domenica 23 giugno 2024

Corso di storia dell'architettura: Scharoun 1893

Scharoun 1893











Bernhard Hans Henry Scharoun (Brema, 20 settembre 1893 – Berlino, 25 novembre 1972) è stato un architetto tedesco. Hans Henry Scharoun nacque il 20 settembre 1893 a Brema da una famiglia nativa della Slesia. Il padre, di origini boeme, dopo solo un anno dalla nascita del figlio aveva trovato impiego come direttore di una fabbrica di birra presso Bremerhaven, città situata sulla costa del Mare del Nord e caratterizzata da una fremente attività portuale. La laboriosa industriosità di questa città, animata già all'epoca da uno dei porti più grandi d'Europa, lasciò un'impronta profonda nella fantasia del piccolo Hans, che ne preservò il ricordo in maniera più che viva anche durante la vecchiaia, quando raccontò: «Fui testimone degli ultimi anni di un'impetuosa crescita economica [...] Il porto era luogo di intensi traffici, le navi passeggeri non subivano ancora la concorrenza dell'aereo e tutto ciò faceva sì che per noi giovani Bremerhaven e New York fossero una cosa sola» (Hans Scharoun) Nel frattempo Scharoun maturò un sincero amore per il disegno, arte che coltivò nella prospettiva di divenire un architetto di successo. Queste precoci ambizioni professionali furono fortemente osteggiate dal padre, per il quale l'architettura era un mestiere che non avrebbe fatto altro che condurre inevitabilmente a fallimenti esistenziali ed economici. Il giovane Hans, per fortuna, poté beneficiare del supporto della madre, che gli custodiva amorevolmente i disegni, e della famiglia di costruttori Hoffmeyer, che intuendo le inclinazioni e il promettente talento artistico del ragazzo lo incoraggiò apertamente, consentendogli al contempo di interagire con i problemi concreti, pratici del fare edilizia. Alla frequentazione della famiglia Hoffmeyer Scharoun affiancò un'intensa quanto precoce attività progettuale: il suo primo progetto, infatti, risale proprio agli anni ginnasiali e riguardava la costruzione di un edificio liturgico a Bremerhaven per un concorso. Si trattava di un'opera certamente acerba (Hans, d'altronde, all'epoca non aveva che diciassette anni) ma che riusciva già a sintetizzare i maggiori fermenti artistici che affollavano l'Europa del Novecento - l'astrattismo di Kandinskij, l'istituzione del Der Blaue Reiter, il naturalismo fitoformo di Gaudí - declinandoli in soluzioni spaziali intense, segmentate che già nascondono in nuce alcuni indirizzi stilistici della maturità. Nel 1912 Scharoun suggellò il suo sogno architettonico con l'immatricolazione presso la facoltà di architettura di Berlino, a Charlottenburg, anche se l'improvviso scoppio della prima guerra mondiale frustò furiosamente ogni sua velleità accademica. Scharoun, infatti, alla deflagrazione del conflitto si arruolò nelle milizie prussiane - ignorando la proposta del mentore e professore universitario Paul Kruchen, che tentò di fargli assumere la vicedirezione del programma di ricostruzione della Prussia Orientale - e, sotto il fuoco del fronte russo, disegnò incessantemente, dando vita ad alcuni «schizzi immaginari» tra l'altro particolarmente pregevoli. Conclusasi la guerra, tuttavia, egli non riprese gli studi, ritenendo più opportuno formarsi direttamente sul campo con l'acquisizione di conoscenze votate alla concretezza della prassi. Per aumentare la propria notorietà in questi anni Scharoun partecipò a una pletora di concorsi. Questa sua intensissima attività concorsistica, fortunatamente e anzi quasi inaspettatamente, fu coronata da uno sfolgorante successo: nel 1919, infatti, il progetto che presentò per il concorso della sistemazione della piazza del duomo di Prenzlau, vince il primo premio, e il suo nome venne persino menzionato nella stampa specialistica. Del progetto scharouniano vennero lodate soprattutto «l'incalzante giustapposizione dei corpi architettonici», dalle volumetrie e altimetrie variamente articolate, con cui veniva cinto il fabbricato gotico del Duomo, al quale veniva in questo modo conferito un senso di notevole dinamismo. A degno compimento di quest'annata vi fu anche l'adesione al cenacolo di architetti emergenti e intellettuali gravitante intorno alla figura di Bruno Taut. Di particolare interesse è in particolare il densissimo carteggio che legò i vari membri di questa cerchia, noto sotto il nome di «Die Gläserne Kette» [La catena di vetro]: anche Scharoun, ovviamente, partecipò a questo ininterrotto flusso epistolare, protrattosi per dodici mesi, con l'esecuzione di disegni a penna e acquerelli raffiguranti le cosiddette «case ideali» per il popolo. Il Gläserne Kette, nonostante la sua durata quasi effimera, fu occasione per Scharoun per consolidare il proprio legame con la città di Berlino, nonché per informare orientamenti stilistici più precisi (per quanto immaginifici). Risentendo degli intensi confronti con gli scriventi, infatti, Scharoun ne subì la fascinazione e iniziò a coltivare il sogno di un'architettura engagé, tutta dedita alla risoluzione dei problemi sociali: «Dobbiamo creare proprio come il sangue dei notri antenati provocava ondate di inventività, e dovremo essere in grado di esprimere una totale comprensione del carattere e delle motivazioni dei nostri interventi ideativi!» scriveva, ad esempio, Scharoun nel Gläserne Kette, sotto lo pseudonimo di «Hannes». Già poco dopo il tramonto del Gläserne Kette, tuttavia, Scharoun inizia a declinare tematiche sociali-utopistiche dalla grande espressività in chiave funzionalista: di questa virata stilistica, di cui si parlerà più profusamente nel paragrafo Stile, risentono già i progetti inviati nel 1922 per il grattacielo «Chicago Tribune» sulla Friedrichstraße e per l'edificio pluriuso al Börsenhof di Königsberg. L'attività concorsistica di Scharoun in questi anni, in effetti, fu assai intensa ma decisamente deludente, in quanto le varie partecipazioni - fin troppo originali per la mentalità dell'epoca - non gli fruttarono alcun incarico concreto. Malgrado l'indifferenza delle giurie, appartenenti alle vecchie tradizioni architettoniche, Scharoun riuscì in questo modo a segnalarsi, seppur timidamente, e ad acquistare la nomea di architetto insolito ma di talento. Questa inaspettata attenzione verso la figura di Scharoun fu stimolato non solo dall'effettivo pregio ideativo delle sue opere, bensì anche dall'intensa rete sociale che egli andava intrecciando da anni, avendo già stretto amicizia con Häring, Taut, Tessenow ed altri, e dai plausi provenienti da alcuni critici più moderni e illuminati, come Gustav Platz. Fu così, privo di laurea e grazie esclusivamente all'interesse suscitata dai suoi progetti (seppur incompiuti), che Scharoun nel 1925 divenne professore presso la Kunstakademie di Breslavia, istituto superiore di istruzione artistica che pur essendo privo della radicale carica innovativa del Bauhaus era particolarmente apprezzato nella scena architettonica europea grazie a nomi coe Endell, Moll, Muche, Poelzig e Schlemmer. Breslavia, ovviamente, era una realtà piccola e Scharoun era consapevole che non vi avrebbe ricavato molte committenze: egli, tuttavia, riconobbe nella didattica lo strumento perfetto con cui perfezionare la propria grammatica architettonica e artistica, persuaso che «un popolo incapace di rappresentare artisticamente la propria esistenza è un popolo morto». L'intervento edilizio di Scharoun al Weissenhof. Questa casa unifamiliare presenta intonaci candidi e sfolgoranti, stesure murarie essenziali, e un'articolazione spaziale che consente «di cogliere le forme bene delineate dei vani-soggiorno e il loro protendersi al di là dell'inevitabile schermo perimetrale, perché qui il paesaggio è di particolare bellezza», come osservato dallo stesso Scharoun. Breslavia, ex città «degli estimatori della cultura e dell'arte», iniziò tuttavia a comprimere eccessivamente la fantasia creatrice di Scharoun, profondamente deluso da una scena artistica che, pur nella sua sostanziale vivacità, mostrava diffidenza verso le sue proposte. A causa di questo scarso entusiasmo, e anche per via di un tragico tracollo economico che frenò bruscamente le ambizioni edilizie della committenza, Scharoun decise nel 1926 di aprire uno studio a Berlino insieme ad Adolf Rading, altro architetto con cui strinse un'amicizia forte e duratura: «per questo ed altri motivi Rading ed io concentriamo i nostri sforzi su Berlino, e Breslavia sarà il nostro trampolino» scrisse lo stesso Scharoun nel 1926. Sempre in questo periodo l'architetto entrò tra le file del gruppo Der Ring [L'anello], associazione di architetti, anche di grande levatura (vi facevano parte Taut, Mendelsohn) che propugnavano politiche abitative per le città tedesche più moderne, salubri e del tutto antitetiche rispetto al conservatorismo allora dilagante in Germania. Con lo status di professore universitario recentemente acquisito e con quest'ormai salda rete di contatti Scharoun in questi anni inaugurò una fase lavorativa molto intensa e soddisfacente, suggellata dalla realizzazione di un prefabbricato ligneo smontabile di notevole pregio per la mostra di giardinaggio a Liegnitz e, soprattutto, dalla costruzione di una casa unifamiliare al Werkbund «Die Wohnung» di Stoccarda, in Germania. Con la regia di Mies van der Rohe, infatti, a Weissenhof - modesta collina nei pressi di Stoccarda - vennero invitati nel 1927 gli ingegni architettonici mondiali più fervidi, da Le Corbusier a Walter Gropius, nella prospettiva di plasmare con grande coesione intellettuale un quartiere-modello sulla base delle tecniche edili del Movimento Moderno. L'intervento edilizio di Scharoun fu di modeste dimensioni, ma fornì un decisivo impulso alla sua carriera, che poté finalmente beneficiare di un congeniale clima economico, decollato in seguito all'introduzione del Reichsmark. Tra i vertici più alti della produzione scharouniana prebellica vi sono gli edifici residenziali della Großsiedlung Siemensstadt, l'abitazione «Wohnheim» al Werkbund «Wohnung und Werkraum-Wuva» di Breslavia e la casa Mattern a Bornim, presso Potsdam.Con l'ascesa al potere di Hitler e del Nazionalsocialismo Scharoun subì un drastico isolamento non solo professionale, ma anche umano. Inquietati dalla svolta totalitaria della politica tedesca e dall'inizio delle persecuzioni contro i dissidenti e gli ebrei, infatti, molti degli architetti del Neues Bauen erano fuggiti all'estero, avviando una vera e propria «diaspora della cultura tedesca»: a partire furono Meyer, Taut, Gropius, Breuer, Mendelsohn, May, Mies, e persino l'amico Rading, il quale - terrificato dall'idea di vivere sotto l'egida hitleriana - scelse l'esilio in Francia. Fra gli unici a rimanere in Germania vi fu proprio Scharoun: «Ricordo il 1933, prima che partissi: ognuno, sbandato, andava per la propria strada [...]. Dove avrebbe potuto sorgere un bellissimo edificio c'era solo un campo di rovine. Mies lavoricchia per conto proprio, Gropius costruisce ville per clienti ricchi, May tenta tutto il possibile, Scharoun invece mi appare come un caso particolare, che va trattato molto delicatamente: bisogna lasciargli un po' di tempo. Tutti però portano ancora sulle spalle il peso del XIX secolo, il secolo eroico-romantico» (Rading)
