sabato 14 gennaio 2023

Corso Artisti Italiani del XX Secolo: Lezione 1 < 1890 Pellizza da Volpedo Balla Carrà Boccioni Severini Modigliani Melli Sironi de Chirico

Pellizza da Volpedo



Pittore (Volpedo 1868 - ivi 1907). A Milano, dove studiò all'accademia di Brera, fu influenzato dalla Scapigliatura e da D. Ranzoni; a Bergamo fu allievo di C. Tallone e a Firenze (1893-95) frequentò S. Lega e P. Nomellini. Interessato al realismo sociale e a B. Lepage, divenne noto con Fienile (esposto a Milano nel 1894) dove sperimentò la tecnica divisionista, suggestionato da A. Morbelli; aderì poi al Simbolismo, influenzato da G. Previati (Lo specchio della vita, 1895-98). Attento alle problematiche sociali e ispirandosi a E. Longoni, realizzò Ambasciatori della fame (1891-92), poi Fiumana (1896, Torino, coll. privata) e infine Il cammino dei lavoratori o Quarto stato (1896-1901, Milano, Galleria d'arte moderna), di cui sono notevoli anche i bozzetti e i disegni preparatorî. Ricordiamo ancora Il sole nascente (1904, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), opera che testimonia l'adesione al divisionismo di G. Balla.

Giacomo Balla

https://youtu.be/1Ga5g9545x8








Pittore italiano (Torino 1871 - Roma 1958). Si formò a Torino e a Roma, dove si trasferì nel 1893, in un ambito culturale partecipe del socialismo umanitario e del positivismo scientifico, affrontando tematiche come il paesaggio urbano e le condizioni umane (ciclo Dei viventi, 1902-1905), in un linguaggio che trae elementi dal verismo, dal liberty e dal neoimpressionismo. Artista maturo e affermato, nel 1910 firmò, con i suoi allievi Boccioni e Severini, il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista, ma il suo più originale contributo iniziò dal 1912 con la serie di studî sul movimento (dal Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912, Buffalo, Albright-Knox Gal., alle serie sulla "velocità d'automobile", sul "volo di rondine", ecc.) e sulle "compenetrazioni iridescenti". L'interesse per la forma pura e soprattutto per il colore sfociarono in ricerche di rigorosa astrazione. Partecipò intensamente alle manifestazioni futuriste, creando e interpretando azioni sceniche, disegnando vestiti, costumi, mobili, progettando complessi plastici. La sua posizione critica nei confronti del secondo futurismo, latente a metà degli anni Venti, si accentuò all'inizio degli anni Trenta, portandolo a un isolamento e a un ripiegamento su una ricerca di figurazione naturalistica.

