Marcello Piacentini (Roma, 8 dicembre 1881 – Roma, 18 maggio 1960) è stato un architetto, urbanista e accademico italiano. Fu protagonista sulla scena dell'architettura italiana nel trentennio 1910-1940, assumendo la figura di massimo ideologo del monumentalismo di regime soprattutto per la sua febbrile opera di regia applicata praticamente a tutta l'attività architettonica e urbanistica del ventennio fascista. Nel dopoguerra fu oggetto di forti polemiche a causa del suo legame con il regime, innescando un dibattito aperto e critico sulla sua persona. Figlio dell'architetto Pio Piacentini e di Teresa Stefani, conobbe ben presto il successo professionale. A soli ventisei anni, nel 1907 partecipa al concorso per la risistemazione del centro cittadino di Bergamo (sul quale interverrà tra il 1922 e il 1927). Operò intensamente in tutta Italia, ma durante il periodo fascista fu soprattutto a Roma che ebbe incarichi di particolare rilevanza. Gli edifici e gli interventi urbanistici realizzati da Piacentini nella Capitale non si contano: da una parte ne consolidarono l'immagine di architetto del regime o architetto di corte del duce,[2] e dall'altra connotarono significativamente l'aspetto della città. Di notevole qualità, anche se poco nota, è la primissima produzione di Piacentini, assai vicina al linguaggio dello Jugendstil tedesco e della secessione viennese. Grazie alla sua formazione cosmopolita e ai molti viaggi in Austria e Germania che poté effettuare in gioventù, egli assorbì le novità del classicismo "protorazionalista" specie di Hoffmann e di Olbrich. Tali suggestioni le espresse bene nella sistemazione del Cinema-Teatro Corso di piazza San Lorenzo in Lucina di Roma in cui non si adagiò su uno stanco repertorio rinascimentale ma volle inserire elementi moderni desunti dall'ambiente nordico (bovindi, sintesi delle arti, attenzione alle arti applicate); tuttavia l'esperimento invece di suscitare consensi destò accesissime polemiche tanto che Piacentini dovette modificare il progetto pagando di tasca propria. Nel 1905 si aggiudicò, assieme a Giuseppe Quaroni, il concorso di idee indetto dalla Deputazione provinciale di Basilicata per la costruzione di un nuovo ospedale psichiatrico a Potenza Il Progetto Ophelia, costituito da 18 padiglioni e altri edifici più piccoli, ha poi mutato destinazione d'uso ma ha segnato con la sua originalità architettonica lo sviluppo del quartiere Santa Maria del capoluogo lucano. Nel 1921 fondò, con Gustavo Giovannoni, e diresse la rivista "Architettura e Arti Decorative", pubblicata da Emilio Bestetti e Calogero Tumminelli, Editrice d'arte, che uscì fino al 1931. Creò un neoclassicismo semplificato che voleva essere a metà strada tra il classicismo del gruppo Novecento (Giovanni Muzio, Emilio Lancia, Gio Ponti ecc.) e il razionalismo del Gruppo 7 e del MIAR di Giuseppe Terragni, Giuseppe Pagano, Adalberto Libera ecc. In realtà Piacentini fuse entrambi i movimenti, riuscendo a creare uno stile originale, con un'impronta spiccatamente eclettica pur nella ricerca della monumentalità tipica delle tendenze estetiche del tempo. Nel 1929 Mussolini lo nominò membro dell'Accademia d'Italia, che raccoglieva i migliori intellettuali italiani. I richiami alla tradizione classica saranno, soprattutto a partire dagli anni Trenta, numerosi, contribuendo alla fissazione di quello stile littorio così caro a Mussolini e alle alte gerarchie fasciste. Tra i primati di quegli anni c'è la realizzazione del primo grattacielo d'Italia: si tratta del Torrione dell'ex INA - Istituto Nazionale Assicurazioni, a Brescia, creato nell'ambito della realizzazione di Piazza della Vittoria. Il Torrione, in cemento armato rivestito di mattoni rossi, stilisticamente ispirato ai grattacieli di Chicago, con i suoi 15 piani e 57,25 m d'altezza è tra i primissimi grattacieli in