Le «circostanze gravose» del nuovo corso storico della Germania - come lo stesso architetto le ebbe a definire - afflissero ferocemente Scharoun, costretto come si è visto a un'emarginazione quasi totale. Malgrado venisse accusato di «bolscevismo culturale» dai più, e nonostante un generale ritorno in auge dell'architettura tradizionalista, Scharoun riuscì a guadagnarsi da vivere progettando abitazioni unifamiliari che, dietro una facciata dall'aspetto conservatore, celavano un'interessante quanto moderno sviluppo planimetrico. Questi sperimentalismi, per quanto cauti, cessarono con la radiazione professionale subita in seguito alla progettazione della casa Baensch e, più generalmente, con lo scoppio della seconda guerra mondiale: nei tragici anni del conflitto Scharoun sopravvisse dal punto di vista stilistico alle incombenze belliche stendendo un'ingente qualità di acquerelli, carboncini, inchiostri e disegni, tutti alla rincorsa di un tema ben specifico: la casa del popolo, resa con gli auspicati stilemi del futuro che, con la sua speranzosa drammaticità, si proponeva come «un'impensabile cattedrale laica dell'espressionismo in tempi in cui quest'arte veniva considerata fuori legge» (Marcianò). Con queste opere, dette non a caso della «Resistenza», Scharoun per sopperire all'inoperosità evase nella fantasia e diede vita a una metropoli disarmonica, caotica e apocalittica come le barbarie che venivano perpetrate in quei tragici anni ma, al contempo, costellata di titanici edifici collettivi dotati di una elevata dignità architettonica proprio in quanto voluti dal popolo. Quest'alienante inazione ebbe fine nel 1945, con il termine del conflitto e la resa della Germania. Berlino fu uno degli esempi più eclatanti degli effetti distruttivi della guerra: ridotta ad un desolato cumulo di macerie, la città tedesca all'indomani della sconfitta nazionalsocialista presentava un tessuto edilizio gravemente danneggiato e che necessitava di un tempestivo riassetto. Per questo motivo Scharoun, desideroso di riproporre una città aliena dalla tragedia nazista, moderna sia dal punto di vista urbano che sociale, predispose un team di architetti che, in semiclandestinità, lavorò congiuntamente alla stesura del «Berlin Plant», ovverosia di un nuovo riassetto urbanistico per Berlino. Purtroppo tale progetto non venne mai messo in opera: Scharoun, tuttavia, con il tramonto del potere hitleriano poté giovarsi di una seconda giovinezza professionale: divenuto direttore del nuovo istituto di edilizia presso l'Accademia delle Scienze di Berlino, Hans in questi anni operò alla stesura di numerosissimi progetti, molti dei quali rimasti come di consueto sulla carta. A questi anni d'oro e di estrema laboriosità per Scharoun, il quale si vide finalmente confermata la validità delle proprie invenzioni architettoniche, risalgono i grattacieli residenziali «Romeo e Giulietta», edificati a Stoccarda, il modesto intervento all'Interbau del 1957 (dove progetta un modello di abitazione ad un piano e mezzo), l'addizione edilizia del Siemenstadt e, soprattutto, la Philharmonie e la Haus Potsdamer Straße per la Biblioteca di Stato di Berlino, edifici sorti nell'ambito del Kulturforum (il nuovo centro culturale a ridosso di Potsdamer Platz, nella Berlino Ovest, e idealmente contrapposto all'antico centro monumentale di Unter den Linden, rimasto a Est), nonché il museo navale di Bremerhaven, progettato per l'amata città dell'infanzia. Hans Scharoun, infine, morì il 25 novembre 1972 a Berlino. Hans Scharoun, oggi annoverato tra i più significativi interpreti dell'architettura moderna, è stato un architetto così poliedrico da risultare difficilmente riconducibile entro i ristretti orizzonti di una determinata corrente architettonica. Il giovane Scharoun subì in modo potente l'influsso della figuratività espressionista, e in particolar modo dell'opera di Eric Mendelsohn, al quale tributò grandissima stima, ammirandone gli edifici spogli di qualsiasi decorazione e plasticamente plasmati secondo curve spregiudicate e slanciate e segni veloci e drammatici. Malgrado molti degli edifici da lui progettati in questo periodo si arenarono allo stato di ideazione, Scharoun nei suoi esordi si votò a masse edilizie che fluiscono nello spazio con continuità e dinamismo, così plasmate e caratterizzate in risposta a una precisa esperienza interiore che, nel caso scharouniano, rispondeva al desiderio di mettersi completamente a disposizione dell'uomo e della società: dopo l'esperienza traumatica della prima guerra mondiale, infatti, Scharoun insieme a moltissimi altri architetti si sentiva all'alba di una nuova era e, per questo motivo, voleva proporsi come il demiurgo di un nuovo ordine sociale, impostato sull'umanitarismo espressionista («arte e popolo devono formare un'unità, [ma] arte e stato sono inconciliabili per loro natura»). Espressioni attuative di questi ideali furono i numerosissimi elaborati che Scharoun impostò sui temi delle Stadtkronen [edifici culminanti di una città] e delle «case del popolo», i quali diverranno delle vere e proprie costanti nelle riflessioni architettoniche di Hans. In queste opere, in ogni caso, l'architetto - mostrandosi consapevole dei drammi che stavano lacerando la Germania del tempo - intende sostenere fiduciosamente i fratelli diseredati tedeschi con figurazioni prive di preziosismi calligrafici, analiticamente ancorate alla realtà ma che, nella loro intransigenza, risultavano essere intrise di una afona drammaticità, paradossalmente enfatizzata da colori fiammanti e leggiadri. La concitata e tormentata espressività visionaria di questa prima fase della produzione scharouniana si inalveò poi nei circuiti razionalisti della sua maturità, rinvigorendoli. Pur non mostrandosi indifferente alla parte estetica di un edificio, la quale (ovviamente) condizionava la sua immagine architettonica in maniera significativa, Scharoun nella sua maturità stilistica palesò una sostanziale indifferenza verso l'aspetto esteriore delle proprie creazioni, le quali dovevano al contrario rispondere a una serrata funzionalità. Era opinione di Scharoun, infatti, che fosse necessario desumere i valori formali di una creazione architettonica dalla soluzione delle problematiche tecniche inerenti alla sua funzione e alle sue strutture, in modo tale da massimizzarne il rendimento (Leistungform). «Praticità, non rappresentanza!» tuonava Scharoun già nel 1922: di conseguenza, l'aspetto esteriore di un edificio «consegue per necessità o per scelta, a seconda di come lo si vuole determinare», come egli stesso sentenziò in una sua lezione a Breslavia, siccome «l'arte non serve ad appesantire la vita con elementi superflui, ma a metterne a fuoco il significato traducendo il pensiero in forme». Pur risultando pragmatici, concreti e per questo inequivocabilmente moderni e metropolitani, i brani architettonici di Scharoun aderiscono tuttavia agli stilemi della Neue Sachlichkeit con spiccati toni linguistici personali. La primitiva formazione espressionista di Scharoun, infatti, non è affatto estranea agli edifici di questo periodo, dove il rigore funzionalista si addolcisce con angoli stondati, dilatazioni altimetriche, spazialità avvolgenti e fluenti, intriganti intrecci di sinuose curvature: tutte peculiarità che però, pur essendo di chiara matrice espressionista, sono ricche di spunti funzionali. Questo felice connubio tra espressionismo e funzionalismo è riscontrabile nei progetti della casa trasportabile in legno (1927), del Ministergärten a Berlino (1927), o nella casa unifamiliare al Werkbund «Die Wohnung» di Stoccarda (Weissenhof, 1927) o, ancora, nell'abitazione «Wohnheim» al Werkbund «Wohnung und Werkraum-Wuva» di Breslavia, dove le curve vengono orchestrate in maniera quasi chirurgica: «Il gioco complicato di curve e controcurve non ha precedenti: è molto più libero che in Rietveld e in Oud, è molto meno retorico del linguaggio di Mendelsohn, più fluente che in Le Corbusier, meno farraginoso che nei costruttivisti russi. Rinuncia ad ogni intento decorativo, ad ogni marchingegno di incastri di masse, e perciò niente deve a Wright ed alla scuola di Amsterdam: non ha l'eccessiva asciuttezza di Loos né la preziosità di Behrens e nemmeno la perentorietà delle contemporanee opere di Gropius» (Giovanni Klaus Koenig)
Dopo la drastica eclissi professionale subita durante il regime della dittatura nazista Scharoun fu particolarmente impegnato sui fronti dell'urbanistica e del tema dell'«abitare». Sollecitato dall'urgenza di ricostruire Berlino dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale, in particolare, Scharoun nel 1946 elaborò un complesso piano urbanistico che, contrapponendosi alla degradante logica delle Mietkasernen, prevedeva un «sistema viario inedito» che traeva «le proprie ragioni d'essere dalle diverse esigenze della popolazione» e che si sostanziava di «una rete di strade paritetiche per passeggiare, muoversi lentamente in automobile o correre, collegata a zone paritetiche per il commercio e per le residenze» in grado di trasformare Berlino in «una catena di montaggio decorrente da est verso ovest», complice anche l'inserzione di fluidi spazi connettivi nelle aree residuali della grande maglia viaria. Il disegno urbano prospettato da Scharoun, dunque, insediandosi «in zone sterminate deprivate di un codice fisso» si impone «nello stesso modo con cui alberi, boschi, prati, montagne e laghi compongono la natura abbellendola» (a parlare è sempre Scharoun). Fulcro di questo magnetico palinsesto urbano è l'unità di abitazione. Bauen, wohnen, denken era il nome di una lezione del filosofo tedesco Martin Heidegger dove veniva condannata l'utopia razionalista in favore di un recupero alle tradizionali, e per questo più autentiche, radici dell'abitare: mostrandosi assai sensibile al pensiero heideggeriano Scharoun arrivò a diluire il suo approccio razionalista in uno stile che, recuperando il tema giovanile della «casa del popolo» e mostrandosi attento alle effettive esigenze dell'uomo, miscela il vocabolario espressionista, mai dissipatosi, con i nuovi dettami della poetica organica. L'abitazione, infatti, secondo il giudizio di Scharoun andava concepita come una «costruzione organica» a struttura aperta, con gli spazi articolati fluidamente e quindi commisurati agli effettivi bisogni dei fruitori: ciò, ad esempio, non avveniva negli alloggi tradizionali, dalla struttura scatolare che, soggiacente alla schiavitù e alla «costrizione formale della geometria», presentava concezioni spaziali vincolate dalla normativa e non alle esigenze residenziali dell'uomo. Per usare le parole dell'Oppenländer, «per Scharoun l'abitazione non è solo un concetto tecnico, risolvibile come un'equazione matematica: per lui abitare significa tradurre nello specifico architettonico quanto l'uomo esige e realizza per determinare un proprio spazio vitale. Proprio per questo processo di interazione tra bisogni, funzioni, forme, l'architettura scharouniana si distingue, per l'evidente impegno sociale, dalla non-verità degli edifici di mattoni, delle case degli orpelli, che ancora caratterizzano il nostro secolo». Oltre che nelle planimetrie anche le architetture presentano questa mediazione tra organicismo ed espressionismo: «Scharoun, quindi, è l'artista che più di ogni altro addita una vita tedesca all'architettura che, prendendo le mosse dai maestri consacrati, attinge alle ricerche, fluttuanti e variabili, delle antigeometrie e dei materiali poveri e leggeri, sostanziati da una spericolatezza high tech. [...] Infatti le composizioni instabili di Scharoun, la sua predilezione per la diagonale e l'obliquo ignorano deliberatamente il dettaglio formale, tendendo sempre a disciogliere le salde compagini dei nessi linguistici. L'uso del colore, gli impasti dei timbri, la ricchezza e la polivalenza creativa [...] si riversano nelle tessiture piegate, in lamiera e alluminio, delle stimolanti sperimentazioni di Vienna, Berlino, Stoccarda. Anti-lirico, artigiano nella definizione univoca del soggetto, [Scharoun] elabora le costruzioni degli anni sessanta e settanta [...] secondo i dettami che innervano dall'inizio le sue riflessioni: stimoli mai regrediti» (Ada Francesca Marcianò)
È possibile concludere, dunque, che Scharoun ha conosciuto un'articolata evoluzione stilistica: entusiasta autodidatta - abbandonò gli studi prima della laurea - egli partì come si è visto da inizi espressionisti, per poi approdare al funzionalismo della Neue Sachlichkeit nella sua maturità e, infine, raggiungere la sua acme creativa nel secondo dopoguerra. Sono stati tentati infatti accostamenti unilaterali con la poetica razionalista, organicista ed espressionista, giocoforza capziosi data la natura sui generis della fisionomia architettonica di Scharoun, forse assimilabile in linee molto generali al maestro finlandese Alvar Aalto: entrambi, infatti, tracciavano forme vitali, fluide, prorompenti ma comunque disciplinate da una razionalità granitica. Aalto, tuttavia, poteva beneficiare del benessere della società scandinava, e pertanto produrre edilizia con grande e creativa disinvoltura, senza quella tensione che - al contrario - inquinò la carriera di Scharoun, continuamente afflitta da guerre, crisi economiche e altri eventi luttuosi che si tradussero in segni architettonici aridi, essenziali, talora quasi aspri. Il modo migliore per rapportarsi all'enigma-Scharoun, dunque, è quello di considerarlo in tutte le sue multisfaccettate peculiarità, senza per questo scadere in scetticismi interpretativi troppo radicali, né in affannosi tentativi di ricondurlo a un determinato stile.

