sabato 14 gennaio 2023

Corso Artisti Italiani del XX Secolo: Lezione 10 1975 - 1980 Seveso Ozmo Pao Diamond 108 Andreco Run Jbrock Elfo

 Seveso
























Alberto Seveso è un artista grafico, nato a Milano e ora lavora a Bristol, nel Regno Unito come artista freelance. La sua passione per l'arte grafica è iniziata nei primi anni '90 quando è rimasto affascinato dalle tavole da skate e dalle copertine dei CD per le band metal. È sempre stato creativo e molti anni fa ha iniziato a giocare con i primi software di progettazione grafica solo per divertimento. Non saper disegnare lo spinse ad esprimersi con altri strumenti. Da qui, ha iniziato a combinare la sua arte digitale e la fotografia per creare il suo stile unico, combinando il mondo reale e digitale. Seveso da allora ha creato un nome per se stesso come il pioniere della tecnica di "dispersione", una tecnica di rendering destrutturato in cui scatta immagini di volti e corpi e le fonde con motivi vettoriali. È attratto dai ritratti delle persone, in particolare dai volti e dalle espressioni e si diverte, in un certo senso, a dare alle persone un nuovo volto. Il suo processo inizia dal nero e poi aggiunge oggetti vettoriali all'immagine. "Fondamentalmente, questa faccia si crea da sola", dice. Ora è un artista in primo piano di Adobe Photoshop e il suo stile unico può essere trovato sull'immagine di copertina che ha creato per Adobe Photoshop CS6. Un altro stile affascinante di Seveso può essere visto nella sua collezione di recente pubblicazione, "Heavy Metals", una serie di fotografie subacquee a inchiostro, ottenute mescolando inchiostro con polveri metalliche che vengono poi sospese in fluidi diversi e fotografate ad alta velocità. Crede che anche se non sei in grado di disegnare o dipingere, sei comunque in grado di creare qualcosa di bello, creativo e interessante. Alla domanda sul perché abbia scelto questa carriera, la risposta è semplice. “Lo faccio perché lo adoro. È tutto."

Ozmo









Ozmo, pseudonimo di Gionata Gesi (Pontedera, 1975), è un artista italiano. Il suo nome è legato alla scena storica della street art in Italia, di cui è tra i maggiori interpreti. Dopo la formazione all’Accademia di Belle Arti di Firenze, Ozmo si dedica per circa un decennio alla pratica del writing, per poi iniziare un percorso tra street art, arte contemporanea e public art. Il lavoro di Ozmo si nutre di innumerevoli stimoli iconografici, tra antico e contemporaneo, a cui applica un continuo processo di appropriazione, rielaborazione e stilizzazione grafica. Dal 2001 in poi, a Milano, i primi interventi di ciò che oggi conosciamo come street art. Proficua è la collaborazione con Abbominevole (Oliver D'Auria), con il quale Ozmo nel 2003 installa i primi poster a grandi altezze avvalendosi di bastone telescopico. Emblematica della sua produzione non autorizzata è l'immagine di un teschio, che variamente assemblata e rielaborata diventa la cifra iconica che identifica il suo nome. Nel 2005 partecipa all’Urban Edge Show, al fianco di artisti di fama tra cui London Police, Blu e Shepard Fairey. Nel 2007 e 2008 rispettivamente, Ozmo figura tra i partecipanti a Street Art Sweet Art al PAC di Milano (2007) e Scala Mercalli all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Parallelamente alle azioni artistiche non autorizzate, Ozmo non rinuncia ad una attività pittorica più prossima al sistema dell’arte contemporanea, producendo opere ad olio che lavorano su un piano dell’immagine completamente diverso da quello della street art. Nel 2004 la sua ricerca pittorica è parte della collettiva Assab One 2004 – La nuova generazione artistica in Italia, curata da Roberto Pinto. Nel 2007 Ozmo figura nella mostra Arte Italiana, 1968-2007 Pittura a Palazzo Reale di Milano, curata da Vittorio Sgarbi. Fuori dai confini nazionali, va registrata la personale alla Pure Evil Gallery di Londra nel 2008. Nel 2012 Ozmo interviene in note sedi museali: prima nel foyer del Museo del Novecento a Milano, poi sulla terrazza del MACRO di Roma, realizzando il grande dipinto murale intitolato Voi valete più di molti passeri! L'attività nello spazio pubblico di Ozmo, a partire dalla fine degli anni Zero, si apre alla scena del muralismo contemporaneo. Numerose sono le partecipazioni a festival, progetti e le commissioni di grandi marchi, tra cui Absolut (2010) – l’opera realizzata a Roma viene citata dal New York Times – e Prada[14] (2014). Nel 2011 Ozmo dipinge il murale Big fish eats small fish nella zona Shoreditch a Londra, nei luoghi già toccati dal celebrato Banksy. Nel 2014 e 2016 il lavoro dell’artista toscano arriva nell’area di Miami-Wynwood, centro nevralgico internazionale per l’arte contemporanea e il neomuralismo. Dal 2013 al 2018 i suoi interventi pubblici raggiungono anche il Brasile, Capo Verde, Chicago, Shanghai, Chengdu, New York e Parigi. Nel 2019 realizza a Rieti, nell'ambito del progetto Trame-Tracce di memoria, una grande opera sulla facciata del Tribunale. Dal 2015 Ozmo è direttore artistico della manifestazione internazionale di muralismo Wall in Art, che ha luogo in Valle Camonica (Brescia), e per la quale ha realizzato tre grandi interventi.