Carlo Dalmazio Carrà



Carlo Dalmazio Carrà (Quargnento, 11 febbraio 1881 – Milano, 13 aprile 1966) è stato un pittore e docente italiano, professore presso l'Accademia di Brera dal 1939 al 1951. Figlio di un possidente terriero caduto in disgrazia, apprese i primi accenni dell'arte del disegno da giovane, a soli 12 anni, durante una forzata stabilità a letto a causa di una lunga malattia. Iniziò ben presto a lavorare come decoratore murale a Valenza frequentando nel frattempo le Scuole serali tra cui a Milano negli anni 1904-05 la Scuola superiore d'Arte applicata all'Industria del Castello Sforzesco.” In particolare Carrà allora di professione decoratore murale, frequentatore della Scuola negli anni 1904-05 di ritorno da Parigi e Londra, prima di iscriversi all'Accademia di Brera, vi si distinse (egli stesso lo ricorda nella sua autobiografia) conseguendo il primo premio di decorazione, di lire 500, e quello Noseda di 175 lire”. Nel 1900, si recò a Parigi durante l'Esposizione Universale, per eseguire le decorazioni di alcuni padiglioni. In visita al Louvre, si entusiasmò di alcuni pittori, quali Delacroix, Gèricault, Manet, Pierre-Auguste Renoir, Paul Cézanne, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Claude Monet, Gauguin. A Londra, invece, si appassionò alle opere di John Constable e William Turner. In questo periodo cominciò a interessarsi di politica, intrattenendo rapporti con gruppi anarchici che interruppe però ben presto. Trovatosi per caso nel corso del funerale dell'anarchico Galli, ucciso dal custode della fabbrica che picchettava nel corso dello sciopero generale del 1904, e pur essendo di destra e successivamente apertamente fascista ne rimase profondamente colpito, e cominciò a disegnare alcuni bozzetti, che anni più tardi sfoceranno nell'opera Il funerale dell'anarchico Galli. Solo nel 1906 entrò all'Accademia di Brera, come allievo di Cesare Tallone. Qui incontrò alcuni giovani artisti destinati a essere protagonisti sulla scena artistica italiana: Bonzagni, Romani, Sbardella, Valeri e Umberto Boccioni. Breve esperienza divisionista: è difatti nel divisionismo che Carra scorge i fermenti più vivi di rivolta al clima provinciale della pittura italiana di quegli anni. Nel 1909, con la pubblicazione del Manifesto del futurismo, a firma di Filippo Tommaso Marinetti, rivolto ai giovani artisti dell'epoca per esortarli ad adottare un nuovo linguaggio espressivo, nasce il nuovo movimento del Futurismo, cui aderiscono Carrà e altri artisti, fra cui i pittori Gino Severini e Giacomo Balla. Negli anni quaranta insegna pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Suoi allievi sono stati Giuseppe Ajmone e Oreste Carpi. Di questo periodo è il breve ma intenso legame sessuale con Leda Rafanelli, anarchica, che si era separata dal marito; Alberto Ciampi, uno dei maggiori esperti per quanto concerne i rapporti fra Futurismo ed anarchia, ha pubblicato un libro dedicato ai due Leda Rafanelli, Carlo Carrà: un romanzo, arte e politica in un incontro, non per niente Carrà le dedica un quadro intitolato "Funerali dell'anarchico Galli" e commenta così l'accadimento. «Vedevo innanzi a me la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare minacciosamente sulle spalle dei portatori; vedevo i cavalli imbizzarriti, i bastoni e le lance urtarsi, sì che a me parve che la salma avesse a cadere da un momento all'altro in terra e i cavalli la calpestassero». Da questo scritto traspare lo scosso stato emotivo di Carrà, in quanto durante i funerali vi furono scontri fra poliziotti e partecipanti al corteo funebre. «Quando, durante lo sciopero generale del 1904, fu ucciso l'anarchico Galli e durante il suo funerale nacque una mischia di inaudita violenza, Carrà, trovatosi lì per caso, ne fu fortemente impressionato, e tornato a casa schizzò il disegno da cui prese spunto più tardi per il quadro I funerali dell'anarchico, esposto nelle mostre futuriste del 1912.» Carrà collaborò al movimento futurista per sei anni. I concetti ispiratori della pittura futurista vennero pubblicati sulla rivista Lacerba, a cui egli collaborò attivamente. Carrà concepiva i suoi quadri come immagini dinamiche ma allo stesso tempo non soltanto limitate a dare la sensazione di movimento, destinate attraverso il colore, a eliminare la legge fissa di gravità dei corpi. Nel 1908 Carrà conosce Boccioni e Luigi Russolo. Dopo aver aderito al movimento di Marinetti, con Boccioni, Russolo, Severini e Balla, firma il Manifesto dei pittori futuristi l'11 febbraio 1910, e il Manifesto tecnico della pittura futurista l'11 aprile 1910. Suo è il manifesto La pittura dei suoni, rumori, odori (1912). Proprio in questi anni nacque l'amicizia fra Carrà e il poeta Giuseppe Ungaretti. Il distacco dal Futurismo avviene nel 1916, quando dà avvio con De Chirico alla pittura metafisica. A partire dal 1915 Carrà comincia a sentire l'esigenza di abbandonare i temi della velocità e del dinamismo, cercando un contatto più strutturato con il reale. La guerra coinvolgeva Carrà, prima con un'intensa attività interventista, durante la quale conobbe anche Cesare Battisti, e poi con la chiamata alle armi. Ma l'esperienza fu talmente dolorosa, che finì ricoverato in un nevrocomio a Ferrara. In questa città, nel 1917, conobbe Giorgio De Chirico e Filippo de Pisis con i quali definì i principi teorici della Metafisica. Dopo alcune opere in stile dechirichiano, il pittore raggiunse ben presto una propria individualità artistica, per cui Carrà non rimase confinato tra le formule tipiche del movimento metafisico, nella sua arte la metafisica fu decisamente superata dalla poesia e dal senso del magico. Nel 1919 contrasse matrimonio con Ines Minoja e iniziò la collaborazione alla rivista d'arte Valori plastici di Roma, che proseguì fino al 1921. Nel 1922, una nuova svolta nel percorso artistico di Carrà, che lo porta ad abbandonare anche la metafisica, spinto dal desiderio di "essere soltanto se stesso". La pittura deve cogliere quel rapporto che comprende il bisogno di immedesimazione con le cose e il bisogno di astrazione» e la contemplazione del paesaggio si risolve allora nella «costruzione» di un quadro, sia montano sia marino. Conosce anche il pittore-poeta milanese Cesare Breveglieri (il quale lo ritrasse mentre dipingeva). L'archivio dell'artista è conservato all'Archivio del '900 del Mart di Rovereto.