Corso di storia dell'architettura: Mendelsohn 1887

Mendelsohn 1887












Erich Mendelsohn (Olsztyn, 21 marzo 1887 – San Francisco, 15 settembre 1953) è stato un architetto tedesco, considerato tra i maggiori interpreti dell'architettura espressionista. Erich Mendelsohn nacque il 21 marzo 1887 nella città prussiana di Olsztyn, al n. 21 di Oberstrasse («il coincidere di tre eventi in questa giornata ebbe molto significato durante la sua vita: il 21 marzo è il compleanno di Bach, l'inizio della primavera e il giorno di san Benedetto» ricordava, con affetto, la moglie Louise). La madre, Emma Esther (nata Jaruslawsky) era una cappellaia, e il padre David (di mestiere negoziante) erano di modeste condizioni: riuscirono, tuttavia, a garantire un regime di vita più che decoroso al piccolo Erich, il quale si ritrovò a frequentare il Gymnasium di Olsztyn che allora si chiamava Allenstein, ricevendovi una formazione di stampo umanista e conquistandosi la fama di studente brillante ma flemmatico, per poi intraprendere un tirocinio commerciale presso il padre. Il destino di Erich, tuttavia, non era quello di stare dietro il bancone di una bottega. Sin da fanciullo, infatti, egli coltivava il sogno dell'architettura, disciplina reputata professionalmente incerta dal padre ma che comunque suscitava nell'animo del giovane Mendelsohn vibranti emozioni («anche da bambino non faceva altro che costruire con la sabbia, con qualsiasi tipo di materiale che gli capitasse sotto mano» ricorda ancora la moglie Louise). Fu per questo motivo che, nel 1908, Mendelsohn si immatricolò alla Technische Hochschule di Berlino, per poi continuare gli studi all'università di Monaco di Baviera, dove si laureò nel 1914 cum laude. Nel frattempo, tra un lavoretto e l'altro - tale carriera universitaria, infatti, era particolarmente onerosa dal punto di vista economico, ed Erich dovette collaborare con i genitori per raccogliere il denaro necessario - Mendelsohn poté beneficiare del vibrante clima intellettuale e culturale della Monaco prebellica, nonché della conoscenza della futura moglie, Louise Maas, sposata nel 1915. Un evento segnò irrimediabilmente, ma in maniera forse tutt'altro che negativa, la carriera di Mendelsohn: fu lo scoppio della prima guerra mondiale. Mendelsohn visse pienamente questo evento storico, tanto che tra il 1917 e il 1918 si ritrovò a combattere sul fronte russo: la tragicità della guerra di trincea, tuttavia, non distrusse la sua mente creativa, bensì la inebriò, stimolando, in maniera febbrile, una «stagione visionaria, magnetica, densa di terrori e speranze» durante la quale gli eventi [offrirono] incentivi più pressanti e provocatori dei testi d'arte. (Zevi). A parlare è lo stesso Mendelsohn: «Con me il quotidiano diviene qualcosa più del quotidiano. Non so se dipenda dalla mia inclinazione al fantastico o dall'abitudine di buttar giù milioni di schizzi sulla carta [...] La rivoluzione in atto è colma di ragione, intensificata al limite dell'irrazionalità; la rivoluzione del pensiero si riempie di sogno intensificato al grado dell'anarchia» (Erich Mendelsohn)
Per comprendere anche la personalitá dell'architetto occorre conoscerne i passi. La prima opera architettonica di Mendelsohn fu la cappella del cimitero ebraico di Olsztyn datata nel 1911. Tra il 1914 e il 1917 disegnò case uniche come la casa Becker a Chemnitz del 1915. Fu quindi proprio sotto il fuoco bellico, più precisamente nel 1917, che Mendelsohn concepì quell'architettura destinata a renderlo universalmente conosciuto; sviluppava disegni, concepiva progetti che poté far conoscere restituendogli fama europea e che gli permisero l'incontro della vita nel 1919: si tratta dell'osservatorio di Potsdam, realizzato tra il 1919-1923, altrimenti noto come «torre Einstein» (Einsteinturm). L'osservatorio aveva lo scopo di studiare la difrazione della luce nelle sue proprietà ottiche fisiche, concetti che erano il fondamento della teoria della relatività di Albert Einstein. Sotto alcuni aspetti ricorda opere di Antoni Gaudì a Barcellona come Casa Milà (1905-10) che sembra riprendere il concetto del "moto espressivo" dall'interno verso l'esterno dell'edificio, la struttura della propagazione delle onde (concetto caro a Leonardo da Vinci). La bozza progettuale di tale struttura fu prontamente inviata a Erwin Finlay Freundlich, astrofisico conosciuto per tramite della moglie che desiderava un oggetto architettonico in grado di tradurre in chiave edilizia le teorie della relatività di Albert Einstein, assurto a fama mondiale in quegli anni con la vincita del premio Nobel. La costruzione della torre, destinata a consegnare il nome di Mendelsohn nelle pagine dei libri di storia dell'architettura, si sarebbe conclusa nel 1924. Nel frattempo Mendelsohn, una volta terminata la guerra, si trasferì a Berlino, dove per accrescere la propria notorietà organizzò una mostra di suoi disegni presso la galleria di Paul Cassirer. Malgrado alcune perplessità i disegni di Mendelsohn suscitarono molto interesse: fra gli ammiratori più ferventi va certamente menzionato Pinhas Rutenberg, ingegnere russo che - dopo essere giunto in possesso del catalogo della mostra - arrivò a proporre a Mendelsohn un progetto per l'elettrificazione della Palestina e ad effettuare insieme a lui un viaggio in quelle terre. Di tale esperienza, tuttavia, se ne parlerà più approfonditamente nel paragrafo I viaggi. Come previsto dalla moglie Louise, per la quale i pensieri architettonici di Erich «sarebbero stati discussi, potevano essere respinti, forse acclamati», la mostra conobbe un'accoglienza molto eterogenea. Le perplessità e le discussioni accese da proposte così audaci furono in effetti notevoli, ma tra le tante critiche si levò un ammiratore entusiasta, Gustav Herrmann, titolare di una fiorente fabbrica di cappelli: fu per lui che Mendelsohn progettò nel 1921 il Cappellificio di Luckenwalde. Quest'edificio accrebbe la fama mondiale di Mendelsohn in maniera esplosiva e gli procurò numerose commissioni, a partire da quella della sede del quotidiano Berliner Tageblatt, risolta nella Rudolf-Mosse-Haus. Il proprietario di questo titolo giornalistico, il signor Lachmann-Mosse, apprezzando in maniera partecipe l'ingegno mendelsohniano, arrivò a finanziare all'architetto persino un viaggio negli Stati Uniti d'America da effettuarsi nell'autunno del 1924. Il Nuovo Continente stimolò in modo vitale la creatività di Mendelsohn, rimasto colpito soprattutto da New York, dagli edifici in scala monumentale (basti pensare ai grattacieli e da Taliesin, la leggendaria residenza estiva dell'architetto Frank Lloyd Wright. Dell'influenza esercitata da quest'ultimo su Mendelsohn se ne parlerà nel paragrafo Stile: ma fu l'America in generale a lasciare un'impronta profonda nella fantasia di Mendelsohn, il quale riunì le sue varie impressioni in un libro, Amerika, das Bilderbuch eines Architekten [America. Quaderno di schizzi di un architetto], edito nel 1926. Di seguito si riportano alcune frasi significative tratte dall'ultimo capitolo: «Il nuovo - l'avvenire. Dalle automobili estremamente ben disegnate - perfetta espressione del movimento automatico, dalla nuda costruzione che impone la verità, fino al Larkin Building di Frank Lloyd Wright, un edificio chiaro, in muratura, con un'organizzazione precisa dei corpi di fabbrica [...] forte espressione di una individualità artistica, alla casa di campagna di Frank Lloyd Wright e alla Trinity Church da lui costruita a Chicago, alla speranza di una nuova espressione architettonica indotta da nuove leggi urbanistiche, alle semplici funzionali facciate sul retro, agli interi complessi dei grattacieli, progettati su un intero isolato o quartiere, come più tardi si dimostra potentemente nel Rockfeller Center, ancora, è il genio di Frank Lloyd Wright che domina la scena dell'architettura americana» (Erich Mendelsohn)
Il desiderio di spingersi sino alla costa pacifica era forte, ma Mendelsohn rimase talmente infervorato da New York e dagli edifici di Wright da decidere di rimanere nell'Est e organizzarvi cicli di conferenze, nonostante lo scarso livello del suo inglese. Mendelsohn non fece neanche in tempo a ritornare in Germania che subito fu chiamato in Russia da una delegazione in rappresentanza delle Fabbriche Tessili Sovietiche. Era necessario, infatti, progettare un tinturificio che riuscisse con opportuni sistemi di ventilazione ad ammortizzare l'effetto nefasto dei vapori provenienti dalle vasche di tintura, senza per questo generare flussi d'aria troppo intensi (molti operai, infatti, iniziarono ad essere afflitti da feroci attacchi di polmonite a causa dei ventilatori asmatici ingenuamente predisposti in prima istanza per tentare di ovviare a questa problematica). Mendelsohn fu folgorato dall'idea di scoprire un mondo enigmatico e complesso come quello rappresentato all'epoca dall'Unione Sovietica: anche i rappresentanti delle Fabbriche Tessili, d'altronde, erano galvanizzati di interagire con i processi tecnologici e costruttivi dell'Europa occidentale. La soluzione proposta da Mendelsohn prevedeva una cappa di aspirazione con un sistema annesso di cupole che, collocandosi al di sopra delle vasche di tinture, era in grado di alimentare un effetto camino lungo l'intera lunghezza del complesso edilizio e di garantire un'aerazione uniforme e costante dei locali, aumentando i volumi dell'aria di rinnovo e l'estrazione dell'aria inquinata. Recatosi a San Pietroburgo nel tardo autunno 1925, Mendelsohn trascorse in Russia un periodo indimenticabile, come ci è testimoniato dalla moglie Louise: «Erich ritornava in albergo esausto, unicamente per essere prelevato dalla nostra «guida» che ci conduceva in fantastici ristoranti, qualcuno dei quali alla periferia di Leningrado, dove i gitani suonavano la loro musica inimitabile. Balli, bevute di vodka, chiasso e chiacchierate interminabili si succedevano in una maniera russa che noi conoscevamo soltanto dai libri di Dostojevskij. Politica, religione, amore, donne, arte, tutti gli aspetti della vita venivano discussi. [...] Avevamo qualche momento di respiro durante le nostre visite di Mosca. Erich era impressionato dalla vastita della città, dalla civiltà dell'occidente europeo trasformata nell'immensa scala russa. L'anima russa sembrava aver trovato la sua espressione in una città da favola. Le innumerevoli cupole azzurre e oro delle chiese, la favolosa piazza Rossa