sabato 14 gennaio 2023

Corso Artisti Italiani del XX Secolo: Lezione 3 1900 -1910 Capogrossi Melòtti Deluigi Fillia Cavalli Scipione Saporetti Munari

 Giuseppe Capogrossi 






Giuseppe Capogrossi (Roma, 7 marzo 1900 – Roma, 9 ottobre 1972) è stato un pittore italiano. Di nobile origine, fece gli studi classici e si laureò in Giurisprudenza alla Sapienza. Nel 1923-24 studiò pittura con Felice Carena e nel 1927 si recò a Parigi con Fausto Pirandello. Questo fu il primo viaggio in quello che allora era il centro culturale europeo, al quale ne seguirono parecchi altri negli anni successivi. Nel 1930 partecipò alla XXVII Biennale di Venezia e, a partire dalla III Sindacale Romana (1932), prese parte regolarmente alle Sindacali, alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano, talvolta presentando parecchie opere. Insieme con Corrado Cagli, Emanuele Cavalli ed Eloisa Michelucci, nel 1932, alla Galleria Roma e l'anno successivo alla Galleria il Milione di Milano e alla Galleria Jacques Bojean di Parigi (con Cagli, Cavalli, e Sclavi) espose alcune delle sue opere. Il critico Waldemar George conierà il termine "Ecole de Rome", diventato famoso come "Scuola romana". Nel 1933 firmò con Melli e Cavalli il "Manifesto del Primordialismo Plastico" e nel 1935, a San Francisco, partecipò alla collettiva itinerante "Exhibition of Contemporary Italian Painting". Le prime mostre del dopoguerra (1947) alla Galleria il Cortile di Roma corrispondono ad un rinnovamento del linguaggio, che approda alla Pittura Astratta. Alla galleria del Secolo di Roma, in occasione di una personale, aveva presentato una sua nuova maniera voltando improvvisamente le spalle alla realtà ed al figurativismo in genere. Esponente della Scuola romana, quindi, Capogrossi fu una figura di notevole rilievo nel panorama dell'informale italiano insieme con Lucio Fontana e Alberto Burri. Partecipò al Premio Bergamo nel 1939, 1940 e 1942 e più volte alla mostra Documenta di Kassel e alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1950 partecipa alla fondazione del Gruppo Origine, insieme a Mario Ballocco, Alberto Burri ed Ettore Colla. Nel 1958 una sua opera "Superficie 210" del 1957 viene acquisita dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York. Nel 1960 espose, inoltre, alla II Biennale Internazionale di Tokyo. Nel 1963-64 espose alla mostra Peintures italiennes d'aujourd'hui, organizzata in medio oriente e in nordafrica. Nel 2012-2013 si svolge una retrospettiva di Capogrossi alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 1972, in seguito alla scomparsa di Giuseppe Capogrossi, i suoi eredi hanno iniziato a raccogliere il materiale documentario e librario riguardante l'attività dell'artista al fine di valorizzare e tutelare la sua figura e la sua opera. Con l'istituzione della Fondazione Archivio Capogrossi[4] il fondo archivistico e il materiale librario hanno trovato una loro sede dedicata, aperta a studiosi e ricercatori. La Fondazione, oltre che promuovere, sviluppare e coordinare le attività culturali volte ad approfondire gli studi sull'attività artistica di Giuseppe Capogrossi, continua ad aggiornare e integrare il fondo archivistico e librario, rendendolo progressivamente consultabile. Il fondo è costituito da corrispondenza, fotografie, manifesti, documentazione sulle opere del periodo figurativo e astratto, cataloghi di mostre e di aste e da una biblioteca di circa 350 volumi. Un altro fondo di Capogrossi con documentazione dal 1943 al 1986) è costituito da un totale di 157 documenti e 39 fascicoli,ed è conservato presso: Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma. Il fondo è costituito da una raccolta di saggi e scritti di e su Giuseppe Capogrossi, corrispondenza, documentazione diversa (pieghevoli, programmi, inviti e dépliant) riguardante mostre ed eventi e documenti personali, tra i quali attestati e premi. Il fondo contiene anche una raccolta di rassegna stampa dal 1950 al 1986 e alcune riproduzioni fotografiche di opere non solo dell'artista. Al nucleo documentario è aggregato un fondo librario costituito da volumi e periodici, per un totale di 279 pezzi.

