lunedì 24 giugno 2024

Corso di storia dell'architettura: Neutra 1892

 Neutra 1892














Richard Josef Neutra (Vienna, 8 aprile 1892 – Germania, 16 aprile 1970) è stato un architetto austriaco. Si trasferì negli Stati Uniti dove collaborò con Frank Lloyd Wright, Rudolf Schindler e Martin Roche. È considerato uno dei maggiori architetti dell'International style. Nato a Vienna, frequentò la Technische Hochschule dal 1911 al 1917 e, contemporaneamente, la Scuola di Architettura di Adolf Loos. Nei primi tempi del dopoguerra lavorò come architetto di giardini a Zurigo. Dal 1921 divenne impiegato presso l'ufficio delle costruzioni municipali di Luckenwalde, dove conobbe Erich Mendelsohn. Neutra si trasferì con questi a Berlino dove lavorò come assistente nel nuovo studio di Mendelsohn. I due progettarono un centro commerciale a Haifa. Nel 1923 si trasferì negli Stati Uniti (vi ottenne la naturalizzazione solo nel 1929) e lavorò dapprima con William Holabird e Martin Roche e poi con Frank Lloyd Wright. A Los Angeles collaborò con Rudolf Schindler a rilevanti progetti. Entrò anche in contatto con giovani architetti di successo come Gregory Ain, Harwell Hamilton Harris, e Raphael Soriano. Successivamente aprì un proprio studio e una delle prime commissioni riguardò il progetto del "Complesso residenziale Jardinette", una struttura in calcestruzzo armato del 1928, Hollywood, California. Disegnò anche case prefabbricate ed elaborò un progetto di Città del futuro. Tra il 1927 ed il 1929 progettò e costruì, su commissione di Philip Lovell, Casa Lovell. Lo scheletro in carpenteria metallica dell'abitazione poté essere eretto in circa quaranta ore. L'anno successivo fondò l'Academy of Modern Art a Los Angeles e per tutti gli anni trenta continuò a dedicarsi alla ricerca di nuovi materiali e nuove tecniche costruttive. Ebbe una grande celebrità soprattutto per la geometria rigorosa e per le strutture ariose delle residenze che progettava nella West Coast. Mise sempre grande attenzione nel definire le reali esigenze dei propri clienti (utilizzando anche questionari dettagliati per scoprirne le necessità), indipendentemente dalle dimensioni del progetto ed in contrasto con altri architetti desiderosi invece di imporre la loro visione artistica su un cliente. Nella progettazione dei suoi edifici considerò sempre l'acqua come un elemento di grande importanza. La sua architettura interna è stata una miscela di arte, di paesaggio e di comodità pratica. Durante la Seconda guerra mondiale si limitò a progettare edifici in legno di sequoia, mattoni e vetro. Dalla fine degli anni quaranta fino alla fine della sua vita continuò a ricercare nuove tecniche di progettazione collaborando al progetto delle Case Study Houses. Morì in Germania nel 1970.

Corso di storia dell'architettura: Kahn 1901

 Kahn 1901
















 

Louis Isadore Kahn, alla nascita Itze-Leib Schmuilowsky (Kuressaare, 20 febbraio 1901 – New York, 17 marzo 1974), è stato un architetto statunitense, di origini ebraiche.
Emigrato nel 1906 in Pennsylvania, dove conseguì la laurea in architettura nel 1924, aprì nel 1935 un suo primo atelier e nel 1947 iniziò a insegnare alla Yale University, incarico che terminò nel 1957 quando iniziò a insegnare alla scuola di design dell'Università della Pennsylvania. Influenzato dalla monumentalità degli edifici classici e dalle rovine greche e romane, l'architettura di Kahn si concretizzò in edifici dalle solenni forme euclidee e dalla simmetria monolitica, come il Salk Institute o l'edificio del Parlamento bengalese a Dacca
I primi anni
Louis Kahn nacque nel 1901 a Kuressaare, nell'isola di Saaremaa, nell'allora governatorato di Estonia dell'Impero Russo, da una famiglia di umili origini. All'età di tre anni rimase ustionato al volto a causa di alcuni tizzoni ardenti del camino che diedero fuoco al grembiule che indossava e che gli causarono delle cicatrici che portò per tutta la vita. Nel 1906 Louis si trasferì con i fratelli e la madre Bertha negli Stati Uniti, a Philadelphia, dove il padre Leopold era emigrato nel 1904. Il 15 maggio 1914 divenne cittadino statunitense e l'anno seguente cambiò il suo nome.
Il talento per il disegno gli permise di ottenere una serie di borse di studio che lo mantennero sino alla laurea in architettura ottenuta all'Università della Pennsylvania nel 1924 e iniziò a collaborare con John Molitor, dove grazie alle sue capacità nel 1926 lavorò alla progettazione del Sesquicentennial Exposition. Quattro anni più tardi, intraprese un viaggio in Europa di cui sono conservati un corpus di schizzi, dove rimase particolarmente impressionato dalla cittadina medievale di Carcassone e dai castelli scozzesi, ritenuti esempi di classicismo e modernismo. Tornato negli Stati Uniti l'anno successivo, iniziò a lavorare con Paul Cret, un architetto Beaux-Arts noto per i suoi edifici caratterizzati da un raffinato senso delle proporzioni.
Le prime opere
Tra il 1930 e il 1932 lavorò nello studio Zantzinger, Boire & Medary, mentre nel 1932 Kahn si unì a Dominique Berninger fondando l'Architectural Research Group; nel 1935 si iscrisse all'American Institute of Architects (AIA) e aprì un proprio studio a Philadelphia. Durante i successivi anni ebbe diversi incarichi e realizzò alcune opere minori, fino al 1941 quando si associò con George Howe, uno degli architetti più affermati della East Coast. La collaborazione tra i due non portò a risultati significativi e nello stesso anno l'architetto di origini tedesche Oscar Stonorov entrò a far parte dello studio come terzo socio; Howe ne uscì l'anno successivo. Fu Stonorov a far conoscere a Kahn gli edifici e gli scritti di Le Corbusier. Durante la breve collaborazione di Howe, Stonorov e Kahn, lo studio produsse il Carver Court Housing Development a Coatesville, Pennsylvania, per la Federal Public Housing Authority (l'ente federale per l'edilizia residenziale pubblica), il cui lessico si sarebbe ritrovato in seguito nei progetti residenziali di Kahn.
Il Jatiyo Sangshad Bhaban, Dacca, sede del parlamento bengalese.
Nel 1947 Kahn, assunto da Howe, allora direttore del dipartimento di architettura, iniziò ad insegnare progettazione alla Yale University. Iniziò a tenere conferenze ed esporre le idee per iscritto. In questo periodo l'attività di progettista di Kahn passò quasi inosservata ma l'incarico di docente, la commessa per l'ampliamento di Yale, ottenuta qualche anno dopo, e l'attribuzione del prestigioso Rome Prize, misero Kahn in condizione di riprendere l'attività progettuale. Nel 1953 divenne membro onorario dell'American Institute of Architects e solo all'età di circa cinquant'anni iniziò ad affermarsi nel campo dell'architettura. Nel giro di un decennio Kahn divenne una figura di fama mondiale, diventando un esponente di primo piano dell'architettura moderna americana, al quale si deve la rilettura dell'insegnamento contemporaneo della disciplina. Kahn non aveva studiato la dottrina modernista dell'International Style; aveva invece una solida formazione tradizionale Beaux-Arts; proprio questo aspetto gli consentì di lavorare come progettista ai margini dell'International Style, per poi emergere come figura trainante con una visione propria alla metà del secolo.
Nel 1959 tenne emblematicamente il discorso conclusivo all'ultimo CIAM (Congresso Internazionale di Architettura Moderna), ad Otterlo nei Paesi Bassi, intitolato New Frontiers in Architecture ("nuove frontiere nell'architettura"); siglò la conclusione dell'esperienza portante del primo Movimento Moderno. Nel 1961 invece ricevette una sovvenzione dalla Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts per studiare il movimento del traffico di Filadelfia e per ristrutturare la viabilità della città. In questi anni, si susseguirono prestigiosi incarichi, tra cui l'Istituto di ricerca di Jonas Salk (1959), la sede del Parlamento del Bangladesh a Dacca (1962), il centro congressi a Venezia (1969) e la Sinagoga Hurva di Gerusalemme (1968). Numerosi i riconoscimenti tra cui si possono citare la medaglia d'oro dell'American Institute of Architects (1971) e la Royal Gold Medal (1972).
La svolta degli anni '50: la Yale University Art Gallery e la City Tower
L'Art Gallery dell'Università di Yale, New Haven.
Ma un passaggio molto importante della sua vita, e soprattutto nella sua formazione di architetto, fu probabilmente il viaggio che fece tra il 1950 e il 1951 nel Mediterraneo, e il suo soggiorno all'American Academy di Roma, quando Kahn iniziò un nuovo corso alla sua vita professionale. Scrive al suo studio il 6 dicembre 1950:
«Mi sto rendendo definitivamente conto che l'architettura dell'Italia resterà la fonte d'ispirazione per i lavori futuri, chi non la vede in questo modo dovrebbe osservarla un'altra volta. Le nostre cose sembrano piccole a confronto: qui tutte le forme pure sono state sperimentate in tutte le varianti dell'architettura. Bisogna comprendere come l'architettura dell'Italia si rapporta a quanto sappiamo del costruire e dei bisogni. Non mi interessano molto i restauri, ma mi rendo conto della grandezza del valore del modo in cui si confrontano con spazi modificati dagli edifici che vi sorgono intorno e che ne rappresentano la premessa...»
Tra il 1951 e il 1953 Kahn si occupò dell'ampliamento della galleria d'arte della Yale University, opera che illustrò il nuovo pensiero dell'architetto[9]. Dalla configurazione triangolare della scala pubblica all'interno di un vano cilindrico fino alle casseforme di metallo tetraedriche per gettare i solai di calcestruzzo, la struttura consisteva in forme geometriche pure. L'edificio era il prodotto del soggiorno di Kahn a Roma e del suo studio dell'antichità in Europa. Complessivamente questi aspetti indicavano un cambiamento fondamentale nella sua ideologia e nella sua pratica della disciplina, che ne fece un esponente di primo piano dell'architettura moderna americana.
Contemporaneamente all'ampliamento della Yale University Art Gallery, Kahn progettò la City Tower per il Tomorrow's City Hall (1952-1957), in collaborazione con la socia Anne Tyng. Rimasto sulla carta, l'edificio illustra chiaramente la visione dell'architetto, disposto ad abbandonare l'International Style per una nuova architettura moderna, contestuale e critica. Questo grattacielo presenta numerosi aspetti della nuova visione di Kahn, in particolare l'approccio seriale risultante in caratteristiche macrostrutturali. Il progetto si può intendere come un ponte "ideologico" tra il pensiero avanguardista di Buckminster Fuller degli anni trenta e i movimenti di avanguardia degli anni sessanta in Europa (Archigram) e in Giappone (metabolism), dove i concetti di molteplicità e monumentalità si tradussero in macrostrutture che criticavano e sviluppavano il principio modernista secondo cui "la forma segue la funzione".
Il concetto di "monumentalità"
Il Salk Institute, La Jolla, California
Il senso dello storicismo di Kahn è legato alla vocazione monumentale. L'interesse verso la massa del muro e la forza della materia lo rese lontano dai suoi contemporanei, come i funzionalisti che parlavano in termini di leggerezza, trasparenza, movimento e bandirono termini come robustezza e forza, sinonimi di regimi passati. Per i venticinque anni successivi, Kahn progettò e costruì quanto aveva visto in quel periodo di soggiorno nei luoghi di antiche civiltà. Gli schizzi che fece di rovine egiziane, greche e romane varranno una vita d'architetto; la forza spettrale delle ombre proiettate sui volumi ciechi, il buio assoluto che riempie i vani dei livelli inferiori, il cielo scrutato attraverso le aperture di quelli superiori sono vissute come un'esperienza architettonica.
Le caratteristiche di serialità (la reiterazione delle masse) e monumentalità vennero a contraddistinguere in misura crescente l'opera successiva di Kahn, concretizzandosi in edifici dalle solenni forme euclidee. Un ritorno al "primitivo", all'interesse per le piramidi, per i dolmen, per le colonne dei templi greci, per le opere romane; Kahn non cercava l'originalità o l'impiego di nuovi materiali, bensì si sforzava di esprimere la pesantezza come legge della natura per meglio modulare lo spazio e la luce con una struttura perenne. Sia le costruzioni a padiglione che delimitano il cortile del Salk Institute for Biological Studies, sia l'effetto semplice e ritmico della First Unitarian Church and School che ricorda le rovine dell'antica Roma o della simmetria monolitica del parlamento di Dacca, contribuiscono a conferire agli edifici di Kahn maggiore spiritualità.
L'entrata della First Unitarian Church and School di Rochester.
Molti dei suoi progetti, soprattutto quelli in Pakistan e Bangladesh, evocano un senso di atemporalità. La massa ipergeometrica di questi progetti sfidava le dimensioni architettoniche normative, con vaste aperture circolari o triangolari che bucavano superfici più ampie. A un esame più attento, risultava che queste forme derivavano il loro lessico formale dall'essere realizzate con materiali semplici, come mattoni o calcestruzzo. Gli edifici appaiono per quello che sono, non vengono rivestiti in alcun modo, per Kahn una struttura deve rappresentare in maniera chiara il sistema d'assemblaggio di ogni pezzo (a volte evidenziando con marmo i segni delle casseforme), confermare ogni caratteristica e ruolo dei singoli elementi, portanti o secondari[23].
Il genio di Kahn rappresenta un'autentica rarità nella teoria e pratica dell'architettura. La sua visione, le sfide che si era posto, la sua perseveranza sono espresse al meglio nella conclusione del suo saggio del 1944 Monumentality, nel quale illustra gli ideali che avrebbe conseguito trent'anni dopo:
«Non voglio dire che la monumentalità si possa ottenere scientificamente o che l'opera di un architetto renda il suo sommo servizio all'umanità nel momento in cui conduce un concetto verso la monumentalità. Semplicemente difendo, perché lo ammiro, l'architetto che possiede la volontà di crescere con le molte angolazioni del nostro sviluppo. Perché un uomo del genere si trova molto più avanti dei suoi colleghi.»
Vita privata
Il Kimbell Art Museum
Durante la sua vita Kahn ebbe tre figli da tre donne diverse, con la prima delle quali rimase sposato fino alla morte. Nel 1930 sposò Esther Virginia Israeli; la figlia avuta da lei, Sue Ann, nacque nel 1940. Nei primi anni '50 l'architetto intrecciò una relazione con la più importante collaboratrice del suo studio, Anne Griswold Tyng, la cui influenza su Kahn si riscontra in molti progetti, dall'ampliamento della Yale University al Jewish Community Center (1959) di Trenton, New Jersey. La loro figlia, Alexandra Tyng, nacque nel 1954. Anne iniziò a lavorare per Kahn nel 1945, quando era socio di Stonorov. Anne rivela che nel 1960 il loro rapporto divenne "platonico", lasciando intendere che Kahn era già legato ad un'altra donna. La nuova donna era un'altra progettista di talento del suo studio, Harriet Pattinson, che lavorava su un altro piano. Pattinson ebbe un ruolo fondamentale nella progettazione del Kimbell Art Museum (1972) di Fort Worth in Texas; anche da questa donna Kahn ebbe un figlio Nathaniel, nato nel 1963.
Tyng e Pattiinson rimasero entrambe socie dello studio una volta chiusa la relazione con Kahn. La vita dell'architetto ruotava intorno a tre famiglie; questa sua esistenza frammentata assunse una dimensione ironica al momento della sua morte avvenuta nel 1974, quando fu stroncato da un infarto nella toilette degli uomini alla Pennsylvania Station di New York al ritorno da Ahmedabad per una supervisione del cantiere dell'Istituto Indiano di Amministrazione che veniva realizzando insieme al parlamento di Dacca[5]. Aveva con sé soltanto il passaporto, nel quale però aveva cancellato l'indirizzo, così non poté essere identificato per tre giorni, finché il suo studio non riuscì a ricostruire i suoi ultimi spostamenti. Al funerale fu la prima volta che i suoi figli si trovarono tutti riuniti, ma sarebbero passati venticinque anni prima che si incontrassero di nuovo per raccontarsi i ricordi d'infanzia legati al padre, in vista del film intitolato My Architect (2003) che il figlio Nathaniel si accingeva a girare.
Gli studi e lo stile di Louis Kahn
La biblioteca della Phillips Exeter Academy.
Per pochi altri architetti si può parlare propriamente di ricerca, ma nell'opera di Louis Kahn l'attività teorica, quella didattica e quella professionale si fondono in un risultato unitario. In sintesi, il suo contributo si articola secondo due punti.
Innanzitutto Kahn configurò, secondo una consuetudine comunemente accettata, il primo superamento delle teorie del Movimento Moderno, sebbene egli sia stato un architetto che operò nel solco del movimento stesso, quindi lontano dall'approccio storicista antimoderno. Il principio fondamentale del Movimento Moderno, espresso dal noto slogan "la forma segue la funzione", viene rovesciato: in Kahn è la funzione che prende corpo all'interno di una forma, che è in primo luogo lo specchio dell'"ordine". In altre parole Kahn sembra postulare una forma generale, che si concretizza con uno schema planimetrico razionale, e utilizzarla per soddisfare una necessità d'uso. Tale processo è ben chiarito dai famosi schizzi per la First Unitarian Church.
Altra questione è l'attitudine, si potrebbe definire, maieutica che Kahn pratica sia come pedagogo che come artista. Egli non si stanca di porre domande sull'essenza delle cose, ne ricerca l'origine, il fondamento, e crede fermamente che in questo lavoro risieda la più autentica fonte di ispirazione. L'architettura sorge dal porsi domande su cosa è l'architettura, secondo un moto perpetuo. In questo senso egli dichiara:
«Amo gli inizi. Gli inizi mi riempiono di meraviglia. Io credo che sia l'inizio a garantire il proseguimento.»
In definitiva se Kahn è lontano da un approccio mistico, quale quello dell'architettura espressionista, la sua opera rappresenta una risposta ad una necessità di una nuova spiritualità.
Le opere di Louis Kahn hanno significativamente influenzato l'International Style; conosciuto per la sua capacità di creare architetture monumentali e per la sua sensibilità, quasi "poetica", nello studio degli spazi, infuse tutti i suoi progetti con il suo profondo personale coinvolgimento. Isamu Noguchi lo ha definito "un filosofo tra gli architetti". I suoi lavori si rivelarono spesso tecnicamente innovativi e altamente raffinati.
Kahn si interessò notevolmente degli "spazi servi", cioè degli ambienti che hanno un ruolo di supporto al resto delle strutture, come scale, corridoi, oltre ai servizi igienici e ogni altro spazio che ha "funzioni tecniche", come cantine e ripostigli. Tra i materiali da lui utilizzati maggiormente, vi erano mattoni rustici e il cemento scoperto, in contrapposizione a superfici altamente raffinate come il travertino. Oltre alla sua influenza sugli architetti contemporanei, come Muzharul Islam e Tadao Andō, alcune sue opere, in particolare il City Tower Project di Philadelphia, ispirarono i maggiori esponenti dell'architettura high-tech della seconda metà del XX secolo, come Renzo Piano, Richard Rogers e Norman Foster. Tra i suoi apprendisti e collaboratori vi sono stati Muzharul Islam, Moshe Safdie, Robert Venturi e Jack Diamond.
Opere e progetti significativi
La scalinata triangolare della Yale University Art Gallery.
Esherick House, Chestnut Hill, Filadelfia, Pennsylvania.