Pao 






Pao, all'anagrafe Paolo Bordino (Milano, 28 ottobre 1977), è un artista italiano, attivo dal 2000 nel panorama dell'arte di strada; a partire dal 2007 lavora anche nella pittura su tela. Pao si forma principalmente in teatro, dove lavora come fonico, tecnico di palcoscenico e macchinista con la compagnia di Dario Fo e Franca Rame, studia e lavora presso i laboratori del Teatro alla Scala di Milano. I suoi primi interventi da autodidatta nel campo della street art nascono nel 2000, nonostante non abbia una vera nascita nell'ambito del writing, ma si interessi soprattutto di re-interpretare il contesto urbano in modo creativo e giocoso: le sue opere più famose e conosciute sono i pinguini dipinti sui paracarri, i dissuasori della sosta trasformati in delfini, i pali della luce in margherite, i bagni pubblici in lattine Campbell, nati con ispirazione diretta a partire dall'oggetto stesso. Pao espone in molte occasioni a partire dal 2001. Tra le mostre più importanti: "Street art sweet art" del 2007 al PAC di Milano, dove espone l'opera Il velo di Maya;“Ceccarini underground” a Riccione nel 2008, dove decora il sottopasso di viale Ceccarini con un murale su pannelli con i suoi personaggi giocosi e colorati; la collettiva "Triennale design museum" alla Triennale di Milano nel 2010; la collettiva "Intralci" nel 2011 a Milano. Nel 2010 si svolge la prima personale "Mondotondo": Pao presenta in quest'occasione 40 opere di cui dipinti su tela, sculture, installazioni e opere su vetroresina, che trasformano lo spazio in un “Mondo Tondo” immaginario, abitato da diversi personaggi tra cui pinguini, coccodrilli, mostri, animali e vegetali resi con forme morbide, semplificate e tonde, che trasmettono allegria e che si muovono in una realtà nuova e fantastica, interpretata e rielaborata con ironia, vivacità, creatività. Nel novembre del 2016 realizza 'La street art per la storia', in piazza dei Mercanti a Milano. Le opere vengono distrutte da alcuni vandali pochi giorni dopo l'inaugurazione. Pao dipinge in strada utilizzando soprattutto lo spray, nelle opere su tela e altri supporti usa anche l'acrilico e l'inserimento di elementi in legno o altri materiali, sperimentando molto. Nel passaggio dalla strada alla tela usa tecniche e linguaggi diversi: in strada dialoga molto con il contesto, rispettando lo spazio e dando maggior importanza al messaggio che vuole comunicare e a colori forti e visibili; sulla tela dà molta importanza alla forma, indagando percorsi più complessi e discorsi più profondi. I soggetti delle opere sono generalmente fantastici, colorati, molto giocosi, ironici, spensierati. Attraverso sperimentazioni sui materiali, ricerche prospettiche, distorsioni visive e utilizzo di geometrie curve, Pao cerca di superare la bidimensionalità della tela, e in parallelo, la tridimensionalità del nostro mondo. Un esempio è l'opera Il velo di Maya: l'elemento tridimensionale fa la sua comparsa nella bidimensione del dipinto permettendo così al protagonista di superare i limiti della sua realtà, e come lui, anche noi possiamo entrare in una dimensione che va oltre la nostra.