e la chiesa medievale di Wassilij Blaschennyj, il Cremlino e le sue mura, la tomba provvisoria di Lenin [...]» Per Erich, pure qui impegnato in vari cicli di conferenze, la permanenza in Unione Sovietica fu senza dubbio formativa. L'incontro e lo scontro tra la civiltà americana e quella russa, apparentemente così antitetiche, generava secondo il giudizio di Mendelsohn - il quale, si sottolinea, aveva visitato ambedue i paesi in rapidissima successione - punti di tangenza assolutamente stimolanti. Di seguito si riporta un estratto del libro Russland, Europa, Amerika, ein architektonischer Querschnitt da lui curato: «Lo spirito di sacrificio, l'emotività, la religiosità immediata della Russia, unite alla perspicacia, all'energia franca dell'America, e tutto ciò portato all'alto livello dell'efficienza tecnica americana, si combinano in potenzialità magnifiche per il nuovo mondo; il cui problema, infatti, è costituito dall'assommare il finito della tecnologia all'infinito della vita». Nonostante il funesto insorgere di un cancro all'occhio sinistro, domato a fatica con una serie di interventi, l'attività creativa di Mendelsohn non scemò e, anzi, recepì importanti stimoli. Fu proprio dopo le operazioni oftalmiche, infatti, che Mendelsohn partì in compagnia di Rutenberg alla volta della Palestina, raggiunta nel 1923 con tappe a Trieste, Alessandria e Qunterra. Anche il Mediterraneo, ammirato solo in gioventù in occasione di un viaggio in Italia, fu sorgente di impressioni indimenticabili per Mendelsohn, che scrisse: «Intorno al bacino del Mediterraneo ogni pietra, dovunque, di qualunque epoca - anche se è di origine mista - racconta la stessa favola di gloria. [...] Parlando dell'architettura semitica, non ci si dovrebbe ricordare solamente delle linee di difesa orientali di Roma [...] né le stravaganti e spesso magnifiche costruzioni dei giorni felici di Maometto: la Cupola della Pietra a Gerusalemme, la grande Moschea di Damasco; si dovrebbe piuttosto pensare ai villaggi della Giudea [...], alla Città Santa di Gerusalemme, al maestoso rettangolo che ospita il Tempio, alle sue gigantesche pareti sorgenti dalle rupi e dalla valle di Kidron, alla gola di Es-Salt in Transgiordania [...], le vecchie residenze degli antichi tempi di Damasco [...]. Di piccola o grande dimensione, sono tutti esempi di grande semplicità, di conformazione organica, di fantasia luminosa e di vecchia monumentalità attestatrice» (Erich Mendelsohn)
Il tragitto professionale ed esistenziale di Mendelsohn subì una brusca battuta d'arresto nel 1933, anno in cui Hitler venne nominato Cancelliere dal presidente Hindenburg. Mendelsohn e la moglie avevano già percepito la velenosità dell'antisemitismo hitleriano con la lettura del Mein Kampf e, con l'ascesa di quest'ultimo al potere, temettero seriamente che la situazione potesse farsi ancora più esplosiva. Fu per questo motivo che i due coniugi fuggirono nei Paesi Bassi, con la consapevolezza di dover «iniziare una nuova vita, affrontare una nuova avventura», per citare le parole della moglie. Seppur costretto in questo esilio forzato Mendelsohn in Olanda non si abbandonò all'inoperosità e subito si adoperò per istituire un'Accademia Europea e forgiarla nel sogno glorioso di un'Europa unita, dove «il Mediterraneo, ispiratore della civiltà occidentale per migliaia di anni, sarebbe stato lo sfondo atto a ispirare gli studenti nella ricerca delle eterne leggi dell'arte e dell'adattamento di esse alle esigenze del nostro tempo» (a parlare è sempre Louise). Quest'idea trovò il sostegno dell'architetto olandese Theodore Wydeveld e del pittore francese Amédée Ozenfant, i quali subito accorsero per concretare effettivamente questo progetto, il quale - nonostante gli innegabili progressi - continuava a rimanere, tutto sommato, decisamente incerto. A causa di alcuni dissapori sorti con Wydeweld e Ozenfant, nonché per via della drammatica situazione tedesca (era ormai palese a tutti la sete hitleriana di potere e di conquista, quindi di guerra), Mendelsohn perse rapidamente entusiasmo per il progetto dell'«Accademia Europa del Mediterraneo» e pertanto accettò nel giugno 1933 di stabilirsi in Inghilterra, avviandovi una discreta attività progettuale (padiglione De La Warr di Bexhill-on-Sea e laboratorio di ricerche per la Imperial Chemical Industry).
La fama di Mendelsohn era tale da farlo comparire persino come voce nel Meyers Blitz-Lexikon. Lontano dalla Germania, Mendelsohn ebbe anche l'opportunità di effettuare un secondo viaggio in Palestina in compagnia del professor Chaim Weizmann, capo dell'Organizzazione Mondiale Sionista, conosciuto grazie alla risonanza acquisita in Inghilterra dal padiglione marino di Bexhill. «Nulla era mutato: lo stesso chiasso, lo stesso sudiciume, la stessa vita araba piena di colore»: così la moglie riassume il secondo viaggio in terra giudea. Oltre ad ammirare le severe catene montuose palestinesi, i campi prosperi di aranceti e la variopinta multietnicità del porto di Giaffa in occasione di questo viaggio Mendelsohn progettò anche la casa dei Weizmann, la sede della Banca di Palestina, l'ospedale di 
aifā e il centro medico sul Monte Scopus a Gerusalemme: a questo lavoro affiancò pure un viaggio in Siria, dove ammirò le belle case arabe a patio locali, accuratamente progettate per fronteggiare le torride condizioni climatiche locali. Mendelsohn sarebbe tornato a Londra solo all'inizio del 1935. La carriera professionale di Mendelsohn si concluse negli Stati Uniti, paese dove ritornò nel 1941. La sua notorietà era ormai sfolgorante, come testimoniato dal festino di benvenuto indetto dalla rivista Forum presso il Rockefeller Center e dalla mostra che gli venne dedicata dal Museum of Modern Art. Intanto si recò anche a San Diego, Los Angeles, New Orleans e San Francisco, dove continuò ad essere inondato di inviti e cocktail party: «Le impressioni erano irresistibili: la scala dei deserti, delle montagne, dei laghi, dei fiumi, degli alberi, specialmente i redwoods della California, e la lotta per domare questi elementi naturali; le dighe, le autostrade; lo sforzo per adeguarsi a queste gigantesche dimensioni; i camion, le macchine, i ponti, tutto questo stimolava infinitamente Erich. Si configurava città nuove, adattandole a un'America interamente nuova, affrancata da qualsiasi identità esistente, affrancata dall'eredità europea» (Louise Mendelsohn)
Le terribili condizioni climatiche dell'Ovest americano, caratterizzato da forti escursioni termiche, ebbe tuttavia conseguenze funeste sulla salute di Mendelsohn, che iniziò ad accusare dolori fortissimi. In questi anni conclusivi progettò case sulle colline della Bay Region, una sinagoga a St. Louis particolarmente influente sulla scena dell'architettura americana, tenne conferenze alla Harvard, Cornell, Ann Arbor, Oklahoma, Columbia e altri atenei altrettanto prestigiosi: furono insomma anni di vita attiva, ma sofferta, dato il tracollo fisico sempre più prossimo, sopraggiunto infine il 15 settembre del 1953, data della sua morte.
Erich Mendelsohn è stato uno dei maestri del Modernismo, nonché uno degli interpreti più sensibili dell'architettura espressionista. Mendelsohn, infatti, pur essendo stato uno degli architetti più influenti del XIX secolo sfugge a quella semplicistica categorizzazione in quei canoni storiografici - ovverosia funzionalismo, razionalismo, e International Style - con i quali si avalla generalmente il dibattito architettonico novecentesco, risultando così ben distante dall'immagine canonica della modernità, di solito associata alla triade Gropius-Mies-Le Corbusier. Il presupposto, tuttavia, risulta essere il medesimo: così come la summenzionata triade, infatti, «ispirandosi a una tradizione che sarà del funzionalismo, e cioè la denuncia all'esterno dei contenuti e delle funzioni dell'involucro edilizio, Mendelsohn conforma i suoi progetti su un archetipico stile macchinistico», in modo tale da realizzare «forme di meccanismi pregni di superiore razionalità e non mortificati da scelte di inutili simmetrie e decorativismi pseudoartistici» (Raffaele Raja). Mendelsohn, tuttavia, non si limita a rifugiarsi acriticamente nel dogma razionalista, bensì lo interpreta secondo le proprie esigenze espressive. Insofferente a l'ésprit de géometrie della cultura razionalista, infatti, Mendelsohn denuncia la propria sensibilità espressionista con l'adozione di linee fluide e dinamiche, in grado di esaltare i valori di sintesi plastica dell'architettura considerata, la quale viene plasmata secondo forme irregolari, irrequiete ed asimmetriche talmente vigorose da sembrare quasi abnormi, violente, drammatiche, se non brutali. Si osservi che molti, pur condividendo la sensibilità di Mendelsohn, la attuarono solo in irrealizzabili progetti utopistici, realizzati in periodi di crisi, per poi riapprodare a canoni meno espressionisti più in là nelle loro rispettive carriere: Mendelsohn, al contrario, non ha mai rinnegato le preferenze espressioniste della gioventù e, anzi, nella sua maturità architettonica le ha tonificate, dando loro forma architettonica con coerenza e continuità (Leonardo Benevolo, in tal senso, osserva che «la carriera di Mendelsohn è sicura, rettilinea, apparentemente senza esitazioni»). Questa soggettivizzazione così marcata, apparentemente irrealizzabile in termini architettonici, è resa possibile dall'onnipotenza dei sistemi e dei materiali costruttivi, i quali nel Novecento risultavano sempre più perfezionati: il cemento armato, materiale costruttivo che agli inizi del Novecento presentò uno sviluppo grandioso, erogava infatti delle prestazioni idonee per la realizzazione di corpi edilizi non rigidamente scatolari, bensì elastici, duttili, malleabili, quasi fluidificati (basti pensare all'osservatorio di Potsdam): «Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che il comportamento dei nostri muscoli, quando sono sottoposti all'espansione e alla contrazione, è simile al comportamento dell'acciaio e del cemento armato, specialmente nelle parti precompresse; vale a dire, il coefficiente di elasticità influenza la stabilità elastica del nostro corpo e delle sue membra. Ne consegue che i nuovi materiali strutturali - quando sono usati convenientemente rispetto alle loro qualità elastiche - devono necessariamente produrre espressioni strutturali e architettoniche completamente differenti da quelle conosciute sinora» (Erich Mendelsohn)

