Fondazione.
Dopo avere trattato le problematiche inerenti al terreno, passiamo, adesso, alle costruzioni vere e proprie.
La prima categoria di costruzioni che viene effettuata, è quella relativa ai manufatti che sono a contatto col terreno, in maniera parziale o totale.
Si tratta di una categoria ampia e complessa nell’esecuzione.
Ricordiamo che, la figura professionale del geometra, è abilitata solo per la progettazione e l’esecuzione di interventi di modesta entità. Ogni qual volta la complessità del calcolo è consistente, la competenza passa, obbligatoriamente, alla figura professionale dell’ingegnere strutturista.
Organizzare uno spazio aperto, dimensionalmente medio-grande, secondo zone funzionali, è un’operazione che va attentamente valutata, poiché implica, nel bene e nel male, un forte impatto sul terreno e serie conseguenze sul territorio circostante.
Il dato territoriale, se viene percepito come un limite al desiderio di realizzazione, assume solo valenze negative a cui si controbatte con interventi modificativi drastici. La consuetudine di creare vasti spianamenti artificiali, su cui edificare nuove costruzioni, con conseguenti sbancamenti, audaci edificazioni di muri di contenimento, movimentazioni di terra spropositate per l’entità dell’intervento, sono la risposta corrente all’incapacità di operare secondo il senso vero della natura. Percepite ad una distanza di qualche centinaio di metri, esse appaiono in tutta la loro improvvida crudezza, come cicatrici insanabili del territorio.
La movimentazione e la necessità di trasferire i carichi dell’edificio al terreno, devono essere compensate con opere di sostegno (muri e scarpate), di ripartizione (fondazioni) e di isolamento (drenaggi, vespai, intercapedini).
Si tratta di interventi indispensabili, complessi ed onerosi, che vanno tuttavia predisposti per tempo in base alle condizioni statiche del terreno e la cui insufficiente realizzazione, può portare a danni gravissimi e permanenti (cedimenti, crolli, infiltrazioni, insalubrità dell’edificio), pregiudicando a volte la funzionalità o addirittura l’utilizzo dell’edificio stesso.
Questi interventi sono, anche, l’occasione per una riflessione sul ruolo del tecnico e sul senso che diamo alla sua bravura professionale.
Vi è un luogo comune da sfatare. Non è certo un bravo tecnico quello capace di costruire il muro di sostegno inutilmente più alto.
Di queste dimostrazioni di arroganza tecnica ne facciamo volentieri a meno. Sono solo la manifestazione di una carica di aggressività che segnala quanto pericolosamente abbia perduto il senso di un armonico rapporto con il dato territoriale.
Occorrerebbe che, come si diceva scherzosamente un tempo, vada un po’ a zappare la terra, non per una sorta di punizione corporea o di una retrocessione dello status sociale del suo livello lavorativo, ma per comprendere a fondo, dalla quotidianità del lavoro dell’agricoltore, il senso vero del terreno.
Viceversa, il tecnico più bravo è quello che, grazie ad un paziente lavoro di comprensione del territorio, sa adeguare il proprio intervento al dato contestuale, limitando al massimo le modifiche ed inserendosi con una naturalezza di tipo quasi mimetico.
E’, insomma, il tecnico che sa costruire il muro di sostegno più basso.
L’eredità territoriale, che abbiamo ricevuto, non è delle più felici da gestire. Deriva da un’epoca di abbandono delle zone agricole e boschive e da una cementificazione indiscriminata delle zone urbane.
A causa dei dissesti idrogeologici, le conseguenze che paghiamo, in danni milionari e vite umane, sono all’ordine del giorno.
Tuttavia, si è ancora lontani da una giusta ed equilibrata mentalità di attenzione alla gestione del territorio, che il nostro intervento può modificare in termini netti, talvolta, positivamente, più spesso, negativamente.
Quando modifichiamo l’assetto territoriale (specie con movimentazioni di terra e pavimentazioni), occorre sempre pensare che, l’antico equilibrio, è stato raggiunto in tempi assai lunghi (che possono essere, ora di decine di anni, ora, anche di centinaia di milioni di anni), grazie ad un mix fatto di caratteristiche geomorfologiche-vegetazionali, modellate da fattori naturali (vento, pioggia, gelo) ed attività operative (forestazione, agricoltura, pastorizia).