Europa. Fra gli incarichi più prestigiosi spiccano la direzione generale dei lavori e il coordinamento urbanistico-architettonico della Città universitaria di Roma (1935) e la sovraintendenza all'architettura, parchi e giardini dell'E42, ovvero l'Esposizione Universale di Roma che si sarebbe dovuta tenere nel 1942 e che costituisce l'attuale comprensorio dell'Eur (nell'incarico fu affiancato dall'allievo Luigi Piccinato, da Giuseppe Pagano, da Luigi Vietti e da Ettore Rossi). Ma se nel caso della Città Universitaria i giovani architetti coinvolti da Piacentini nella progettazione dei singoli edifici (come Giuseppe Capponi, Giovanni Michelucci, Gio Ponti, Gaetano Rapisardi, lo stesso Giuseppe Pagano e altri) ebbero la possibilità di esprimersi con una certa libertà, in occasione dei concorsi per i fabbricati dell'E42 prevalsero le soluzioni più monumentali. Anche il piano di sviluppo del futuro quartiere espositivo redatto da Piacentini e dai suoi collaboratori risentì di pesanti compromissioni, e le reiterate revisioni dello strumento urbanistico dell'Eur intervenute nel dopoguerra, ancorché in gran parte redatte sotto la guida dello stesso Piacentini e del suo collaboratore Giorgio Calza Bini, finirono per rendere del tutto irriconoscibili le idee portanti del suo principale ispiratore. In virtù del grande successo ottenuto con i lavori della città Universitaria del 1935, il Piacentini ebbe l'incarico, sempre nel 1935, del progetto della Città universitaria di Rio de Janeiro, in Brasile. «Io vedo la nostra architettura in una grande compostezza e in una perfetta misura. Accetterà le proporzioni nuove consentite dai nuovi materiali, ma sempre subordinandole alla divina armonia che è la essenza di tutte le nostre arti e del nostro spirito. Accetterà, sempre più, la rinunzia alle vuote formule e alle incolori ripetizioni, la assoluta semplicità e sincerità delle forme, ma non potrà sempre ripudiare per partito preso la carezza di una decorazione opportuna.» (Marcello Piacentini nel 1930). Nei piani di risanamento messi a punto per la città di Livorno seguì i principi dell'architettura razionalista italiana, pensando di lasciare nel centro solamente manufatti con funzione commerciale e governativa e attuando un diradamento delle strade per esaltare gli edifici. Altrove, tuttavia, Piacentini si attestò su posizioni urbanistiche di retroguardia[POV], propugnando delle idee distruttive, come lo sventramento di alcuni centri storici, lo sviluppo delle città a macchia d'olio e l'apertura di vie radiali. Fra le operazioni più note, emerge la demolizione della "Spina di Borgo" per l'apertura di Via della Conciliazione a Roma, su progetto elaborato nel 1936 (ma portato a termine nel 1950) insieme all'architetto Attilio Spaccarelli. Antecedenti, fra il 1927 e il 1936, sono gli imponenti lavori di sventramento della Contrada Nuova di Torino per realizzare il tratto di Via Roma da piazza Carlo Felice a piazza San Carlo. Inoltre a Brescia fu artefice della Piazza della Vittoria, per la quale il suo progetto vinse il concorso indetto dal Comune. In quest'ambito fu l'autore del primo grattacielo italiano, alto 57 metri. Fu membro influente di numerose commissioni, fra cui quelle per la variante generale al piano regolatore di Roma del 1909 istituita nel 1925, per il piano regolatore del 1931 e per la relativa variante generale del 1942 (quest'ultima non fu mai adottata ma nel dopoguerra fu resa praticamente operativa). Professore ordinario di Urbanistica alla facoltà di Architettura dell'Università "La Sapienza" di Roma, della quale fu anche preside, dopo la caduta del regime fascista subì un'effimera epurazione, ma fu riammesso ben presto all'insegnamento, lasciando la cattedra nel 1955 per raggiunti limiti di età. I suoi non pochi progetti architettonici del dopoguerra, tra cui il Piano