Umberto Boccioni

https://youtu.be/whVNONYYibk



Pittore, scultore, scrittore, nato il 19 ottobre 1882 a Reggio Calabria. Appassionatosi fin da giovinetto per la letteratura e per la pittura, ma contrastato dal padre, si recò a Roma, ove fra il 1898 e il 1902 lavorò nello studio del pittore Giacomo Balla, allora divisionista. Nel 1902 andò a Parigi a studiare l'impressionismo, quindi partì per Pietroburgo quale insegnante di pittura d'una signorina. I quadri dipinti nei sette mesi passati in Russia sono stati dispersi. Nel 1904-1906 lavorò tra Padova e Venezia. Dopo un periodo di squallida miseria sofferta a Milano, conobbe F. T. Marinetti che da tre mesi aveva fondato il Movimento Futurista, ancora unicamente diretto da poeti. Egli vi aderì e l'11 febbraio 1910, insieme con Luigi Russolo, G. Balla, G. Severini e Carlo Carrà, lanciò il primo Manifesto dei pittori futuristi. Seguì l'11 aprile 1910 il Manifesto tecnico della pittura futurista. Questi due manifesti, che già contengono tutta la dottrina futurista del dinamismo plastico, la modernolatria, la concezione di una pittura basata sulla sensazione dell'oggetto e non sull'oggetto stesso, la transfigurazione della realtà, la solidificazione dell'impressionismo, furono dal B. spiegati e difesi in violente battaglie. Nel febbraio 1912 inaugurò con Marinetti la prima esposizione futurista parigina alla Galerie Bernheim jeune. Seguirono le esposizioni di Londra, Bruxelles e Berlino, dove i quadri futuristi, acquistati in blocco, divennero una mostra circolante che suscitò movimenti futuristi in numerose città d'Europa. L'11 aprile 1912 lanciò il Manifesto tecnico della scultura futurista, nel quale veniva ideata la dottrina del complesso plastico di linee-forze. Nel giugno 1913 inaugurava con un discorso la sua prima esposizione di scultura alla Galerie de la Boëtie.Convinto sostenitore della partecipazione dell'Italia alla grande guerra, prese parte col Marinetti a vivaci dimostrazioni interventiste, e allo scoppio delle ostilità si arruolò volontario ciclista con il Marinetti e con i pittori futuristi Sant'Elia, Russolo, Erba, Funi, Sironi. Trasformato in alpino, combatté a fianco degli stessi artisti sull'Altissimo, all'assalto di Dosso Casina. Trasferito nell'artiglieria, il 16 agosto 1916, nel villaggio di Sorte (Verona), cadde da cavallo percotendo il capo e morì all'alba del giorno successivo.Collaborò giovanissimo a giornali di Catania. Da futurista scrisse assiduamente in Lacerba, Vela latina e negli Avvenimenti con studî sulla plastica, manifesti, parole in libertà e sintesi teatrali. V. anche la voce futurismo e relativa bibliografia.Opere principali: Di pittura: Stati d'animo (1911), Elasticità (1911), Scomposizione di figure a tavola (1912), Antigrazioso (1912), Materia (1912), Foot-ballers (1914). Di scultura: Testa + finestra, Sintesi del dinamismo umano (1912), Forme uniche della continuità nello spazio (1913). Opere letterarie e critiche: Pittura scultura futuriste: dinamismo plastico, Milano 1914; Il teatro sintetico futurista (in collaborazione con Marinetti, Settimelli, Bruno Corra, ecc.), Milano 1913; Opera completa (con prefazione di Marinetti), Foligno 1927.

Gino Severini 

https://youtu.be/ZGn7MyMb5Sc

Gino Severini (Cortona, 7 aprile 1883 – Parigi, 26 febbraio 1966) è stato un pittore e critico d'arte italiano. Nato a Cortona, giunse diciottenne a Roma. Qui Giacomo Balla lo avviò alla pittura divisionista che approfondì a Parigi a partire dal 1906 (Primavera a Montmartre, 1909). Fu tra i firmatari nel 1909 del Manifesto del futurismo scritto da Filippo Tommaso Marinetti. A Parigi fu a contatto con Pablo Picasso, Georges Braque, Juan Gris e Guillaume Apollinaire, e partecipò al nascere e allo svilupparsi del cubismo. Nel 1913 sposò Jeanne, la figlia del poeta Paul Fort, da cui nasceranno tre figli: Gina (1915), Romana (1937) e Jaques (1927-1933) morto prematuramente. Fra l'ottobre 1917 e l'agosto 1918 pubblicò una serie di articoli dal titolo La Peinture d'avant-garde nella rivista De Stijl. Theo van Doesburg ha definito lo stile di Severini psychisch kubisme (in italiano: cubismo psichico). Trasferitosi a Parigi nel 1906 per studiare la pittura d'oltralpe degli impressionisti e dei post-impressionisti, Severini conosce molti dei maggiori esponenti delle avanguardie artistiche della capitale francese, tra cui Paul Signac, Georges Braque, Juan Gris, Amedeo Modigliani, Pablo Picasso e i poeti Guillaume Apollinaire, Paul Fort e Max Jacob. Nonostante questa permanenza a Parigi, non interrompe i suoi contatti con l'Italia. Infatti, dopo aver aderito al movimento Futurista su invito di Filippo Tommaso Marinetti, è uno dei firmatari nel 1910 del manifesto della pittura futurista insieme a Balla, Boccioni, Carrà e Russolo. Nel 1912 sollecita Umberto Boccioni e Carlo Carrà a raggiungerlo a Parigi, dove organizza la prima mostra dei futuristi presso la Galleria Bernheim-Jeune. In seguito partecipa alle successive esposizioni futuriste in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1913 a Londra, presso la Marlborough Gallery, è allestita la sua prima mostra personale che successivamente viene presentata alla galleria Der Sturm di Berlino. Durante questo periodo parigino, Severini svolge un importante ruolo di collegamento fra gli ambienti artistici francesi e italiani, in particolar modo tra sensibilità cubiste e futuriste. Frequentatore di cabaret, Severini rappresentò in modo molto efficace e originale quel mondo notturno di luci e danze in capolavori come La danza del pan pan al Monico (1911), Geroglifico dinamico del bal tabarin e Ballerina in blu (1912), giungendo a una visione caleidoscopica in cui spazio e tempo, presente e passato, insieme e particolare si fondono in una festa di luci e colori. Dal 1921, in cui pubblica il trattato Du cubisme au classicisme ("Dal cubismo al Classicismo"), Severini passa da un'estetica "cubofuturista" ad una pittura che si può definire "neoclassica" con influenze metafisiche, dimostrandosi buon termometro di un sentire diffuso in tutta Europa dopo il grande trauma del primo conflitto mondiale. Questa evoluzione classicista rientra pienamente in quella tendenza, al suo interno molto variegata (che va da Picasso, a Derain, a De Chirico), che viene definita "ritorno all'ordine", o in francese “rappel à l'ordre” (richiamo all'ordine), propensione analoga a quel “ritorno al mestiere”, introdotta da un famoso articolo di Giorgio De Chirico pubblicato nel 1919 nella rivista Valori plastici. Dal 1924 al 1934, anche a seguito di una crisi religiosa, si dedica quasi esclusivamente all'arte sacra in grandi affreschi e mosaici, in particolare per le chiese svizzere di Semsales e La Roche. Nel 1923 è presente alla Biennale romana e in seguito partecipa a due mostre del movimento artistico Novecento a Milano (1926 e '29) e una a Ginevra (1929). Nel 1930 è ammesso alla Biennale di Venezia. Si trasferisce a Roma, dove partecipa alla Quadriennale nel 1931 e nel 1935, anno in cui vince il Gran premio per la pittura, presentando un'intera sala a lui dedicata. Torna a Parigi, dove realizza una grande decorazione per l'Esposizione Universale, e in seguito alterna soggiorni tra la Francia e Roma. Nel secondo dopoguerra ritorna ai soggetti del suo periodo futurista, riscrivendo in chiave di decorativismo astratto alcune delle proprie opere futuriste. Nel 1949-1950, Severini aderisce al progetto dell'importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera Simboli del lavoro. La collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì. Si trasferisce definitivamente a Parigi, dove avrà una cattedra di mosaico con Riccardo Licata come assistente. Il 26 febbraio 1966 muore nella sua casa al n. 11 di rue Schoelcher. Il 15 aprile dello stesso anno le sue spoglie vengono traslate a Cortona, sua città natale.

