giovedì 5 gennaio 2023

Corso Architetti italiani del XX Secolo: Lezione 2 Classe 1900-1905 Daneri Libera Figini e Pollini Terragni Ridolfi Mollino Gardella Albini

 Daneri








Luigi Carlo Daneri (Borgo Fornari, 20 maggio 1900 – Genova, 7 settembre 1972) è stato un architetto italiano. Nato nella frazione di Borgo Fornari di Ronco Scrivia, svolse il biennio di ingegneria presso l'Università di Genova e concluse gli studi universitari alla Scuola di applicazione per Ingegneri Civili di Roma, sezione Architettura, laureandosi in ingegneria nel 1923. Dopo un periodo di apprendistato presso lo studio genovese dei Coppedè, aprì una propria attività nel 1929 e subito progettò e costruì le prime opere secondo una versione sobria, quasi classica, dell'eclettismo allora diffuso. Negli anni trenta si dedicò alle ricerche del Movimento Moderno. Nel 1933 partecipò alla V Triennale di Milano con il gruppo degli architetti liguri. Nel 1934 vinse il concorso per le case alte alla Foce di Genova. L'attività si interruppe per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Durante il dopoguerra, per la ricostruzione di Genova, partecipò alla progettazione per INA-Casa. Una grave malattia gli rese difficile proseguire il lavoro per un decennio, prima della morte, nel 1972. Conseguì la libera docenza in architettura e composizione architettonica nel 1954, e proseguì con l'attività d'insegnamento nella facoltà di ingegneria dell'Università di Genova. Nel 1964 ricevette il titolo di professore straordinario e nel 1972 quello di ordinario. Fu membro del Movimento Studi Architettura dal 1947, dei CIAM dal 1948, membro effettivo e vice presidente della sezione ligure dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, accademico di merito dell'Accademia di San Luca dal 1930, membro per invito del MoMA di New York dal 1939, premio IN-ARCH. Luigi Carlo Daneri, allievo di Marcello Piacentini e indiscusso protagonista delle vicende architettoniche genovesi[1], operò all'interno dello stesso contesto, applicando soluzioni progettuali diverse alle sue architetture, ma sempre relazionandosi fortemente con il territorio. Un esempio è rappresentato dalla città di Genova dove l'architetto ebbe modo di lavorare a diverse scale: dall'architettura-infrastruttura, come accadde con il quartiere residenziale Ina Casa sulle collina di Quezzi; passando per la scala urbana di Piazza Rossetti in cui costruisce un insediamento a C che include il quarto lato: il mare. Ad alcuni critici l'architettura daneriana appare una forma manierista del linguaggio corbuseriano; in effetti Daneri riprende alcune tipologie ed elementi espressi da Le Corbusier, ma li riadatta al contesto ligure. È qui che diviene interessante il suo lavoro, che venne apprezzato anche dallo storico dell'architettura Bruno Zevi, il quale pubblicò nella sua "Storia dell'architettura moderna" un'immagine aerea del complesso residenziale Ina Casa di Quezzi (noto come il Biscione, per la sua forma a seguire le curve di livello). Daneri si concentra nella progettazione di edilizia residenziale pubblica come dimostrano i quartieri Bernabò-Brea, Quezzi e Mura degli Angeli in cui l'elemento ricorrente è il rapporto con l'orientamento dell'edificio e la dimensione tesa a costruire il paesaggio. Infatti proprio il quartiere denominato dai genovesi, il Biscione, è l'espressione di quel Plan Obus pensato da Le Corbusier per Algeri e mai realizzato; rappresenta uno dei più importanti e significativi esempi di architetture di grandi dimensioni in Italia, come ha più volte sottolineato Bruno Zevi ne "L'architettura", anche per la relazione che instaura con il territorio. Daneri, essendosi formato con i CIAM (Congrés International d'Architecture Moderne), dichiara di aver appreso la lezione del movimento moderno: pianta libera, facciata libera, pilotis, cemento a vista. Ma un'altra caratteristica del suo operare è l'etica della progettazione, infatti egli aveva lo stesso atteggiamento sia che costruisse la casa popolare sia la casa per il borghese di turno, ciò è dimostrato dai tagli dimensionali degli alloggi che non cambiano. Continuando nell'esplorazione della sua ricerca progettuale, si nota come dalle case di Sanremo (che riprendono l'andamento sinuoso della costa, alla Colonia Montana Piaggio di Santo Stefano d'Aveto (un grande concavità rivolta verso la valle), passando per il Biscione, l'ospedale genovese San Martino e gli altri quartieri residenziali (Mura degli Angeli e Bernabò Brea) l'opera di Daneri abbia prodotto una varietà di soluzioni progettuali, sempre ancorate al territorio che le ospita.