di Fabbricazione dell'isola mediterranea di Pantelleria, risentono di una certa stanchezza,[POV]. Partecipa in seguito alla seconda ristrutturazione del Teatro dell'Opera di Roma del 1960, a parere di Bruno Zevi egregiamente restaurato all'interno e poi offeso da un'"insulsa" facciata. La sua ultima opera architettonica è il Palazzo dello Sport dell'EUR, progettato nel 1957 insieme a Pier Luigi Nervi, che rappresenta il risultato finale di una sofferta successione di varianti progettuali. Il suo ultimo intervento urbanistico è costituito dal piano regolatore di Bari del 1950, firmato insieme a Giorgio e Alberto Calza Bini. Anche se fece parte di una prima commissione elaboratrice, non ebbe alcuna influenza nella redazione del piano regolatore di Roma che sarà adottato nel 1962, ma in qualità di membro della commissione urbanistica del Campidoglio dal 1956 alla morte tentò di mantenere fermi i principi cui era portabandiera fin dall'anteguerra. È sepolto insieme al padre Pio Piacentini nella tomba di famiglia al Cimitero del Verano. Alla sua scomparsa dopo lunga malattia, su di lui cadde l'impietoso giudizio distruttivo di Bruno Zevi, che come architetto lo definì "morto nel 1925". Il tempo e una maggiore riflessione hanno condotto a una rivalutazione di alcune opere di Piacentini successive al 1911. Di recente, è stata sottolineata la riuscita di una delle numerose operazioni urbanistiche da lui realizzate: l'apertura del secondo tratto novecentesco di Via Roma a Torino del 1936. Il suo rapporto con il regime, indubbio e ampiamente documentato, pur essendo stato duraturo e proficuo, non manca di notevoli incongruenze. Nei primi anni venti infatti, Piacentini fu aggredito dalle squadre fasciste a Genzano dove aveva una casa e dei possedimenti: la causa di tale gesto probabilmente va ricercata nelle frequentazioni e nelle amicizie del giovane Marcello Piacentini, che già grazie al peso del padre Pio, aveva potuto gravitare attorno a personaggi della massoneria e dell'anticlericalismo come Ernesto Nathan ed Ettore Ferrari, poco gradite allora a Mussolini e di conseguenza al violento e intransigente fascismo rurale. Il successo di Piacentini nel ventennio poi non fu improvviso; già negli anni dieci egli si era imposto come promessa del panorama architettonico non solo romano e aveva ricevuto importanti incarichi pubblici come la costruzione di edifici provvisori per l'esposizione internazionale di Roma del 1911 e il padiglione italiano all'esposizione di San Francisco (1915). La Biblioteca di Architettura dell'Università degli studi La Sapienza di Roma conserva il "Fondo Piacentini", comprendente 2.300 volumi e 60 periodici, donato dalla figlia Sofia Annesi Piacentini negli anni 1970-71; la sede di Architettura della Biblioteca di Scienze Tecnologiche, Università degli Studi di Firenze conserva il "Fondo Marcello Piacentini", donato nel 1980, composto da materiali a stampa e documenti di archivio.Un commento di Marcello Piacentini su ciò che si è costruito in Italia dal 1933 al 1936 per chiarire il concetto di modernità nazionale: «Ad un esame più completo e approfondito queste opere denunciano una fisionomia unitaria, organicamente coerente e stilisticamente definita, non soltanto in obbedienza ai canoni di gusto attuale ma in diretto rapporto con influenze nazionali. Questa impressione di nazionalità può essere messa in dubbio da quei pochissimi critici che, per partito preso, o per difetto di competenza o per incapacità di senso di osservazione, confondono in un'unica impressione generica qualsiasi opera di architettura moderna e per la estensione del movimento moderno di diversissime regioni vogliono, ad ogni costo, reagire a questo internazionalismo apparente non con una accettazione nazionale delle grandi correnti di gusto ma con una infantile negazione totalitaria.»
