
ALCUNI LIMITI DEL METODO FUNZIONALISTA
In un’epoca, relativamente recente, quando l’architettura cosiddetta funzionalista trovava i massimi consensi, l’approccio di tipo dimensional-distributivo, di cui (con alcuni sostanziali correttivi) ci siamo fin qui serviti, sembrava, senza dubbio, il più corretto, poiché creduto, inequivocabilmente, oggettivo.
L’assunto chiave della teoria (forma=funzione), è che, la forma, discenda (ne è praticamente disegnata), dal dimensionamento ottimale e coordinato della funzione. Nel corso dei decenni questo approccio ha mostrato i suoi limiti. Un’applicazione troppo meccanica, ha finito, da un lato, per mortificare ed immiserire l’invenzione progettuale, dall’altro, ha fatto proliferare il contrasto con le preesistenze (naturali ed artificiali). Infatti, un suo massiccio utilizzo, privo di duttilità e di giusti correttivi, incapace di tenere nel dovuto conto l’inserimento contestuale, ha finito per scoordinare la progettazione del nuovo, con gli altri edifici già esistenti, costruiti in passato secondo criteri difformi e, assai spesso, ha trascurato un proficuo dialogo con l’ambiente naturale. Oggi, possiamo considerare questa visione del progettare, in maniera meno assoluta (sia che la si guardi con l’occhio del detrattore sia con quello del sostenitore), come un importante aspetto del progettare, da cui si possono trarre ottime indicazioni, ma i cui risultati vanno sottoposti ad una serie di ulteriori controlli contestuali e spaziali. E’ solo dall’insieme di essi che può nascere (forse!) un’architettura un po’ più vivibile, un po’ più a dimensione dell’uomo.
L’assunto chiave della teoria (forma=funzione), è che, la forma, discenda (ne è praticamente disegnata), dal dimensionamento ottimale e coordinato della funzione. Nel corso dei decenni questo approccio ha mostrato i suoi limiti. Un’applicazione troppo meccanica, ha finito, da un lato, per mortificare ed immiserire l’invenzione progettuale, dall’altro, ha fatto proliferare il contrasto con le preesistenze (naturali ed artificiali). Infatti, un suo massiccio utilizzo, privo di duttilità e di giusti correttivi, incapace di tenere nel dovuto conto l’inserimento contestuale, ha finito per scoordinare la progettazione del nuovo, con gli altri edifici già esistenti, costruiti in passato secondo criteri difformi e, assai spesso, ha trascurato un proficuo dialogo con l’ambiente naturale. Oggi, possiamo considerare questa visione del progettare, in maniera meno assoluta (sia che la si guardi con l’occhio del detrattore sia con quello del sostenitore), come un importante aspetto del progettare, da cui si possono trarre ottime indicazioni, ma i cui risultati vanno sottoposti ad una serie di ulteriori controlli contestuali e spaziali. E’ solo dall’insieme di essi che può nascere (forse!) un’architettura un po’ più vivibile, un po’ più a dimensione dell’uomo.
Il metodo forma-dimensione-funzione fornisce la base di un importante requisito progettuale, necessario ma non sufficiente.

Assonometria dello schema edilizio del quartiere abitativo a Dessau-Törten (1926-28) del grande architetto tedesco Walter Gropius. Emblematico esempio del metodo razionalista. Sono chiaramente evidenziati gli elementi strutturali essenziali, i setti murari (in giallo) e le travi longitudinali (in grigio scuro). Completano l’intervento i muri di tamponamento esterno (in grigio chiaro) e gli orizzontamenti (piani di calpestio e coperture, in nero).
OLTRE IL METODO PROGETTUALE FUNZIONALISTA
Con esso, le forme architettoniche individuate, sono involucri di ambienti plurifunzionali, gusci-contenitore da assemblare. L’edificio si ispira, idealmente, alla macchina, fatta di tanti pezzi (la machine à abiter, à guerir, à étudier, ecc. la macchina per abitare, per guarire, per studiare, come sosteneva Le Corbusier). Più i volumi architettonico-funzionali (le parti dell’edificio), risultano esibiti ed individuabili dall’esterno, più la progettazione si considera riuscita.
Ma è veramente questo il risultato che vogliamo raggiungere? Facciamo il punto su quanto ottenuto e proviamo, se ne siamo capaci, ad andare oltre.
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