Libera









Adalberto Libera (Villa Lagarina, 16 luglio 1903 – Roma, 17 marzo 1963) è stato un architetto italiano, tra i maggiori esponenti del razionalismo e ideatore di numerosi edifici pubblici della prima metà del XX secolo. Nacque il 16 luglio del 1903 a Villa Lagarina, piccolo paese del Trentino allora sotto il dominio asburgico. A undici anni (nel 1914) Adalberto si stabilì con i genitori a Parma, città d'origine della madre, la marchesa Olimpia Pallavicino; il padre, Giuseppe Antonio, ex-ufficiale di leva dell'Esercito imperiale Austro-ungarico, era in fuga dal Trentino austriaco alla vigilia della prima guerra mondiale. Qui completerà gli studi classici e inizierà gli studi universitari presso la Facoltà di Matematica dell'Università degli Studi cittadina, frequentando contemporaneamente le lezioni di architettura presso il Regio Istituto d’Arte "Paolo Toschi". Il riordinamento della riforma dell'istruzione universitaria spinse Libera all'iscrizione presso l'unica Facoltà di Architettura in Italia, quella della Sapienza- Università di Roma, escluse le sezioni speciali ai Politecnici di Torino e Milano. Qui conoscerà e avvierà un fruttuoso sodalizio con un importantissimo architetto del Novecento italiano, Mario Ridolfi, suo collega universitario e compagno della formazione artistica. A Roma, Libera si inserì in un ambiente intellettuale che lo portò a contatto diretto con le personalità che dominavano la cultura architettonica della capitale Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini. Fu membro non ancora laureato del milanese Gruppo 7 con Terragni, Figini, Pollini, Rava, Frette, Larco e Castagnoli. Subentrò proprio a quest'ultimo nel 1927, diffondendo a Roma l'azione teorica del gruppo. Nel 1930 fondò, e divenne segretario, il MIAR (Movimento italiano per l'architettura razionale) ed è invitato da Ludwig Mies van der Rohe all'esposizione di Stoccarda del 1927 (Werkbund). Nel 1928 e nel 1931 fu tra gli organizzatori delle Esposizioni di "Architettura Razionale" a Roma, la seconda delle quali segnò la sconfitta del M.I.A.R. che fu costretto a sciogliersi a seguito delle roventi polemiche tra la giovane generazione d'”assalto” e quella legata all'accademia, prossima al potere politico, duramente rappresentata dalla "Tavola degli orrori" di Pietro Maria Bardi. Continua però la sua attività progettuale sui canoni del razionalismo e realizza in tal senso diversi edifici negli anni trenta di cui il maggiore è senz'altro il Palazzo dei Congressi dell'E.42. Il fabbricato rileva nella facciata i segni e i particolari architettonici del "neoclassicismo semplificato" piacentiniano, ma nella volta a vela e negli altri prospetti crea un innovativo spazio architettonico ed è senz'altro l'edificio razionalmente più valido tra quelli realizzati. Nel 1938 realizza a Capri la Villa Malaparte di Curzio Malaparte, parallelepipedo rotto dalla gradonata della terrazza solare della copertura; opera architettonica di una limpidezza razionale esemplare e che appare in rilievo sulla roccia di un promontorio, ma anche straordinariamente integrata con il luogo e creatrice di un eccezionale ambiente costruito. Secondo recenti acquisizioni di documenti e lettere (v. il Corriere della Sera del 10 luglio 2009, pag 41, articolo di Stefano Bucci) il progetto della villa è in realtà interamente attribuibile allo stesso Malaparte; Libera aveva presentato prima della rottura con Malaparte un progetto diverso e mai realizzato. Tutto ciò emerge da lettere del pittore viareggino Uberto Bonetti, che si era occupato della realizzazione dell'edificio e che scriveva appunto che "la realizzazione materiale dell'edificio" è stata effettuata su disegni propri ma "dietro Vostro (di Malaparte, ndr) indirizzo estetico e costruttivo: piante, sezioni ecc." Questo spiegherebbe anche la modestia della parcella presentata da Bonetti, riferita al puro lavoro tecnico-esecutivo. Nonostante il suo ruolo di rilievo all'interno dell'architettura del regime fascista (basti pensare all'allestimento eseguito nel 1933 assieme a Mario De Renzi a Roma per la Mostra della Rivoluzione fascista) riuscì a superare indenne il crollo del fascismo e la seconda guerra mondiale - a differenza di altri importanti architetti del razionalismo italiano (Pagano e Terragni) - continuando ad esercitare attivamente la professione. Dopo la guerra sono da ricordare alcuni suoi edifici a Roma: un insieme di unità abitative (1954) e un palazzo per uffici (1959). Del 1956 è il suo progetto per la Cattedrale di La Spezia. Della sua generazione Libera è forse il più razionalista e non solo per la partecipazione al Gruppo 7 ma perché la sua personalità lo rendono affine ai grandi maestri europei del Movimento Moderno; egli infatti aveva l'impulso a trasferire nell'architettura un mondo ordinato secondo categorie universali quali: la semplicità, l'integrità, l'essenzialità e la durata che in architettura si palesano attraverso uno stile di purezza classica e di perfetta corrispondenza tra geometria e costruzione. La figura di Libera differisce dalla cultura italiana del tempo per le sue esclusioni di luogo, contesto, storia e si colloca nell'ambito ideale della cultura razionalista. Nonostante ciò c'è un carattere di anomalia rispetto ad esperienze razionalistiche più tipiche europee dato dall'estraniamento dal luogo, alla perfetta chiusura dell'organismo in se stesso, all'unicità e irripetibilità dell'oggetto e al forte valore simbolico e ideale. Libera cita 3 possibili modi di sviluppo del processo progettuale, in cui funzione e forma giocano ruoli diversi:    Concezione funzionale che non conosce a priori e attende il valore figurativo;     Suggestioni psicologiche e figurative a priori che cercano la giustificazione funzionale ammissibile;     Concezione figurativa a priori che adatti le funzioni e attrezzature in modo qualsiasi.
A monte del processo ideativo di Libera c'è una geometria, una tendenza ad organizzare il volume secondo un prevalente assetto geometrico: parallelepipedi, cilindri, coni, corone circolari, o opportune giustapposizioni e compenetrazioni di questi. Nella prima idea di spazio si esplicita il legame tra l'esigenza e la forma architettonica, deputata a soddisfare quell'esigenza. I primi schizzi sono costruzioni geometriche, il passaggio successivo è strutturale; la struttura è l'elemento di mediazione obbligatoria tra l'idea di spazio e lo spazio concreto, deve essere visibile ma non esibita, una trama organizzatrice. Solo nelle opere dell'ultimo periodo la struttura assumerà un'incidenza rilevante.