L'IIM Ahmedabad.
Di seguito si riportano tutti i progetti di Louis Kahn:
    1935 – Jersey Homesteads Cooperative Development, Hightstown, New Jersey.
    1940 – Jesse Oser House, 628 Stetson Road, Elkins Park, Pennsylvania.
    1947 – Phillip Q. Roche House, 2101 Harts Lane, Conshohocken, Pennsylvania.
    1951/53 - Art Gallery dell'Università di Yale, New Haven, Connecticut.
    1952 – City Tower Project, Filadelfia, Pennsylvania (non costruito).
    1955-57 Edificio per il Trenton Bath House, 999 Lower Ferry Road, Ewing, New Jersey
    1956-62 - Progetto per la viabilità del centro di Filadelfia.
    1956 – Wharton Esherick Studio, 1520 Horseshoe Trail, Malvern, Pennsylvania (progettato con Wharton Esherick)
    1957/62 – Fred E. and Elaine Cox Clever House, 417 Sherry Way, Cherry Hill (New Jersey)
    1957/64 - Centro di Ricerche Mediche Newton-Richards, Goddard, Filadelfia.
    1957/65 - Newton Richards Medical Research Building, Filadelfia.
    1958/62 – Tribune Review Publishing Company Building, 622 Cabin Hill Drive, Greensburg, Pennsylvania.
    1959/61 – Esherick House, 204 Sunrise Lane, Chestnut Hill, Filadelfia, Pennsylvania.
    1959/65 - Salk Institute for Biological Studies, La Jolla (San Diego), California.
    1959/69 - First Unitarian Church and School, Rochester, New York.
    1960/65 – Dormitori Erdman Hall Dormitories, Bryn Mawr College, Morris Avenue, Bryn Mawr, Pennsylvania.
    1960/67 – Fisher House, 197 East Mill Road, Hatboro, Pennsylvania.
    1961/75 – Point Counterpoint II, chiatta usata dalla American Wind Symphony Orchestra.
    1962/75 – Indian Institute of Management, Ahmedabad, India.
    1962/83 - Sede del Parlamento del Bangladesh, Dacca, Bangladesh.
    1963 – Tenuta del Presidente, Islamabad, Pakistan (non realizzata).
    1963 - Indian Institute of Management, Ahmedabad, India.
    1965/72 - Biblioteca e Mensa della Phillips Exeter Academy, Exeter, New Hampshire[39].
    1966/70 - Stabilimenti Olivetti, Harrisburg.
    1966/72 - Museo Kimbell, Fort Worth, Texas.
    1968 - Sinagoga Hurva (non realizzato), Gerusalemme.
    1969 - Palazzo dei Congressi, (non realizzato) Venezia.
    1969/74 - Yale Centre for British Art, New Haven.
    1971/73 – Steven Korman House, Sheaff Lane, Fort Washington, Pennsylvania
    1973 - Franklin Delano Roosevelt Memorial (Franklin D. Roosevelt Four Freedoms Park), Roosevelt Island, New York (realizzato 2010-2012)
    1973 – The Arts United Center, Fort Wayne, Indiana.
    1979/81 – Libreria Flora Lamson Hewlett della Graduate Theological Union, Berkeley, California.

Corso di storia dell'architettura: Le Corbusier 1887

Le Corbusier 1887









 





Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris (La Chaux-de-Fonds, 6 ottobre 1887 – Roccabruna, 27 agosto 1965), è stato un architetto, urbanista, pittore e designer svizzero naturalizzato francese.
Tra le figure più influenti della storia dell'architettura contemporanea, viene ricordato – assieme a Ludwig Mies van der Rohe, Frank Lloyd Wright, Walter Gropius e Alvar Aalto – come maestro del Movimento Moderno. Pioniere nell'uso del calcestruzzo armato per l'architettura, è stato anche uno dei padri dell'urbanistica contemporanea. Membro fondatore dei Congrès Internationaux d'Architecture moderne, fuse l'architettura con i bisogni sociali dell'uomo medio, rivelandosi geniale pensatore della realtà del suo tempo.
Tra il 2016 e il 2017 le sue opere sono state aggiunte alla lista dei siti patrimonio dell’umanità dell'UNESCO. Nella motivazione si legge che gli edifici scelti sono «una testimonianza dell'invenzione di un nuovo linguaggio architettonico che segna una rottura con il passato».
Le Corbusier: storia di un nome
«Nome memorabile, rispetto a quello anagrafico; nome breve, con la possibilità di essere ulteriormente abbreviato (Corbu, LC); nome pratico, maneggevole come un utensile, complemento strategico della missione a cui il suo portatore ormai si sente chiamato»
(Marco Biraghi[3])
Lo pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris con cui egli oggi è universalmente noto, ovverosia «Le Corbusier», venne coniato sotto indicazione di Amédée Ozenfant nell'autunno del 1920: inizialmente venne adottato solo per firmare articoli d'architettura sull'Esprit Nouveau, i cui unici curatori erano Ozenfant e Jeanneret, che usavano molti pseudonimi per dissimulare il fatto che gli autori fossero solo loro.
L'origine di questo è largamente documentata. Dato che Ozenfant per realizzare il proprio pseudonimo aveva preso spunto dal cognome materno, consigliò a Jeanneret di fare altrettanto: questi non poté ascoltare il suo consiglio poiché aveva compiuto i propri studi nello studio di Auguste Perret, che condivideva per ragioni assolutamente fortuite il cognome della madre. Egli quindi trasse spunto da «Le Corbesier», trisavolo materno il cui ritratto, eseguito da Darjou (pittore alla corte di Eugenia de Montijo), era posto nella casa dove aveva trascorso l'infanzia. La «e» venne mutata in «u» sotto consiglio di Ozenfant: il soprannome risultò gradito a Jeanneret poiché gli ricordava quello del maestro (L'Eplattenier).
È talvolta noto anche semplicemente come Le Corbu per abbreviazione del suo soprannome: tale storpiatura, complice un gioco di parole con la parola corvo (in francese corbeau) comportò la sua abitudine di firmare con questa sigla le sue lettere informali, oppure abbozzando la sagoma di un corvo stilizzato; dall'abbreviazione della storpiatura del suo soprannome deriva la forma Le Corb, diffusa soprattutto in inglese
Le radici: gli inizi a La Chaux-de-Fonds
Charles-Édouard Jeanneret-Gris nacque al № 38 di rue de la Serre a La Chaux-de-Fonds, villaggio svizzero immerso nel severo paesaggio montano dei massicci del Giura, il 6 ottobre 1887.[6] La madre, Charlotte Marie Amélie Perret (nessuna parentela con il celebre Auguste Perret, futuro collaboratore di Jeanneret), era un'abilissima musicista e si guadagnava da vivere come insegnante di pianoforte.[N 1] Il padre, invece, adorava trascorrere il proprio tempo libero a contatto con la natura e, per questo motivo, si assunse la presidenza del Club Alpin, per il quale egli scriveva, seppur da autodidatta, lunghe relazioni sulle sue passeggiate. Al seguito del padre in queste scalate naturalistiche vi era ovviamente il giovane Jeanneret, che in questo modo - beneficiando delle suggestive vedute delle gole del Doubs e della catena delle Alpi - ebbe l'opportunità di maturare un rapporto diretto con il paesaggio, il quale - filtrato attraverso il ricordo dell'infanzia - verrà trasposto con rigore ed efficacia anche nella sua opera architettonica.
Il vero mestiere del padre, tuttavia, era quello di smaltatore di quadranti d'orologio, secondo una lunga tradizione familiare che affondava le proprie radici nella secolare industria orologiera di La Chaux-de-Fonds. Dopo un'infanzia idillica, trascorsa effettuando lunghe passeggiate domenicali con il padre e disegnando incessantemente e con sincero entusiasmo, il giovane Édouard sembrava predestinato a seguire le orme paterne e, per questo motivo, una volta terminati gli studi primari, fu iscritto alla Scuola d'Arte di La Chaux-de-Fonds, istituita nell'Ottocento proprio per formare orologiai validi e minuziosi. Qui Jeanneret - del tutto disilluso verso il pianoforte, con grande disappunto della madre - diede prova di un valido e diligente ingegno: cosa non da poco, considerando che la decorazione e l'incisione di casse d'orologio è un'arte che «esige una precisione assoluta nel disegno e una rigorosa concentrazione di spirito», siccome «un semplice errore di tratti è sufficiente a distruggere un prezioso pezzo in oro o una placca d'argento», come ricorda il von Moos.[7] Pur raggiungendo un'eccellente perizia nel bulino, tecnica notoriamente ostile a tutti gli aspiranti orologiai, e producendo lavori unanimemente giudicati degni di esposizione pubblica, l'allievo Charles-Édouard non era per nulla allettato dalla prospettiva di trascorrere il resto della sua vita ornando gli smalti colorati delle casse d'orologio con decorazioni floreali, complice anche la feroce crisi che tale pratica artigianale stava attraversando in quel periodo.
Ad accorgersi dell'irrequietudine creativa di Jeanneret vi fu un insegnante di quella scuola: Charles L'Eplattenier. Ventiseienne, formatosi a Parigi nell'alveo della Scuola di Belle Arti ma libero dalla schiavitù del giogo accademico, L'Eplattenier aveva intuito la triste sorte che attendeva l'industria orologiera, destinata a estinguersi sotto la pressione dell'industrializzazione, e per questo motivo intendeva offrire agli studenti della scuola d'arte un insegnamento più pragmatico, onnicomprensivo, improntato al valore dell'esperienza pratica e perciò non soffocato dai ristretti orizzonti dell'ornamentazione, bensì tendente ad abbracciare la globalità delle esperienze artistiche, dal singolo oggetto d'arredamento alla monumentalità dell'architettura.[8] Entusiasta del programma del nuovo maestro, il ragazzo si avvicinò in questo modo alle esperienze artistiche dell'Art Nouveau, al cui credo estetico L'Eplattenier si rifaceva, e si cimentò nella realizzazione di innumerevoli schizzi e disegni dal vero, nella prospettiva di diventare pittore, mestiere che riteneva avvincente e vicino alla sua sensibilità. L'Eplattenier, tuttavia, era categorico: il destino del suo discepolo non era quello di abbandonarsi all'arte pittorica, bensì di consacrarsi all'architettura. Édouard, grazie alle vivaci attenzioni pedagogiche del maestro, fu prontamente dissuaso dal farsi artista e maturò il definitivo proposito di divenire costruttore: «Uno dei miei maestri [un maestro straordinario] mi strappò con dolcezza a un destino mediocre. Volle che fossi architetto. L'architettura e gli architetti mi facevano orrore ... Avevo sedici anni, accettai il verdetto e obbedii: mi detti all'architettura».
A questi anni risale persino il primissimo, se così si può definire, cimento architettonico di Jeanneret: la progettazione di villa Fallet. A offrirgli l'occasione di redigere il primo progetto della sua vita fu Louis Fallet, direttore della Scuola d'Arte, grazie alla provvidenziale intercessione di L'Eplattenier: il risultato di quindici mesi di fatiche progettuali fu una villa scatolare, di piccole dimensioni, dal vocabolario decorativo vicino alle esperienze dell'art nouveau, citato con numerose ornamentazioni dal sapore silvestre (abeti, nuvole, corvi, foreste e scenari alpestri).
La formazione
Il viaggio in Italia e a Vienna
Infervorato dopo la realizzazione di villa Fallet, Le Corbusier, preso da un'irrefrenabile urgenza creativa, decise di investire il denaro così ricavato in un ambizioso progetto: un viaggio in Italia con cui completare la propria educazione architettonica. Maximilien Gauthier, uno dei massimi biografi dell'architetto, evoca nel seguente modo il fremente entusiasmo che animava l'animo del ragazzo, ormai diciannovenne, alla vigilia del Grand tour nel Bel Paese:
«Ecco dunque Édouard Jeanneret [...] che parte per l'Italia, senza altro gruzzolo se non quello che ha guadagnato, senza nessun appoggio, tranne se stesso. È ora un giovane alto e magro, uno sportivo, un montanaro che se ne va sacco in spalla facendo colazione con poco e pranzando con niente, attraverso città e campagne, col suo taccuino tirato fuori continuamente dalla tasca, per annotare il profilo angoloso di una città all'orizzonte, il contorno di un'abitazione rustica, la pianta di una chiesa o di un palazzo, il rialzo aggraziato di una piazza. Certo, ha letto qualcosa: conosce in fotografia i monumenti ai quali va incontro; ma, davanti alla pietra o al marmo reali, bagnati di viva luce, ciò che prova ogni volta è uno choc inaspettato [...] Sembra comunque certo che Jeanneret abbia imparato di più, peregrinando, vibrante di tensione e di passione d'artista, per Firenze e Siena, Ravenna, Padova, Ferrara e Verona, che rifinendo interminabilmente gli ordini architettonici in rue Bonaparte»
(Maximilien Gauthier)
La distribuzione degli ambienti della certosa di Ema, presso Firenze, folgorò il giovane Le Corbusier
Uno choc inaspettato, ad esempio, venne sperimentato alla visione della certosa di Ema, monastero trecentesco ubicato al Galluzzo, a sud di Firenze, sulla sommità di un dirupo lambito a valle dal torrente omonimo. A colpirlo di questa struttura claustrale non fu tanto l'estetica architettonica generale, quella improntata sugli aspetti più formali e decorativi, bensì i connotati più strettamente funzionali. La certosa di Ema, infatti, lo folgorò in quanto riusciva a coniugare in maniera armoniosa e riuscita la vita collettiva, riservata al chiostro grande, alla sala del capitolo, al parlatorio e al refettorio, con gli spazi privati, ovverosia le celle dei frati, organizzate secondo un motore distributivo applicabile - stando al giudizio del giovane Jeanneret - anche nelle moderne case operaie.
L'itinerario italiano di Jeanneret, tuttavia, non si esaurì al Galluzzo, bensì si dipanò per innumerevoli altre città: memore della lezione di John Ruskin, critico d'arte particolarmente amato da L'Eplattenier che agli splendori rinascimentali preferiva i fasti della stagione medievale, Édouard - dopo esser stato a Pisa e Firenze, dove rimase impressionato dall'imponente mole della cupola del Brunelleschi - si spinse sulla riviera adriatica, facendo tappa a Ravenna, Ferrara, Padova, Venezia e infine Vicenza, visitando quest'ultima solo affrettatamente essendo Palladio un architetto verso il quale L'Eplattenier nutriva ben poche simpatie.[12] Giunto così a Trieste, Jeanneret si inoltrò dapprima a Budapest, e infine a Vienna. Il nostro trascorse ben sei mesi a contatto con la fervente vita artistica della capitale austroungarica, animata da continue rappresentazioni teatrali e musicali - si pensi a Bach, Beethoven, Mozart e Wagner - ma anche dagli interventi architettonici di autori come Otto Wagner, Joseph Maria Olbrich e, soprattutto, Josef Hoffmann. Era quest'ultimo il fondatore della Wiener Werkstätte, una comunità di botteghe artigianali particolarmente attiva nel campo dell'arredamento, del mobilio e del design: nonostante un primo impatto un po' malandato, Hoffmann subì potentemente la fascinazione dei disegni italiani di Jeanneret e invitò quest'ultimo a lavorare nel proprio studio, opportunamente retribuito. Pur apprezzando l'offerta di Hoffmann, e le frequentazioni che un simile discepolato comportava, da Kolo Moser a Gustav Klimt, Édouard non voleva rimanere a Vienna: la sua destinazione ultima era una, ed era Parigi.
A Parigi: Perret
Questo «colpo di testa» risultò sgradito sia a L'Eplattenier sia al padre, i quali poco gradivano una rinuncia così improvvisa e apparentemente sragionata a un incarico prestigioso come quello hoffmaniano: Jeanneret, tuttavia, era fermo nel volersi consacrare alla Ville Lumière e per questo, una volta giunto sulle rive della Senna nel febbraio del 1908 dopo un lungo itinerario dipanatosi per Norimberga, Monaco di Baviera, Strasburgo, Nancy e Lione (dove fece forse conoscenza di Tony Garnier, i cui progetti sulla cité industrielle furono entusiasticamente accolti dal nostro), egli subito si insediò in una mansarda in rue des Écoles, strategicamente collocata tra la Sainte-Chapelle e il Sacré-Cœur. Parigi all'epoca era una città satura di arte e di cultura, ed Édouard poté deliziarsi visitando la modernissima Torre Eiffel, eretta appena un ventennio prima, oltre che Notre-Dame, il museo del Louvre e le più recenti mostre artistiche, dove ebbe l'opportunità di scoprire Matisse e Cézanne.
Egli, tuttavia, era giunto a Parigi anche per consolidare la propria notorietà architettonica e per questo motivo, armato dei disegni eseguiti durante il viaggio italiano, intrecciò una vastissima rete di conoscenze: tra le relazioni saldate in questo periodo vanno senza dubbio menzionate quelle con Frantz-Jourdain, presidente del Salon d'Automne e feroce detrattore dell'architettura così come tradizionalmente concepita, e soprattutto Eugène Grasset, illustratore e decoratore svizzero, il quale - riconoscendone il talento - suggerì a Jeanneret di mettersi in contatto con i fratelli Auguste, Gustave e Claude Perret, pionieri dell'uso del cemento armato in architettura (con il beton, che sino ad allora aveva goduto di una scarsa rappresentanza nel panorama edilizio europeo, era stato realizzato lo stesso studio dei fratelli Perret al n. 25 di rue Franklin, stabile la cui suggestiva immagine architettonica è armonicamente ricavata dall'onesto impiego di tale materiale). «Lei sarà la mia mano destra!»: con queste parole Auguste Perret, presa visione dei suoi disegni, accolse Édouard nel proprio studio.
Inestimabile spartiacque della sua formazione, l'apprendistato presso i Perret, durato quattordici mesi, fu vitale per Jeanneret, il quale così ebbe modo di saggiare le potenzialità costruttive del cemento armato, oltre ad assimilare una nuova concezione del costruire, imperniata su una sintesi efficace tra i bisogni autentici dell'uomo e le moderne tecniche edilizie - una notevole presa di distanza, dunque, dai valori dell'ormai distantissima Scuola d'Arte di La Chaux-de-Fonds.[16] «Per me i Perret sono stati come una sferzata» riconobbe lo stesso architetto in una lettera a L'Eplattenier, aggiungendo poi: «Arrivato a Parigi, avvertii un grande vuoto dentro di me, e mi dissi: "Poveretto! Non sai ancora nulla e, accidenti, non sai neppure cosa non sai!". Fu questa la mia angoscia più grande. Studiando l'architettura romana mi venne il sospetto che l'architettura non fosse un fatto di forme ritmicamente ordinate, bensì qualcos'altro ... Cosa, allora? Non lo sapevo ancora ...». Tale sistemazione professionale, inoltre, gli risultò particolarmente congeniale in quanto gli consentiva nel pomeriggio di continuare a fare la spola tra i musei, l'École des beaux-arts, la Sorbona, la Bibliothèque nationale e quella di Sainte-Geneviève. Come osservato dal Gauthier, dunque, «per Charles-Édouard Jeanneret fu una fortuna che esistesse fra i suoi maestri un Auguste Perret»: certo, non mancarono frizioni tra i due, con divergenze d'opinioni anche sostanziali (celebre quella in merito alla finestra, da concepire verticalmente secondo Perret, in modo tale da assecondare il naturale profilo dell'uomo, e orizzontalmente secondo Le Corbusier, per favorire la captazione della luce e il compito visivo del fruitore, che può in questo modo godere di ampie vedute panoramiche).[17] Ciò malgrado, Jeanneret e Perret erano legati da una salda, e soprattutto reciproca, intesa professionale e umana. Esemplari, in tal senso, le parole proferite da Perret visitando, molti anni dopo, il cantiere dell'Unità d'Abitazione di Marsiglia: «Ci sono solo due architetti in Francia: l'altro è Le Corbusier».
A Berlino: Behrens