Quali conseguenze comporta modificarle?
Intervenire, responsabilmente, sul terreno, vuol dire saper usare il dato contestuale come valore aggiunto del progetto, che va tutelato e messo a frutto, conferendogli maggior efficacia espressiva e durevolezza. Ogni modifica, perché abbia senso, deve, quindi, ricondursi ad un intervento che porti il terreno a raggiungere, in brevissimo tempo, un nuovo equilibrio permanente, ad una valenza più alta della precedente.
Quando parliamo di valore aggiunto territoriale, indichiamo alcuni precisi obiettivi progettuali generali:
1. L’utilizzo dello spazio verde deve portare considerevoli benefici fruizionali.
2. L’area verde, intesa come microspazio in sé, deve ricevere un incremento estetico.
3. La valenza paesaggistica dell’area verde deve risultare conforme al macrospazio ambientale che la circonda.
4. Il funzionamento idrogeologico dell’area verde deve essere perfetto in sé e non portare conseguenze negative in un contesto più ampio.
La prima categoria di costruzioni che viene effettuata, è quella relativa ai manufatti che sono a contatto col terreno, in maniera parziale o totale.
Si tratta di una categoria ampia e complessa nell’esecuzione.
Ricordiamo che, la figura professionale del geometra, è abilitata solo per la progettazione e l’esecuzione di interventi di modesta entità. Ogni qual volta la complessità del calcolo è consistente, la competenza passa, obbligatoriamente, alla figura professionale dell’ingegnere strutturista.
Organizzare uno spazio aperto, dimensionalmente medio-grande, secondo zone funzionali, è un’operazione che va attentamente valutata, poiché implica, nel bene e nel male, un forte impatto sul terreno e serie conseguenze sul territorio circostante.
Il dato territoriale, se viene percepito come un limite al desiderio di realizzazione, assume solo valenze negative a cui si controbatte con interventi modificativi drastici. La consuetudine di creare vasti spianamenti artificiali, su cui edificare nuove costruzioni, con conseguenti sbancamenti, audaci edificazioni di muri di contenimento, movimentazioni di terra spropositate per l’entità dell’intervento, sono la risposta corrente all’incapacità di operare secondo il senso vero della natura. Percepite ad una distanza di qualche centinaio di metri, esse appaiono in tutta la loro improvvida crudezza, come cicatrici insanabili del territorio.
La movimentazione e la necessità di trasferire i carichi dell’edificio al terreno, devono essere compensate con opere di sostegno (muri e scarpate), di ripartizione (fondazioni) e di isolamento (drenaggi, vespai, intercapedini).
Si tratta di interventi indispensabili, complessi ed onerosi, che vanno tuttavia predisposti per tempo in base alle condizioni statiche del terreno e la cui insufficiente realizzazione, può portare a danni gravissimi e permanenti (cedimenti, crolli, infiltrazioni, insalubrità dell’edificio), pregiudicando a volte la funzionalità o addirittura l’utilizzo dell’edificio stesso.
Questi interventi sono, anche, l’occasione per una riflessione sul ruolo del tecnico e sul senso che diamo alla sua bravura professionale.
Vi è un luogo comune da sfatare. Non è certo un bravo tecnico quello capace di costruire il muro di sostegno inutilmente più alto.
Di queste dimostrazioni di arroganza tecnica ne facciamo volentieri a meno. Sono solo la manifestazione di una carica di aggressività che segnala quanto pericolosamente abbia perduto il senso di un armonico rapporto con il dato territoriale.
Occorrerebbe che, come si diceva scherzosamente un tempo, vada un po’ a zappare la terra, non per una sorta di punizione corporea o di una retrocessione dello status sociale del suo livello lavorativo, ma per comprendere a fondo, dalla quotidianità del lavoro dell’agricoltore, il senso vero del terreno.