Figini e Pollini 










Luigi Figini (1903 – 1984) e Gino Pollini (1903 – 1991) sono stati due architetti italiani del XX secolo legati da un sodalizio durato più di 50 anni. Le loro storie professionali sono quindi inscindibili l'una dall'altra e sono legate alle opere che congiuntamente hanno progettato e realizzato. Entrambi laureatisi in architettura al Regio Istituto Tecnico Superiore (in seguito Politecnico di Milano) negli anni venti del Novecento, aprono assieme lo studio professionale nel 1926 a Milano, mentre divengono tra i fondatori del Gruppo 7 e membri del MIAR. Nel 1930 presentano la Casa Elettrica alla IV Triennale di Monza a cui segue la Villa-studio per un artista presentata alla V Triennale di Milano del 1933 che in qualche modo si riallacciava al disegno del padiglione di Ludwig Mies van der Rohe di Barcellona di quegli anni. Nel 1934/35 realizzano le officine Olivetti ad Ivrea con le quali iniziarono una collaborazione che si protrarrà sino a tutti gli anni cinquanta del Novecento: 1939/40 - Asilo nido e casa popolare al Borgo Olivetti; 1940/42 - Case per impiegati; 1954/57 - Fascia di servizi sociali; interventi questi ultimi che assumevano rilevanza anche urbanistica. Sempre di quegli anni è la Madonna dei Poveri a Milano forse la loro opera più significativa dove si reinterpretano le antiche luci mistiche delle basiliche paleocristiane attraverso un disegno scarno dello spazio, dei volumi dei particolari architettonici. Altre realizzazioni di sicuro valore sono del 1960/63 il complesso industriale della Manifattura ceramica Pozzi, Sparanise e a Ferradina ed alcuni palazzi per uffici ed abitazioni a Milano a cavallo degli anni cinquanta-sessanta del Novecento. Figini e Pollini sono di chiara fede razionalista e la loro scelta iniziale è portata avanti con coerenza tramite un lavoro continuo, che si legge nelle loro costruzioni e progetti e si estrinseca costantemente nella ricerca dell'equilibrio tra gli ideali propri del Movimento Moderno forma, funzione, economia, ma anche armonia e bellezza nuovi. La loro opera si inquadra in quello che sono stati gli architetti italiani soprattutto del secondo dopoguerra del 900 e cioè un'architettura dell'eccellenza del progetto come evento irripetibile, scelta personale, funzionalismo originale e di elevato valore. Nella loro opera si può leggere una semplicità formale, nel disegno planimetrico e prospettico, che parla di luce e di spazio architettonico, di tempo, di spiritualità e di poesia, come qualcuno ha detto, e questo realizza un eccezionale ambiente costruito come nella Madonna dei Poveri di Milano. Altre opere rilevano, invece, la ricerca di un disegno armonico, di equilibrio di rapporti e studio dei materiali in un legame a quel razionalismo mai dimenticato nella loro architettura.