Fausto Melòtti







Scultore e pittore italiano (Rovereto 1901 - Milano 1986). Terminati gli studî d'ingegneria al politecnico di Milano, studiò all'accademia di Brera con A. Wildt. In contatto con il gruppo che gravitava intorno alla galleria del Milione, M. contribuì, attraverso scritti, mostre, saggi, all'affermazione dell'arte astratta in Italia. Fu tra i fondatori della rivista Quadrante. Le sue costruzioni, caratterizzate all'inizio da una rigorosa partitura ritmica dello spazio (Scultura 15, 1935, Torino, Gall. d'arte moderna; I sette savi, 1937, andata distrutta e replicata nel 1969, Roma, Gall. nazionale d'arte moderna), sottolineano il carattere tutto mentale della sua ricerca, che in seguito sempre più chiaramente propone un atteggiamento d'immediatezza intuitiva in composizioni segnate da una sottile vena surreale (Teatrino, 1930-31; I centauri, 1969; La zingara, 1972; Stendardo per il deserto, 1972; Gli addii, 1982). Premio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei per la scultura (1978).

Mario Deluigi








Mario Deluigi, scritto a volte De Luigi (Treviso, 21 giugno 1901 – Dolo, 27 maggio 1978), è stato un pittore italiano, affiliato al movimento spazialista fondato da Lucio Fontana, di cui firma il manifesto nel 1951. Nacque da Eugenio e da Alceste Pasti. Il padre era titolare di una ditta specializzata nelle decorazioni di interni. Dopo aver conseguito privatamente la maturità artistica nel 1925, avrebbe voluto entrare in conservatorio ma, su pressione dei familiari, si iscrisse all'Accademia di Venezia dove studiò pittura con Ettore Tito e con Virgilio Guidi - senza tuttavia concludere gli esami. Motivato dalla ricerca della rappresentazione della luce, citato da molti critici, quali Renato Barilli, come uno fra i migliori artisti del Novecento italiano, ha nella tecnica del "grattage" il suo tratto più conosciuto: i suoi quadri realizzati con tale tecnica presentano superfici colorate rigate da minuti graffi, che danno l'illusione di nuvole di scintille. È stato un artista dalla personalità seria e schiva: la sua opera ha cominciato ad essere riscoperta dalla critica nei testi che, alla fine del ventesimo secolo, cominciarono a tirare le somme sulle maggiori figure del secolo. I suoi "grattage" vengono considerati come pionieristici per tutta la ricerca spazialista e astratta della seconda parte del Novecento, in pratica un accenno a quello che poi diverrà il gesto risolutivo del "taglio" di Fontana. Deluigi ha partecipato a otto Biennali di Venezia: 1930, 1932, 1948, 1950, 1952, 1954, 1962 (sala personale), 1968 (sala personale) e a due Quadriennali di Roma: 1959, 1972. La Biennale di Venezia gli ha dedicato nel 1980 un'importante retrospettiva. Opere di Deluigi sono presenti in numerosi musei e raccolte pubbliche. Una sua importante opera è esposta nella collezione permanente del Museo Revoltella di Trieste. Deluigi ha realizzato il grande mosaico della Stazione di Venezia Santa Lucia.

