Come reagisce la critica architettonica agli
eccessi delle nuove avanguardie? Rivalutando le tradizioni regionali, in
maniera critica. Nel 1983 Frampton
pubblica il saggio Prospects for a Critical Regionalism. Da anni lavora
sulla fenomenologia heideggeriana dello spazio. Viviamo, sostiene, in un
mondo sempre più globalizzato che sta distruggendo ogni cultura locale,
invadendo il pianeta con la stessa paccottiglia di prodotti tutti uguali. Se
non si può fermare il processo moderno di civilizzazione, occorre cambiargli la
direzione e fare uno sforzo, come auspica il filosofo Ricoeur, per comprendere in che modo si possa essere moderni e,
allo stesso tempo, non perdere il contatto con le proprie origini. In
architettura ciò comporta l'attenzione alle culture regionali, ai riferimenti
urbani e geografici e ai valori tradizionali. Senza alcuna concessione al
vernacolo, alle imitazioni degli stili locali o alle ricostruzioni alla
Disneyland. Cita molti autori, ma due soprattutto, il ticinese Mario Botta ed il giapponese Tadao Ando. Agli antipodi geografici,
accomunati però, nella loro modernità, da un comune dialogo con la tradizione
locale. Un altro spunto di riflessione di questi anni, che si mescola
all’attenzione per il contesto in cui si edifica, è la risposta che gli
architetti danno alla sostenibilità ambientale ed al risparmio energetico. Nel
1987 Yeang scrive il saggio Tropical
Urban Regionalism. No a edifici insensibili ai contesti locali: oggetti
estranei ai luoghi che possono funzionare solo grazie ad un intollerabile
spreco di risorse energetiche. Una maggiore consapevolezza ecologica impone
oggi il rispetto della diversità ambientale con strutture che sappiano
relazionarsi con il clima locale. Gli edifici non saranno più oggetti isolati e
autoreferenziali, ma filtri ambientali in grado di attivare scambi tra il
macroclima esterno e il microclima interno. Ciò può venire attraverso l'uso
dell'informatica e la realizzazione di edifici intelligenti, che ricevono
informazioni dall'esterno, le elaborano e, di conseguenza, attivano strategie
diversificate. Come chi a seconda del clima, non utilizza sempre gli stessi
vestiti ma si copre o sveste con il variare della temperatura. Grazie
all'elettronica le strutture artificiali, prima inerti, possono oggi reagire
come se fossero organiche. Le prime risposte si possono già intravvedere nella
facciata dell'Institut du Monde Arabe di Jean Nouvel a Parigi, che cambia al variare della luce, attivando
sensori collegati a sistemi computerizzati di controllo. Sulla stessa lunghezza
d'onda di Nouvel si muovono Foster,
Rogers, Grimshaw, Piano i
quali, attraverso l'High Tech, sondano le possibilità offerte dalla
tecnica per realizzare strutture intelligenti, ecologicamente corrette. Nasce
l'Eco Tech che introdurrà, negli
edifici i principi della sostenibilità ambientale. Saranno soprattutto
l'elettronica e l'informatica, ma anche l'utilizzo di tecniche tradizionali, a
farci entrare in relazione, in sinergia con lo spazio naturale. Un percorso per certi versi analogo lo compie
nel 1988 Ito che basandosi su
tecniche elettroniche, a Yokohama ricopre una struttura cilindrica in cemento
armato, che serviva come serbatoio idrico e torre di ventilazione dei locali
commerciali posti ai piani interrati, con 12 tubi al neon e 1280 lampadine
collegate a una centralina che ne comanda l'accensione in relazione al variare
dei venti e della rumorosità dell'ambiente circostante. Si tratta di una scelta
radicale: la realizzazione di un organismo sensibile sia all'ambiente naturale
che al contesto artificiale. Che senso ha continuare a produrre edifici
che ingabbiano i loro abitanti senza farli partecipare al flusso della
comunicazione con la natura e con l'ambiente metropolitano? Occorre creare un
ambiente transfinito. Cosa intende? Sullo spazio transfinito Toyo
Ito sta lavorando da diversi anni.Nel 1985 ha presentato a Dwelling for
Tokio Nomad Women, una abitazione per le donne nomadi di Tokyo consistente
in tre involucri trasparenti e essenziali (uno per truccarsi, uno per le
attività intellettuali, uno per mangiare), che prenderanno il posto della casa
nella metropoli contemporanea. Al di là della radicalità emblematica della
proposta appare chiaro il versante verso cui si apre la riflessione. Perché
realizzare pareti in uno spazio contrassegnato dallo scambio di flussi o avere
abitazioni costipate di oggetti quando, attraverso il sistema odierno delle
comunicazioni, è possibile accedere ai beni e ai servizi in tempo reale? E così
il cerchio si chiude: locale e globale. Che è un po’ la direzione di ricerca
che questi anni ottanta sembrano indicarci.
11 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 1
Vi racconto la Storia dell’Architettura 1raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog HOMO LUDENS (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/) L’opera completa si compone di 3 volumi.
12 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 2
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog HOMO LUDENS (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.