Terragni











Giuseppe Terragni (Meda, 18 aprile 1904 – Como, 19 luglio 1943) è stato un architetto italiano, considerato il massimo esponente del razionalismo italiano. «L'architettura, indice di civiltà, sorge limpida, elementare, perfetta quando è espressione di un popolo che seleziona, osserva e apprezza i risultati che, faticosamente rielaborati, rivelano i valori spirituali di tutte le genti.» (Giuseppe Terragni) Giuseppe Terragni nasce a Meda da Michele, costruttore e titolare di un'impresa edile e da Emilia Giamminola che contribuì in maniera determinante alla formazione del futuro architetto. Per seguire le scuole elementari e tecniche si trasferì a Como presso i parenti materni. Nel 1917 s'iscrive al corso di fisica-matematica all'Istituto Tecnico di Como, nel 1921 conosce Luigi Zuccoli, con il quale avrebbe poi collaborato. Nel 1921 si diploma e si iscrive alla Scuola Superiore di Architettura presso il Regio Istituto Tecnico Superiore (poi Politecnico di Milano); nel 1925 conosce Pietro Lingeri con il quale stabilirà un'amicizia e una collaborazione professionale che durerà tutta la vita. Il 16 novembre 1926 si laurea e un mese dopo firma, assieme a Luigi Figini, Adalberto Libera, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva e Carlo Enrico Rava, il primo documento ufficiale del razionalismo italiano. È così costituito il Gruppo 7, che negli anni successivi si qualifica, allargandosi, nel Movimento Italiano di Architettura Razionale (MIAR). Nel 1927 escono, sulla rivista "Rassegna italiana" i quattro articoli considerati il manifesto del Razionalismo italiano. Terragni è uno dei sette firmatari di tale manifesto. Nel 1933 fonda insieme ai compagni astrattisti la rivista "Quadrante" che verrà poi diretta da Pier Maria Bardi e Massimo Bontempelli. Fino al 1940 Terragni è in piena attività e ha molte opere in corso: il Danteum (in collaborazione con Lingeri, architettura allegorica che celebra Dante Alighieri, caratterizzata da un percorso a spirale), il progetto per la sistemazione del quartiere Cortesella (e altri complementi del piano regolatore) di Como, la Casa del Fascio di Lissone e la raffinata e complessa Casa Giuliani Frigerio, suo ultimo capolavoro realizzato. L'artista viene poi chiamato alle armi e, dopo un breve periodo di addestramento, viene inviato nel 1941 prima in Jugoslavia e poi in Russia. Tornerà seriamente provato fisicamente e psicologicamente, condizione che poi l'avrebbe portato alla morte. La sua è una vicenda umana: Giuseppe Terragni ha passato infatti l'intera esistenza cercando di tradurre in chiave democratica e civile i connotati etici e sociali del fascismo, attraverso l'architettura. Terragni ha solo 39 anni quando il 19 luglio del 1943 cade fulminato da una trombosi cerebrale sul pianerottolo delle scale di casa della fidanzata, a Como. Riposa nella tomba di famiglia a Lentate sul Seveso (MB). Ampia è la bibliografia a lui dedicata, come numerose sono le mostre dedicate al suo lavoro. Se l'opera di Terragni sia da considerarsi fascista in senso ortodosso o la sua sublimazione è oggetto di dibattito. «Michelangiolo e Borromini si dichiarano sinceri, ferventi cattolici, e Terragni si presenta integralmente fascista; tuttavia , dato che il cattolicesimo e il fascismo in cui credono sono immaginari, e contraddicono quelli concreti, la loro azione risulta eversiva» (Bruno Zevi, Giuseppe Terragni, Bologna, 1980) Prima ancora di laurearsi (1925-26) aveva redatto un progetto per la Villa G. Salbene a Como, in stile neomedievale. In parte era stato ispirato dall'appello del 1880 di Camillo Boito che aveva indicato per l'Italia democratica uno stile ispirato alle maniere municipali del trecento. Nel 1926 insieme a Pietro Lingeri aveva partecipato al concorso pubblico per un intervento nella zona monumentale di Como, tra il duomo, il Broletto e il campanile romanico della chiesa di san Giacomo. Terragni sin dagli inizi fu molto condizionato da ciò che avvenne fuori dall'Italia. Soprattutto la Germania, ma anche l'Austria, la Francia e gli Stati Uniti furono considerati da lui le culle del movimento moderno. Infatti