Fillia

https://youtu.be/lsdPe0wBHi8


Luigi Colombo, noto anche con lo pseudonimo di Fillìa (Revello, 3 ottobre 1904 – Torino, 10 febbraio 1936), è stato un poeta e pittore italiano. Artista futurista poliedrico nell'affrontare diverse problematiche artistiche, prese il suo pseudonimo dal cognome materno. Forse nel presagio di una breve vita si muove in modo animato e attivo sul fronte delle avanguardie artistiche, soprattutto abbracciando in tutto lo spirito futurista. Nel 1922 è coautore del libretto Poesia proletaria e nel 1923 costituisce a Torino i Sindacati Artistici Futuristi, promotori di una rivoluzione proletaria in chiave futurista. Nel 1928 organizza il Padiglione Futurista per l'Esposizione Internazionale di Torino. La sua iniziale attività è legata fortemente alla parola, sia nel teatro che nella poesia, ma sfocia anche nella pittura, con uno stile legato inizialmente all'astrazione per poi giungere a una figurazione che viene definita cosmica. Pubblica la rivista La terra dei vivi. Svolge anche attività critica e storica e fonda le pubblicazioni la Città Futurista nel 1929 e La Città Nuova nel 1931. In quest'ultimo anno, cura la pubblicazione di un importante repertorio internazionale La Nuova Architettura e firma con Marinetti il Manifesto dell'arte sacra futurista. È stata recentemente messa in evidenza una serie di suoi lavori pittorici sull'arte sacra, tema classico della tradizione italiana, rivisitato in una sperimentale chiave spirituale-meccanica futurista. Nel 1931, sempre con Marinetti firma il Manifesto della cucina futurista ed espone alla prima Quadriennale di Roma. Nel 1933, con Enrico Prampolini, esegue il grande mosaico futurista Le comunicazioni all'interno della torre del Palazzo delle Poste alla Spezia. Muore a Torino, città dove aveva quasi sempre vissuto ed operato, nel 1936, dopo una lunga malattia.

Emanuele Cavalli 





Emanuele Cavalli (Lucera, 29 novembre 1904 – Firenze, 15 marzo 1981) è stato un pittore e fotografo italiano, uno dei rappresentanti della cosiddetta Scuola Romana.Figlio di possidenti pugliesi, Cavalli si trasferisce a Roma nel 1921 e diventa allievo del pittore Felice Carena, frequentando anche l'istituto artistico industriale. Nel 1926 espone alcune opere alla Biennale di Venezia, e continuerà ad esporre alla rassegna in maniera continua. Dal 1927 al 1930 l'artista partecipa ad alcune mostre insieme ai pittori Giuseppe Capogrossi e Francesco Di Cocco, andando anche in Francia (1928), dove è introdotto dall'amico Onofrio Martinelli nell'ambiente degli Italiens de Paris (De Pisis, De Chirico, Savinio e altri). Espone al Salon Bovy di Parigi insieme a Fausto Pirandello e Di Cocco, poi nel 1930 ritorna a Roma dove si aggrega alla Scuola romana.In una serie di mostre che Cavalli tiene dal 1931 al 1933, l'artista inizia ad elaborare il tonalismo, indirizzo estetico e pittorico che trova in lui uno degli interpreti più raffinati e anche più consapevoli dal punto di vista teorico. In queste mostre, ha l'appoggio dei galleristi P.M. Bardi (Galleria di Roma) e V. Ghiringhelli (Il Milione) nonché dello scrittore Massimo Bontempelli, zio dell'amico pittore Corrado Cagli e teorico del "realismo magico", movimento letterario e artistico che ha più di un punto di contatto con la pittura dei giovani tonalisti. Importante è anche l'apporto di Roberto Melli, sia come pittore sia come critico.Nel 1933 Cavalli, insieme a Capogrossi e Melli compilano il "Manifesto del Primordialismo plastico" illustrando il credo della pittura tonale, con particolare enfasi sul lato spirituale e astratto dello stile. Nel 1935 e nel 1943, Cavalli espone un gruppo di opere alle Quadriennali romane, sviluppando il tema del rapporto pittura-musica: una serie di figure femminili di differenti tonalità, ove spiega il suo lavoro in termini di "sensibilità contrappuntistica", paragonandolo ad una "raccolta di preludi e fughe nei toni maggiori e minori".Altre importanti personali vengono tenute da Cavalli alla Galleria Leonardo da Vinci di Firenze nel 1939 e allo Zodiaco di Roma nel 1945, quest'ultima coronata anche dalla vincita di un concorso per la cattedra di pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. Si trasferisce quindi permanentemente nella capitale toscana con la moglie Vera Haberfeld (nipote dello psicanalista Edoardo Weiss) che aveva sposato nel 1935. Il 1949 segna l'inizio di una profonda crisi, alla quale contribuisce il mancato rinnovo dell'incarico cattedratico, e il cambiamento di corrente che i suoi vecchi amici pittori, Cagli e Capogrossi, stavano iniziando a seguire in astrattismo. Continuerà comunque a dipingere fino all'ultimo, alternandosi con la fotografia, che aveva sviluppato in maniera sperimentale sin dagli anni trenta, ottenendo anche incarichi di rilievo presso enti pubblici.