Amedeo Modigliani




Pittore italiano (Livorno 1884 - Parigi 1920). Cruciale per la maturazione della sua pittura fu il suo trasferimento a Parigi: qui fu a contatto con i gruppi d'avanguardia (soprattutto con i fauves), risentendo in un primo momento specialmente dell'influenza di P. Picasso, H. de Toulouse-Lautrec e P. Cézanne. Con la rielaborazione di queste fonti perseguì l'unità dei ritmi lineari e coloristici nell'esplorazione della figura umana, unico e insistente tema della pittura di M., studiato in inquadrature ravvicinate e con taglio modernissimo (Nudo rosso, 1917). VitaNel 1906 si stabilì a Parigi, dove fu a contatto dei gruppi d'avanguardia e specialmente dei fauves. Nel 1909 conobbe C. Brâncuşi, la cui amicizia fu molto importante anche per l'orientamento, pur se di breve durata, che M. ne ebbe verso la scultura e verso l'arte arcaica e l'arte negra. Nel 1918 cominciò ad aggravarsi lo stato tubercolotico che lo portò alla morte, due anni dopo, nell'ospedale della Charité di Parigi. La sua breve vita fu misera e tormentata; le sue opere, vendute per pochi soldi sotto l'assillo del bisogno, raggiunsero, dopo la sua morte, prezzi altissimi e furono molto ricercate da gallerie pubbliche e da collezionisti di Europa e d'America. OpereI suoi primi quadri risentono dell'influenza di Picasso, di Toulouse-Lautrec. Nel 1908 espose agli Indépendants opere nettamente ispirate a Cézanne. Ma dello stesso anno è il Violoncellista, primo quadro in cui comincia ad esprimersi la sua personalità in maniera autonoma. Le sculture che espose agli Indépendants nel 1912, teste allungate dalla bellezza angolosa e secca, mostrano anche un allargamento delle sue esperienze verso l'arte arcaica e l'arte negra. Dal 1913, lasciata la scultura, si dedicò esclusivamente alla pittura, dipingendo ritratti e nudi. La sua prima mostra personale avvenne nel 1918 presso la Galleria Weil, ma i suoi quadri (tra i quali Nudo con collana di corallo, Nudo rosso) furono giudicati indecenti e di conseguenza fu ordinata la chiusura dell'esposizione. La sua ricerca stilistica ebbe di mira la perfetta unità di ritmi lineari e coloristici: il segno, estremamente sensibile, mira a trasfigurare l'immagine secondo una musicale sequenza di curve, il colore è intenso, smaltato, prezioso, una umanità profonda traspare dalla ricercata deformazione della figura (unico e insistente tema della pittura di M., studiato in inquadrature ravvicinate e con taglio modernissimo), dalla tensione delle linee, dai semplici e tuttavia audacissimi accordi del colore. Assai notevoli, per la purissima ritmica del segno, sono i suoi numerosi disegni.