la biblioteca dello studio era ben fornita di pubblicazioni, manuali e periodici provenienti dall'estero. Egli si recò in Germania nel 1927 e nel 1931. Nel 1927, Terragni aprì uno studio a Como con il fratello ingegnere Attilio e il suo primo lavoro fu la ristrutturazione della facciata dell'albergo Metropole-Suisse. Intanto cominciò la sua collaborazione con Luigi Zuccoli e in particolare lo studio di alcune soluzioni per l'edificio ad appartamenti "Novocomum" a Como (1927-29), che fu il primo edificio costruito da Giuseppe Terragni. L'edificio fu realizzato illegalmente, infatti era stato presentato un progetto d'impronta neoclassicista e fu invece costruito l'attuale edificio, che si innesta nell'avanguardia europea, dove s'intrecciano elementi del linguaggio espressionista tedesco e del costruttivismo sovietico[7]. In particolare, come fa notare la soluzione dell'angolo, riprende modelli come per esempio il circolo operaio Zuev a Mosca dello strutturalista Ivan A. Golosov. Questa realizzazione fu contrassegnata da una forte polemica contro l'edificio, la commissione edilizia del comune di Como aprì un'inchiesta per verificare se «l'edificio costituisse un elemento di deturpazione». Nel 1928 partecipa alla Esposizione italiana di architettura razionale a Roma dove fra le altre cose espone il progetto in corso di costruzione del Novocomum. Fra il 1928 e il 1932 fu realizzato il Monumento ai Caduti ad Erba, che lo stesso Terragni definisce il primo monumento ai caduti moderno realizzato in Italia. Nel sacrario era posto un altorilievo di Lucio Fontana, avente per tema La Vittoria, che fu rimosso nel 1936. Nel 1932 a Como iniziano i lavori della Casa del Fascio, opera che è stata definita da Bruno Zevi una pietra miliare dell'architettura moderna europea[11]. Si tratta di un prisma perfetto con l'altezza corrispondente alla metà della base. L'impianto è rigido, quadrato e prisma sono canoni del purismo corbusieriano, ma in questo caso il volume non è posto su pilotis e le facciate non sono libere rispetto all'intelaiatura strutturale, il risucchio dell'atrio e lo sfondamento sul cielo garantiscono la trasparenza del blocco. La trasparenza viene propugnata dallo stesso Terragni che dichiara «ecco predominare nello studio di questa Casa del Fascio il concetto della visibilità, dell'istintivo controllo stabilito fra pubblico e addetti di Federazione», rispondendo nel contempo alle richieste del regime che voleva che l'edificio pubblico fosse una casa di vetro, disponibile e senza segreti. Nel 1933 Terragni apre uno studio a Milano con Lingeri e insieme costruiranno cinque case per appartamenti. Insieme a Piero Bottoni partecipò al IV CIAM dove furono formulati dei principi che furono pubblicati nella Carta di Atene l'anno successivo. Principi che troveranno espressione nel loro loro C.M.8 (Como-Milano 8), progetto per il nuovo piano regolatore di Como, che avevano presentato in base al bando cui parteciperanno con Lingeri, Cesare Cattaneo, Luigi Dodi, Alberto Mario Pucci e altri. Nel 1936 l'Asilo Sant'Elia un'architettura libera e felice, caratterizzata da ampi spazi luminosi, e dal dialogo tra le intelaiature strutturali e i volumi. L'intervento si inserisce nel suo programma sociale di una scuola per l'infanzia in grado di contribuire alla liberazione della donna dalla sudditanza domestica e "a dare ai piccoli un ambiente sano, igienico, aperto al verde, al gioco, all'educazione. Non nei quartieri alti e ricchi, ma nell'espansione operai di Como, in periferia." Inoltre in senso tecnico e funzionale, offrendo grandi pareti trasparenti, ampie penetrazioni di luce e di aria, un riscaldamento, una cucina moderna e l'arredamento suscettibile di una produzione in serie. Infine un monumento anche all'arte del XX secolo che culmina nella magistrale compenetrazione tra natura e architettura che va ben oltre il razionalismo. Nel 1937 Terragni, con Lingeri e Cattaneo, partecipa al concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi nel quadro dell'E.42 presentando un edificio modernissimo che documenta la sua distanza dal monumentalismo dilagante in quell'epoca.