Scipione




Gino Bonichi, noto anche con lo pseudonimo di Scipione Bonichi o Scipione (Macerata, 25 febbraio 1904 – Arco, 9 novembre 1933), è stato un pittore italiano. Marchigiano per nascita dove il padre Serafino era capitano di amministrazione nel Distretto militare, ultimogenito di 6 fratelli, Gino si trasferì con la famiglia a Roma nel 1909. Nel 1919 si manifestarono i primi segni della tubercolosi contratta in seguito ad una polmonite, per cui fu ricoverato in sanatorio, dove rimase fino al 1924. Già nel 1924 Scipione, assieme a Renato Marino Mazzacurati, conobbe il pittore Mario Mafai iniziando a frequentare la casa di via Cavour, ed incontrando anche Antonietta Raphael. I quattro si iscrissero nel 1925 alla Scuola libera del nudo a Roma ma nel 1925 entrambi dovettero lasciare l'Accademia per una disputa con il direttore. In questo periodo, uno dei luoghi di frequentazione era la Biblioteca distorta dell'arte dell'Accademia di belle arti di Roma. Nel 1928 Scipione fondò con Mario Mafai, Renato Marino Mazzacurati e Antonietta Raphaël la Scuola romana, detta anche "Scuola di via Cavour", un gruppo di artisti attivo a Roma che si opponeva al movimento conservatore "Novecento". Anche se la "Scuola romana" fu così chiamata, i tre non ebbero mai una vera comunità di intenti, al di la dei rapporti amicali, dei luoghi comuni vissuti e della comune avversione al "Novecento" rimproverata di conservatorismo, tendenza fascista e Neoromanticismo. Nell'estate del 1929 un lungo soggiorno a Collepardo dona a Scipione, per unanime riconoscimento della critica, vigore e maturità artistica. Nel 1930 fu inserito nella XVII Esposizione internazionale d'arte di Venezia con il suo Ritratto del cardinale Vannutelli e nel 1931 nella I Quadriennale nazionale d'arte di Roma dove presentò, tra le altre opere, anche il suo Ritratto di Ungaretti. Nel 1931 e nel 1932 partecipò alle mostre Sindacali di Roma. In questi anni collaborò poi con L'Italia Letteraria, per cui realizza disegni e copertine. Nel 1931 fondò assieme a Mazzacurati, la rivista Fronte che uscì per due numeri, ma che vantava firme come Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia ed Alberto Savinio. Purtroppo, proprio in quell'anno, la tubercolosi di Scipione si aggravò, portandolo alla morte a soli 29 anni nel sanatorio di Arco di Trento il 9 novembre del 1933. I quadri di Scipione sono caratterizzati da grande energia e nervosità, espresse con l'uso di colori accesi. Le sue vedute di Roma sono contrassegnate da colori scuri e forme opprimenti e angosciose. Scipione fu anche disegnatore, poeta e scrittore. Le sue opere hanno fama internazionale e vennero esposte nella mostra documenta 1 del 1955 a Kassel. Nel 1951 il Comune di Macerata istituì il Premio Scipione con lo scopo di focalizzazione e ricerca delle nuove tendenze dell'Arte contemporanea, onorando allo stesso tempo la memoria dell'artista.