Roberto Melli








Roberto Melli (Ferrara, 21 marzo 1885 – Roma, 4 gennaio 1958) è stato un pittore italiano esponente della Scuola Romana. Roberto Melli nacque a Ferrara da una famiglia di commercianti di origine ebraica e, trasferitosi a Genova nel 1902 dove si era da poco trasferita la sorella Rina Melli, iniziò lavorare come apprendista intagliatore, scoprendo il proprio innato talento artistico. Conosce il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi che lo introduce nell'ambiente culturale genovese dove conosce lo scrittore Camillo Sbarbaro e lo scultore Giovanni Prini. Conosce anche l'intagliatore di legno Carlo Turina; inizia così l'attività di xilografo. Con questa tecnica collabora nel 1906 alla rivista Ebe (pubblicata a Chiavari da Sanguineti). Si dedica anche alla scultura. Stringe amicizia col pittore e acquafortista ferrarese Giorgio De Vincenzi e nel 1910 decide di andare a vivere a Roma, dove condividerà lo studio con Prini. A Roma risalgono i primi lavori di pittura. Nel 1912 sposa Anna Meotti, sua fidanzata degli anni ferraresi. Ancora nel 1912 espone alla I Esposizione italiana di xilografia organizzata a Levanto dalla rivista L'Eroica. Nel 1913 espone sculture alla I Mostra e l'anno seguente alla II Mostra della Secessione Romana. Partecipa quindi attivamente alle manifestazioni futuriste, movimento che lo vedrà agire come outsider autonomo e imprevedibile. Nel 1915 insieme a Costantini, Fioresi, Oppo e Pizzirani costituisce il "Gruppo Moderno Italiano" e nel 1918 partecipa alla nascita della rivista e del movimento "Valori plastici". Chiamato alle armi nel 1916, conosce a Ferrara de Chirico. Rientrato a Roma nel 1917, abbandona la pratica della scultura. Stringe amicizia con Giuseppe Capogrossi e Emanuele Cavalli, firma il "Manifesto del Primordialismo Plastico", ma dopo la mostra personale del 1936 la sua attività espositiva viene interrotta dalle leggi razziali fasciste che gli tolgono il diritto di partecipare a pubbliche esposizioni e a insegnare, contribuendo a sprofondarlo in una profonda crisi.Il suo unico sollievo rimane la vicinanza della moglie, "la fida Baba", come egli stesso amava chiamarla. Il lavoro riprende dopo la guerra nel suo appartamento di tre stanze al Testaccio, proprio di fronte al Mattatoio, dove ospiterà ogni settimana un gruppo di giovani amici pittori come Renato Guttuso, Enrico Accatino, Fausto Pirandello. Dal 1945 inizia infatti ad insegnare pittura all'Accademia di Belle Arti di Roma e ritorna a esporre in alcune collettive e mostre personali. È ormai considerato uno dei maggiori esponenti de "La scuola romana" e nel 1950 viene finalmente invitato alla Biennale di Venezia, che gli dedicherà una personale. Negli ultimi anni continua la sua attività parallela di artista e critico. Nel 1957 esce il suo volume di poesie "Lunga favolosa notte", opera di grande spessore oggi troppo dimenticata. Nel 1958 la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma gli dedica una retrospettiva, curata da Nello Ponente e Palma Bucarelli. Morirà lo stesso anno, a poca distanza da Giacomo Balla. Pittore straordinario per visione, cromatismo, composizione, a volte intimista, altre volte fortemente espressivo, può essere ricordato per due opere fondamentali per l'arte italiana conservate presso la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea: La casa rossa (1923) quadro figurativo che sembra precorrere le visioni di Edward Hopper e di molta pittura americana, e la scultura Signora dal Cappello Nero (1913), anche in questo caso anticipatrice della parallela ricerca tridimensionale di Umberto Boccioni. Altra opera di grande intensità il suo ultimo, drammatico, Autoritratto, realizzato lo stesso mese della sua morte, conservato presso la Galleria dei Ritratti di Palazzo Pitti. Un percorso analizzato in profondità nel corso degli anni dal critico italiano Giuseppe Appella, che ne è oggi il massimo esperto. Notevole anche la qualità dei suoi scritti, tra i quali eccelle la raccolta di poesie Lunga favolosa notte del 1957.