Diamond








Diamond nasce a Roma nel 1977. Dimostra sin dall‘infanzia una naturale predisposizione al disegno. Esordisce come writer sulla scena romana all‘inizio degli anni Novanta e contemporaneamente, dopo il liceo artistico, conclude i suoi studi all‘accademia di belle ...arti di Roma conseguendo il titolo di "maestro d‘arte". La sua esperienza nel mondo dei graffiti si evolve: approda alla street-art, divenendone uno dei maggiori esponenti della capitale. L‘opera di Diamond pur coerente con se stessa non ricalca i cliché classici della street-art. Le tecniche da lui adoperate sono insolite e svariate, i temi spesso cupi hanno risvolti simbolico/visionari e il risultato della sua produzione artistica è senz‘altro stilisticamente eclettico e inquieto, quantitativamente debordante.

108 








Guido Bisagni, meglio conosciuto con lo pseudonimo 108 (Alessandria, 1978), è un writer italiano. Vissuto per alcuni anni a Milano, ha visitato diversi paesi europei, dove ha lasciato opere effimere di street art. Ispirato ad artisti come Olivier Stak, ha sperimentato il passaggio dal writing tradizionale alla pittura di grandi e misteriose figure che invadono gli spazi pubblici, divenendo uno tra i più influenti artisti del writing astratto in Italia. A differenza dei writers tradizionali che usano lettering per esprimere il proprio soprannome, Bisagni utilizza la tecnica del numering, numeri al posto delle lettere. I suoi primi lavori sono enigmatiche forme gialle, ottenute ritagliando pellicole viniliche, che appaiono per le strade del mondo a partire dal 1999 grazie allo scambio postale tra diversi artisti di strada, come DAVE di New York che appiccica per le strade della capitale diversi stickers provenienti da ogni parte del mondo. Il suo lavoro sempre quasi completamente astratto, surreale e minimale trova ispirazione nei graffiti dell'Europa neolitica nelle avanguardie del novecento e in artisti contemporanei quali Stak e Richard Long si discosta da quello degli altri artisti di strada, ma al contempo contaminandosi perde contemporaneità, divenendo a tutti gli effetti un pittore e un muralista. Negli ultimi anni celandosi nel suo immaginario composto di fantasie che vengono giustificate dall'inconscio individuale, sembra mancare sempre più l'impegno nella realizzazione figurativa, e si avvale di compromessi tra avanguardia ed espressionismo neo-pop, accentuando l'interesse per la figurazione primitiva, alla cultura numerologica e tribale cerca di colmare il vuoto tecnico nel figurativo. 108 continua a sperimentare utilizzando non solo la pittura ma anche la creazione di sculture, suoni e installazioni, mai propriamente definite o evolute in qualcosa di sensato. Inoltre si dedica alla "musica" realizzando alcuni progetti solisti e partecipando come membro fisso al gruppo noise Corpoparassita, dove l'aspetto astratto e la negatività hanno più risalto accompagnate d'atmosfere di fastidioso rumore.

Andreco






Andreco è un artista visivo nato a Roma. Dal 2000, parallelamente alla formazione scientifica, un Dottorato di ricerca in ingegnera Ambientale svolto tra Unibo e la Columbia University di New York, porta avanti la sua ricerca artistica, sviluppando come tema centrale il rapporto tra spazio urbano e paesaggio naturale, e tra l’uomo e l’ambiente in tutte le sue declinazioni. Andreco utilizza diverse tecniche di rappresentazione: installazioni, performance, video, pittura murale, scultura e progetti d’arte pubblica. Ad oggi Andreco ha partecipato a mostre e festival a livello internazionale.