Adolfo Saporetti










Adolfo Saporetti (Ravenna, 25 dicembre 1907 – Milano, 3 dicembre 1974) è stato un pittore italiano. Nato a Ravenna nel 1907, Adolfo Saporetti ha studiato pittura a Parigi e dal 1940 al 1961 è vissuto a New York, nel famoso «triangolo bruciato» (Greenwich Village), fra Blecker Street e la Sesta Avenue, condividendo le stesse idee e partecipando alle stesse lotte in cui gli furono compagni Arshile Gorky, Jackson Pollock, Franz Kline, Alexander Calder, Willem de Kooning, Samuel Beckett, Dylan Thomas e Varèse. È morto nel 1974.  Saporetti aveva dedicato alla pittura tutta la sua vita. Fin da ragazzo aveva rivelato la sua vocazione artistica disegnando caricature nella natìa Ravenna, dove il giovane Adolfo, Dolfo, Dolfè per gli amici, si aggirava nel mondo socialista del padre, al quale non aveva risparmiato la caricatura, fra i personaggi fieri, sanguigni, intabarrati di quella Romagna inquieta e generosa. Ma il padre dovette presto riparare in Francia per salvarsi dalla persecuzione dei fascisti e il figlio lo seguì. Così crebbe a Parigi e la sua vocazione di giovane pittore ebbe modo di formarsi in un ambiente avvertito, capace di rendere raffinata una sensibilità istintiva, di abituare all'invenzione cerebrale un animo inizialmente votato ad impulsi spontanei che nell'intellettualismo trovò infinite eleganze, perdendovi tuttavia quel bagaglio di convinzioni che gli avrebbe consentito una testimonianza sociale, un linguaggio autentico. A Parigi Adolfo Saporetti frequentò i grandi esuli italiani, Turati, Treves, Nenni, Anna Kuliscioff e le loro delusioni non furono tonificanti per l'animo suo. Ebbe nelle frequentazioni artistiche, proposte da Leonor Fini, sua amica, rapporti con Breton e Tzara che lo portarono all'esperienza surrealista accostandosi alla quale un giovane, che si formava nel mondo degli esuli italiani, finiva col pensare che la realtà bisognava cercarla soltanto nell'immaginazione, al di fuori delle cose, al di sopra degli uomini. Nel 1939, alla Galerie De Berri, si aprì a Parigi la prima personale di Saporetti e la presentazione al pubblico di questo giovane pittore volle farla Filippo de Pisis, sottolineando la sensibilità dell'artista, il suo spirito distaccato dalle cose, l'ironia acuta e penetrante dei suoi disegni. E quella carica ironica, frutto di esperienze e disinganni non lo abbandonerà più, resterà una caratteristica immancabile delle sue opere, quasi il limite della sua mano magica, capace di un segno magistrale, ma spiritualmente agnostica. Era un'ironia senza amarezza, quella di Adolfo Saporetti, e in questo superamento di ogni polemica e di ogni convinzione stava la sua grande dimensione umana, che rinunciava tuttavia a qualsiasi messaggio, spettatrice distaccata, scrutatrice spietata, ma disamorata della vicenda umana.  Nel 1938, sempre a Parigi, Adolfo Saporetti incontra Anne Jenness, pittrice uscita da una vecchia famiglia americana e venuta in Europa alla ricerca delle fonti dalle quali era partita la civiltà americana. L'incontro fu definitivo. Si sposarono e rimasero uniti tutta la vita, trasferendosi subito – era scoppiata la seconda guerra mondiale – a New York. Qui, in un ambiente diverso e sradicato da qualsiasi problematica europea, Saporetti poteva soltanto allontanarsi ancora di più dai problemi individuali, dagli aspetti umani, dalle tensioni sociali in mezzo alle quali era cresciuto, giovinetto, in Italia e che già aveva sentito lontani e sfrondati a Parigi. Così divenne ancora più intellettualistico, perdette il rapporto con l'umano, fino a un distacco completo, fino a raggiungere una sua poesia fatta di negazioni per tutto quanto è consueto dell'immagine, nelle vicende, nella modestia della dimensione umana. Dipingendo una figura umana al posto della testa metteva un fiore, una farfalla, un'immagine irreale, dipinta con la sua gelida, ma sovrana maestrìa. Così ce lo rimandò l’America, negli anni sessanta. Lo rimandò a Milano, dove incontrò Franco Passoni, che ne comprese subito le grandi possibilità e l'intimo dramma, lo sospinse in Versilia, dove Vittorio Grotti si adoperò per rimettere nell'animo di Saporetti gli interessi umani, i palpiti, le partecipazioni che gli erano stati tolti, sia pure in parte sublimati in una contemplazione sognante e distaccata. Invano. Ormai Adolfo Saporetti era irrecuperabile alle emozioni umane, le aveva superate in una sua valutazione disincantata, in una conoscenza serena, spietata e senza speranze della pochezza dell'animo e l'ingegno degli uomini, della loro povertà morale, della loro aridità ideologica. Continuò a dipingere, a fare quadri meravigliosi, nobilitati dal suo segno scuro, della sua mano senza incertezze, ma privi di convinzioni, colmi di quell'ironia che si poteva cogliere nel suo sorriso indimenticabile, che si rivelava con un bagliore tagliente e si dissolveva in una tristezza silenziosa, discreta, quasi pudica, tutta e soltanto sua.

