilehaus è un edificio a forma di nave con una facciata decorata con mattoni a forma di scale che creano un effetto dinamico e tridimensionale. Questo imponente edificio, con le sue linee affilate e la sua struttura impressionante, rappresenta l'apice dell'estetica espressionista nell'architettura.

Questi sono solo alcuni degli architetti più influenti dell'era espressionista, il cui lavoro ha contribuito a ridefinire il concetto di architettura nel XX secolo e ha lasciato un'impronta indelebile sulla storia dell'arte e del design.


11 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 1

  

Vi racconto la Storia dell’Architettura 1 raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.

12 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 2


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog  “Homo ludens” (
https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.



13 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 3


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 3
. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/) L’opera completa si compone di 3 volumi.