Questo tuffo nell'espressionismo è inoltre così spericolato che è difficile rintracciare effettivi precedenti o ingredienti stilistici. Mendelsohn, infatti, non si è definito e maturato in un'esperienza architettonica precisa: tra le varie fonti individuate dai critici vi sono l'architettura ottocentesca, da Paxton ad Eiffel, le opere in cemento armato di Max Berg, le proposte di Antonio Sant'Elia e di Tony Garnier, le esperienze figurative di Kandinskij, Franz Marc e Paul Klee e quelle art nouveau di Otto Wagner, van de Velde e Charles Rennie Mackintosh. Come osservato dallo Zevi, tuttavia, «le citazioni sono così numerose e disparate da annullarsi vicendevolmente»: Mendelsohn, rifiutando di copiare servilmente, o di istituzionalizzare, un approccio architettonico, si pone in effetti come il «solo nato rivoluzionario della sua generazione», per usare le parole del dean dell'Ann Arbor University. Anche se per i motivi summenzionati è incompatibile allo status di maestro, comunque, se c'è una personalità architettonica che Mendelsohn ammirava esplicitamente, questa è quella di Frank Lloyd Wright. Verso Wright, incontrato nel Wisconsin nel 1924, Mendelsohn nutriva una devota venerazione, come si legge nel seguente brano, di suo pugno: «Egli ha venti anni più di me. Ma siamo diventati amici all'istante, stregati dallo spazio, sporgendo le mani nello spazio uno verso l'altro: lo stesso cammino, lo stesso obiettivo, la stessa vita, credo. Ci siamo intesi subito come fratelli [...] Wright dice che l'architettura del futuro - egli la vede naturalmente in funzione del suo lavoro - sarà per la prima volta nella storia completamente architettura, spazio in sé stesso, senza modelli prestabiliti, senza abbellimenti, movimento in tre o quattro dimensioni [...] Ha detto che io ero il primo europeo venuto qui a cercarlo e ad averlo trovato. Ho risposto che la gente chiederà, tutti chiederanno, ed io dirò: 'L'ho visto, ero con lui' [...] Nessuno sfiora il suo genio» (Erich Mendelsohn) 