Meno felice fu invece il discepolato con Peter Behrens, presso il quale Jeanneret arrivò grazie a L'Eplattenier, dal quale ricevette l'incarico di studiare i metodi di fabbricazione e distribuzione dei prodotti artistici in Germania: fu un'occasione per scrivere l'Etude sur le mouvement d'Art Décoratif en Allemagne e per visitare Francoforte, Düsseldorf, Dresda, Stoccarda, Hagen, Hanau, Weimar, Jena, Amburgo e finalmente Berlino, città dove Behrens aveva lo studio.[19] Presso quest'ultimo Jeanneret rimase cinque mesi, brevemente interrotti solo da una visita a Hellerau, città giardino della Sassonia costruita su progetto di Heinrich Tessenow. Come già accennato, Jeanneret fu tutto sommato deluso dallo studio del Behrens, che pure lo sollecitò a riflettere sul rapporto tra architettura e industria, interiorizzato anche con la visita della celebre Fabbrica di Turbine AEG, e sulle dinamiche lavorative vigenti in uno grande studio. Di seguito si riporta un suo commento:
«Presso Behrens non si fa della vera architettura. Si fanno facciate. Le eresie costruttive abbondano. Di architettura modernista non se ne fa affatto. Può darsi che ciò sia più saggio - più saggio delle elucubrazioni così poco classiche dei fratelli Perret. Ma essi hanno il vantaggio di ricercare molto sulle possibilità dei materiali nuovi. Behrens, personalmente, magari, sarà un protestatario. Ma io non apprendo da lui, comunque, nient'altro, assolutamente, che la facciata di ogni cosa. L'ambiente per il resto è esecrabile [...] sempre più vuoto man mano ed a misura che io vado avanti. Nessun amico possibile, salvo Zimmermann, la cui levatura artistica, peraltro, è insufficiente. Nessun contatto, mai, direttamente con Behrens[20]»
Il viaggio in Oriente
Profondamente disilluso, dunque, Jeanneret non aveva trovato da Behrens le risposte alle domande architettoniche che lo tormentavano. Fu il caso a dare un decisivo impulso alla sua avventura formativa: Auguste Klipstein, un amico versato nella storia dell'arte, stava infatti preparando una tesi di laurea su El Greco, pittore ben rappresentato soprattutto nelle gallerie di Bucarest e Budapest. All'invito di Klipstein di visitare queste due città Édouard, entusiasticamente, replicò: «Bene! Andiamoci allora, e passeremo per Istanbul e Atene: troviamoci a Praga».
Un viaggio inizialmente concepito in maniera improvvisa, «per qualche settimana», finì non solo per prolungarsi per ben sette mesi, bensì per avere un'influenza determinante sulla formazione del nostro. Jeanneret e Klipstein, come inizialmente previsto, si incontrarono a Dresda, per poi ridiscendere a Vienna e a Budapest, metropoli che egli paragonò «a una lebbra sul corpo di una fata»: il viaggio proseguì dunque con tappe a Baja, Belgrado («città incerta cento volte più di Budapest») e alla gola di Kasan. Se al principio questo tour gli sembrava tutto sommato deludente, varcati i confini della Romania e della Bulgaria Jeanneret iniziò a essere pervaso da un felice entusiasmo, suscitato soprattutto dall'architettura rurale, spontanea e docilmente anonima di quei luoghi, che egli studiò con dedizione. Potente fu anche la fascinazione esercitata dalle moschee della Turchia, candide e intrise di luce, e dall'architettura mediterranea, rigorosa ed essenziale, dove «una geometria elementare disciplina le masse: il quadrato, il cubo, la sfera» (come osservato dal Jenger, d'altronde, essendo «cresciuto tra le fitte abetaie e le vallate brumose del Giura, egli è letteralmente abbagliato dalla luce del Sud»). Il voyage d'Orient, tuttavia, raggiunse la propria acme emozionale solo con la visita all'acropoli di Atene e al Partenone, architettura limpida, pulita, rigorosa, sviluppata sull'orizzontalità «gloriosa» dell'architrave e inventata su armoniche proporzioni e su una spazialità che si arricchisce potentemente del contesto geografico circostante. Per preservare, mantenere vivo il ricordo del Partenone, giudicato evocativamente come «pura creazione dello spirito» e come «macchina che commuove», Le Corbusier disegnò profusamente sui suoi taccuini, densissimi di schizzi in bianco e nero, colorati e persino di annotazioni:
«Con la violenza d’un urto, la gigantesca apparizione mi stordì. Il peristilio della collina sacra era superato e, solo e cubico, dall’unico getto delle sue colonne bronzee, il Partenone innalzava il cornicione, questa fronte di pietra. Sotto, dei gradini servivano da supporto e lo tenevano alto con le loro venti ripetizioni. Non esisteva che il tempio, il cielo, e lo spazio delle pietre tormentate da venti secoli di scorrerie. Qui non c’era nulla della vita attorno; uniche cose il Pentelico, in lontananza, creditore di queste pietre. Dopo aver scalato gradini troppo alti, non certo tagliati sulla scala umana, tra la quarta e la quinta colonna scanalata, entrai nel tempio, lungo l’asse. Giratomi di colpo, abbracciai da questo posto, un tempio riservato agli dei ed al sacerdote […] La “a picco” del colle, la sopraelevazione del tempio oltre il livello dei Propilei sottraggono alla percezione ogni vestigia di vita moderna, e d’un solo colpo duemila anni sono spazzati via, un’aspra poesia vi prende; con la testa sprofondata nel cavo della mano, seduto su uno dei gradini del tempio, subisco l’emozione brutale e ne resto scosso […]. La modanatura del Partenone è infallibile, implacabile. Il suo rigore va oltre le nostre abitudini e le possibilità normali di un uomo. Qui è fissata la più pura testimonianza della fisiologia delle sensazioni e della speculazione matematica che può ricollegarvisi; siamo legati dai sensi; siamo rapiti dallo spirito; tocchiamo l’asse dell’armonia. Il Partenone apporta delle certezze: l’emozione superiore, di ordine matematico. L’arte è poesia; l’emozione dei sensi, la gioia dello spirito, che valuta e apprezza, il riconoscimento di un principio assiale che colpisce il fondo del nostro essere [...] “(…) L'Acropoli proietta i suoi effetti fino all’orizzonte. Dai Propilei nell’altro senso la statua colossale di Atena, sull’asse, e il pentelico sul fondo. Questo è importante. Essendo al di fuori di questo asse perentorio, il Partenone a destra e l’Eretteo a sinistra, avete la possibilità di vederli di tre quarti, nel loro aspetto globale. Non bisogna sempre mettere le architetture sugli assi, dal momento che sarebbero come persone che parlano tutte in una volta. L’occhio dello spettatore si muove nel paesaggio (…), ricevendo lo choc dei volumi che si levano intorno. Se questi volumi sono formali e non degradati da alterazioni impreviste, se la disposizione che li raggruppa esprime un ritmo chiaro e non un insieme incoerente, se i rapporti dei volumi e dello spazio sono costruiti in proporzioni giuste, l’occhio trasmette al cervello sensazioni coordinate e lo spirito ne trae sensazioni di piacere di ordine elevato: questa è architettura»
(Le Corbusier)
Il ritorno a La Chaux-de-Fonds
A Istanbul per ragioni fortuite Édouard incontrò il proprio maestro Perret, dal quale fu prontamente sollecitato a ritornare in Francia, allo studio: «Ritorniamo insieme a Parigi, ho del lavoro per uno come lei» (il riferimento è al teatro degli Champs-Élysées, uno dei capolavori perretiani più celebri). Jeanneret, tuttavia, declinò e decise di fare ritorno nella propria città natale, La Chaux-de-Fonds, dopo tappe a Pompei, Napoli, Roma e Firenze.
A causa della fatica a recidere il cordone ombelicale che lo legava ai luoghi e ai compagni dell'infanzia e, al contempo, ad assimilare le tumultuose novità recepite con il Voyage d'Orient, Jeanneret dunque prese la decisione di assumere la cattedra di «elementi geometrici, applicazioni diverse all'architettura, esecuzione pratica» presso la nuova sezione della scuola d'arte di La Chaux-de-Fonds. L'Eplattenier intendeva infatti fare di La Chaux-de-Fonds un centro culturale in grado di rivaleggiare con Monaco, Parigi e Vienna, e per questo motivo riunì a sé gli ex allievi più dotati, nella prospettiva di renderli insegnanti e di dare un nuovo impulso a una scuola d'arte oppressa dalla tradizione, non preparata alle nascenti sfide dell'industrializzazione e priva di un iter formativo volto a tutte le professioni nel campo dell'arte.
Quest'esperienza didattica, tuttavia, fu fallimentare, oltre che di breve durata, e franò sotto il peso dei sabotaggi e delle critiche dei professori più anziani e tradizionalisti, per causa dei quali si diffuse nell'apatica cittadinanza la credenza che tale corso, non certamente compatibile con la serietà della vecchia scuola d'Arte, fosse utile solo a dare vita a bohémien dilettanti, inetti e sfaccendati. A ciò si aggiunsero anche i pesanti contrasti che sorsero tra Jeanneret e L'Eplattenier, il quale intendeva riconvertire il proprio discepolo (ormai divenuto costruttore di rispetto e connoisseur delle potenzialità del cemento armato) alla decorazione. Ne sorse un'aspra disputa, che fu composta dopo poco, anche se le relazioni fra i due uomini non ripresero più l'antica intimità.
Intanto all'attività didattica, Jeanneret affiancò quella più strettamente progettuale. A questi anni risalgono infatti varie realizzazioni, perlopiù connesse all'edilizia residenziale: villa Jeanneret-Perret, progettata per i genitori in rue La Montagne; villa Favre-Jacot, programma edilizio eseguito su commissione dell'omonimo industriale; il cinematografo La Scala, sempre a La Chaux-de-Fonds, dove si palesa in tutta la sua potenza il portato stilistico del soggiorno tedesco con reminiscenze hoffmanniane, behrensiane e fischeriane; infine, la celebre villa Schwob.
La Maison Dom-ino e l'attività pittorica
Nonostante questa fervida alacrità progettuale Jeanneret iniziò a maturare una vera e propria insofferenza per La Chaux-de-Fonds, villaggio provinciale e dagli orizzonti ristretti, certamente incomparabile con la grandiosità della Ville Lumiere, metropoli ricca di monumenti da studiare e di occasioni formative presso la quale egli in cuor suo non vedeva l'ora di fare ritorno. Pur godendo ormai di una buona fama nella ricca borghesia La Chaux-de-Fonds, infatti, Édouard era consapevole di come non sarebbe mai potuto maturare in un ambiente così povero di stimoli e di come fosse necessario, al contrario, recarsi in una realtà come Parigi, vero e proprio cuore pulsante del Vecchio Continente, sia dal punto di vista intellettuale sia da quello più strettamente architettonico.
Nel frattempo, tuttavia, era scoppiata con tutta la sua tragica prepotenza la prima guerra mondiale, la quale - oltre a impedire ai privati di partire - stava già mostrando la sua brutalità con le prime distruzioni nelle Fiandre. Fu così che Jeanneret, sollecitato dall'incalzare delle prime devastazioni belliche, si attivò con l'ideazione della maison Dom-Ino, progetto che - con la ripetizione seriale di una cellula edilizia costituita da due solai, sei pilastri, sei plinti di fondazione e aggregabile secondo varie configurazioni - avrebbe potuto favorire la ricostruzione edilizia alla sospirata stipula della pace.
Interrotta ormai definitivamente l'attività didattica ed elaborato il progetto Dom-Ino, l'instancabile Jeanneret fu attivo anche sotto il profilo pittorico, continuando a dipingere ed esponendo nel 1912 presso Neuchâtel, in Svizzera, i vari elaborati grafici eseguiti nel corso dei viaggi in Oriente, destinati a occupare persino le sale del Salon d'Automne parigino. Non meno intense furono le sue letture: entusiasta autodidatta, Jeanneret in questi anni divorò le Teorie di Maurice Denis e la Storia dell'architettura di Auguste Choisy, nella speranza di reperire i mezzi necessari per carpire l'intima essenza dell'architettura e della realtà.
Da Jeanneret a Le Corbusier: la gioia del costruire
L'avventura purista e L'Esprit Nouveau
Come si è visto il richiamo di Parigi era troppo potente per rimanere inascoltato e, per questo motivo, nel 1917 Jeanneret si insediò con entusiasmo al n. 20 di rue Jacob, a poca distanza dall'abbazia di Saint-Germain-des-Prés.[N 2] In Francia, pur essendo tonificato da una personalità vigorosa e battagliera e da un'energia straripante, Édouard fu travagliato da continue asperità professionali e, conseguenzialmente, economiche: in prima e seconda istanza fu consulente architettonico della Société d'application du beton armé (SABA), società di ricerca per la quale progettò una torre-cisterna a Podensac e altre opere per la difesa nazionale, e dirigente della Société d'Entreprises Industrielles et Etudes (SEIE). Successivamente si assunse la dirigenza della Briqueterie d'Alfortville, impresa interessata alla produzione di diversi componenti del processo produttivo che, a causa dell'inesperienza stessa di Le Corbusier nell'imprenditoria e delle difficoltà attraversate dallo scenario edile francese in quegli anni, non riuscì a decollare e fallì miseramente.
Amédée Ozenfant: fu piuttosto la conoscenza di questo pittore e teorico d'arte francese, incontrato nel 1918 grazie all'intercessione di Perret, a stimolare la crescita architettonica di Jeanneret, anche se trasversalmente. In quegli anni, infatti, Édouard si sentiva più a proprio agio con i pennelli che con il compasso, tanto che nonostante le varie peripezie esistenziali non aveva mai cessato di dipingere: l'amicizia con Ozenfant, dunque, fu decisiva per lo sviluppo di un linguaggio pittorico più coerente, poi mirabilmente trasposto - come si vedrà - in architettura. Con Amédée, infatti, Jeanneret ebbe l'opportunità di meditare sulla lezione di Monet, Signac, Matisse, di confrontarlo con il messaggio di L'Eplattenier e di informare orientamenti stilistici ben precisi, risolti poi nella redazione di un opuscolo dimostrativo denominato Après le Cubisme [Dopo il Cubismo]. Rigettando le proposte di Picasso e dei cubisti tutti, rei di aver prodotto dipinti oscuri e irrazionali, Jeanneret e Ozenfant intendevano dar vita a una forma d'arte, evocativamente denominata «purismo», tendente a forme ordinate, rigorose, non decorative e in grado di captare in maniera intellegibile lo «spirito moderno».
Tra Jeanneret e Ozenfant, dunque, si stabilì una fervida intesa, non solo pittorica ma soprattutto umana: i due, infatti, iniziarono a esporre insieme e, fatta conoscenza del poeta Paul Dermée, per propagandare il nuovo verbo purista fondarono una rivista d'arte, L'Esprit Nouveau (il titolo fu desunto da una conferenza tenuta dal poeta Guillaume Apollinaire). Quest'iniziativa, che i due orchestrarono abilmente per promuovere le proprie teorie in fatto d'arte e le proprie iniziative, diede vita a ben ventotto numeri, stampati tra il 1920 e il 1925 con la collaborazione anche di nomi illustri, come Adolf Loos, Élie Faure, Louis Aragon e Jean Cocteau: fu proprio in quest'occasione che, simbolicamente, nacque lo pseudonimo «Le Corbusier», delle cui origini si è già parlato.
La prima epopea architettonica di Le Corbusier: Vers une architecture, abitazioni e proposte urbanistiche degli anni 1920
Mirabile sintesi dei concetti più salienti espressi nelle varie puntate de L'Esprit Nouveau è Vers une architecture [Verso una architettura], opera letteraria pubblicata nel 1923 e prontamente divenuta fra i più valenti ed esplosivi manifesti teorici non solo di Le Corbusier, ma dell'intero canone architettonico moderno. Semplificando la complessa elaborazione teorica di Le Corbusier - che verrà analizzata maggiormente nel dettaglio nel paragrafo Stile - in questa sede è possibile anticipare che, in completa antitesi con l'architettura tradizionale, la filosofia progettuale lecorbusierana prevedeva edifici concepiti come strumenti di abitazione (machine à habiter) e realizzati secondo forme geometriche rigorosamente elementari ottenute sfruttando le nuove possibilità costruttive offerte dal calcestruzzo armato e, pertanto, negando completamente qualsiasi sussulto stilistico del passato. Questa nuova strategia con cui concepire lo spazio architettonico nel XX secolo è cristallizzata in particolare nell'impiego di pilotis (esili pilastrini su cui sollevare l'abitazione lasciando libero il pianterreno), tetti-giardino (in luogo delle ormai obsolete falde pendenti), piante e facciate libere e finestre a nastro (essendo l'elevazione verticale dell'edificio affidata a un telaio in cemento armato e non a setti murari è finalmente possibile organizzare gli spazi architettonici in maniera libera, fluida).
 Maison Citrohan alla Weißenhofsiedlung