venerdì 21 giugno 2024
Corso di storia dell'architettura: Loos 1870
Loos 1870










Adolf Loos (Brno, 10 dicembre 1870 – Vienna, 23 agosto 1933) è stato un architetto austriaco, considerato uno dei pionieri dell'architettura moderna. Figlio di uno scultore, dal 1885 Loos studia alla Scuola di Arti e Mestieri di Reichenberg, quindi al Politecnico di Dresda. Nel 1892 si reca negli Stati Uniti, passando da Filadelfia a New York, dove per vivere fa i lavori più disparati, dal lavapiatti al muratore, dal disegnatore per un cantiere edile al cronista. Visita nel 1893 l'esposizione internazionale di Chicago, entusiasmandosi per l'architettura statunitense, in particolar modo di Louis Sullivan. Nel 1896, dopo una breve permanenza a Londra, si stabilisce a Vienna. Diventa amico di alcuni dei protagonisti delle avanguardie artistiche europee (il giornalista, scrittore e intellettuale Karl Kraus, il musicista Arnold Schönberg, il poeta Peter Altenberg, e molti altri). Aderisce inizialmente alla Secessione, per lasciarla però già nel 1898, poiché da lui considerata la rappresentazione di un gusto ormai superato rispetto alla realtà contemporanea; la rottura col gruppo (e in particolare con Josef Hoffmann) segue comunque al mancato ottenimento di un incarico progettuale per l'arredamento del Palazzo della Secessione. Loos dichiara esplicitamente il suo amore per l'architettura e la cultura angloamericana fondando una rivista, di cui usciranno due soli numeri, dal titolo Das Andere (L'altro), fautrice dell'introduzione di quella cultura in Austria. In materia di definizioni, Loos è perentorio: l'architettura è diretta espressione della cultura dei popoli; di qui, il bisogno morale di eliminare ogni ornamento di stile, che rappresenta la mancanza del passato. Nel 1900 pubblica Parole nel vuoto (Ins Leere gesprochen) in cui attacca la Secessione viennese nel momento di massima espansione.Nel 1908 pubblica Ornamento e Delitto (Ornament und Verbrechen), un brevissimo saggio in cui approfondiva i temi della sua polemica con gli artisti della Secessione viennese, ed esponeva una sua teoria in cui si privilegia l'utilità della produzione di oggetti di forma semplice e funzionale. Anche grazie a questo scritto, Loos verrà in seguito considerato uno dei fondatori del Razionalismo europeo e, in genere, del gusto architettonico moderno.Nel 1931 pubblica Nonostante Tutto (Trotzdem), contenente tutti gli scritti da lui pubblicati dal 1900 al 1931, compresi i due numeri della sua rivista Das Andere e il famoso saggio Ornamento e Delitto.
Il suo primo progetto risale al 1903: la ristrutturazione di Villa Karma situata a Montreux e caratterizzata dall'estrema semplificazione delle superfici e dal rigoroso studio volumetrico. È chiaramente ispirata allo stile e al pensiero di Otto Wagner, e ne sono una dimostrazione l'impianto parzialmente simmetrico, l'uso di superfici ampie di coperture nette, che si contrappongono all'ordine dorico che segna l'ingresso principale. L'uso dell'intonaco bianco, però, abolisce il consueto contrappunto cromatico e ripristina le tradizionali determinazioni volumetriche, rendendo questa architettura più corposa, ma sensibilmente meno ricercata dei modelli wagneriani. I lavori furono in un primo momenti bloccati dalle forze dell'ordine a seguito delle proteste di alcuni cittadini per la bruttezza dell'edificio, ritenuto troppo spoglio:«Fui invitato a presentarmi alla polizia e mi fu chiesto come io, uno straniero, osassi compiere un simile attentato contro la bellezza del lago di Ginevra. L'edificio era troppo semplice. Dove erano andati a finire gli ornamenti? [...] Ottenni un attestato dove si vietava la costruzione di un edificio del genere a causa della sua semplicità e quindi della sua bruttezza. Me ne tornai a casa felice e contento.»
Nel 1910 l'architetto realizza la Villa Steiner e la casa sul Michaelerplatz a Vienna chiamata "(das) Haus ohne Augenbrauen", (casa priva di sopracciglia) per lo stile pulito e privo di ornamenti. Nel 1912 disegna la Casa Scheu, anch'essa situata a Vienna, una delle prime a utilizzare una copertura piana a terrazza. Nella progettazione di queste case Loos inventa il Raumplan, una soluzione spaziale nella quale gli ambienti hanno altezze diverse a seconda della funzione e l'incastro tra i vari volumi comporta quindi vari dislivelli. Le Corbusier riprenderà questa idea in alcune delle sue più celebri architetture.