Corso di storia dell'architettura: Taut 1880

Taut 1880







Bruno Taut (Königsberg, 4 maggio 1880 – Istanbul, 24 dicembre 1938) è stato un architetto e urbanista tedesco. Bruno Taut nacque il 4 maggio 1880 a Königsberg, città a quel tempo appartenente al regno di Prussia, da una famiglia non particolarmente prospera dal punto di vista economico: il padre, pur essendo particolarmente facoltoso, era particolarmente impacciato negli affari, facendo così erodere con questa sua condotta finanziaria il patrimonio della famiglia (lo stesso Bruno, a causa di queste ristrettezze economiche, fu costretto a impartire lezioni private per mantenersi agli studi ginnasiali). Al collegio, in ogni caso, Taut maturò una sincera passione per l'architettura, nonché per la matematica - disciplina che, con il suo rigore, era in grado di forgiare la forma mentis indispensabile per un buon architetto - e la filosofia (pur prendendo altre strade Taut fu debitore sin nella vecchiaia allo spirito umanista di Immanuel Kant, la cui tomba giaceva a poca distanza dal suo collegio). Terminati gli studi secondari nel 1897 il giovane Bruno si iscrisse alla Baugewerkschule: egli, tuttavia, ripudiava non poco l'impostazione eccessivamente formale e teoretica fornita in questo istituto di edilizia e pertanto iniziò sin da subito a impiegarsi come tirocinante presso varie imprese edili e architettoniche presso Amburgo e Wiesbaden, rivelando un insospettato talento. Nel 1900 giunse nello studio di Bruno Möhring, architetto particolarmente apprezzato all'epoca grazie al quale Taut familiarizzò con gli stilemi dello Jugendstil ed entrò in contatto nel cosiddetto «circolo di Chorin»: fra gli adepti a questo cenacolo di aspiranti architetti, scrittori e pittori vi erano Adolf Behne, Karl Bonatz, Franz Mutzenbecher, Max Beckmann e, soprattutto, Theodor Fischer. Fischer era un architetto con cui Taut stabilì un'immediata intesa: fu proprio sotto l'ala protettiva dell'«insigne Maestro Theodor Fischer», infatti, che Taut acquistò maggiore autonomia sotto il profilo progettuale, curando la decorazione esterna della chiesa di Unterriexingen, nel Württemberg. Nel frattempo Taut si guadagnava faticosamente da vivere grazie ad alcuni piccoli incarichi provenienti da Fischer, essendo fermo nel proposito di non volersi segnalare partecipando ai concorsi (dove si disconosceva il valore intrinseco del progetto, che veniva spesso valutato in relazione a quanto era intrigante la veste grafica di presentazione). Ciò malgrado egli in questo modo tracciò i binari della sua ascesa professionale, stimolata dall'incarico di ricostruire ex novo della sala delle turbine del laminatoio Harkort a Wetter, nella regione della Ruhr, e dal solido sodalizio professionale e umano intrattenuto con Franz Hoffmann. Istigato dalla degradante decadenza dell'edilizia precedente, inquinata dalle funeste conseguenze del piano Hobrecht, Taut in questi anni maturò una sicura poetica architettonica e iniziò a svolgere la propria attività in una prospettiva di impegno sociale: a ciò si deve la peculiare fisionomia del Padiglione di Vetro, eretto nel 1914 in occasione dell'Esposizione del Deutscher Werkbund di Colonia, l'adesione in qualità di consulente alla Deutschen Gartenstadt-Gesellschaft [Associazione tedesca per le città giardino] e la redazione nel 1914 di un articolo sul Sozialistische Monatshefte dove spiegava chiaramente che un architetto per dirsi tale doveva essere engagé e impegnarsi a favore dei diritti del popolo. Questa sua visione venne corroborata dai luttuosi eventi connessi alla prima guerra mondiale, scoppiata nel 1914. Il conflitto, oltre a far naufragare molte amicizie - con Behne, aperto sostenitore della guerra, si accese un'aspra disputa, mentre Scheerbart perì nel 1915, sentitamente prostrato dalla tragedia bellica che era piombata sull'Europa - corroborò il carattere sociale della poetica di Taut, del tutto ostile al militarismo e desideroso di produrre un'architettura che stimolasse una nuova comunità umana più pacifica, armonica e giusta. Fu per questo motivo che nel 1920 fondò la rivista Frühlicht, dove ebbe agio di esprimere in maniera testuale le sue idee, e che avviò poi con i suoi amici e collaboratori più intimi un serrato scambio epistolare, passato alla storia con il nome di Die Gläserne Kette [Catena di vetro] e finalizzato a stimolare uno scambio di idee creativo e fruttuoso. Questo suo impegno sociale nel campo delle costruzioni gli fruttò nel 1921 la nomina ad assessore dell'edilizia presso Magdeburgo: fu questa l'occasione per l'architetto per concretizzare i suoi sforzi progettuali in un'architettura tangibile, in grado di erogare comfort e felicità a un popolo oppresso da anni miseri e terribili: grazie all'assessorato di Taut, in effetti, Magdeburgo poté beneficiare di un rinnovato clima sociale e di una vitale modernizzazione edilizia, operata mediante un sapiente uso del colore, sfruttato in tutte le sue coloriture pedagogiche, assurgendo così a uno dei centri architettonici più ferventi dell'intera Germania. Alla fine la presenza tautiana a Magdeburgo durò solo quattro anni, tanto che l'architetto si congedò dall'incarico di comune accordo nel 1924: fu per Taut, comunque, un'inestimabile occasione per dare un impulso più che decisivo alla propria attività progettuale, che da tale anno si fece più fervida che mai. Divenuto un pioniere dell'architettura abitativa, Taut in questo decennio realizzò grandiosi insediamenti residenziali consacrati al popolo e ai suoi bisogni: furono edifici che contribuirono sensibilmente ad accrescere la sua notorietà a livello globale, come la Hufeisensiedlung [Insediamento a ferro di cavallo] di Britz, la Wohnstadt [Città residenziale] di Prenzlauer Berg e altri complessi edilizi plasmati secondo parametri costruttivi decisamente moderni, magistralmente espressi in pubblicazioni come Die neue Baukunst [La nuova architettura] e Bauen. Der neue Wohnbau [Costruire. La nuova edilizia abitativa]. A coronare quest'intensissima attività progettuale e pubblicistica vi furono la nomina a professore al politecnico di Charlottenburg (1930), carica con la quale egli poté diffondere in ambito accademico il suo pensiero sull'edilizia residenziale, e l'adesione nel 1930 alla Preussischen Akademie der Kunste [Accademia prussiana delle arti], istituto tradizionalmente eclettista ma che in quei tempi accoglieva con fervore i nuovi fermenti architettonici stimolati da maestri moderni come Erich Mendelsohn e Mies van der Rohe, e all'American Institute of Architects. Questa sfolgorante successione di successi era tuttavia destinata ad avere un termine. La feroce crisi economica del 1929, contestualmente alla tragica ascesa al potere del nazionalsocialismo, frenarono l'attività edilizia tedesca e intaccarono l'ottimismo, nonché il benessere, del popolo tedesco: vedendo ormai i «sette anni grassi» - come egli stesso usava definirli - definitivamente tramontati Taut decise di trasferirsi nel 1932 in Unione Sovietica, fiducioso che in tale paese potesse continuare a dedicarsi all'architettura così come l'aveva tradizionalmente concepita. A Mosca Taut fornì vari progetti, pareri tecnici, pubblicazioni, proposte relative alla pianificazione urbanistica: egli, tuttavia, vide frustate le sue speranze di inserire le sue concezioni architettoniche nell'edilizia sovietica, ancora in fase embrionale, a causa delle severe difficoltà incontrate da quell'enorme paese, ancora tutto sommato agricolo, nel riconvertirsi in una grande potenza industriale. Con il consolidamento del potere hitleriano in Germania la presenza di Taut a Mosca venne vista con sfavore persino crescente.[9] Fu per questo motivo che l'architetto, profondamente amareggiato, alla fine del febbraio del 1933 fece ritorno a Berlino, dove fu accolto da una vera e propria catastrofe esistenziale: ormai considerato dopo i luttuosi trascorsi dell'incendio del Reichstag un «dirigente culturale bolscevico» nemico del regime e passabile di incarceramento, Taut si ritrovò costretto a lasciare a Berlino tutti i suoi archivi e documenti, poi distrutti dal fuoco della seconda guerra mondiale, per fuggire a Stoccarda prima e in Svizzera poi. La Germania ormai lo aveva completamente rinnegato: la radiazione dall'Akademie der Künste e la rimozione della cattedra universitaria sono solo alcuni degli episodi che attestano la feroce ostilità che affliggeva Taut sul suolo teutonico. La parabola esistenziale e professionale di Taut si concluse in due paesi: il Giappone e la Turchia. Nel paese del Sol Levante Taut ebbe l'opportunità di riprendersi dopo il traumatico ritorno in Germania: egli, d'altronde, nutriva una fervente ammirazione per la cultura nipponica, lodevole per «le leggi più semplici della bellezza e le proporzioni chiare delle forme», tanto che declinò persino la proposta di trasferirsi negli Stati Uniti. «Colore! Verde! Come! Mai visto. Acque iridescenti, nuovo mondo ... Che incanto! Che lindore! Che lindore!» furono le sue parole quando arrivò finalmente in Giappone. Egli, tuttavia, continuava a rimanere tutto sommato un emigrante in fuga dalla Germania, e perciò dovette fare i conti con una sostanziale inazione progettuale - le sue rivendicazioni architettoniche non trovavano infatti terreno fertile in Giappone - nonché con notevoli difficoltà economiche (per le quali persino l'acquisto di beni di prima necessità, come l'olio, era problematico) e con una salute ormai sempre più cagionevole. Nel 1936, infine, Taut si trasferì in Turchia, paese che era solcato da vivaci ferventi rivoluzionari grazie all'azione di governo di Kemal Atatürk, meritevole di aver abbattuto il precedente sultanato ottomano e di aver creato una nuova nazione repubblicana, da modernizzare anche grazie a importanti contributi architettonici. Furono anni conclusivi, ma assai intensi: Taut, infatti, divenne professore di architettura nell'Accademia di Belle Arti di Istanbul e stese ben ventiquattro progetti, soprattutto relativi all'edilizia scolastica, grazie