Mario Sironi


Pittore (Sassari 1885 - Milano 1961). Dopo l'adesione al futurismo, fu nel primo dopoguerra tra i più convinti sostenitori dell'esigenza di un ritorno all'ordine, che espresse attraverso uno stile definito da cadenze metafisiche e da una essenzialità plastico-geometrica di gusto arcaico. Tra i promotori del gruppo del Novecento (1925) e autore del Manifesto della pittura murale (1933), sperimentò tecniche diverse dedicandosi a grandi cicli decorativi. vita e opereA Roma, abbandonati gli studî d'ingegneria, si dedicò alla pittura frequentando dal 1905 lo studio di A. Discovolo e l'Accademia libera del nudo, dove conobbe U. Boccioni; contemporaneamente, l'incontro con G. Balla ne orientò le ricerche, di matrice divisionista, verso una definizione pittorica più sintetica e tendenzialmente monocromatica. Afflitto da gravi crisi nervose, dalle quali si riprese solo nel 1913, soggiornò in quegli anni in Francia e in Germania dipingendo poche opere, prevalentemente ritratti e autoritratti, di taglio duro, espressionista, dai grumosi tessuti cromatici. Nel 1913 a Milano aderì al movimento futurista, orientandosi tuttavia verso soluzioni di un costruttivismo sintetico (Testa futurista, 1913, Milano, Civico museo d'arte contemporanea). Conclusa la prima guerra mondiale (di cui lasciò testimonianza in disegni pubblicati sulla rivista Gli Avvenimenti, 1915-17), si stabilì definitivamente a Milano dove, nel 1920, cominciò a collaborare come illustratore con il Popolo d'Italia (presso il quale, dal 1928, svolse anche la funzione di critico d'arte) e presentò i primi paesaggi urbani (Aereo e città, 1919, Colonia, Museum Ludwig; Il tram, 1920, Palermo, Civica galleria d'arte moderna; Periferia industriale, 1922, Berlino, Nationalgalerie). Convinto sostenitore dell'esigenza di un ritorno all'ordine, nel 1922 fu tra i promotori del gruppo del Novecento all'interno del quale, dal 1925, assunse un ruolo di primo piano. Teorico di un'ideale unità delle arti in funzione etica e civile (i cui assunti ebbe modo di verificare, nel 1932, in occasione della Mostra della rivoluzione fascista, di cui curò gli allestimenti), lavorò spesso con G. Muzio e G. Terragni, mentre la sua tendenza alla rappresentazione grande e monumentale (Il pastore, 1932, Trieste, Museo civico Revoltella) trovò piena espressione nella pittura murale. Autore nel 1933 del Manifesto della pittura murale (firmato anche da C. Carrà e M. Campigli), sperimentò tecniche diverse, dalla pittura murale al mosaico, al bassorilievo, dedicandosi prevalentemente a grandi cicli decorativi (Aula magna dell'università "La Sapienza", Roma, 1935; Palazzo di Giustizia, Milano, 1936; Palazzo dei Giornali, Milano, 1939-42). Dal secondo dopoguerra, isolato e provato dalla morte della figlia, tornò alla pittura da cavalletto dipingendo opere d'intensa espressività che giungono progressivamente alla disgregazione della forma.