Nel 1922 Loos viene nominato dirigente dell'ufficio per i nuovi insediamenti periferici del Comune di Vienna, carica che manterrà per breve tempo, ma che lo porterà alla progettazione di alcune case popolari, un soggetto che fino ad allora non aveva approfondito. Tale tema viene affrontato in un'ottica sostanzialmente diversa rispetto a quella del Razionalismo; infatti, le case progettate da Loos erano pensate in modo da essere autocostruibili e da poter risultare esse stesse fonte di contributo alla vita quotidiana dei propri abitanti (ad esempio con orti per la coltivazione delle verdure, ecc.). L'opportunità di poter ottenere incarichi progettuali da parte di personaggi legati al mondo dell'arte e della vita culturale parigina spinge Loos a trasferirsi in questa città. Tuttavia, se molti artisti gli chiederanno consulenze e consigli, riuscirà a sviluppare fino alla costruzione soltanto la casa per Tristan Tzara a Montmartre, mentre quella per Joséphine Baker rimarrà allo stato di progetto. In questi due progetti l'esperienza del Raumplan viene approfondita, premessa necessaria che vedrà il suo massimo compimento nelle ville Moller a Vienna e Müller a Praga. Nell'ambito dei progetti non realizzati, sicuramente importante per la comprensione dell'opera di Loos è il progetto di concorso per la sede del Chicago Tribune. Esso è infatti caratterizzato da un grattacielo costituito da una colonna dorica nelle sue parti caratterizzanti (fusto e capitello) che poggiano su un grande basamento, il tutto realizzato in marmo nero. Una riproduzione della colonna loosiana fu esposta a Venezia nel 1980 ai tempi della nascita dell'architettura postmoderna, della quale Loos può curiosamente essere considerato un precursore. Bisogna considerare che l'argomento fondamentale di Loos contro l'utilizzo dell'ornamento si basava non solo sul dispendio di tempo e di materiale provocato dalla decorazione, né era per lui una caratteristica puramente formale. Secondo l'architetto l'ornamento era una forma di schiavitù della pratica, esercitata dal disegnatore sull'artigiano per mettere in scena la nostalgia del passato che occulta le vere forme della modernità. Ciò può essere compreso meglio citando il modo in cui l'autore giustificava la decorazione delle sue calzature su misura, che avrebbe preferito lisce:«Noi ci trasciniamo nell'affanno quotidiano e ci affrettiamo per andare ad ascoltare Beethoven o ad assistere al Tristano. Cosa questa che il mio calzolaio non può fare. Non posso privarlo della sua gioia perché non ho nulla con cui sostituirla. Se però uno va ad ascoltare la Nona e poi si mette a fare il disegno per una tappezzeria, allora è un truffatore oppure un degenerato.»
Corso di storia dell'architettura: Garnier 1869













Corso di storia dell'architettura: Behrens 1868


















Stile e pensiero
Gli esordi progettuali di Peter Behrens si sono consumati nell'alveo dell'Arts and Crafts Movement, movimento artistico animato da intellettuali come William Morris che intendeva rivalutare l'artigianato proteggendolo dall'incalzante progresso dell'industria e dalla corruzione del gusto da esso prodotto. Qui Behrens si segnalò innanzitutto come pittore, dando vita a opere - perlopiù oli su tela o xilografie - che tendevano con vigore nella direzione dell'art nouveau: ciò malgrado, pur condividendone i modi espressivi, Behrens li interpretò in maniera assolutamente originale, come osservato dal critico Marco Biraghi: «Behrens si concentra sul tema della linea ritorta, flessuosa e nervosa; linea che, rispetto a quella attraversata dai «colpi di frusta» del collega belga [Henry Van de Velde, ndr] o a quella più tenue e aggraziata del concittadino Otto Eckmann, si rivela però fin da subito maggiormente «carnosa», quasi plastica, con una tendenza a prorompere nella terza dimensione» (Marco Biraghi)
