martedì 3 gennaio 2023

Corso di composizione architettonica: Lezione 1 Una via personale alla progettazione

 

Renzo Piano schizzo della Shard of Glass (Scheggia di vetro).
Composizione architettonica ed attività del geometra
Il progetto di un edificio, è un’attività di sintesi, di abilità e conoscenze diverse: compositive, normative, tecnologiche, strutturali.
Una componente essenziale, eminentemente creativa, del lavoro di progettazione dell’edificio, è costituita dalla composizione architettonica. Attraverso di essa, si manifesta, con evidenza, il talento progettuale, una sintesi di sensibilità formale e conoscenza  tecnica, di invenzione e recupero della tradizione.
Una certa padronanza compositiva, è una dote qualificante per il futuro geometra, ma diventa un requisito indispensabile se, la sua attività, si svolge nei settori della progettazione e della ristrutturazione.
Ecco perché dobbiamo intenderla come una pregiudiziale formativa, prescindendo dalla dimensione, relativamente contenuta, degli edifici e degli interventi che costituiscono la sua abituale pratica professionale.
La composizione architettonica è un’abilità che deve essere padroneggiata, sia per progettare un piccolo box per auto, sia per progettare un grattacielo.
 
Un’analogia musicale
Cerchiamo di rendere più chiaro il concetto, usando un’analogia musicale.
Se si deve comporre una sinfonia per orchestra, sono necessarie un’adeguata formazione musicale ed un grande impegno. Ciò non vuol dire, però, che, se si deve comporre una canzone per complesso e cantante, la può scribacchiare qualsiasi analfabeta musicale, tirandola giù alla bella e meglio, con quattro giri d’accordi ed una melodia orecchiata.
Fortunatamente, la storia è piena di canzoni importanti, che hanno saputo parlare all’intelligenza ed al cuore della gente, come di sinfonie che, all’ascolto, non sono altro che una melassa sonora di insopportabile noia.
 
Alcuni pregiudizi sull’educazione architettonica dei geometri
Diciamo questo, per sgombrare, subito, il campo da alcuni luoghi comuni, purtroppo resistenti a morire, che investono allievi, docenti ed operatori del settore.
Un forte pregiudizio relega, a priori, la figura del geometra, all’edilizia cosiddetta minore. Ecco perché viene sopportata con fastidio (e vista quasi con sospetto), la prassi di fornirgli una formazione architettonica sistematica. La si considera un fattore marginale ed improprio, che esula (e quasi contribuisce a sviarlo), dalle sue competenze classiche tecnologico-costruttive. L’accusa di voler formare dei mini-architetti o dei mini-ingegneri, non regge.
Secondo il nostro parere, l’edilizia minore non esiste, esistono solo tanti brutti edifici, purtroppo anche nell’edilizia maggiore, e l’ignoranza compositiva ne è la madre sciagurata.

Il problema formativo, scevro da ogni velleitarismo di voler formare dei mini-architetti o dei mini-ingegneri, va inquadrato nei precisi termini di una prassi didattica, essenzialmente operativa, volta a favorire la maturazione delle capacità spazio-formali di un adolescente in marcata fase evolutiva, in maniera adeguata, graduale e corretta.

        
Renzo Piano Shard of Glass (Scheggia di vetro)
Criteri su cui impostare un  processo formativo
Sottolineiamo i concetti di adeguatezza, gradualità e correttezza.
Adeguatezza. Quella degli allievi geometri è l’unica categoria di studenti che, in un’età compresa tra i sedici ed i diciotto anni, riceve un tipo di formazione architettonica specifica, che li dovrà portare (in tre soli anni), a conseguire l’ambizioso risultato di realizzare un prodotto edilizio, con caratteristiche di concretezza e completezza, di tipo professionale. Questa meta non può essere raggiunta coll’improvvisazione e con una pratica imparaticcia, ma deriva solo da un adeguato processo formativo teorico e da una sistematica pratica applicativa.
Gradualità. Se non viene consentita la graduale maturazione dell’allievo (dalla bidimensionalità del foglio, alla tridimensionalità degli spazi architettonici), il futuro geometra, di fronte ad un reale processo edilizio, sarà sprovvisto degli strumenti logici e psico-formali, adeguati a controllarne e prevederne l’evoluzione, dalla fase progettuale, disegnata, a quella reale, costruita. Viceversa, posto di fronte ad un tema progettuale si limiterà alla consultazione dei manuali ed all’imitazione dei disegni di edifici analoghi, visti come modelli da imitare.
Correttezza. I fondamenti della composizione architettonica possono essere forniti, in maniera sintetica, ma non sommaria ed approssimativa. La correttezza metodologica è l’unica garanzia che, quanto appreso, sia un valido patrimonio di base, essenziale per i futuri, indispensabili, approfondimenti (autoformativi, nel caso di libera professione, sistematici, nel caso del proseguo degli studi universitari). Le cattive abitudini consolidate, sono testimonianza di uno spreco formativo, oltre che molto difficili da correggere successivamente.
 
Requisiti didattici e metodologici dell’insegnamento della composizione
La composizione architettonica, necessita di un processo formativo, molto differente da quello utilizzato per altre discipline, centrato più sul momento di personalizzazione dell’apprendimento dell’allievo, che su quello di generalizzazione dell’insegnamento del docente.