Secondo i principi esposti in Vers une architecture sono realizzate gran parte delle architetture di questo decennio: si pensi alla maison Citrohan, primo prototipo di casa seriale a basso costo, dalla pianta razionale e semplice, o ai progetti di Immeuble-Villas, rispondenti alla necessità di dover conciliare le esigenze di vita privata e pubblica dei fruitori e concepite, in un certo senso, sul modello monastico della certosa di Ema. Altrettanto significative, oltre a questi tentativi di risolvere la vexata quaestio della «casa per tutti», sono le residenze realizzate su committenza di una clientela particolarmente benestante e interessata a fornire il proprio contributo, seppur modesto, allo svecchiamento dell'architettura che contava tra i propri esponenti più in vista personalità come Lipchitz, Miestchanikoff, Ternisien, Planeix, Cook, La Roche, Stein e altri artisti o appassionati d'arte. Ispirandosi ai risultati già conseguiti con la maison Citrohan, che trovò espressione per la prima volta nel 1927 nell'ambito del programma edilizio della Weissenhofsiedlung, oltre che ai punti già promossi in Vers une architecture, Le Corbusier progettò infatti un considerevole numero di residenze private, perlopiù ubicate nei signorili quartieri appena fuori Parigi: Auteuil, Neuilly, Boulogne, La Celle-Saint-Cloud, Garches, Poissy. Esempi mirabili di quest'edilizia sono la Maison La Roche-Jeanneret, villa bifamiliare dove oggi si è insediata la Fondation Le Corbusier, la celeberrima villa Savoye - unanimemente considerata un capolavoro dell'architettura moderna - e la Petite Maison di Corseaux, rigorosamente essenziale sia sotto il profilo formale sia costruttivo e realizzata per gli anziani genitori.
Animato da un vulcanico desiderio di creare, talmente pressante da fargli esclamare «lavorare non è un punizione, lavorare è respirare!» in quanto «respirare è una funzione straordinariamente regolare: né troppo rapida, né troppo lenta, ma costante», Le Corbusier applicò le sue riflessioni anche sulla scala urbana, producendo un'apprezzabile quantità di studi e pubblicazioni poi sfociati nella redazione del Progetto per una città di tre milioni di abitanti, ipotetico agglomerato metropolitano strutturato su una tessitura ortogonale in modo tale da risolvere «quattro brutali postulati: decongestionare il centro delle città, incrementare la densità della popolazione, favorire lo scorrimento dei mezzi di circolazione e accrescere le aree a verde». Il Plan Voisin, presentato da Le Corbusier nel 1925 al Padiglione dell'Esprit Nouveau, parte dalle basi del precedente progetto e ipotizza un radicale intervento di demolizione e ricostruzione per risolvere concretamente le annose problematiche urbanistiche di Parigi; interessanti anche i quartieri operai di Lège e Pessac, complessi residenziali popolari risolti in abitazioni bifamiliari e a schiera e commissionati nel 1923 dal ricco industriale dello zucchero Henry Frugès per fornire alloggi ai dipendenti della propria ditta.
Gli smacchi del Palazzo delle Nazioni e di Mosca, il CIAM
Grazie a questa fervida attività progettuale e letteraria Le Corbusier consolidò in maniera vertiginosa la sua fama, suggellata anche dalle continue conferenze che andava tenendo in tutta Europa (Parigi, Bruxelles, Praga, Losanna) e dalla capillare diffusione dei suoi libri, che ormai correvano in tutto il continente in innumerevoli traduzioni. In molti - dai ricchi committenti appartenenti alla classe industriale francese ai critici d'architettura - ormai apprezzavano le innovative proposte lecorbusierane, le quali - nel bene e nel male - destavano unanime interesse.
Di particolare interesse è il breve ma intenso affresco professionale e umano che Le Corbusier inviò alla madre nel 1927 anno in cui festeggiò il quarantesimo compleanno e, pertanto, foriero di primi bilanci:
«Questi quarant'anni rappresentano dieci anni di sforzi faticosi e senza ricompensa. Poi dieci anni di disorientamento, di speranza e di un certo orgoglio dei genitori. Poi dieci anni di fierezza e paure. E infine dieci anni durante i quali sarebbe stato meglio che i miei genitori avessero ignorato ciò che questi comportarono in quanto a battaglie, situazioni patetiche, turbamento intenso, volontà tenace, rabbia, disperati sforzi senza esito, speranze sempre vive, eccetera ... Questi quarant'anni compiuti cadono in un punto ascendente della curva che spero continuerà la sua ascesa in spirale. Dopo questi quattro gruppi di dieci anni, di cui tre sono segnati da quello che si può definire il dolore umano - sogno sempre sconfitto dalla inesorabile realtà - la lotta sembra orientarsi in settori più efficaci, su soggetti di cui vale la pena occuparsi ... mentre durante almeno due gruppi di dieci, vale a dire vent'anni (!!!), questa lotta è stata stupida, mal condotta (...), inutile»
(Le Corbusier)
Questi anni, tuttavia, videro anche Le Corbusier fallire rovinosamente, e in due puntate. Nel 1927 la Società delle Nazioni, ente interstatale istituito dopo la prima guerra mondiale per promuovere il benessere materiale e morale del consesso umano mediante la risoluzione diplomatica delle controversie internazionali, aveva varato un concorso per la progettazione della propria sede a Ginevra, in Svizzera. In collaborazione con il cugino Pierre Jeanneret, con il quale aveva aperto uno studio parigino al n. 35 di rue de Sèvres, Le Corbusier riuscì a dare vita a un progetto che, per la sua modernità, funzionalità e accessibilità, fu particolarmente gradito dai giurati, fra i quali si contavano diversi architetti della vecchia scuola (Horta, Berlage, e persino Hoffmann): l'esito del concorso, tuttavia, si risolse per Édouard in un primo premio ex aequo con altri progetti di matrice accademica. E ancora: a causa di una lieve svista - non era stato utilizzato inchiostro a china per i disegni, così come previsto dal bando, bensì inchiostro tipografico - si paventò addirittura l'ipotesi che Le Corbusier avesse presentato copie e invece che originali, e perciò alla fine fu persino esiliato dal novero dei vincitori. Questo significativo insuccesso costituì per Le Corbusier una ferita particolarmente lenta a rimarginarsi, se nella prefazione della terza edizione di Vers une architecture scriveva: «Noi a Ginevra abbiamo proposto un edificio moderno. Scandalo! La "buona società" si aspetta un "palazzo", e per lei un vero "palazzo" deve assomigliare alle immagini raccolte qua e là in viaggio di nozze nella terra dei principi, dei cardinali, dei dogi o dei re». Ciò malgrado, Le Corbusier riuscì a manipolare abilmente la sensazione suscitata dall'inaspettato esito del concorso, riuscendo in questo modo a imporsi come l'interprete più sensibile e, per questo, osteggiato, dell'architettura moderna.
Le Corbusier visse un'altra pesante mortificazione in occasione di un altro concorso, stavolta bandito dall'Unione Sovietica e relativo alla progettazione del Palazzo dei Soviet, centro amministrativo e di congressi da erigersi a Mosca nei pressi del Cremlino. Il progetto proposto dall'architetto, consistente in due monumentali sale dalla capacità complessiva di 21 500 spettatori e sviluppate alle estremità di un maestoso asse - fu giudicato dagli amministratori del concorso un «capolavoro del funzionalismo» e, per il medesimo motivo, fu scartato in quanto giudicato pericoloso dalle autorità sovietiche, che vi intravidero il germe dell'«industrialismo», da sopprimere all'istante. Le Corbusier, tenacemente, tentò di risolvere diplomaticamente il fraintendimento, ma invano: i responsabili moscoviti, infatti, non mutarono minimamente il loro verdetto finale, e l'architetto pertanto uscì sconfitto una seconda volta. Malgrado queste pur significative battute d'arresto Le Corbusier continuò a lavorare alacremente - a questi anni risalgono i progetti, stavolta realizzati, della Città-Rifugio dell'Esercito della Salvezza, del Padiglione della Svizzera alla Cité Universitarie di Parigi, del Molitor e dell'Immeuble Clarté - e, anzi, riuscì persino ad acquisire la cittadinanza francese (nel settembre del 1930) e a coronare il proprio sogno d'amore con Yvonne Gallis, vivace donna dalle origini monegasche con cui si unì in matrimonio nel dicembre 1930 (l'architetto ne avrebbe parlato nei termini di una «donna di grande cuore e grande volontà, integrità e bontà»).
Dall'umiliazione del Palazzo della Società delle Nazioni, tuttavia, presero forma i Congressi internazionali di architettura moderna (CIAM), incontri internazionali di architetti e urbanisti istituiti per la prima volta da Le Corbusier stesso nel giugno 1928 a La Sarraz, nel cantone svizzero di Vaud. La ferocia con cui gli ambienti accademici infierivano contro il Movimento Moderno, secondo il giudizio di Édouard, obbligava alla solidarietà tutti coloro che si riconoscevano in tale definizione, i quali - grazie agli appuntamenti costituiti dal CIAM - avrebbero avuto finalmente l'opportunità di riunirsi e di discutere in una prospettiva unitaria e costruttiva in merito a problemi di molteplice natura, come le abitazioni a basso costo, l'urbanistica, l'estetica, il ruolo dell'architettura moderna nel XX secolo, e così via. Di particolare spessore fu in particolare il dibattito del 1933, svoltosi in navigazione da Marsiglia ad Atene, in occasione del quale prese vita la cosiddetta «Carta d'Atene», manifesto d'urbanistica nel quale si riconobbero le varie problematiche alle quali tale disciplina doveva necessariamente trovare risposta.[39] Intanto infittì la sua rete sociale, allacciando rapporti con Charles Brunel (sindaco di Algeri) oltre che con Francesc Maciá (prefetto di Barcellona), Giuseppe Bottai (governatore di Addis Adeba) e André Morizet (sindaco di Boulogne-Billancourt) e elaborando diversi piani urbani per le città da essi amministrate. Al 1935 risale un ciclo di conferenze negli Stati Uniti, nazione che lo colpì molto e che suscitò nel suo animo impressioni poi trascritte su carta con la redazione di Quando le cattedrali erano bianche, libro pubblicato nel 1936 che si basa sul confronto antitetico tra la cultura europea e quella americana.
La parentesi della seconda guerra mondiale
L'attività progettuale di Le Corbusier (in maniera analoga al settore edilizio francese tutto) subì una brusca eclissi con lo scoppio della seconda guerra mondiale e il continuo e inesorabile propagarsi dello spettro hitleriano nel continente. Dopo aver ideato un sistema di case montabili e smontabili per i rifugiati, con l'occupazione nazista di Parigi, Le Corbusier ritenne prudente chiudere il proprio studio a rue de Sèvres e trasferirsi a Ozon, un piccolo villaggio incastonato nei Pirenei, dedicando ivi il proprio tempo alla vorace lettura dei testi di Balzac, Poe, Flaubert, Hugo e De Musset. Intorpidito da quest'inerzia nel 1940 Le Corbusier accettò di impiegarsi per il governo collaborazionista di Vichy su invito del ministro dell'interno Marcel Peyrouton in virtù di membro del commissariato per la lotta alla disoccupazione e del comitato istituito per accelerare la ricostruzione edilizia nelle zone coinvolte dalla guerra. Pur essendo animato da forti ideali in questi anni Le Corbusier dovette fare i conti non solo con una struggente nostalgia di Parigi, città «potente e bella e forte», ma anche con l'ostilità della cultura architettonica locale, ancora fortemente intrisa di accademismo, oltre che della classe politica tutta, del tutto insensibile all'architettura moderna e spaventata da un pensiero così innovatore. Disilluso, alla fine fu costretto ad ammettere l'inconcludenza di quegli anni terribili: «La mia pazienza vichyese è giunta al termine e preparo le valigie. È una città di amministrazione che ha soppiantato una città termale in cui si curavano i malati di bile». Giunto nuovamente sotto l'ombra della torre Eiffel Le Corbusier ristabilì lo studio a rue de Sèvres. Il «periodo allucinante iniziato da cinque anni» con la deflagrazione della seconda guerra mondiale stava finalmente terminando, e nel 1944 Parigi fu liberata dagli Alleati:
«Dal mio tetto ho assistito per un mese al preambolo e poi alla violenta realizzazione della liberazione di Parigi. [...] Le battaglie aeree, i bombardamenti di giorno e di notte sulle stazioni di smistamento o i ponti, i depositi di munizioni che esplodevano in lontananza, vicino e a cento metri da casa nostra, tutto questo occupava le ventiquattro ore; le sirene ci spedivano in cantina più volte al giorno e di notte: una forzata monotonia, che brillava nel puro bagliore della canicola»
(Le Corbusier)
Gli accordi finali
Agli esiti favorevoli dell'Unità d'Abitazione di Marsiglia si ispira la Corbusierhaus di Charlottenburg-Wilmersdorf, a Berlino, sempre realizzata dal maestro
Questa «forzata monotonia», per ripetere le parole di Le Corbusier, ebbe fine nel 1945, quando con gli anni della ricostruzione in Francia si inaugurò un periodo di eccezionale produttività per l'architetto, da tutti i possibili punti di vista: edilizio, urbanistico, teorico. I danni di guerra patiti dal patrimonio architettonico e residenziale francese dischiusero ampie prospettive professionali per Le Corbusier, il quale dal 1945 fu attivo nella costruzione di un complesso edilizio a carattere sperimentale finalizzato a contrastare la lacerante mancanza d'alloggi venutasi a creare dopo la guerra: a questo edificio popolare, a sovvenzione statale, l'architetto diede il nome di Unité d'Habitation: «Dautry [ministro della Ricostruzione e dell'Urbanistica, n.d.r.] mi impone di fare con urgenza un grande lavoro, un edificio residenziale a Marsiglia. Per fortuna ormai mi occupo di questo tema da quindici anni!». Questo incarico, conclusosi nel 1952 con l'inaugurazione del complesso edilizio, valse all'architetto la Legione d'Onore, conferitagli il 14 ottobre di quell'anno da Claudius-Petit. A questi anni risalgono anche la cappella di Notre-Dame du Haut, presso Ronchamp, massimo esempio dell’architettura religiosa del XX secolo per la sua plasticità razionalista ma dinamica, quasi poetica, oltre che la Fabbrica Duval a Saint-Dié (1946-1950) e le Case Jaoul a Neuilly-sur-Seine, dove viene suggellato il trapasso brutalista dell'architetto. Ancor più prestigioso, tuttavia, fu l'incarico che gli venne assegnato dal governo del Punjab, istituito nel 1947 in seguito alla scissione indo-pakistana, di redigere un piano urbanistico per la nuova capitale di Chandigarh, dove poter finalmente sfruttare in tutta la sua armonia la potenza espressiva del cemento armato: altra importante creazione lecorbusierana di questi anni fu il convento di La Tourette, anch'esso dall'austero e spirituale carattere brutalista. Di queste opere, nel dettaglio, si discuterà nelle rispettive voci. In questi anni, insomma, l'ingegno lecorbusierano raggiunse vertici creativi senza pari, tanto che il maestro era richiesto a Bogotà, Tokyo, in India, a partecipazioni, convegni e mostre. Basti leggere la seguente lettera, inoltrata alla petite maman nel 1955, per comprendere come negli anni cinquanta e sessanta la vita di Le Corbusier fosse satura di impegni:
«Il tempo fugge via con la velocità di un ciclone. A separare la sera dal mattino è un fuggitivo quarto d'ora: neanche il tempo di respirare. Gli impegni sono sfibranti, persino pericolosi! A volte squilla il campanello d'allarme, attraverso piccoli segni. Occorre prendere posizione. Sto attento, mi sforzo di dominare questa specie di incendio che avvolge i minuti e le forze della vita. Ho cessato ogni tipo di attività mondana. Non vedo nessuno, mi nego a tutti, e questo crea una diga implacabile contro le visite. Ignoro tutto ciò che mi rumoreggia intorno. Silenzio»
(Le Corbusier)
Ormai anziano, per contrastare una vita così indaffarata Édouard aveva fatto costruire nel 1951 presso Roquebrune-Cap-Martin, in Costa Azzurra, un minimalista capanno di legno dove poter rifugiarsi dalle insidie della vita e ritirarsi a meditare, leggere, disegnare, scrivere e riposare, il Cabanon. Fu proprio qui che si concluse la sua parabola non solo professionale, ma anche umana, nel 1965, quando in una apparentemente innocua nuotata nel Mediterraneo nello spicchio d'acqua antistante il Cabanon, Charles-Édouard Jeanneret-Gris fu folgorato da una crisi cardiaca e morì sul colpo. Sinceramente pianto da tutti i suoi contemporanei, gli furono tributate esequie solenni a cui parteciparono migliaia di francesi che vollero salutare, per l'ultima volta, il loro architetto più grande. Egli fu infine sepolto nel cimitero marino di Roquebrune, accanto alla moglie Yvonne, scomparsa esattamente otto anni prima.
Stile
L'umanesimo lecorbusierano e la polemica antiaccademica