Run






Classe 1979, Giacomo Bufarini nasce ad Ancona dove si diploma all’istituto d’arte, scoprendo il writing prima e l’intero mondo della street art dopo. È a questo punto, quando  comincia a realizzare le sue opere su vecchi carri e carrozze dei treni che diventa RUN.Il primo grande lavoro che firma è un muro in un vecchio edificio in Italia realizzato nel 2003, poi, pochi anni dopo decide di trasferirsi a Londra, dove la sua arte e il suoi stile, a contatto con stimoli diversi, cambia e si trasforma.Ciò che non cambia è l’intento, per RUN la street art rimane sempre un modo per comunicare, per arrivare al cuore della gente.Oggi, nel mondo dell’arte di strada, Giacomo Bufarini rappresenta uno dei maggiori esponenti e il suo stile si distacca e si differenzia da tutto ciò che è venuto prima. Possiamo notare degli elementi ricorrenti: l’uso di un elevato numero di colori nello stesso muro, le forme dei soggetti sono morbide e formate da linee sinuose, i soggetti sono nella maggior parte delle volte figure umane che si incastrano tra di loro talmente bene e talmente tante volte da formare dei pattern che ricoprono intere facciate.Partendo da Firenze e Bologna, l’arte di RUN ha superato limiti e confini, potete trovare delle sue opere in Inghilterra, ma anche in Polonia, in Cina, in Gambia o in Senegal.

Jbrock









Quando hai iniziato a fare Street Art? Cosa ti ha spinto a iniziare la tua ricerca?

È successo tutto tra la fine del secolo scorso e l’inizio di quello nuovo. Venivo già da anni di ricerca nel mondo dei graffiti. Nel 1998 ho fatto un viaggio negli Stati Uniti, a New York, dove sono andato proprio per abbuffarmi visivamente di tag, flop e throwup. Da sempre ho avuto un debole per lo stile dei graffitari Newyorkesi, essendo cresciuto sfogliando quotidianamente “Subway Art”, cosa che faccio tutt’oggi. Non potevo non andare a vedere i graffiti nelle terre selvagge dove erano nati 30 anni prima e, appena ne ho avuto la possibilità sfruttando l’ospitalità di un’amica, sono volato oltre oceano. Dei mostri sacri contenuti nel libro ormai non vi era quasi più nessuna traccia se non con degli evidenti richiami nelle lettere delle nuove leve della grande mela, ricordo che molti dei vandali che mi colpirono di più non li avevo proprio mai sentiti nominare prima, non li elencherò tutti se no facciamo mattina, ho avuto l’enorme fortuna di capitare dalle loro parti quando erano nel pieno della loro attività writers del calibro di Peek, Revs, News, Skuf, Earsnot, Sace, RK, JAone… Oltre ad aver scoperto tanti nuovi geni della lettera un giorno, in una delle mie infinite camminate, mi trovai davanti un piccolo sticker con sopra la faccia stilizzata in bianco e nero di un icona del wrestling anni ‘80 sotto la quale appariva un bellissimo font in bianco e azzurro che riportava una sorta di ordine imperativo: “OBEY”. Non ho resistito e l’ho staccato, pensando “ammazza che robba, ma chi caxxo è questo?!”… Fa ridere a ripensarci, oggi credo lo sappia pure la nonna di Caltanissetta chi è Obey. Era comunque già da un paio di anni che mi dilettavo a fare stickers a mano e quel ritrovamento fu un ulteriore spinta a intraprendere quella via che da lì a breve segnò un enorme svolta nel pianeta… Ho iniziato la mia ricerca quando avevo 12 anni. Non so cosa mi spinse ma ci sono talmente tanto cascato dentro che oggi, da gioco che era, è diventata la mia professione.

Quando hai capito che questa forma d’arte ti avrebbe accompagnato per tutta la vita, e come hai reagito?