13 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 3 Vi racconto la Storia dell’Architettura 3. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog HOMO LUDENS (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/)
Quali sono negli anni ottanta i rapporti tra
architettura e natura? Molteplici ed esemplificarne alcuni contribuirà in parte
a fare chiarezza. Ma prima una premessa. Gia’ la crisi energetica del ‘73 aveva
dato il via ad una serie di riflessioni sul tema. Van der Ryn e Bunnell, in The
Integral Urban House, invitano ad una biomorphic aesthetic fondata su forme
naturali, per favorire il risparmio energetico. Forse si tratta di
un'impostazione ancora ingenuamente naturalistica, ma con le prime concrete
realizzazioni il discorso cambia. C’è un approccio possiamo dire
semplificatorio. E’ quanto succede nel 1981 quando Maya Lin, una studentessa
non ancora ventunenne, figlia di due intellettuali scappati dalla Cina di Mao
Tze Tung, vince, con un progetto di alto valore paesaggistico, il concorso per
la realizzazione del Vietnam Veterans Memorial nel Mall di Washington, vicino
al Lincoln Memorial, al Washington Memorial ed al Campidoglio, cioe’ la sede
del Congresso degli Stati Uniti. Il monumento è semplicissimo: una zona del
terreno, delimitata da due tagli secchi, viene incassata mentre a raccordare il
dislivello creato c’e’ una lastra continua di granito nero sulla quale sono
incisi i nomi di tutti i soldati caduti. Il giudizio sull’opera vede subito
delle contrapposizioni nette. C’e’ chi lo trova troppo semplice, minimalista,
laconico, silenzioso, senza statue di eroi che cadono brandendo un'arma o una
bandiera. Ma c’e’ chi si commuove di fronte alla vista del gelido ma eloquente
elenco dei 57.000 morti, chi trova il nome del proprio caro e lo ricalca su
fogli di carta con il frottage, chi fotografa la propria immagine riflessa
sulla pietra sovrapponendola al nome di un amico scomparso. In ogni caso il
Vietnam Veterans Memorial diventa subito un'icona popolare che accoglie
2.500.000 di visitatori l'anno. Ma il suo successo e’ ancora piu’ incisivo
poiche’ comincia a farsi strada l'idea che si possa fare architettura col
verde, riducendo l'intervento a poche e selezionate emergenze. Una integrazione
più stretta tra edificio e verde è quella di Wines dei SITE nell'Hialeah
Showroom un intervento del 1982, dietro alla facciata in curtain wall, colloca
una serra per favorire il bilancio termico, che diventa il reale prospetto
dell'edificio con interessanti effetti estetici. Successivamente nel Forest
Building distaccano la facciata in mattoni dal corpo principale dell'edificio
per far crescere una abbondante vegetazione. Ma c’è anche chi affronta la
materia in maniera diametralmente opposta, usando la natura potremmo “contro
natura”. Siamo nel 1982 e Tschumi vince il concorso per il parco della Villette
di Parigi con una progettazione antinaturalistica, metropolitana, i cui
riferimenti sono il razionalismo architettonico, la pittura astratta di
Kandinsky, le teorie della complessita’, dei frattali, del caos e delle
catastrofi di Thom, Mandelbrot, Prigogine, la logica rizomatica di Deleuze e
Guattari rielaborate grazie alla luce dei programmi CAD di disegno su computer.
Nel parco sono individuabili tre livelli progettuali: i punti, le linee, le
superfici. I punti sono le follies, costruzioni organizzate su un reticolo
cubico di 10x10x10m, cadenzate su una griglia modulare di 120 metri. Ognuna
ospita una funzione diversa ed ha una forma nata da permutazioni casuali dei
suoi elementi di base. Le linee sono i percorsi, due assi tra loro ortogonali,
una serpentina e i muri. Le superfici sono spazi triangolari, circolari,
rettangolari o più complessi per le varie attività. Così facendo Tschumi si
scrolla di dosso le soluzioni preconfezionate, schemi, tipologie o morfologie
consolidate e tronca con il passato. Aggrega gli elementi secondo un principio
debole di ordine, per aggiungere o togliere senza alterare l'equilibrio
complessivo, giungendo persino ad una logica casuale che introduce l'imprevisto
generando una nuova complessità. Ed infine c’è la progettazione architettonica
con la natura. Un architetto che esemplifica questa istanza è Ambasz che nel
1988 progetta il Lucile Halsell Conservatory a San Antonio in Texas, un
edificio ipogeo coperto da un prato illuminato da lucernari e pozzi che evoca
una vita nel sottosuolo insieme arcaica e tecnologicamente sviluppata. Quale di
queste soluzioni risulterà vincente? E’ ancora presto per dirlo, o forse è già
tardi visto l’effetto serra che marcia spedito in tutto il globo?
11 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 1
Vi racconto la Storia dell’Architettura 1raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog HOMO LUDENS (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/) L’opera completa si compone di 3 volumi.
12 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 2
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog HOMO LUDENS (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.
13 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 3 Vi racconto la Storia dell’Architettura 3. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog HOMO LUDENS (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/)
(*) errata corrige: il muro di Berlino è crollato nel 1989 (non nel 1988 come detto nel video)
11 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 1
Vi racconto la Storia dell’Architettura 1 raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.
12 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 2
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog“Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.
13 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 3 Vi racconto la Storia dell’Architettura 3. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/) L’opera completa si compone di 3 volumi.