Per avvicinarsi all'architettura di Le Corbusier è utile prendere come punto di riferimento quell'opera che, lei più di tutte, riesce a identificare in maniera compiuta la sua persona: trattasi della sua carta d'identità. Su questo documento, nel campo relativo alla professione, egli infatti si presenta in maniera significativa e assolutamente emblematica come homme de lettres [uomo di lettere]: questo elemento, apparentemente laterale, ci rivela in realtà molto su un uomo che, oltre a esser stato uno dei sovrani dell'architettura moderna, è stato anche uno scrittore prolifico, oltre che - per riportare il giudizio di Luca Molinari - «l'ultimo dei grandi umanisti della storia della cultura occidentale». La sfida che Le Corbusier si propone, infatti, è quella di porre al centro della propria indagine architettonica l'uomo, definito da esigenze di natura fisica, psicosomatica e culturale (in termini di benessere spaziale, termico, sonico), oltre che dal bisogno-diritto di essere felice.
Mutuando la filosofia antropocentrica propria dei pensatori dell'antica Grecia, del Rinascimento e dell'Illuminismo, Le Corbusier, fermo nell'opinione che «si deve tentare di trovare sempre la scala umana» e che «l'architettura è l’attività che produce popoli felici», si interroga su come possa esser raggiunta la felicità in un'epoca dove gli architetti, avviluppati negli sterili e conformisti accademismi delle scuole, si crogiolavano nelle forme dell'art nouveau e si abbandonavano a calligrafie esuberanti, producendo veri e propri misfatti estetici e denunciandosi incapace di rapportarsi con la realtà circostante. Se l'architettura del XX secolo era «in penoso regresso», secondo il giudizio di Le Corbusier, era proprio a causa di questa convulsa e superflua tendenza all'ornamentazione.
L'estetica degli ingegneri e la casa come machine à habiter
In contrapposizione ai deliri decorativi messi in essere dalla mediocre architettura novecentesca Le Corbusier impone gli ingegneri, figura già paradigmatica dell'Ottocento, i quali - anche se in modo inconsapevole - producevano edifici esteticamente validi: generano, in un certo senso, bellezza in maniera del tutto inconscia, in quanto non consideravano la casa come un pretesto per sperimentazioni ornamentali, bensì come un prodotto edilizio le cui caratteristiche vanno connesse strettamente, se non esclusivamente, alla soluzione di problemi funzionali e meccanici. Fu per questo motivo che Le Corbusier volle riabilitare l'estetica degli ingegneri in quanto concepita secondo una «modernità priva d'intenzionalità stilistico-estetica, scaturita direttamente dal corretto svolgimento di problemi ben posti» (Biraghi). Le Corbusier, in Vers une architecture, tesse una vera e propria apologia degli ingegneri, riportata di seguito:
«I creatori della nuova architettura sono gli ingegneri. [...] I nostri ingegneri sono sani e virili, attivi e utili, morali e gioiosi. I nostri architetti sono disillusi e oziosi, fanfaroni o cupi. Ciò è dovuto al fatto che presto non avranno più niente da fare. Non abbiamo più soldi per dare un assetto ai ricordi della storia. Abbiamo bisogno di lavarci [...]. Si crede ancora, qua e là, agli architetti, come si crede ciecamente a tutti i medici. Bisogna pure che le case reggano! Bisogna pure ricorrere all'uomo d'arte! E l'arte, secondo Larousse, è l'applicazione delle conoscenze alla realizzazione di un concetto. Ora, oggi sono gli ingegneri che hanno queste conoscenze, che sanno come tenere in piedi un edificio, come scaldarlo, ventilarlo, illuminarlo. Non è così?»
(Le Corbusier)
A questi criteri funzionalisti, ad esempio, rispondono tutte quelle macchine, come i piroscafi, gli aerei, le automobili, elevate da Le Corbusier a simbolo del proprio Zeitgeist, le quali con il loro rigore funzionalista esercitano delle suggestioni che è corretto e, anzi, conveniente trasporre tout court in architettura. Non a caso, in Vers une architecture Le Corbusier propone raffronti grafici inizialmente giudicati inaccettabili, se non blasfemi, dove a un'immagine del Partenone corrisponde in basso quella di un'automobile, «perché si comprenda che si tratta in campi differenti di due prodotti di selezione, l'uno realizzato compiutamente, l'altro in una prospettiva di progresso», osserva l'architetto, concludendo poi: «Allora restano da confrontare le nostre case e I nostri palazzi con le automobili». Altrettanto suggestivi ed emozionanti risultano, secondo Édouard, i piroscafi:
«Occhi che non vedono. Se si dimentica per un istante che un piroscafo è uno strumento di trasporto e lo si guarda con occhi nuovi, ci si sentirà di fronte a una manifestazione importante di temerarietà, di disciplina, di armonia, di bellezza calma, nervosa e forte, un architetto serio che guardi da architetto (creatore di organismi) troverà in un piroscafo la liberazione da schiavitù secolari maledette. Preferirà, al rispetto pigro delle tradizioni, il rispetto delle forze della natura: alla piccolezza delle concezioni mediocri, la maestà di soluzioni derivanti da un problema ben posto, richieste da questo secolo di grande sforzo che ha appena fatto un passo da gigante. La casa dei terrestri è l'espressione di un mondo piccolo e superato. Il piroscafo è la prima tappa nella realizzazione di un mondo organizzato secondo lo spirito nuovo»
(Le Corbusier)
Da questa analisi serrata Le Corbusier giunge alla naturale conclusione che la casa va assimilata a uno strumento d'abitazione, a una «macchina per abitare» messa a punto dalla civilisation del XX secolo e perfettamente funzionale, al pari delle macchine summenzionate, all'assolvimento efficace della sua funzione principale, ovverosia quella abitativa-residenziale: «Une maison est une machine à habiter». Su questa formula, certamente provocatoria e destinata a suscitare molte polemiche, si è soffermato ancora una volta il Gauthier:
«Macchina per abitare, dice Le Corbusier. Ha ragione. Infatti, esprimendosi così, pone il problema sul piano reale. Ci indirizza verso una corretta concezione del problema dell'alloggio. [...] In conclusione si chiede agli architetti, che sono o dovrebbero essere degli artisti, di mostrarsi accorti almeno quanto gli industriali, costruttori di aerei, di automobili, di piroscafi, di macchine da scrivere, di stilografiche, di mobili per ufficio, di bauli, di mille oggetti fabbricati perché prestino esattamente quel servizio che abbiamo il diritto di aspettarci da loro»
(Maximilien Gauthier)
I Cinque punti di una nuova architettura
Ma a quali standard, esattamente, deve rispondere quella «macchina per abitare» che è la casa? Le Corbusier, basandosi sulla sostituzione dei muri portanti con uno scheletro in cemento armato, enunciò in tal senso cinque punti assiomatici, vérités irrécusables alle quali appellarsi imprescindibilmente per innovare in maniera positiva l'architettura moderna.
1. I pilotis
«Ricerche assidue e ostinate hanno condotto a risultati parziali che possono esser considerati come prove di laboratorio. Questi risultati aprono nuove prospettive all’architettura, e queste si offrono all’urbanistica, che vi può trovare i mezzi per risolvere la grande malattia delle città attuali. La casa su pilotis! La casa si approfondiva nel terreno: locali oscuri e sovente umidi, Il cemento armato rende possibili i pilotis. La casa è nell’aria, lontano dal terreno; il giardino passa sotto la casa, il giardino è anche sopra la casa, sul tetto»
I pilotis, termine francese traducibile in «pilastri» o «palafitte», sostituiscono i voluminosi setti in muratura che penetravano fin dentro il terreno, per fungere infine da fondazioni, creando invece dei sostegni molto esili, poggiati su dei plinti, su cui appoggiare poi i solai in calcestruzzo armato. L'edificio è retto così da alti piloni puntiformi, di cemento armato anch'essi, che elevano la costruzione separandola dal terreno e dall'umidità. L'area così resa disponibile viene utilizzata come giardino, garage o – se in città – per migliorare la viabilità facendovi passare le strade.
2. I tetti-giardino
«Da secoli un tetto a spioventi tradizionale sopporta normalmente l’inverno col suo manto di neve, mentre la casa è riscaldata con le stufe. Da quando è installato il riscaldamento centrale, il tetto tradizionale non conviene più. ll tetto non dev'essere spiovente ma incavato. Deve raccogliere le acque all’interno, non più all’esterno. Verità incontestabile: i climi freddi impongono la soppressione del tetto spiovente e esigono la costruzione dei tetti-terrazze incavati, con raccolta delle acque all’interno della casa. Il cemento armato è il nuovo mezzo che permette la realizzazione delle coperture omogenee. Il cemento armato si dilata fortemente. La dilatazione fa spaccare la struttura nelle ore di improvviso ritiro. Invece di cercare di evacuare rapidamente le acque piovane, bisogna cercare al contrario di mantenere un’umidità costante sul cemento della terrazza, e quindi una temperatura regolata sul cemento armato. Misura particolare di protezione: sabbia ricoperta di lastre spesse di cemento, a giunti sfalsati. Questi giunti sono seminati di erba. Sabbia e radici non lasciano filtrare l’acqua che lentamente. l giardini-terrazze diventano opulenti: fiori, arbusti e alberi, prato»
I cinque punti postulati da Le Corbusier trovano la loro massima espressione in villa Savoye, presso Poissy, in Francia
Il toit terrasse [tetto a terrazza] ha la funzione di restituire all'uomo il suo rapporto con il verde, che non si insinua soltanto inferiormente all'edificio ma anche, e soprattutto, sopra. Tra i giunti delle lastre di copertura viene messo il terreno e vengono seminati erba e piante, che hanno una funzione coibente nei confronti dei piani inferiori e rendono lussureggiante e vivibile il tetto, dove si può realizzare anche una piscina. Il tetto giardino è un concetto realizzabile anche grazie all'uso del calcestruzzo armato: questo materiale rende infatti possibile la costruzione di solai particolarmente resistenti in quanto resiste alla trazione generata dalla flessione delle travi (gravate del peso proprio e di quanto vi viene appoggiato), molto meglio dei precedenti sistemi volti a realizzare piani orizzontali.
3. La pianta libera
«Finora: muri portanti. Partendo dal sottosuolo, si sovrappongono formando il pianterreno e gli altri piani, fino al tetto. La pianta è schiava dei muri portanti. Il cemento armato porta nella casa la pianta libera! I piani non devono più esser ricalcati gli uni sugli altri. Sono liberi. Grande economia di volume costruito, impiego rigoroso di ogni centimetro»
Il plan libre [pianta libera] è reso possibile dalla creazione di uno scheletro portante in cemento armato che elimina la funzione delle murature portanti che schiavizzavano la pianta dell'edificio, permettendo all'architetto di costruire l'abitazione in tutta libertà e disponendo le pareti e gli spazi a piacimento, senza necessariamente ricalcare il profilo dei setti sottostanti, con un'eccezionale flessibilità planimetrica.
4. La finestra a nastro
«La finestra è uno degli elementi essenziali della casa. Il progresso porta una liberazione. Il cemento armato rivoluziona la storia della finestra. Le finestre possono correre da un bordo all’altro della facciata. La finestra è l’elemento meccanico-tipo della casa; per tutti i nostri alloggi unifamiliari, le nostre ville, le nostre case operaie, i nostri edifici d’affitto ...»
La fenêtre en longueur [finestra a nastro] è un'altra grande innovazione permessa dal calcestruzzo armato. La facciata, ormai spogliata delle sue funzioni statiche, può infatti ora essere tagliata in tutta la sua lunghezza da una finestra che ne occupa la superficie desiderata, permettendo una straordinaria illuminazione degli interni e un contatto più diretto con l'esterno.
5. La facciata libera
«I pilastri arretrati rispetto alle facciate, verso l'interno della casa. Il solaio prosegue in falso, verso l’esterno. Le facciate sono solo membrane leggere, di muri isolati o di finestre. La facciata è libera; le finestre, senza essere interrotte, possono correre da un bordo all’altro della facciata»
La façade libre [facciata libera] è una derivazione anch'essa dello scheletro portante in calcestruzzo armato. Consiste nella libertà di creare facciate non più costituite di murature aventi funzioni strutturali, ma semplicemente da una serie di elementi orizzontali e verticali i cui vuoti possono essere tamponati a piacimento, sia con pareti isolanti sia con infissi trasparenti.
Tre suggerimenti ai signori architetti: il volume, la superficie, la pianta
I cinque punti (1927), canoni formali che per la loro verità vanno concepiti secondo Le Corbusier come la fondamentale sintassi dell'architettura moderna, in Vers une architecture (1925) vengono forniti «tre suggerimenti ai signori architetti» in merito ad altrettante componenti di un edificio: la pianta, la superficie, e il volume.
Per una figurazione architettonica efficace, infatti, stando al giudizio di Le Corbusier non bisogna sprofondare in futili superfetazioni decorative, «passatempi graditi al selvaggio», bensì realizzare strutture sagomate su forme geometriche semplici, massicce, virili, dalla perfezione «non antica né moderna, bensì semplicemente eterna» (Biraghi) come il cubo, il cono, la sfera, il cilindro e la piramide. Per Édouard, infatti, un fatto architettonico viene percepito dall'intelletto umano come giustapposizione ordinata e armoniosa di più forme semplici: risulta dunque inutile e dannoso complicare la nettezza di queste superfici, che - essendo già di per sé capaci di accendere impressioni estetiche intense - vanno al contrario esaltate nella loro semplicità nitida ed essenziale. Si viene così a generare un'intonata tensione di linee, rettangoli, forme pure che, animate di vita palpabile da una luce che si frantuma violentemente sull'involucro edilizio e si insinua con lirica delicatezza al suo interno, rendono l'architettura consona con le esigenze dei tempi moderni:
«L'architettura è il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi assemblati sotto la luce. I nostri occhi sono fatti per vedere le forme nella luce: l'ombra e la luce rivelano queste forme; i cubi, i coni, le sfere, i cilindri e le piramidi sono le grandi forme primarie… La loro immagine ci appare netta ... E senza ambiguità. È per questo che sono belle le forme, le più belle forme. Tutti concordano su questo, il bambino il selvaggio, il metafisico»
Palazzina di Le Corbusier alla Weißenhofsiedlung di Stoccarda, struttura che trae forza dal «gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi assemblati sotto la luce», per riportare una citazione del maestro
Questa plastica di forme e masse geometriche essenziali, prosegue Le Corbusier, prende definitivo vigore solo se assecondata da superfici nette, in grado di accentuarne l'individualità, e da una pianta intellegibile, logica, corretta, in grado di garantire ordine:
«La pianta è la generatrice. Senza pianta c’è disordine, arbitrio. La pianta porta in sé l'essenza della sensazione. La pianta sta alla base. Senza pianta non c’è grandezza di intenzione e di espressione, né ritmo, né volume, né coerenza. Senza pianta c’è una sensazione insopportabile di cosa informe, di povertà, di disordine, di arbitrio. La pianta richiede la più attiva immaginazione e insieme la più severa disciplina. La pianta determina tutto: è il momento decisivo. (…) è un’austera astrazione. L’ordine è un ritmo afferrabile che agisce su qualsiasi essere umano in egual modo. La pianta porta in se stessa un ritmo primario determinato: l’opera si sviluppa in estensione e in altezza, secondo le sue prescrizioni, dal semplice al complesso, seguendo la stessa legge. L’unità della legge è la legge di una pianta corretta: legge semplice infinitamente modulabile. Nella pianta è già compreso il principio della sensazione»
(Le Corbusier)
Questi enunciati dottrinali distillano la lezione di artisti come Cézanne («trattare la natura secondo cilindri, sfere, coni ...») e architetti come Ledoux («Il cerchio e il quadrato, ecco le lettere alfabetiche che gli autori impiegano nella trama delle opere migliori»),[49] oltre che la propria formazione pittorica, consumatasi nel segno del Purismo: come già accennato nella sezione biografica, infatti, l'estetica purista intendeva superare le tautologie cubiste depurandole da tutte quelle degenerazioni ornamentali in favore di un'arte essenziale, semplificata, rigorosa e per questo motivo logica.
È orchestrando in maniera sapiente questi vari assiomi che, secondo il giudizio di Le Corbusier, si riesce a riformare l'architettura e a raggiungere un effetto estetico che trascende il banale razionalismo utilitario (proprio della pur lodatissima attività ingegneristica, che tutto pospone al soddisfacimento dei bisogni materiali) e che raggiunge vette di nuova poesia e lirismo:
«L'architettura è un fatto d'arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi. La Costruzione è per tener su: l'Architettura è per commuovere»
Il Modulor