Giorgio de Chirico









Giorgio de Chirico (Volo, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978) è stato un pittore e scrittore italiano, principale esponente della corrente artistica della pittura metafisica.Giuseppe Maria Alberto Giorgio de Chirico nacque a Volo, città della Tessaglia, in Grecia, il 10 luglio del 1888 da genitori italiani appartenenti alla nobiltà: il padre Evaristo (figlio del barone palermitano Giorgio Filigone de Chirico) era un ingegnere ferroviario, tra i principali realizzatori della prima rete su rotaie in Bulgaria ed in Grecia; la madre era la baronessa[2] di origine genovese Gemma Cervetto. Entrambi i genitori erano nati a Costantinopoli. Nel 1891 morì la sorella maggiore Adelaide e ad Atene venne alla luce il fratello Andrea Alberto, che assumerà dal 1914 lo pseudonimo di Alberto Savinio per la sua attività di musicista, letterato e pittore. Per i primi diciassette anni di vita visse in Grecia tra Volo e Atene: imparò infatti il greco moderno.Nel 1896 la famiglia tornò da Atene a Volo e de Chirico prese le prime lezioni di disegno dal pittore greco Mavrudis e successivamente dal pittore e soldato Carlo Barbieri e dallo svizzero Jules-Louis Gilliéron. Nel 1899 frequentò brevemente il Liceo Leonino di Atene e poi tornò a studiare in casa con maestri privati: studiò l'italiano, il tedesco, il francese e la musica. Nel 1900 Giorgio si iscrisse al Politecnico di Atene per intraprendere lo studio della pittura (in quegli anni dipingerà la prima natura morta). Nel 1906, insieme al fratello e alla madre, lasciò la Grecia per l'Italia, dove visitò Milano e si trasferì a Firenze, frequentandovi l'Accademia di belle arti. Nel 1907 si iscrisse all'Accademia delle belle arti di Monaco di Baviera; in quel periodo conobbe l'arte di Arnold Böcklin e di Max Klinger.Nell'estate del 1909 si trasferì a Milano, dove già risiedevano la madre e il fratello; all'inizio del 1910 si recò a Firenze, insieme alla madre, dove dipinse la sua prima piazza metafisica, L'enigma di un pomeriggio d'autunno, nata dopo una rivelazione che ebbe in piazza Santa Croce. Dal 1911 al 1915 de Chirico visse a Parigi, dove abitava il fratello Alberto, partecipò al Salon d'Automne e al Salon des Indépendants e frequentò i principali artisti dell'epoca come Guillaume Apollinaire, Max Jacob e Pablo Picasso. Fu soprattutto la frequentazione con Apollinaire a influenzarlo[9]. Cominciò quindi a realizzare quadri con uno stile più sicuro. Subì l'influenza di Paul Gauguin, da cui presero forma le prime rappresentazioni delle piazze d'Italia.Tra il 1912 e il 1913 la sua fama si diffuse, anche se ancora non ottenne un adeguato tornaconto economico. In questo periodo iniziò a dipingere i suoi primi manichini. Negli anni parigini Giorgio compì alcune delle opere pittoriche fondamentali per il XX secolo.Allo scoppio della prima guerra mondiale i fratelli de Chirico si arruolarono volontari e vennero inviati a Ferrara, nella villa del Seminario, assegnati al 27º reggimento di fanteria (Giorgio rimase a Ferrara per circa tre anni e mezzo, con l'incarico di scritturale). Dopo un primo periodo difficile e di disorientamento dovuto al cambiamento di città, trovò nuove ispirazioni e non dipinse più grandi piazze assolate, ma nature morte con simboli geometrici, biscotti e pani (la tipica coppia ferrarese). In questo periodo a Ferrara i de Chirico strinsero amicizia con Carlo Carrà, anch'egli qui impiegato, Filippo de Pisis e Giorgio Rea, scultore anarchico omosessuale morto suicida poco tempo dopo in circostanze poco chiare alle autorità dell’epoca, evento che influenzò molto lo stile del pittore negli anni a seguire. In particolare De Pisis ospitò spesso gli amici nel suo appartamento nel palazzo Calcagnini, in via Montebello, dove all'epoca la famiglia Tibertelli de Pisis abitava (in affitto dal conte Giovanni Grosoli). Verosimilmente l'ambiente colpì molto la sensibilità metafisica dei due fratelli.Come ricordato, il primo incontro con Ferrara non fu facile. Nelle sue memorie, circa trenta anni dopo, scrisse: "Partivo per Ferrara, partivo per quella città che Burckhardt definì la più moderna d'Europa e che a me si rivelò come la città più profonda, più strana e più solitaria della terra". Dopo questa prima impressione, tuttavia, il suo atteggiamento mutò ed il soggiorno nella città estense si rivelò importante per de Chirico anche sotto l'aspetto sentimentale. Da un epistolario pubblicato solo nel 2014 si è scoperto che la musa ispiratrice di una sua opera famosa, Alceste, fu la giovane ferrarese Antonia Bolognesi. Con lei, conosciuta quasi appena arrivato, ma frequentata con assiduità solo dal 1917, ebbe un lunghissimo rapporto epistolare che arrivò sino agli anni 50.Nel 1924 e nel 1932 partecipò alla Biennale di Venezia e nel 1935 alla Quadriennale di Roma.Nel 1936 e 1937 si stabilì a New York, dove la Julien Levy Gallery espose le sue opere. Collaborò inoltre con le maggiori riviste di moda del tempo, Vogue e Harper's Bazaar e lavorò come decoratore di interni, realizzando ad esempio una sala da pranzo presso la Decorators Picture Gallery assieme a Picasso e Matisse.Negli anni cinquanta la sua pittura era caratterizzata da autoritratti in costume di tipo barocco e dalle vedute di Venezia. Nel frattempo collaborò a varie riviste e giornali, tra cui Il Meridiano d'Italia di Franco Servello (sul quale avviò una polemica contro Picasso e il modernismo[17]), Candido, Il Giornale d'Italia.Nel 1944 si era trasferito a Roma, in Piazza di Spagna, dove aveva anche il suo atelier. Negli anni sessanta lavorò nel suo studio Massimiliano Fuksas. Morì a Roma il 20 novembre del 1978 al termine di una lunga malattia. Pochi mesi prima, il suo novantesimo compleanno era stato celebrato in Campidoglio. Il suo sepolcro si trova in una cappella nella chiesa di San Francesco a Ripa: qui è situata la tomba del venerabile Antonino Natoli da Patti, di cui il pittore era devoto e benefattore dell'Ordine dei frati minori. Vi sono esposte tre opere donate dalla vedova Isabella Pakszwer: un autoritratto, la Donna velata con le sembianze della moglie e la Caduta di Cristo.Le opere che de Chirico dipinse prima della nascita della metafisica erano definite enigmatiche, a Ferrara nel 1917. I suoi soggetti erano ispirati dalla luce del giorno delle città mediterranee, ma poi rivolse gradualmente la sua attenzione alle architetture classiche. I lavori realizzati dal 1915 al 1925 erano caratterizzati dalla ricorrenza di architetture essenziali, proposte in prospettive non realistiche immerse in un clima trascendente e spettrale. Nei vari interni metafisici furono dipinti in quegli anni oggetti totalmente incongrui rispetto al contesto (ad esempio una barca a remi in un salotto), rappresentati