Credo che certe cose succedano e basta, non bisogna per forza stare lì a cercare di dare un senso, basta solo seguire il proprio istinto. Io non sono uno di quelli che è “nato imparato” o con il dono del saper disegnare fin dalla tenera età, anzi diciamo che proprio non è che ero bravo… Anzi ero proprio una pippa ar sugo e non me ne fregava proprio niente di disegnare anche perché quando si è piccoli la bravura del saper disegnare viene riconosciuta dagli altri solo se si è in grado di saper ricopiare a mestiere i disegni di altri, non so, tipo Snoopy o Topolino, ecco io proprio non lo ho mai saputo fare. Mi ricordo che un giorno, non so forse avevo 8 anni, ero a casa del mio amico Tommaso: stavamo disegnando e io disegnai una serie di strane astronavi corazzate, piene di dettagli e di particolari. Mi uscivano così, di getto e in modo naturale; lui si fermò e mi chiese da dove le avessi ricopiate. Quando gli risposi che me le stavo inventando sballò e mi fece un sacco di complimenti. Io comunque a quei tempi al posto di disegnare preferivo andare a correre, arrampicarmi sugli alberi, rotolarmi a destra e manca, saltare più in alto che potevo, imparare a camminare sulle mani e fare la lotta con i miei fratellini mentre guardavamo il cartone animato L’uomo tigre, tutte cose che mi sarebbero tornate molto utili negli anni a venire. Poi un giorno ho incontrato per strada i graffiti e tutto è cambiato: ho iniziato a provare a disegnare e ancora ci sto provando, non è detto che non arrivi un giorno in cui tutto cambierà nuovamente e magari inizierò a provare a fare altro…

Quali sono gli artisti – contemporanei o del passato – che ti hanno influenzato o ti e in che modo?

Gli artisti in questione sono moltissimi, quindi cercherò di riassumerli in 2 nomi.

Come artista di oggi senza ombra di dubbio MQ. Ha uno stile inconfondibile e un’attitudine inarrivabile. Ogni volta che vedo un suo sticker o una sua tag, un flop o un pezzo, mi fa subito venire voglia di uscire per andare a interagire con le strade.

Come artista di ieri senza dubbio Giuseppe Capogrossi: la sua maestria e la dedizione per il segno mi hanno da sempre molto colpito. Ogni volta che vedo una sua opera mi viene voglia di mettermi a dipingere.

Secondo te, come mai ora il pubblico è così aperto nei confronti del graffitismo e del muralismo? Cosa è cambiato in questi ultimi anni?

Non credo proprio che il pubblico negli ultimi anni si sia aperto nei confronti del graffitismo anzi…

Al contrario è sicuramente molto aperto nei confronti del muralismo (come del resto lo è sempre stato), solo che prima per dipingere un muro pubblico dovevi essere un artista pluripremiato oltre che un accademico della Repubblica; oggi basta che tu ti sappia muovere bene sui social e ti riesca ad agganciare con un giovane giornalista, un blogger di settore o il curatore del momento, e il giuoco è fatto: tutte le facciate cieche nelle periferie del mondo saranno a tua disposizione. Cosa è cambiato negli ultimi anni? È arrivato Internet, con tutti i suoi pro e i suoi contro.

Alcuni artisti street come Banksy o Blu hanno riscosso un successo inaudito, e di entrambi non si conosce il nome o il volto. Sembrano quasi dei super eroi… Secondo te qual è il loro ingrediente segreto e perché riscuotono così tanto successo nel pubblico di ogni.

Sarò schietto, in realtà da parte mia non c’è molto interesse nel parlare del perché o del per come altri artisti abbiamo ottenuto il loro inaudito successo, sono molto contento per loro e mi piacciono molto, a volte di più altre di meno. Senza ombra di dubbio la scelta di rimanere anonimi e di continuare a lavorare illegalmente è stata una scelta vincente, un po’ come del resto ci aveva già insegnato JAone…

Qual è la differenza fra realizzare un’opera “legale” e una “illegale”? Cosa cambia e quali sono i pro e i contro?