Viceversa, il tecnico più bravo è quello che, grazie ad un paziente lavoro di comprensione del territorio, sa adeguare il proprio intervento al dato contestuale, limitando al massimo le modifiche ed inserendosi con una naturalezza di tipo quasi mimetico.
E’, insomma, il tecnico che sa costruire il muro di sostegno più basso.
L’eredità territoriale, che abbiamo ricevuto, non è delle più felici da gestire. Deriva da un’epoca di abbandono delle zone agricole e boschive e da una cementificazione indiscriminata delle zone urbane.
A causa dei dissesti idrogeologici, le conseguenze che paghiamo, in danni milionari e vite umane, sono all’ordine del giorno.
Tuttavia, si è ancora lontani da una giusta ed equilibrata mentalità di attenzione alla gestione del territorio, che il nostro intervento può modificare in termini netti, talvolta, positivamente, più spesso, negativamente.
Quando modifichiamo l’assetto territoriale (specie con movimentazioni di terra e pavimentazioni), occorre sempre pensare che, l’antico equilibrio, è stato raggiunto in tempi assai lunghi (che possono essere, ora di decine di anni, ora, anche di centinaia di milioni di anni), grazie ad un mix fatto di caratteristiche geomorfologiche-vegetazionali, modellate da fattori naturali (vento, pioggia, gelo) ed attività operative (forestazione, agricoltura, pastorizia).
Quali conseguenze comporta modificarle?
Intervenire, responsabilmente, sul terreno, vuol dire saper usare il dato contestuale come valore aggiunto del progetto, che va tutelato e messo a frutto, conferendogli maggior efficacia espressiva e durevolezza. Ogni modifica, perché abbia senso, deve, quindi, ricondursi ad un intervento che porti il terreno a raggiungere, in brevissimo tempo, un nuovo equilibrio permanente, ad una valenza più alta della precedente.
Quando parliamo di valore aggiunto territoriale, indichiamo alcuni precisi obiettivi progettuali generali:
1. L’utilizzo dello spazio verde deve portare considerevoli benefici fruizionali.
2. L’area verde, intesa come microspazio in sé, deve ricevere un incremento estetico.
3. La valenza paesaggistica dell’area verde deve risultare conforme al macrospazio ambientale che la circonda.
4. Il funzionamento idrogeologico dell’area verde deve essere perfetto in sé e non portare conseguenze negative in un contesto più ampio.
Bacino imbrifero. |
LA GESTIONE DELL’AREA COME MINI BACINO IMBRIFERO
DA VALORIZZARE VEGETAZIONALMENTE
Occorre dire, onestamente, che, nel perseguire il raggiungimento degli obiettivi generali propostici, siamo ancora distanti dall’aver messo a punto strategie, metodologie e procedure, certe e collaudate, da poterle presentare come indicazioni generali, da applicare in grande scala.
Tuttavia, pur con tutte le precauzioni del caso, un metodo sembra aver dato risultati apprezzabili. Esso si basa su di un approccio di simulazione, per cui si deve considerare l’area di intervento, sotto il duplice aspetto di sistema naturalistico ed idraulico circoscritto, che va mantenuto in armonia con un sistema più ampio.
Particolare attenzione va riservata alla zona nella sua complessità, come se si trattasse di un bacino imbrifero in miniatura, da valorizzare vegetazionalmente.
Vanno, specialmente curati, gli aspetti seguenti:
1. Pendenze dei versanti.
2. Displuvi.
3. Compluvi.
4. Consolidamenti naturalistici delle scarpate.
5. Potenziamento delle capacità di assorbimento delle superfici (verdi o pavimentate).
6. Canalizzazioni.
7. Creazione di zone di raccolta e provvista idrica.
8. Rinaturalizzazione.
Queste raccomandazioni, diventano ancora più pressanti, quando gli interventi contengono, al proprio interno, aree di superficie maggiore di 500 mq, che si rendono, artificialmente, pianeggianti (parcheggi, campi da gioco, piscine, capanni).
Sistemazione di un appezzamento di territorio appenninico scosceso. Riportiamo il progetto dei terrazzamenti di adeguamento per un’area circostante un piccolo edificio rurale. Piante e sezioni. |
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