con una minuzia ossessiva, una definizione tanto precisa da sortire un effetto contrario a quello del realismo.Nella sua arte, infatti, si fece sempre più sentire un'originale e romantica interpretazione della classicità e un interesse per la tecnica dei grandi maestri rinascimentali. Il pittore russo Nicola Locoff, vero nome Nikolaj Nikolaevič Lochov lo iniziò ai segreti della tempera grassa verniciata. Dipinse, dunque, tele naturaliste ed eseguì numerosi ritratti, con colori caldi ma fermi. Si interessò alla scultura in terracotta e tradusse nella terza dimensione i suoi soggetti preferiti. Continuò a dipingere contemporaneamente opere di atmosfera metafisica e di impianto tradizionale e i colori più usati erano il cobalto, l'oltremare, il vermiglio nelle tonalità squillanti, e svariate tonalità di verde. Molti autoritratti e ritratti, diverse nature morte erano realizzati a tempera.Ritornò periodicamente ai suoi temi metafisici, pur continuando a dipingere nature morte, paesaggi, ritratti ed interni in costante opposizione con le tendenze dell'arte contemporanea. Nel 1917 s'interessò nuovamente alla scenografia dedicandosi alla tecnica della scultura in bronzo che coltiverà per tutta la seconda metà degli anni sessanta. Inventò nuove illustrazioni per l'Apocalisse da realizzarsi, questa volta, con il metodo della litografia a colori. Continuò a dipingere contemporaneamente opere di atmosfera metafisica e di impianto tradizionale. De Chirico fu anche incisore e scenografo.Se durante la visita a un museo di scultura antica entriamo in una sala deserta, ci capita spesso che le statue ci appaiono sotto un aspetto nuovo. La statua eretta su di un palazzo o un tempio, ovvero al centro di un giardino o di una pubblica piazza, ci si presenta sotto diversi aspetti metafisici. Nel caso del palazzo, dove si staglia contro il cielo meridionale, essa ha qualcosa di omerico, un piacere severo e distaccato, con una punta di malinconia. Sulla piazza ha sempre un aspetto eccezionale, soprattutto se poggia su un piedestallo basso, in modo che sembri confondersi con la folla dei passanti, coinvolta nel ritmo della vita cittadina di tutti i giorni. Nel museo assume un aspetto ancora differente: ci colpisce per quel che ha di irreale.È già stato osservato più di una volta l'aspetto curioso che riescono ad acquistare letti, armadi, specchiere, divani, tavoli, quando ce li troviamo improvvisamente dinnanzi sulla strada, in uno scenario nel quale non siamo abituati a vederli: come accade in occasione di un trasloco, oppure in certi quartieri dove mercanti e rivenditori espongono fuori dalla porta, sul marciapiede, i pezzi principali della loro mercanzia. Tutti questi mobili ci appaiono sotto una luce nuova, raccolti in una strana solitudine: una profonda intimità nasce tra loro, e si direbbe che un misterioso senso di felicità serpeggi in questo spazio ristretto da loro occupato sul marciapiede, nel bel mezzo della vita animata della città e del continuo andirivieni della gente; un'immensa e strana felicità si sprigiona in quest'isola benedetta e misteriosa contro cui si scatenerebbero invano i flutti strepitosi dell'oceano in tempesta.I mobili sottratti all'atmosfera che regna nelle nostre case ed esposti all'aperto suscitano in noi un'emozione che ci fa vedere anche la strada sotto una luce nuova. Una profonda impressione ci possono suscitare anche dei mobili disposti in un paesaggio deserto. Immaginiamoci una poltrona, un divano, delle seggiole, radunate in una piana della Grecia, deserta e ricoperta di rovine, oppure nelle prateria anonime della lontana America. Per contrasto anche l'ambiente naturale tutt'intorno assume un aspetto prima sconosciuto.La nascita della pittura metafisica avvenne a Firenze nel 1910. I quadri di questo periodo erano memorabili per le pose e per gli atteggiamenti evocati dalle nitide immagini.Mentre era ricoverato all'ospedale militare di Ferrara nel 1917, de Chirico conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, con cui iniziò il percorso che lo portò a perfezionare i canoni della pittura metafisica: a partire dal 1920 tali teorizzazioni furono divulgate dalle pagine della rivista "Pittura metafisica". Questa sarà ispiratrice di architetture reali realizzate nelle città di fondazione di epoca fascista, dove il razionalismo italiano lavorerà anche su forme, spazi e particolari architettonici metafisici (Portolago, Sabaudia ecc.). Nel 1924 conobbe l'attrice ballerina Raissa Calza e tra loro sbocciò un intenso sentimento. Si stabilirono a Parigi e Raissa abbandonò la danza per dedicarsi esclusivamente agli studi di archeologia a la Sorbona. Trascorsero insieme un periodo florido e ricco di successi; de Chirico dipinse alcuni ritratti di Raissa: Figura in verde (Ritratto di Raissa) 1926, L’ésprit de domination 1927, Gli archeologi 1929, Ritratto di Raissa 1930, Bagnante (Ritratto di Raissa). Il 3 febbraio 1930, quando il legame era già in crisi, si sposarono. Ispirato dai libri di studio della moglie, iniziò a dipingere soggetti archeologici, un omaggio alla classicità riproposta però in modo inquietante: ne furono noti esempi Ettore e Andromaca 1917 e Ville romane. Il matrimonio durò pochi mesi, alla fine del 1930 il pittore si innamorò di Isabella Far (1909-1990) che divenne la sua seconda moglie e gli restò accanto fino alla morte.La figura del manichino, presente anche nell'opera "Le muse inquietanti", dell'uomo-automa contemporaneo (Il grande metafisico, 1917), gli fu invece ispirata "dall'uomo senza volto", personaggio di un dramma del fratello Alberto Savinio, pittore e scrittore. In seguito, de Chirico collaborò alla rivista "La Ronda", che teorizzava una rivisitazione completa dei classici e una sincera fedeltà alla tradizione. Partecipò all'esposizione di Berlino del 1921. Ebbe un periodo di contatto con il surrealismo esponendo a Parigi nel 1925: le sue opere successive erano contraddistinte dal virtuosismo tecnico e rappresentavano un tributo e un ringraziamento al periodo barocco. Nel 1949-50, de Chirico aderì al progetto della importante collezione Verzocchi (attualmente conservata presso la pinacoteca civica di Forlì), proponendo, oltre ad un autoritratto, l'opera Forgia di Vulcano. Nello stesso anno alcune sue opere vennero esposte al MoMa di New York. Tra esse anche "Le muse inquietanti" della Collezione Gianni Mattioli di Milano. Secondo lo studioso Ubaldo Nicola, alcune opere di de Chirico - e in particolare la pittura metafisica di cui egli fu l'iniziatore - sarebbero state stimolate dalle frequenti cefalee, di cui l'artista, proprio come Picasso, notoriamente soffriva, subendo il disturbo dell'aura visiva. De Chirico fu anche incisore e scenografo.

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