Ridolfi





Mario Ridolfi (Roma, 5 maggio 1904 – Terni, 11 novembre 1984) è stato un architetto italiano. Nasce a Roma da una famiglia artigiana dell'edilizia. Dal 1918 al 1924, dopo aver concluso le Scuole Inferiori, lavora presso un ingegnere frequentando, nello stesso tempo, le Scuole serali ad indirizzo edile. Nel 1924 si iscrive alla Scuola Superiore di Architettura di Roma, dopo aver vinto la borsa di studio di Architettura. Nel 1929 si laurea con il progetto per una Colonia Marina a Castel Fusano, presso Roma. L'attività progettuale di Ridolfi comincia negli anni trenta quando inizia a lavorare partecipando ai molti concorsi con i quali si vuole progettare la nuova Roma del regime fascista fino a vincere, nel 1932, quello per l'Edificio postale di Roma Nomentano a piazza Bologna. L'edificio è uno degli esempi più significativi del Razionalismo italiano, come le altre due palazzine romane per unità abitative di via di Villa Massimo (1937) e di via S. Valentino Colombo (1938) e l'Istituto Tecnico Bordoni di Pavia (1935), nel quale si registra la collaborazione di Konrad Wachsmann. La formazione di Ridolfi è però, per il percorso che ha seguito e per l'ambiente nella quale si è sviluppata, legata alla tradizione, anche se aperta al Movimento Moderno, che costituisce la forma di espressione quasi temporanea, una varietà nella definizione dello spazio architettonico». Gli anni della guerra vedono impegnato l'architetto in ricerche sul progetto e sulle tecniche costruttive, studi che confluiranno nel Manuale dell'architetto (1945-1946). Nel dopoguerra egli aderirà in pieno alla corrente definita del Neorealismo architettonico che ha l'aspirazione a rileggere in chiave moderna i valori del passato, le sue tecniche, i materiali e i particolari architettonici, tendendo a ricreare un ideale spazio architettonico e abitativo tipico dell'ambiente costruito del borgo. La rappresentazione simbolo della dottrina neorealista è il l'intervento presso il quartiere Tiburtino a Roma, che vede impegnati Ridolfi e Quaroni, tra il 1949 e il 1954, assieme ad una certa ideologia dell'INA-Casa che ben sposa questa visione dell'architettura, legata a temi etici e sociali del luogo. Dello stesso valore architettonico sono, negli stessi anni, le Torri INA in viale Etiopia a Roma (1951), Casa Pallotta e Casa Chitarrini a Terni, opere tra le più rappresentative realizzate nel cuore del centro storico di questa città. Si apre poi il cosiddetto ciclo delle Marmore, una nuova stagione creativa legata alla località, nei dintorni di Terni, nella quale l'architetto si ritira negli anni sessanta a seguito di un incidente stradale. Costretto a una lunga degenza, subisce diverse operazioni che non gli restituiscono tuttavia la perfetta funzionalità delle gambe. Appartengono a questo periodo opere che portano ad una modificazione delle strutture rigorose della rappresentazione architettonica e ad una rielaborazione delle forme e dei materiali. Tra essi da citare sono i progetti per il Motel Agip a Settebagni, le ville del cosiddetto "ciclo delle Marmore", in particolare la "Casa Lina", e gli studi per gli uffici del Comune di Terni. Quest'opera, il cosiddetto "Uovo", è l'ultima di ampio rilievo alla quale Ridolfi ha lavorato prima della morte sopraggiunta nel 1984. Da ricordare è anche il suo importante contributo alla manualistica tecnica alla quale egli lavora durante il periodo della guerra, e il cui frutto è il Manuale dell'architetto (1945-1946). Questo campo di ricerca, in cui egli trasferisce la sua particolare metodologia di analisi del progetto e della costruzione, mostra un Ridolfi ben lontano da quell'ambito di artigianato romantico e popolaresco in cui molta critica lo ha riduttivamente relegato, ma come un sostenitore di un “fare scientifico” che è un tratto caratteristico dell'anima del Movimento Moderno. Morì suicida a Marmore, frazione di Terni, l'11 novembre 1984.