Bruno Munari 










Bruno Munari (Milano, 24 ottobre 1907 – Milano, 29 settembre 1998) è stato un artista, designer e scrittore italiano. È stato "uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo", dando contributi fondamentali in diversi campi dell'espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, disegno industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) con una ricerca poliedrica sul tema del movimento, della luce e dello sviluppo della creatività e della fantasia nell'infanzia attraverso il gioco. Bruno Munari è figura leonardesca tra le più importanti del novecento italiano. Assieme allo spaziale Lucio Fontana, Bruno Munari il perfettissimo domina la scena milanese degli anni cinquanta-sessanta; sono gli anni del boom economico in cui nasce la figura dell'artista operatore-visivo che diventa consulente aziendale e che contribuisce attivamente alla rinascita industriale italiana del dopoguerra. Munari partecipa giovanissimo al futurismo, dal quale si distacca con senso di levità ed umorismo, inventando la macchina aerea (1930), primo mobile nella storia dell'arte, e le macchine inutili (1933). Nel 1948 fonda il MAC (Movimento Arte Concreta) assieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati. Questo movimento funge da coalizzatore delle istanze astrattiste italiane prospettando una sintesi delle arti, in grado di affiancare alla pittura tradizionale nuovi strumenti di comunicazione ed in grado di dimostrare agli industriali e agli artisti la possibilità di una convergenza tra arte e tecnica. Nel 1947 realizza Concavo-convesso, una delle prime installazioni nella storia dell'arte, quasi coeva, benché precedente, all'ambiente nero che Lucio Fontana presenta nel 1949 alla Galleria Naviglio di Milano. È il segno evidente che è ormai matura la problematica di un'arte che si fa ambiente e in cui il fruitore è sollecitato, non solo mentalmente, ma in modo ormai multi-sensoriale. Nel 1950 realizza la pittura proiettata attraverso composizioni astratte racchiuse tra i vetrini delle diapositive e scompone la luce grazie all'uso del filtro Polaroid realizzando nel 1952 la pittura polarizzata, che presenta al MoMA nel 1954 con la mostra Munari's Slides. È considerato uno dei protagonisti dell'arte programmata e cinetica, ma sfugge per la molteplicità delle sue attività e per la sua grande ed intensa creatività ad ogni definizione, ad ogni catalogazione, con un'arte assai raffinata. «Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch'io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.» (Bruno Munari, Verbale scritto, 1992) Nato a Milano, Bruno Munari passò l'infanzia e l'adolescenza a Badia Polesine, dove i suoi genitori gestivano un albergo. Nel 1925 tornò a Milano per lavorare in alcuni studi professionali di grafica. Nel 1927 cominciò a frequentare Marinetti e il movimento futurista, esponendo con loro in varie mostre. Nel 1929 Munari aprì uno studio di grafica e pubblicità, di decorazione, fotografia e allestimenti insieme a Riccardo Castagnedi, un altro artista del gruppo futurista milanese, firmando i lavori con la sigla R + M almeno fino al 1937. Nel 1930 realizzò quello che può essere considerato uno dei primi mobile della storia dell'arte, noto con il nome di macchina aerea e che Munari ripropose nel 1972 in un multiplo a tiratura 10 esemplari per le edizioni Danese di Milano. Nel 1933 proseguì la ricerca di opere d'arte in movimento con le macchine inutili, oggetti appesi, dove tutti gli elementi sono in rapporto armonico tra loro, per misure, forme, pesi. Durante un viaggio a Parigi, nel 1933, incontrò Louis Aragon e André Breton. Dal 1939 al 1945 lavorò come grafico presso l'editore Mondadori, e come art director della rivista Tempo, cominciando contemporaneamente a scrivere libri per l'infanzia, inizialmente pensati per il figlio Alberto. Nel 1948, insieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Galliano Mazzon e Atanasio Soldati, fondò il Movimento Arte Concreta. Negli anni cinquanta le sue ricerche visive lo portano a creare i negativi-positivi, quadri astratti con i quali l'autore lascia libero lo spettatore di scegliere la forma in primo piano da quella di sfondo. Nel 1951 presenta le macchine