ai quali ritornò ad essere «nuovamente architetto al cento per cento». La Turchia, ben lieta di recepire tali istanze di modernizzazione, seppe onorare l'esule Taut con una mostra di tutta la sua oeuvre organizzata dall'Accademia delle Arti: l'architetto, tuttavia, era logorato non solo dalle atroci condizioni climatiche, con importanti conseguenze sulla sua salute, bensì anche da una Germania sempre più belligerante, rea di tragedie come il bombardamento di Guernica a causa delle quali l'architetto stava persino pensando di rinunciare alla cittadinanza tedesca. Gli rimanevano, tuttavia, pochi giorni da vivere: Bruno Taut, infatti, morì improvvisamente il 24 dicembre 1938 a Istanbul, alla vigilia di Natale, a causa di un'asma che lo tormentava da anni. Grato dell'intervento architettonico tautiano, il popolo turco seppellì la sua salma nel cimitero Edirne Kapi, unico europeo in quel luogo. Quando Bruno Taut, ancora studente, si affacciava sul mondo dell'architettura in Europa si era ormai capillarmente diffuso lo stile liberty, caratterizzato da teneri motivi ornamentali di ascendenza fitomorfa e da un raffinato linearismo animato dalla totale predominanza di curve e spirali. Il Liberty, affermatosi soprattutto nell'architettura e nell'arredamento e divenuto in breve lo stile prediletto dalla rampante borghesia industriale dell'epoca, era significativamente rappresentato da Henry Van de Velde, Victor Horta ma anche da Otto Eckmann e Bruno Möhring, maestro del Taut profondamente influenzato dagli stilemi di Otto Wagner. Ben presto, tuttavia, Taut - pur subendo inizialmente l'influenza del liberty filtrato dal Möhring - si accorse come tale esperienza artistica, degradata ormai a una mera moda ornamentale dai contenuti vuoti e fiacchi, non aiutasse l'uomo a ritrovare uno stato di armonia con sé stesso e con la Natura e che, anzi, non faceva altro che diventare progressivamente un simbolo di una società moderna svuotata. Agli antipodi dell'avvilimento del liberty, secondo il giudizio di Taut, si poneva l'arte giapponese, la quale traduceva il mondo naturale in ampie campiture omogenee di colore, non inquinate dal chiaroscuro o da sfumature bensì animate da tagli obliqui e da scorci prospettici disassati. La semplicità, l'eleganza, la dimessa bellezza dell'estetica nipponica lasciarono in effetti un'impronta profonda nella fantasia di Taut, che dopo la delusione del liberty decise di votarsi alla costruzione di edifici semplici, razionali ed esteticamente compiuti che, ponendosi poeticamente in contatto con la Natura circostante, potessero stimolare e arricchire i fruitori, i quali - lontani dagli eccessi di un Horta o di un van der Velde, stravolti da propositi rappresentativi troppo gridati - avrebbero finalmente avuto l'occasione di trovare sé stessi in forme architettoniche effettive e naturali.[14] Il giovane Taut avallò la validità di questa sua riflessione confrontandosi con Le pietre di Venezia di John Ruskin, testo dal quale desunse la seguente citazione: «Per amore di potere e scienza siamo costretti a vivere in città; ma il vantaggio che ricaviamo dalla comunanza con gli altri è in gran parte controbilanciato dalla perdita della nostra comunione con la Natura. Non siamo adesso tutti in condizione di avere giardini o accoglienti distese erbose dove sognare la sera. Spetta ora alla nostra architettura prenderne per quanto possibile il posto, parlarci della natura, colmarci con il ricordo della usa pace, rievocarne la cordiale solennità, riprodurla in immagini copiose e donarci la dolce visione di fiori, che non possiamo più cogliere, e di creature viventi, ormai lontane da noi e chiuse nella loro solitudine» (John Ruskin)
Oltre al netto rifiuto del liberty sono molti i fattori che concorrono alla formazione definitiva della poetica architettonica di Bruno Taut. Tra i più significativi occorre menzionare gli orribili massacri perpetrati durante la prima guerra mondiale, dai quali Taut fu indotto ad assumere posizioni pacifiste e a criticare duramente lo «spirito capitalistico» che tutto disgrega, ma anche le crescenti tensioni sociali, dovute a una classe operaia divenuta finalmente consapevole dei propri diritti, e la lettura dei testi del Friedrich Nietzsche («Negli ultimi tre mesi ho letto Zarathustra di Nietzsche: è un libro di un'importante, enorme forza vitale» disse al fratello), filosofo che esortava a «essere qualcosa di nuovo, a significare qualcosa di nuovo, a rappresentare nuovi valori», auspicandosi una radicale rigenerazione sociale e politica.
Un'architettura sociale
Da queste premesse Taut arriva a definire il principale destinatario dell'architettura. Secondo il giudizio di Taut l'architettura del passato preferiva rivolgersi agli opulenti salotti aristocratici e altoborghesi, relegando le masse a edifici sovraffollati, inospitali, lontani dalla Natura e dominati dalla logica del massimo sfruttamento economico (basti pensare alle Mietkasernen di James Hobrecht, aspramente condannate da Taut che in Die Auflösung der Städte lanciò il suo grido disperato: «Abbattete le malvagità costruite! Le case di pietra rendono i cuori di pietra»). Alla sterilità degli orpelli dell'epoca guglielmina e alla tradizionale edilizia borghese Taut oppose forme architettoniche assolutamente permeate dal «pensiero sociale», comode, progressiste, in grado di «soddisfare le semplici esigenze in modo chiaro e aperto e parlare al sentimento con questi soli mezzi, senza particolari giochi architettonici» e di essere comprensibili anche a persone semplici, come le masse operaie. «L'architettura esiste solo quando è determinata da un'azione»: con questa frase Taut ritiene definitivamente superate le esperienze architettoniche del passato, le quali non partendo ex novo da presupposti sociali risultavano essere scorrette e non funzionali: riponendo in modo totale le proprie speranze nella forza della classe operaia ed esaltandone con fervore i tormenti e le lotte Taut aspirava sublimemente a produrre un'edilizia in grado di esprimere i nuovi valori sociali e di assumere anche precisi connotati didattici, con l'architetto che oltre al suo ruolo più tradizionale diveniva anche un educatore del popolo e il fautore di una nuova società più giusta e armonica. La summenzionata riflessione di Taut, giudicata da taluni decisamente utopistica, trova concretamente espressione nelle sue realizzazioni architettoniche degli anni venti. In questa nuova stagione creativa Taut, abbandonati i propositi di voler educare mediante l'architettura, si fece cantore di una modernità edilizia oggettiva e, tenendo sempre a mente le masse operaie, si orientò verso la progettazione di forme dell'abitare quotidiano più sicure e confortevoli. Alla decrepita edilizia promossa dalla borghesia per il popolo, «grigi porcili» del tutto disadorni e tristi, e alle ferree prescrizioni di Ruskin, per il quale i colori di un'architettura dovevano essere determinati dai suoi materiali costruttivi, Taut oppose una spiccata sensibilità cromatica: con le Siedlungen, infatti, Taut, intuendo le potenzialità degli «incomparabili valori» cromatici «mise il colore al servizio dell'architettura» (a parlare è Adolf Behne) ravvisandovi lo strumento per riavvicinare, dopo gli anni grigi e opprimenti della guerra, l'architettura al popolo. Fu così che Taut diede vita a un'architettura non più tradizionale, opaca, bensì riccamente policroma, animata da freschezza impulsiva, netta, in grado di captare e riverberare la luce in maniera funzionale al benessere delle masse, finalmente non più sottoposte ad una tirannica alienazione (nel senso marxiano del termine) bensì stimolate da un gaio desiderio creativo. Di seguito si riporta una citazione dello stesso Taut:«Le premesse materiali del colore hanno un'essenza diversa da quella della forma, perciò il colore deve seguire leggi diverse e può iniziare a sviluppare un proprio tema, che non deve essere necessariamente parallelo alla forma, ma può incrociarla, separarsi da essa, produrre una dissonanza e rappresentare una soluzione di queste dissonanze riunendole nuovamente. I rapporti tra colore e forma in questo modo si ampliano e arricchiscono infinitamente» (Bruno Taut)
Dei giochi cromatici di Taut oggi non rimangono che pallide testimonianze, a causa dell'inadeguatezza dei processi di tinteggiatura dell'epoca. A questa distribuzione dei colori, divenuta con il tempo sempre meno spensierata e sempre più funzionale ad un'opportuna esaltazione dei valori architettonici, Taut accompagnò una serrata critica delle consuetudini abitative dominanti in Europa e, come di consuetudine, si ispirò al Giappone, nazione dagli ambienti domestici semplici e funzionali: era opinione dell'architetto che bisognava tendere alla «massima semplicità dell'ambiente: l'abolizione delle tende alle finestre, dei quadri e quadretti, dei motti alle pareti, dei mobili inutilmente sovraccarichi di figure, fregi e intarsi e dei ninnoli superflui in favore di lampade semplici, di tavoli senza tovaglie». Questa «nuova concezione del modo di vivere la casa» osteggiava tutti quegli ambienti pretenziosi e inutilmente sovraccarichi di oggetti superflui, tradizionali appannaggi degli aristocratici, bensì prevedeva la formazione di unità abitative razionali, parsimoniose nell'arredamento dove «ciascun locale doveva avere una forma semplice e mostrarla chiaramente» (Junghanns) e, pertanto, pienamente compatibili con un'auspicata socializzazione dell'edilizia. Grazie anche all'intervento di «piacevoli effetti plastici, con piccole interruzioni ottiche e variazioni» Taut - soprattutto nelle Siedlung, si pensi alla celebre Hufeisensiedlung di Britz - riesce a formare spazi per la quotidianità privi di quella «gelida austerità abitativa» tipica di altri maestri del Modernismo, bensì «limpidi e colorati»: «non sono un'architettura facile destinata ad attrarre le simpatie dei sentimentali, [ma] splendono ancor oggi nella loro modernità discreta, una modernità che fa appello ai sensi» (Kristiana Hartmann).

