Esempio di urban sprawl (letteralmente stravaccamento urbano) |
La forma della città
Una volta era chiaro che cosa voleva dire composizione urbanistica, essa corrispondeva, pressappoco, alla civic art, vale a dire alla costruzione di tutte le infrastrutture ed attrezzature pubbliche.
Oggi, epoca in cui l’ambiente fisico è, ormai, da considerarsi come la somma sistemica di svariatissime preesistenze, gli ambiti di intervento si sono enormemente dilatati, per cui occorre far partire il dato progettuale dai modelli ambientali.
Ma quale forma di città discende da tali modelli?
Una volta, disegnare forme di città era possibile, oggi non dobbiamo più pensare alla conformazione urbana come alla definizione di una forma geometrica complessiva, per quanto irregolare la si voglia concepire, quanto, piuttosto, ad una messa in relazione e proporzione tra centri principali e secondari.
Il continuum urbano risulta, così, ordinato (che è una modalità della conformazione), un ordine che, talvolta, non può essere palesemente percepibile, perché non è supportato dall’evidenza di marcatori visivi, ma vive di una ricca tessitura relazionale, che può essere fatta emergere con patterns concettuali.
Lo spazio urbano
La scommessa urbanistica si incentra, fondamentalmente, sulla possibilità di gestione di qualcosa di non visibile, che è lo spazio aperto. Si tratta di comprendere come una tale entità possa essere plasmata (scomposta, ricomposta, sovrapposta), attraverso differenti pratiche d’uso.
Infatti, differenti stili di vita ispirano, per uno stesso spazio, letture di distanze, sequenze e relazioni tra loro profondamente diverse.
In tal senso, vivere diversamente gli stessi materiali urbani, contribuisce alla loro ricomposizione (che è una vera trasformazione della città), come e, forse, più dell’introduzione di nuovi materiali o alla soppressione di vecchi materiali.
La commistione
La dote urbana essenziale è la dinamicità, ma essa è possibile solo attraverso la commistione di elementi e funzioni.
La progettazione si configura, allora, come arte programmatica del disordine, in cui occorre essere attenti, più che alla lista dei singoli materiali urbani, alla disposizione e messa in relazione di cluster di materiali urbani.
Di volta in volta, occorre trovare il giusto equilibrio alchemico di funzionamento, perché chi cerca regole certe, nella grammatica urbanistica d’oggi, è più probabile che trovi eccezioni.
Interventi di riqualificazione urbana. |
Disaggregare e riaggregare
Una prassi metodologica, che può essere seguita per meglio dipanare gli schemi intrinseci di funzionamento urbano, consiste nel disaggregare, idealmente tra loro, gli elementi funzionali della città e, quindi, riaggregarli secondo una ricucitura di infrastrutture ed attrezzature.
Questo porta ad ipotesi diversificate di sviluppo delle diverse parti urbane, con particolare evidenza, dove prevalgono, ora le antitetiche concezioni di concentrazione (zone centrali), ora quelle di dispersione (zone periferiche dei quartieri suburbani).
Comporre, ricomporre e qualificare
Dalle ipotesi, discende la scelta, che mette in primo piano la progettualità pura del nuovo, all’interno del vecchio.
Il problema della composizione o ricomposizione unitaria di gruppi di edifici e spazi aperti, ora sul versante della ricerca di rottura, dell’unicità dell’edificato (nuova emergenza, nuova focalità, nuovo baricentro visivo, bisogno di cesura), ora su quello della ripetizione puntuale delle tipologie e delle forme edilizie note e consolidate (ricerca di continuità, di coesione, di omogeneità, desiderio mimetico).
Un’urbanistica attenta al parziale, al settoriale, al circoscritto, che crede nella forza modificativa complessiva di numerosi piccoli interventi, che crede al giorno dopo giorno, che si chiama riqualificazione ed i cui confini si saldano al livello dimensionale, immediatamente adiacente, della composizione architettonica
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