aritmiche in cui il movimento ripetitivo della macchina viene spezzato dalla casualità mediante interventi umoristici. Sempre degli anni cinquanta sono i libri illeggibili in cui il racconto è puramente visivo. Nel 1954 utilizzando le lenti Polaroid costruisce oggetti d'arte cinetica noti come Polariscopi grazie ai quali è possibile utilizzare il fenomeno della scomposizione della luce a fini estetici. Nel 1953 presenta la ricerca il mare come artigiano recuperando oggetti lavorati dal mare, mentre nel 1955 crea il museo immaginario delle isole Eolie dove nascono le ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari, composizioni astratte al limite tra antropologia, humour e fantasia. Nel 1958 modellando i rebbi delle forchette crea un linguaggio di segni per mezzo di forchette parlanti. Nel 1958 presenta le sculture da viaggio che sono una rivisitazione rivoluzionaria del concetto di scultura, non più monumentale ma da viaggio, a disposizione dei nuovi nomadi del mondo globalizzato di oggi. Nel 1959 crea i fossili del 2000 che con vena umoristica fanno riflettere sull'obsolescenza della tecnologia moderna. Negli anni sessanta diventano sempre più frequenti i viaggi in Giappone, verso la cui cultura Munari sente un'affinità crescente, trovando precisi riscontri al suo interesse per lo spirito zen, l'asimmetria, il design e l'imballaggio nella tradizione giapponese. Nel 1965 a Tokyo progetta una fontana a 5 gocce che cadono in modo casuale in punti prefissati, generando una intersezione di onde, i cui suoni, raccolti da microfoni posti sott'acqua, vengono riproposti amplificati nella piazza che ospita l'installazione. Negli anni sessanta si dedica: alle opere seriali con realizzazioni come aconà biconbì, sfere doppie, nove sfere in colonna, tetracono (1961-1965) o flexy (1968); alle sperimentazioni visive con la macchina fotocopiatrice (1964); alle performance con l'azione far vedere l'aria (Como, 1968); alle sperimentazioni cinematografiche con i film i colori della luce (musiche di Luciano Berio), inox, moire (musiche di Pietro Grossi), tempo nel tempo, scacco matto, sulle scale mobili (1963-64). Infatti, insieme a Marcello Piccardo e ai suoi cinque figli a Cardina, sulla collina di Monteolimpino a Como, tra il 1962 e il 1972 ha realizzato pellicole cinematografiche d'avanguardia. Da questa esperienza nasce la "Cineteca di Monteolimpino - Centro internazionale del film di ricerca". A Cardina, conosciuta anche come "La collina del cinema", Bruno Munari ha vissuto e lavorato a lungo tutte le estati, fino agli ultimi anni della sua vita. La sua abitazione-laboratorio, tuttora esistente e oggi sede dell'Associazione Cardina, era situata proprio in fondo alla strada carrozzabile, in via Conconi, di fronte al ristorante Crotto del Lupo. Nel libro "La collina del cinema" di Marcello Piccardo (NodoLibri, Como 1992) è riassunta l'esperienza di quegli anni. Nel racconto "Alta tensione" (1991) di Bruno Munari, l'artista espone il suo stretto rapporto con i boschi della collina di Cardina. Nel 1974 esplora le possibilità frattali della curva che prende il nome del matematico italiano Giuseppe Peano, curva che Munari riempie di colori a scopi puramente estetici. Nel 1977, a coronamento dell'interesse costante verso il mondo dell'infanzia, crea il primo laboratorio per bambini in un museo, presso la Pinacoteca di Brera a Milano. Negli anni ottanta e novanta la sua creatività non si esaurisce e realizza diversi cicli di opere: le sculture filipesi (1981), le costruzioni grafiche dei nomi di amici e collezionisti (dal 1982), i rotori (1989), le strutture alta tensione (1990), le grandi sculture in acciaio corten esposte sul lungomare di Napoli, Cesenatico, Riva del Garda, Cantù, gli xeroritratti (1991), gli ideogrammi materici alberi (1993). Dopo vari e importanti riconoscimenti in onore della sua attività vastissima, Munari realizzò la sua ultima opera pochi mesi prima di morire a 91 anni nella sua città natale. Il pittore e poeta Tonino Milite fu suo collaboratore e lavorò nel suo studio per anni. Munari è stato cronologicamente il sesto fra i sette grandi di Milano tumulati nel Famedio del Cimitero Monumentale.



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