Nella composizione, infatti, non basta comunicare una serie di regole e di nozioni precise, che vanno comprese, memorizzate ed applicate. Occorre far emergere le attitudini, consolidare gli spunti creativi, eliminare le parti meno convincenti degli elaborati, attraverso numerose revisioni successive. L’apprendimento procede per prove ed errori, e va disciplinato confrontandolo con la grammatica e la sintassi delle diverse concezioni stilistiche.
Renzo Piano Shard of Glass (Scheggia di vetro)
La ricerca di una via personale alla progettazione
L’allievo che, per la prima volta, si accinge ad effettuare un progetto, è, quasi sempre, un individuo architettonicamente sprovveduto, ma non è mai un individuo architettonicamente vergine. Ha alle sue spalle almeno dieci anni di formazione scolastica, ma, soprattutto, sedici anni di condizionamenti sociali e comunicativi.
Come si comporta alla prima prova (che per un docente è fondamentale, per comprendere quale è il suo punto di partenza)?
E’ consolidata prassi dei principianti innamorarsi di una forma architettonica di edificio (che soddisfa, astrattamente, la propria concezione di bello architettonico) e di proporla, cercando di calarci dentro, a forza, tutte le esigenze che avrebbe dovuto soddisfare.
Didatticamente, non conviene bollare subito questo atteggiamento, come totalmente errato (come di fatto è!). Ricordiamoci, sempre, che, nel bene e nel male, l’allievo geometra è un adolescente in piena età evolutiva, cioè in uno stato di persistente provvisorietà, ma anche di grande plasmabilità.
Una critica drastica può inibire, per molto tempo, l‘emergere di qualsiasi spunto personale, rozzo e scopiazzato quanto si vuole, ma testimone di un’autentica manifestazione di talento. E, per progettare, il talento è indispensabile.
 
Meccanismi psicologici della progettazione fatta dagli allievi
Chiediamoci piuttosto: perché succede questo?
Non è casuale, ed è comune allo stato nascente di ogni manifestazione di arte (di artigianato, di lavoro), che porta alla realizzazione di un prodotto concreto. Si tratta di un meccanismo psicologico proiettivo potente, che hanno spiegato, con maestria, Alberoni, il grande sociologo italiano, indagando sulla genesi di ogni processo socio-produttivo, e Modigliani, il grande economista italiano premio Nobel, indagando su quelli che sono i meccanismi che spingono all’acquisto di un prodotto.
Traduciamo questi concetti in campo architettonico e didattico.
La progettazione di un edificio (architettonicamente bello), maschera il desiderio di possesso di un oggetto (non concreto ma astratto), che è, in realtà, il surrogato del desiderio di uno status individuale, che si vuole raggiungere, ed i cui simboli vengono, continuamente, cercati nel vasto bagaglio mnemonico di percezioni immagazzinate.

E’ chiaro, quindi, che il giovane, proponendo quell’edificio, non vuole soddisfare alcuna esigenza altrui, ma manifesta, in modo figurato, il desiderio dello status cui vuole tendere. Si tratta di una manifestazione a volte originale, a volte indotta e scopiazzata, ma, comunque, autenticamente sua (almeno a livello di scelta stilistica), attraverso la quale si espone e si mette in gioco. Infatti, una critica negativa ad una revisione progettuale, viene vissuta in termini globali, come una critica complessiva, che lo investe nella sua totalità di persona (se non so progettare, non valgo niente).
Renzo Piano Shard of Glass (Scheggia di vetro)
La costruzione di un rapporto didattico fiduciario
Come possiamo portare un allievo, partendo dagli elementi che ci ha fornito, ad un approccio progettuale reale?
Non vi sono risposte univoche. Ognuno percorre un itinerario personale (e non sempre, va subito precisato, riesce a portarlo a compimento). La capacità psicopedagogica del docente gioca un ruolo chiave. Quella che si propone di seguito è una delle possibili ipotesi di percorso.
L’insegnamento della composizione, attraverso la revisione progettuale, necessita della costruzione di un rapporto fiduciario tra docente e discente, che va pazientemente consolidato, in quanto non può fondarsi, a priori, sulla solida rete protettiva di operare con concetti assoluti, o giusti o sbagliati.
 
Patologie didattiche della revisione progettuale
La segnalazione di un grave errore, ad esempio, nel tracciamento del diagramma del momento flettente di una trave, viene facilmente accolta dall’allievo che, riconoscendo la competenza superiore del docente, riesce, subito, a settorializzare la sua osservazione ed a riportarla alla sua giusta valenza di critica tecnica (se avessi studiato di più quell’argomento ed avessi fatto maggiore attenzione nelle applicazioni, non avrei commesso quella sciocchezza).
Questo non può succedere nella revisione progettuale architettonica, poiché, salvo errori grossolani, la critica non può essere diretta, precisa ed assoluta, ma indica, solo, una strada per una possibile rielaborazione.
Se il docente segnala un nodo progettuale non risolto, la risposta più consueta dell’allievo è quella di chiedergli, con insistenza, quale è la soluzione giusta. Se il docente gli propone una gamma di esempi a cui ispirarsi, l’allievo è portato a credere che non voglia o non sappia rispondergli. Spesso, l’allievo, finisce per ritenere, erroneamente, che, non essendovi regole certe, la critica a cui è sottoposta la sua bozza progettuale derivi solo dall’opinabilissimo gusto estetico del docente, a cui può contrapporre, a pieno diritto, il proprio.
Abbiamo provato a mettere in schema queste comunissime, vere e proprie patologie didattiche, con la speranza che, segnalarle, possa, anche, un poco, esorcizzarle.
Riflettendoci su, si può già giungere ad una prima importante considerazione: nella composizione architettonica non esistono scorciatoie.

Nessun commento:

Posta un commento