Il Modulor
Il principale contributo di Le Corbusier all'architettura moderna consiste nell'aver concepito la costruzione di abitazioni ed edifici come fatti per l'uomo e costruiti a misura d'uomo: «solo l'utente ha la parola», afferma in Le Modulor, l'opera in cui espone la sua grande teorizzazione (sviluppata durante la seconda guerra mondiale), il modulor appunto. Il modulor è una scala di grandezze, basata sul rapporto di determinazione della sezione aurea, riguardo alle proporzioni del corpo umano: queste misure devono essere usate da tutti gli architetti per costruire non solo spazi ma anche ripiani, appoggi, accessi che siano perfettamente in accordo con le misure standard del corpo umano. Albert Einstein elogiò l'intuizione di Le Corbusier affermando, a proposito dei rapporti matematici da lui teorizzati: «È una scala di proporzioni che rende difficile l'errore, facile il suo contrario».
Urbanistica
Le ardite teorie architettoniche di Le Corbusier giungono a una loro razionale compiutezza nei suoi avveniristici progetti urbanistici per le moderne metropoli del XX secolo, le quali - in effetti - si ponevano come realtà architettoniche in scala dilatata. La città architettonica contemporanea, infatti, era lacerata da innumerevoli errori e contraddizioni, in quanto non era riuscita a mutare struttura in risposta delle profonde trasformazioni operate sotto la spinta della rivoluzione industriale. Le Corbusier denuncia spietatamente i paradossi delle città così come tradizionalmente concepite, scosse da una circolazione veicolare inefficiente, causa di ingombri e di perdite di tempo, da cellule abitative straripanti di superfluo e edificate secondo procedimenti obsoleti e inadeguati alla vita moderna (che, come si è già visto, raggiungeva la propria acme espressiva in opere apparentemente prive di nobiltà, come le automobili). Già nel 1922, nel presentare al Salon d'Autumne il suo progetto sulla Città per Tre Milioni d'Abitanti, Le Corbusier illustrava i punti principali della sua città modello. Essa si basa essenzialmente su una attenta separazione degli spazi: gli alti grattacieli residenziali sono divisi gli uni dagli altri da ampie strade e lussureggianti giardini. Le Corbusier destina alle grandi arterie viarie il traffico automobilistico privandolo della presenza dei pedoni, garantendo così alte velocità sulle strade. All'utenza pedonale è restituita la città attraverso percorsi e sentieri tra i giardini e i grandi palazzi. Il grande maestro vuole non solo realizzare la casa secondo i canoni del Modulor, ma anche un nuovo ambiente costruito che sia nella sua interezza a misura d'uomo.
Il Palazzo dell'assemblea di Chandigarh
Nel 1933 queste sue idee vengono meglio sviluppate nel capolavoro teorico del progetto della Ville Radieuse, «la città di domani, dove sarà ristabilito il rapporto uomo-natura!». Qui si fa più marcata la separazione degli spazi: a nord gli edifici governativi, università, aeroporto e stazione ferroviaria centrale; a sud la zona industriale; al centro, tra i due lati, la zona residenziale. Il centro viene decongestionato dall'odiata giungla d'asfalto e solo il 12% di superficie risulta coperta dagli edifici residenziali, che si sviluppano in altezza destinando al verde tutte le altre zone. La ferrovia circonda ad anello la città, restando in periferia, mentre le arterie viarie hanno uscite direttamente alla base dei grattacieli residenziali dove sono situati i parcheggi; le autostrade sono rialzate rispetto al livello di base dai pilotis; i trasporti urbani si sviluppano in reti metropolitane sotto la superficie
Il grande sogno di poter realizzare la città ideale delle utopie rinascimentali e illuministe si concretizza nel 1951. Il primo ministro indiano, Nehru, chiamò Le Corbusier e suo cugino Pierre per destinare «al più grande architetto del mondo» l'edificazione della capitale del Punjab. Iniziano i lavori per Chandigarh (la «città d'argento»), la cui progettazione è concentrata dalla concretizzazione dell'utopia pionieristica dell'architetto: la divisione degli spazi qui giunge a chiudere definitivamente il divario tra uomo e costruzione e la città segue la pianta di un corpo umano, dato che decide di collocare gli edifici governativi e amministrativi nella testa, le strutture produttive e industriali nelle viscere, alla periferia del tronco gli edifici residenziali – tutti qui molto bassi – vere e proprie isole autonome immerse nel verde. Si concretizza anche la sua grande innovazione del sistema viario, con la separazione delle strade dedicate ai pedoni e quelle dedicate al solo traffico automobilistico: ogni isolato è circondato da una strada a scorrimento veloce che sbocca nei grandi parcheggi dedicati; un'altra strada risale tutto il «corpo» della città fino al Campidoglio ospitando ai lati gli edifici degli affari; una grande arteria pedonale ha alle sue ali negozi della tradizione indiana, con in più due strade laterali automobilistiche a scorrimento lento; una grande strada, infine, giunge fino a Delhi. La città di Chandigarh fonde tutti gli studi architettonici compiuti da Le Corbusier nei suoi viaggi giovanili per l'Europa e le sue innovazioni del cemento e della città a misura d'uomo. Simbolico il monumento centrale della città, una grande mano tesa verso il cielo, la mano dell'uomo del Modulor, «una mano aperta per ricevere e donare».
Opere
L'inizio della ricerca 1910-1919
    1905-1906: Villa Fallet, prima opera di Le Corbusier, a La Chaux-de-Fonds, progettata all'età di diciassette anni.
    1912 Villa Jeanneret-Perret, detta Maison Blanche a La Chaux-de-Fonds, Svizzera, oggi sede della omonima associazione
    1912 Sistema costruttivo e progetto delle case Dom-Ino, senza luogo definito (non realizzato).
    1916 Villa Schwob a La Chaux-de-Fonds, Svizzera.
    1916 Villa al mare per Paul Poiret, senza luogo definito (non realizzato). Secondo Le Corbusier: primo contatto con una clientela selezionata.
    1917 Centrale idroelettrica sulla Vienne, Isle-Jourdain (non realizzato).
    1917 Centrale termica ed abitazioni, Saintes (non realizzato).
    1919 Case a Troyes (non realizzato).
Gli anni del Purismo 1920-1929
    1920 Case Citrohan progetto senza luogo definito (non realizzato).
    1920 Abitazioni Le Pont Vert (non realizzato)
    1920 Progetto per Ambasciata di Francia a Brasilia (non realizzato)
    1920 Alloggi per una acciaieria (non realizzato)
    1922 Casa-atelier per il pittore Amédée Ozenfant in avenue de Reille 53 a Parigi, Francia (rimaneggiato).
    1922 Villa Besnus a Vaucresson, Francia.
    1922 Città contemporanea per tre milioni di abitanti, senza luogo definito (non realizzato).
    1922 Case operaie, progetto senza luogo definito (non realizzato).
    1922 Case studio per artisti, progetto senza luogo definito (non realizzato).
    1923 Casa per i genitori, detta Petite Maison o, anche, villa Le Lac a Corseaux, sul Lago di Ginevra, Svizzera.
    1923 Maison La Roche-Jeanneret in square du Docteur Blanche 8/10 a Parigi, Francia.
    1924 Quartiere Frugès a Pessac, Francia.
    1924 Casa per weekend (non realizzato).
    1924 Casa prototipo Tonkin (non realizzato).
    1925 Plan Voisin a Parigi, Francia - presentato alla Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne (non realizzato).
    1925 Padiglione dell'Esprit Nouveau per l’Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne a Parigi, Francia (distrutto; ricostruito a Bologna, Italia nel 1977 da Giuliano Gresleri e José Oubreire).
    1926-1927 Due case al quartiere d'esposizione Weissenhof a Stoccarda, Germania.
    1926-1928 Villa Stein – de Monzie in rue du Professor Victor-Pauchet a Garches (Vaucresson), Francia.
    1926 Villa Cook a Boulogne, Francia.
    1926 Casa Guiette ad Anversa, Belgio.
    1926 Case studio per Jacques Lipchitz e Oscar Miestchaninoff a Boulogne-Billancourt.
    1927-1928 Concorso per il Palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra, Svizzera, progetto di primo e secondo grado (non realizzato).
    1927-1929 Villa Church, a Ville-d'Avray, Francia, (distrutto nel 1963).
    1928-1936 - Centrosoyouz, ex sede delle cooperative sovietiche a Mosca, Russia.
    1928 Villa Baizeau a Cartagine, Tunisia.
 1928 Villa Savoye a Poissy, Francia.
    1929 Cité de Refuge (città rifugio), dormitori realizzati per l’Esercito della Salvezza a Parigi, Francia.
    1929 Appartamento attico Beistégui a Parigi, Francia, (distrutto).
    1929 Mundaneum, Museo Mondiale a Ginevra, Svizzera (non realizzato).
    1929 Maison Loucheur, Casa di 46 m² per contadini, capienza 6 persone (non realizzato).
    1929 Casa Canneel, Bruxelles (non realizzato).
Dalla Ville Radieuse alla fine della guerra 1930-1945
    1930 Progetto urbanistico della Ville Radieuse, senza luogo definito (non realizzato).
    1930 Casa Errazuris, Cile (non realizzato).
    1930 Progetti di urbanizzazione A, B, C, H di Algeri, Algeria (non realizzato).[13]
    1930 Palazzo dei Soviet a Mosca, Russia (non realizzato).
    1930 Padiglione svizzero nella città universitaria di Parigi, Francia.
    1930 Immeuble Clarté a Ginevra, Svizzera.
    1930 Piano urbanistico di Saint-Dié, Francia (non realizzato).