Diciamo che sono due cose molto diverse. Quando si realizza un opera legale si viene messi su un piedistallo, si hanno a disposizione tutti i materiali che occorrono e tutto il tempo che si vuole, il più delle volte si è serviti e riveriti oltre che protetti e pagati. Inoltre di sicuro qualche giornale o rivista parleranno dell’opera realizzata. Quando si lavora illegalmente i materiali sono a proprio carico, si rischia di venire insultati, aggrediti fino al punto di dover arrivare alle mani oltre al rischio di poter venire fermati dalle guardie e, nel peggiore dei casi, ricevere una denuncia seguita da una grossa multa; si lavora scomodi e con poco tempo quindi bisogna essere precisi e veloci, un po’ come dei Ninja. È possibile che le persone che si vengono a complimentare quando lavori legalmente poi siano le stesse ad aggredirti se ti vedono lavorare illegalmente per strada.

Cosa ne pensi del termine Street Art? Quale potrebbe essere una definizione migliore per racchiudere questo movimento?

TStreet Art è un termine che esiste dagli anni ‘70 e penso che sia la giusta definizione per definire tutte le realtà artistiche che interagiscono con la strada, qualsiasi esse siano. Un’altra definizione non so se migliore, potrebbe essere “faccio quello che voglio, dove voglio, quando voglio”.

Raccontaci del Ciccione giallo che compare sui muri di Roma. Ormai è il tuo marchio di fabbrica, la città è impazzita, tutti lo vogliono, e tutti ne vogliono sapere di più. Quel suo sguardo criptico non piò lasciare indifferenti… Come nasce l’idea? E soprattutto, dal tuo punto di vista, come mai è così attraente? Che corde tocca nel suo pubblico?

Il Ciccione nasce sul finire degli anni ’90 da un disegno estrapolato da una fotografia. Lo ho sempre utilizzato, a volte più a volte meno nel corso degli anni. Dal 2014 ho deciso di fare un esperimento: provare a condizionare le persone, condizionarle a tal punto da riuscire a farglielo apparire dapprima familiare per poi riuscire proprio a fargli piacere qualcosa che in realtà a un primo sguardo non gli dicesse nulla o che addirittura li ripugnasse, diciamo così, ho deciso di complicarmi la vita e mettermi un limite. Molti pensano che sia una giovane donna tracagnotta, compreso mio nonno, altri lo chiamano “er Cinese” o “er Patata”, altri ancora lo chiamano “er faccione giallo”, ma lui è sicuramente tutte queste cose insieme. Ognuno è libero di vederlo e chiamarlo come vuole, per me rimane sempre “il Ciccione”. Non so né perché né se piaccia o meno, ma so che nel corso del mio esperimento durante questi anni lo ho messo e rimesso per strada per poi rimetterlo ancora in svariati punti (a mio avviso strategici) della città dove chiunque abita a Roma passa più volte nell’arco della settimana. Forse a forza di vederlo e rivederlo per poi rivederlo ancora è diventato una sorta di componente della famiglia per chi lo nota, addirittura da salutare sorridendo quando ci si passa davanti: “ehi, ciao Ciccio”.

Se domani dovessi intraprendere un altro libro con Drago, su cosa ti piacerebbe lavorare?

Mi piacerebbe poter realizzare un libro incentrato solo ed esclusivamente sul Ciccione e le strade di Roma.

Cosa consiglieresti a un giovane ragazzo che da grande vorrebbe fare lo Street Artist?

Esci!

Vai a fare quello che vuoi tu, dove vuoi tu, quando vuoi tu.