Corso di storia dell'architettura: Höger 1877

Höger 1877










Johann Friedrich (Fritz) Höger (Bekenreihe, 12 giugno 1877 – Bad Segeberg, 21 giugno 1949) è stato un architetto tedesco. La sua opera più conosciuta e importante è stato il Chilehaus, costruito tra il 1922 e il 1924 ad Amburgo per l'importatore di nitrato di potassio Henry Sloman. Si tratta di un edificio in mattoni appartenente allo stile espressionista, molto in voga in quel momento. Höger costruì anche molti altri edifici, come una scuola con un planetarium, la Kirche am Hohenzollernplatz a Berlino-Wilmersdorf, e il palazzo comunale di Wilhelmshaven. Il suo stile fu influenzato dalle opere di Fritz Schumacher, anche se Höger si distaccò parzialmente dal suo maestro per accostarsi alle tendenze moderniste, raggiungendo ad una mediazione con la tradizione. Ammesso che Höger ebbe qualche simpatia per il nazionalsocialismo, il suo stile espressionista non piacque a Hitler. Anzi, non volendo cambiare il suo stile con quello più in voga nel nazismo, non ebbe mai il titolo di architetto di stato.

Corso di storia dell'architettura: Espressionismo



https://youtu.be/7XYRBrPHsUg?si=G26a7xE9xxwDJ6eR

L'Architettura Espressionista: Una Rivoluzione nell'Estetica Urbana






























L'Architettura Espressionista emerge come una rivoluzione nell'estetica urbana del XX secolo, sfidando le convenzioni architettoniche tradizionali e abbracciando una visione audace e innovativa del design degli edifici. Caratterizzata da forme audaci, linee dinamiche e un uso creativo dei materiali, l'architettura espressionista si distingue per la sua capacità di comunicare emozioni intense e creare esperienze spaziali uniche.

Le Radici dell'Espressionismo Architettonico
Nato in Germania nei primi decenni del XX secolo, l'architettura espressionista è influenzata da una serie di fattori storici, culturali e sociali. La devastazione della Prima Guerra Mondiale, l'ascesa del movimento artistico dell'Espressionismo e l'instabilità politica ed economica dell'epoca hanno contribuito a creare un terreno fertile per l'emergere di un nuovo linguaggio architettonico.
Principi e Caratteristiche Distintive
L'architettura espressionista si distingue per il suo approccio non convenzionale alla progettazione degli edifici. Le sue principali caratteristiche includono:

Forme Astratte: Gli edifici espressionisti spesso presentano forme non convenzionali e astratte, che sfidano le regole della geometria tradizionale. Le linee curve, le masse scultoree e le facciate irregolari sono comuni in questo stile architettonico.
Esplorazione dei Materiali: Gli architetti espressionisti sperimentano con una vasta gamma di materiali, inclusi il cemento armato, il vetro e l'acciaio, per creare effetti visivi e tattili unici. L'uso innovativo dei materiali contribuisce a conferire agli edifici espressionisti una sensazione di dinamismo e movimento.
Espressione Emotiva: L'architettura espressionista mira a comunicare emozioni intense e a creare un'esperienza spaziale coinvolgente per coloro che interagiscono con gli edifici. Attraverso l'uso di forme suggestive, giochi di luce e ombra, e una disposizione spaziale dinamica, gli architetti espressionisti cercano di suscitare una risposta emotiva negli spettatori.
Integrazione con l'Ambiente Circostante: Nonostante la loro natura audace e innovativa, gli edifici espressionisti sono spesso progettati per integrarsi armoniosamente con il loro contesto urbano. Gli architetti tengono conto delle caratteristiche del sito, della topografia circostante e delle esigenze dei residenti per creare edifici che si fondono organicamente con il loro ambiente.

Eredità e Influenza

L'architettura espressionista ha lasciato un'impronta duratura sul panorama urbano mondiale, influenzando generazioni successive di architetti e designer. La sua enfasi sull'innovazione, la creatività e l'espressione emotiva ha ispirato molti altri movimenti architettonici, tra cui il Brutalismo ed il Postmodernismo. In conclusione, l'architettura espressionista rappresenta una tappa fondamentale nella storia dell'architettura moderna, testimoniando il potere della creatività umana e la capacità di trasformare il mondo attraverso il design innovativo e l'espressione artistica. Con le sue forme audaci e la sua visione avveniristica, continua a ispirare e affascinare coloro che si avventurano nei suoi spazi straordinari.

Principali Architetti Espressionisti e le Loro Opere Iconiche

1. Erich Mendelsohn (1887-1953)






Erich Mendelsohn è considerato uno dei pionieri dell'architettura espressionista. Nato in Polonia e formatosi in Germania, Mendelsohn ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama architettonico del XX secolo con opere innovative e futuristiche. Tra le sue opere più celebri si annoverano:

  • Einsteinturm (Torre Einstein) a Potsdam, Germania: Questa torre di osservazione astronomica, completata nel 1924, è un esempio iconico di architettura espressionista, caratterizzata da forme curve e una facciata dinamica.

  • Teatro del Mondo (Universum Kino) a Berlino, Germania: Progettato nel 1927, questo cinema all'aperto è famoso per la sua facciata ondulata e la sua forma che ricorda una nave pronta a salpare.

  • Magazzini Schocken a Berlino

2. Bruno Taut (1880-1938)




Bruno Taut è stato un altro importante esponente dell'architettura espressionista tedesca. Le sue opere si distinguono per l'uso audace del colore e delle forme geometriche. Alcune delle sue realizzazioni più significative includono: Glass House a Vienna. Padiglione di vetro.

3. Hans Poelzig (1869-1936)





Hans Poelzig è stato un altro importante architetto e scenografo tedesco, noto per la sua opera eclettica che spaziava dall'espressionismo al neoclassicismo. Tra le sue realizzazioni più rilevanti si annoverano: Grosses Schauspielhaus (Grande Teatro) a Berlino, Germania: Questo teatro, completato nel 1919, presenta una facciata imponente e un interno sontuoso, che combinano elementi espressionisti e neoclassici.

4. Fritz Höger (1877-1949)



Fritz Höger è stato un architetto tedesco, noto soprattutto per il suo capolavoro, il Chilehaus. Nato nel 1877, Höger ricevette la sua formazione presso la Scuola Tecnica Superiore di Amburgo e successivamente lavorò per importanti architetti dell'epoca, tra cui Martin Haller e Johannes Otzen.

L'opera più celebre di Höger, il Chilehaus, è situata ad Amburgo ed è considerata uno dei più significativi esempi di architettura espressionista del mondo. Costruito tra il 1922 e il 1924, il Chilehaus è un edificio a forma di nave con una facciata decorata con mattoni a forma di scale che creano un effetto dinamico e tridimensionale. Questo imponente edificio, con le sue linee affilate e la sua struttura impressionante, rappresenta l'apice dell'estetica espressionista nell'architettura.

Questi sono solo alcuni degli architetti più influenti dell'era espressionista, il cui lavoro ha contribuito a ridefinire il concetto di architettura nel XX secolo e ha lasciato un'impronta indelebile sulla storia dell'arte e del design.


11 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 1

  

Vi racconto la Storia dell’Architettura 1 raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.

12 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 2


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog  “Homo ludens” (
https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.



13 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 3


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 3
. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/) L’opera completa si compone di 3 volumi.