1931 Immeuble Molitor, in rue Nungesser et Coli 24 a Parigi, Francia. All'attico di questo edificio Le Corbusier costruì la sua abitazione e atelier di pittura, in cui visse fino alla morte.
    1934 Fattoria radiosa e villaggio cooperativo (non realizzato), con Norbert Bézard [14].
    1935 Grattacielo cartesiano, senza luogo definito (non realizzato).
    1935 Petite Maison de Weekend
    1936 Automobile (non realizzato).
    1939 Museo a crescita illimitata, senza luogo definito (non realizzato).
    1940 Case in pietra, senza luogo definito (non realizzato).
    1940 Casa tipo per un ingegnere (non realizzato).
    1940 Case Murondins (non realizzato).
    1942 Casa Peyrissac, Algeria (non realizzato).
L’estetica del béton brut 1948-1959


1945-1952, Unità di Abitazione di Marsiglia (Unité d'Habitation), Francia.
    1945 – Ministero dell'Educazione Nazionale, realizzato in collaborazione con Lúcio Costa e Oscar Niemeyer a Rio de Janeiro, Brasile.
    1946 Fabbrica Claude et Duval a Saint Dié, Francia.[15]
    1946 Villa Curutchet a La Plata, Buenos Aires, Argentina.
    1949 Progetto di urbanizzazione detto Roq et Rob a Roquebrune-Cap-Martin, Francia (non realizzato).
1950-1955 Cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp, Francia.
    1950–1952 Piano regolatore di Chandigarh, India.
    1950 – 1965 Progetto degli edifici dell'area del Campidoglio di Chandigarh, India. Tra i progetti realizzati da Le Corbusier si citano:
1952-1956 Edificio della Alta corte di giustizia;
        1952-1964 Museo e galleria d'arte;
        1953-1964 Edificio del Club Nautico;
        1953-1958 Segretariato;
        1955-1961 Sede del Parlamento;
        1959-1964 Scuola d'arte;
        1963 Centro commerciale.
        Sistemazione aree esterne del Campidoglio (la Torre d'Ombra, La Mano Aperta, il fossato della Considerazione, il Monumento ai Martiri), progetti ultimati postumi.
    1951-1952 Il Cabanon, casa in legno di vacanza al mare (dimensioni 3,36 x 3,36 m) di Le Corbusier a Cap-Martin (vicino a Mentone), Francia.
    1951–1956 Case Jaoul a Neuilly-sur-Seine (sobborgo di Parigi), Francia.
    1951 Iniziano una serie di straordinarie costruzioni ad Ahmedabad, India: Museo, Palazzo dell'Associazione dei Cotonieri, villa Shodan e villa Sarabhai.
    1951 Unité d'habitation di Nantes-Rezé, Francia.
    1953 Unité d'Habitation di Briey en Forêt, Francia.
1953 Convento di Santa Maria della Tourette a Éveux (vicino a Lione), Francia.
    1957 Museo nazionale d'arte occidentale, Tokyo, Giappone.
    1957 Padiglione del Brasile nella città universitaria di Parigi, Francia.
    1957 Villa Shodan Ash Ahmedabad
Gli ultimi anni 1958-1965
    1958 Pavillon Philips all'Esposizione Internazionale di Bruxelles, Belgio (distrutto).
    1961 Centro di Arti Visive Carpenter (Carpenter Visual Arts Center), Università di Harvard, Cambridge (Massachusetts), USA
    1961 Centro dei Congressi e Hotel nell'area della Gare d'Orsay a Parigi, Francia (non realizzato).
    1962 Progetto per una chiesa a Bologna, Italia (non realizzato).
    1963 Padiglione Heidi Weber, detto Maison de l'homme, che accoglie il Centre Le Corbusier a Zurigo, Svizzera.
    1963 Progetto per il Centro di calcolo elettronico Olivetti a Rho, Milano, Italia (non realizzato).
    1965 Progetto per l'ospedale di Venezia, Italia (non realizzato).
    Firminy-Vert Francia.
        1965 Centro sociale Firminy-Vert
        1966 Unité d'Habitation Firminy-Vert
        1966 Centro sportivo Firminy-Vert

        1969-2006 Chiesa Saint-Pierre de Firminy