L'ingresso nella terza dimensione auspicato dal Biraghi si verificò nel 1901, quando Behrens entrò nella colonia di artisti gravitante intorno alla carismatica figura di Ernst Ludwig, granduca di Hesse. Resosi conto della modestia dei suoi risultati come decoratore e pittore di cavalletto, infatti, Behrens qui si cimentò in interventi grafici, scenografici ma soprattutto nell'architettura, progettando una casa per sé stesso, a Darmstadt. Le circonvoluzioni dello Jugendstil qui si affiancano a un altro interessante spunto progettuale, costituito dal pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, da cui Behrens desunse la volontà di generare uno Stil che fondesse arte e vita, bellezza e potere, volontà individuale e autoritismo statale, e che emanasse «un senso di superoministica potenza, bellezza barbarica e violenza tellurica» (Biraghi). In questo senso Nietzsche, citato addirittura esplicitamente nella dimora di Darmstadt con i motivi figurativi dell'aquila e il serpente (in riferimento all'eterno ritorno), era per Behrens il simbolo del grandioso e potente sviluppo industriale del Reich.[2][3] Dal filosofo di Röcken, dunque, Behrens recepì non tanto impulsi dionisiaci, o zarathustriani, bensì una sensibilità severa che fondeva mondo naturale e spirituale «sotto il segno apollineo dell'organizzazione industriale», come osservato dai critici Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co: «È chiaro che dal pensiero di Nietzsche Behrens offre un'interpretazione riduttiva: non la risata liberatrice di Zarathustra, ma l'accorata ricerca di un ordine nuovo. Non, quindi, la dissacrazione dell'avanguardia, ma la tensione verso la Sintesi. La città o l'universo industriale non sono letti come effetti o cause della distruzione dei valori o dell'avvento di un caos angoscioso, ma quali premesse di una nuova totalità, di nuova classicità, di conservazione della Kultur, potenziata dal suo assorbire l'antitesi della Zivilisation» (Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co)
Questo approccio progettuale venne potenziato quando Behrens nel 1907 divenne consulente artistico generale dell'AEG, azienda elettrica tedesca diretta da Emil e Walther Rathenau. Obiettivo di Behrens era quello di recuperare quel binomio tra estetica e funzionalità il quale, pur sembrando apparentemente inscindibile, decadeva proprio nell'industria tedesca, la quale - pur potendo beneficiare di una grandiosa fase di splendore per iniziativa di imprenditori illuminati, come Osthaus ed Emil Rathenau - faticava a fabbricare prodotti esteticamente gradevoli, scadendo invece nella scadente logica del «billig und schlecht», di manufatti funzionali, a basso prezzo ma di cattiva qualità, per usare una formula introdotta da Franz Reuleaux. Valeva, tuttavia, anche il viceversa, con il proliferare di prodotti progettati non con un disegno accorto, bensì con una «cosmesi [...] che non ha nessuna altra ragione tecnica o scientifica se non di accrescerne la piacevolezza e aumentarne la vendita» (Dorfles). In seno all'AEG Behrens elaborò creazioni squisitamente sachlich, oggettive, che rinunciano alle decorazioni, giudicate inutili e ridondanti, e che al contrario si basano sulle logiche produttive dell'organizzazione industriale. A parlare è lo stesso Behrens: «Più che una ricca ornamentazione, va perseguita una semplificazione che favorisca i perspicui rapporti di misura delle singole parti. (…) Infatti nel lavoro a macchina sarebbe insopportabile trovare le medesime forme pretenziose» (Peter Behrens)
Tale modus operandi veniva applicato da Behrens a ogni scala. Nell'architettura Behrens rinunciò alle superfetazioni decorative dell'art nouveau in favore di una maggiore funzionalità, con volumetrie rigorosamente semplici, squadrate e sobrie, spogliate da ogni qualsivoglia virtuosismo ornamentale se non connesso a una migliore esplicitazione visiva delle logiche funzionali intrinseche all'organismo edilizio: si ottenevano così costruzioni industriali che assurgevano a dignità artistica e che, in linea con il pensiero dell'AEG, si configuravano come sintesi suprema di uomo e macchina (si pensi, in tal senso, al maggiore capolavoro behrensiano, la fabbrica di turbine AEG). Behrens, tuttavia, raggiunse risultati notevoli anche sulla piccola scala: egli, infatti, disegnò oggetti industriali d'uso quotidiano, manifesti, materiali pubblicitari fruibili in maniera eccellente non solo dal punto di vista estetico, bensì anche da quello funzionale (e, quindi, tutt'altro che billig und schlecht): non a caso dalla scuola del Behrens discese Walter Gropius, fondatore del Bauhaus. Furono tuttavia numerosi altri gli architetti che adottarono il pensiero di Behrens, in maniera più o meno consapevole, come punto di riferimento: si citano, in tal senso, Le Corbusier e Ludwig Mies van der Rohe.