Mollino





















Carlo Mollino (Torino, 6 maggio 1905 – Torino, 27 agosto 1973) è stato un architetto, designer, fotografo e aviatore italiano. Nato a Torino, figlio unico dell'ingegnere Eugenio Mollino, completò gli studi, dalle elementari alle superiori, presso il Collegio San Giuseppe. Nel 1925 si iscrisse alla facoltà di Ingegneria e, dopo un anno, si trasferì alla Regia Scuola Superiore di Architettura dell'Accademia Albertina di Torino, in seguito divenuta facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, dove si laureò nel luglio del 1931. Mollino è stato, oltre che architetto e designer, anche pilota di aeroplani e di auto da corsa, scrittore, fotografo. Ottimo sciatore, divenne nel 1942 maestro di sci e nel dopoguerra presidente della CoScuMa (commissione delle scuole e dei maestri di sci) della F.I.S.I., nel 1951 scrisse il trattato Introduzione al discesismo dalle cui pagine emerge appieno tutta la sua personalità inquieta, fantasiosa, bizzarra. Dopo avere pubblicato nel 1948 i volumi Architettura, arte e tecnica, nel 1953 vinse il concorso a professore ordinario e ottenne la cattedra di Composizione architettonica, che conservò fino alla morte. Nel 1957 partecipò al Comitato organizzativo della XI Triennale di Milano. Mollino morì improvvisamente nel 1973, quando ancora era in attività, nel suo studio. Nel 1930, non ancora laureato, progettò la casa per vacanza a Forte dei Marmi e ricevette il premio "G. Pistono" per l'Architettura. Tra il 1933 e il 1948, mentre lavorava nello studio del padre, partecipò a numerosi concorsi. Vinse il primo concorso per la sede della Federazione agricoltori di Cuneo, il primo premio al concorso per la Casa del Fascio di Voghera e, in collaborazione con lo scultore Umberto Mastroianni, il primo premio al concorso per il Monumento ai Caduti per la Libertà di Torino (noto anche come Monumento al Partigiano), che venne collocato nel Campo della Gloria del cimitero Generale di Torino. Tra il 1936 e il 1939 realizzò, in collaborazione con l'ingegner Vittorio Baudi di Selve, l'edificio della Società Ippica Torinese, considerato il suo capolavoro, costruito a Torino in corso Dante e demolito nel 1960. Era un'opera che rompeva con il passato e che prendeva le distanze dall'architettura di regime, rifiutando i dettami del razionalismo e ispirandosi ad Alvar Aalto ed Erich Mendelsohn. Innamorato della montagna, progettò anche alcuni edifici montani, tra i quali la casa del Sole a Cervinia, la stazione di arrivo della funivia del Furggen e la Slittovia del Lago Nero presso Sauze d'Oulx. Quest'ultimo chalet, realizzato fra il 1946 e il 1947, presenta, verso monte, una grande terrazza che emerge con vigore dal volume principale, coniugando la modernità delle forme e delle tecniche costruttive con la tradizionalità dei materiali utilizzati. L'edificio è stato oggetto nel 2001 di un radicale intervento di restauro, reso necessario da decenni di abbandono e di vandalismi. Nel 1952 progettò a Torino l'Auditorium della Rai in via Rossini, oggetto di un controverso restauro eseguito nel 2006, che ne ha modificato radicalmente la struttura originaria. Nella prima metà degli anni sessanta diresse il gruppo di professionisti incaricati di progettare il quartiere INA-Casa in corso Sebastopoli a Torino e ricevette il secondo premio al concorso per il Palazzo del Lavoro di Torino, vinto da Pier Luigi Nervi nonostante il bando di concorso richiedesse un edificio con un unico volume senza colonne nella parte centrale. Nel 1964 partecipò al concorso per la Camera di Commercio di Torino, dove si classificò primo, e al concorso per il Teatro Comunale di Cagliari, dove fu terzo. Negli ultimi anni della sua carriera, dal 1965 al 1973, progettò e costruì i due edifici torinesi che lo hanno reso celebre: il palazzo della Camera di Commercio in via San Francesco da Paola e il nuovo teatro Regio (ricostruito dopo l'incendio del 1936), inaugurato nel 1973. Poco prima della morte terminò i progetti per gli uffici AEM a Torino e partecipò ai concorsi per il Centro direzionale FIAT a Candiolo e per il Club Mediterranèe a Sestrière. Negli anni quaranta Mollino iniziò l'attività di progettista di interni e di designer. Gli arredi, spesso prodotti in pezzi unici o in serie limitate, fondono l'utilizzo di tecniche costruttive artigiane con la sperimentazione di nuovi materiali e nuove tecnologie, come il compensato curvato a strati sovrapposti. In particolare la tecnica della curvatura 'a freddo' del legno compensato rese celebri nei primi anni Cinquanta le sue sedie, i tavoli, e le poltrone. L'estetica che ne deriva non è direttamente riconducibile ad alcuna corrente artistica come, del resto, è sicuramente errato inserire l'opera molliniana in un contesto esclusivamente futurista. Carlo Mollino attingeva dalle sue passioni come lo sport dello sci, l'aviazione, per riprodurne alcune forme in architettura e nel disegni d'interni, proponendo forme fortemente innovative ma disgiunte dalla replicabilità su scala industriale: il tavolo "Reale" (1949), di derivazione aeronautica, come pure la lampada "Cadma" (1947), che richiama la forma di un'elica, e la poltrona "Gilda" (1947), che anticipa il gusto hi-tech. In quasi tutte le sue opere traspare il suo interesse per la velocità ed il movimento. I suoi arredi sono riconoscibili soprattutto per le linee sinuose quasi erotiche che evocano chiaramente il corpo femminile, che l'artista amava fotografare, avendo scelto di condurre una vita in cui le sue passioni fossero constantemente coinvolte nel suo lavoro. La sua figura di creativo fu costantemente fuori dagli schemi tanto da essersi guadagnato l'appellativo di "designer senza industria". Profondamente affascinato dalla natura, Mollino ne ripropose le forme all'interno della propria produzione artistica, rielaborandole con estrema abilità e miscelandole con elementi propri del Modernismo, dell'Art Nouveau, del Surrealismo, del Barocco e del Rococò. Nel 1963, in occasione del Capodanno, Carlo Mollino realizzò il drago da passeggio, una scultura in carta pieghettata e decorata da lui stesso. I diversi esemplari corredati di rocchetto per il filo e di un libretto di istruzioni per l'uso sono tutti numerati e intitolati.