Elfo 





Elfo comincia a fare graffiti nel 1994 e da allora non ha più smesso. Dopo i primi anni da solitario, nel 2000 entra a far parte della sua attuale crew. Nel tempo, ha deciso di ampliare la propria ricerca verso nuovi orizzonti; inizia così a produrre interventi di Street Art decontestualizzati dai soliti spazi, andando a operare in luoghi più inusuali come supermercati, cimiteri o paesaggi naturali. Oltre a questo, dipinge su tela. Elfo ha anche iniziato a utilizzare il web come mezzo di divulgazione dei propri interventi, graffiti, installazioni e performance, fino a capire che la possibile futura evoluzione della Street Art non sarebbe più stata solo in strada. Senza mai abbandonare le installazioni e le performance “street”, ha iniziato a coinvolgere sempre di più i paesaggi dell’Internet nella propria produzione artistica, creando alcuni dei suoi interventi più conosciuti e riusciti di viral-art. Negli ultimi anni, in seguito alla sempre più crescente attitudine di molti street artist all’utilizzo di nuovi e alternativi approcci con lo spazio pubblico, Elfo si è distaccato dall’impiego di installazioni e performance in strada, riprendendo a lavorare sul concetto di critica e comunicazione diretta di un messaggio per mezzo di scritte a rullo sul muro. Attualmente Elfo vive e lavora ancora in un luogo distante dalla monotona routine cittadina. Ci parli della tua mostra a Firenze? Romantic view nasce da un progetto con la Street Levels Gallery ed è una mostra prevalentemente pittorica. Lo scopo è evidenziare la forte contraddizione estetica tra i miei lavori e la città di Firenze. I soggetti rappresentati sono una testimonianza pittorica e non solo di luoghi abbandonati, terremotati, ma anche di “soggetti decadenti” eppure esteticamente interessanti e vivi. Che messaggio vuoi dare con questo ultimo lavoro? L’ultimo lavoro  o meglio ciclo di lavori in esterno  ha un intento ironico ed è eseguito in aree abbandonate. L’esclusione di un fruitore diretto è la chiave d’interpretazione necessaria del concetto espresso, che sarà ampliato e reso visibile prevalentemente tramite la rete. Tali messaggi sono sempre in chiave ironica e riguardano una critica soprattutto legata al mondo dell’arte e della Street Art. L’ultimo ciclo pittorico invece descrive la noncuranza, l’abbandono e la sua estetica. Quando e perché ti sei avvicinato alla Street Art? Alla così definita Street Art mi sono avvicinato da ragazzino attraverso i graffiti. Non vi era uno scopo artistico diretto e rappresentava l’esercizio, diciamo puro, di una necessità espressiva. Successivamente, l’approccio all’arte di strada è stato una semplice e “naturale conseguenza” e il suo tentativo di ampliamento con tecniche inusuali. Come pensi venga recepito quello che fai dalle persone? Onestamente il giudizio delle persone è necessario ma non influente e non necessario ma influente. Il presupposto dei lavori di “Street Art” è per me l’introduzione di un elemento dissonante rispetto alla routine quotidiana dei fruitori, quindi… Attualmente penso che un consapevole passo indietro sia necessario, la comprensione di un’opera può risultare complicata. Il recupero dell’essenziale significato attraverso la semplicità può essere una direzione. Che ricordo hai degli inizi? La Street Art è stato all’inizio un movimento artistico realmente rivoluzionario, il primo del tutto globale, auto generativo, con un numero elevatissimo di artisti. Per queste ragioni, penso che attualmente possa essere considerata una disciplina artistica e non più un movimento. Quali sono le tecniche che utilizzi? Tendenzialmente non ho limiti di tecniche, è più un adattamento del mezzo all’idea; non ho limiti nella tecnica, alcune le prediligo e alcune mi piacerebbe col tempo impararle e approfondirle. I quadri sono in prevalenza materici e in acrilico su tela. In Street Art utilizzo tutto tranne i poster, gli adesivi e gli stencil. Come scegli i soggetti da rappresentare? I soggetti nascono grazie alla casualità e alla riflessione. La piccola divagazione di un movimento, di un elemento posto nella routine quotidiana può essere il punto d’inizio, l’ispirazione tramite la casualità e la sua osservazione. La descrizione del quotidiano, invece, nasce dalla riflessione. Ci racconti qualche episodio che ti è accaduto durante uno dei tuoi lavori in strada? Più che un episodio posso raccontarti della sensazione più bella che si protrae da anni: quella tipica del soggetto che torna nel luogo del misfatto. Progetti per il futuro? Per rispondere a questa domanda ho pescato tre carte: le Mat, le Pape, le Chariot (il Matto, il Papa e il Carro), rigorosamente rovesciate.

Nessun commento:

Posta un commento