Gardella






Mario Gardella, detto Ignazio (Milano, 30 marzo 1905 – Oleggio, 15 marzo 1999) è stato un architetto, ingegnere, designer e accademico italiano. Nacque in una famiglia di ingegneri e architetti di origine genovese, il cui capostipite fu l'omonimo bisnonno Ignazio Gardella senior. Benché il suo nome originale di battesimo fosse Mario, Gardella scelse a 18 anni di firmarsi Ignazio, in onore del bisnonno. Dal 1915 al 1923 frequentò il Regio Liceo Ginnasio Giovanni Berchet di Milano e strinse amicizia con il compagno di scuola Luchino Visconti, futuro regista teatrale e cinematografico. Si laureò in Ingegneria al Regio Istituto Tecnico Superiore (futuro Politecnico di Milano) nel 1928, mentre ottenne successivamente la laurea in Architettura allo IUAV, Istituto Universitario d'Architettura di Venezia, nel 1949. Nel periodo universitario entrò in contatto con gli altri giovani protagonisti della scena milanese assieme ai quali prende parte attiva alla creazione del Movimento Moderno italiano. La lunga attività professionale, che iniziò prima della laurea alla fine degli anni venti con il padre Arnaldo Gardella, produsse un'enorme quantità di progetti e realizzazioni, in particolare alcuni lavori di edilizia ospedaliera e assistenziale commissionati da Teresio Borsalino, figlio del fondatore dell'omonima azienda e prozio di Aura Usuelli, moglie di Ignazio Gardella dal 1933. Tra i primi edifici il Dispensario antitubercolare di Alessandria (1934-38), considerato uno dei capolavori dell'architettura razionalista italiana. Prima della guerra si collocano anche alcune importanti partecipazioni a concorsi d'architettura, come quello per la costruzione della Casa del Fascio di Oleggio insieme all'architetto Luigi Vietti. Nel dopoguerra Gardella riprese l'attività con pieno vigore producendo molte opere importanti e alcuni capolavori, come le case Borsalino per impiegati ad Alessandria (1952). Negli stessi anni fu protagonista dei maggiori momenti culturali, quali i CIAM (nel 1952 fondò con altri la sessione estiva di Venezia; nel 1959 partecipò al XI CIAM ad Otterlo nei Paesi Bassi) e i primi congressi INU (il primo nel 1949). La figura di Gardella rimase ai vertici dell'architettura italiana per tutti gli anni sessanta e settanta, con intensa attività professionale la cui importanza è testimoniata dalla presenza sulle maggiori riviste internazionali. Suo è il progetto del nuovo Palazzo di Giustizia della Spezia[9]. Nell'ultimo periodo della sua vita Gardella, ormai tra i decani dell'architettura nazionale, produce ancora significativi progetti, come la Facoltà di Architettura di Genova (1975-89), che lo pongono ancora in prima linea nel dibattito sull'architettura. L'attività di Gardella ha avuto un ruolo determinante anche nel campo del design già dal 1947 quando, insieme a Luigi Caccia Dominioni, fondò Azucena, la prima azienda che inaugurò la produzione italiana di design di qualità. Gardella ha progettato principalmente mobili d'arredamento. Gardella svolse anche un'importante attività didattica, da quando nel 1949 venne invitato da Giuseppe Samonà a far parte dello staff dell'Istituto d'Architettura di Venezia. La carriera universitaria lo portò ad essere nominato professore ordinario nel 1962 e si protrasse fino al 1975. Il Centro Studi e Archivio della Comunicazione di Parma conserva un fondo dedicato a Ignazio Gardella, consistente in 32.759 materiali progettuali (schizzi, disegni, disegni esecutivi, copie eliografiche, radex e materiali documentari) relativi a 974 progetti. La prima parte del fondo, pubblico e liberamente consultabile, consistente in 15.579 disegni esecutivi su lucido, proviene dallo studio di Ignazio Gardella ed è stato legalmente donato allo CSAC nel 1982. La seconda parte del fondo, depositata allo CSAC dal figlio Architetto Jacopo Gardella e dagli altri eredi nel 2005, è in corso di donazione legale. Le lastre in vetro e triacetato sono consultabili sulle riproduzioni in b.n. stampate nel 2005. Parte dell'archivio Gardella, Archivio Storico Gardella Oleggio, ancora di proprietà della famiglia conserva i documenti storici d'archivio di quattro generazioni di architetti e artisti e la biblioteca privata di famiglia. Antonio Monestiroli ha condotto una lunga intervista a Gardella nel 1995, pochi anni prima della morte dell'architetto. L'intervista è stata poi interamente pubblicata da Monestiroli nel volume "L'architettura secondo Gardella". Ignazio Gardella muore a Oleggio, Novara, nel 1999.

Albini 









Franco Albini (Robbiate, 17 ottobre 1905 – Milano, 1º novembre 1977) è stato un architetto, urbanista, designer e accademico italiano, uno dei più importanti e rigorosi architetti italiani del XX secolo, aderente al razionalismo italiano, riconosciuto internazionalmente attraverso un’ampia pubblicistica delle sue opere. Figlio di un ingegnere, nel 1929 si laureò in Architettura al Politecnico di Milano, compiendo viaggi in Europa che gli permisero di conoscere personalmente personalità quali Le Corbusier e Ludwig Mies van der Rohe. Nel 1931 iniziò un propria attività professionale con studio associato con gli architetti Giancarlo Palanti e Renato Camus, realizzando nei primi anni principalmente progetti di mobili d'arredamento. Entrò presto in contatto con l'ambiente di Casabella (nel 1932 l'incontro con Edoardo Persico), che in quegli anni ebbe il ruolo di vero crogiolo dell'architettura del Razionalismo italiano. Nel 1936 ebbe il primo incarico di rilievo progettando il quartiere Fabio Filzi a Milano. Alla fine degli anni trenta prese parte ad alcuni importanti gruppi progettuali quali il piano urbanistico Milano Verde (assieme ad Ignazio Gardella, Giuseppe Pagano, Giovanni Romano e altri), e ad alcuni importanti concorsi per l'EUR. Nel 1945 fu tra i fondatori di Movimento Studi Architettura, un importante momento di rinascita culturale e per poco tempo (1946) fu direttore della rivista Costruzioni Casabella (assieme a Giancarlo Palanti). In detti anni firmò i piani regolatori di Milano e Reggio Emilia (oltre ad alcuni piani particolareggiati a Genova). Nel 1952 entrò a far parte dello studio Franca Helg, architetto con cui Albini condivise i successivi progetti. Nei primi anni cinquanta ebbe i primi incarichi che ottennero ampio riscontro di critica. La sistemazione delle Gallerie comunali di Palazzo Bianco a Genova fu uno dei primi musei realizzati all'interno di una struttura storica e impostato secondo i principi del Movimento Moderno, realizzato con interventi in netto contrasto con l'edificio preesistente, ma che rappresentano comunque un "felice inserimento". Questo progetto inaugura una serie di progetti, di cui quattro a Genova, che renderanno Albini un maestro della museografia. Ma Albini si distinse anche in altri progetti importanti come l'edificio per uffici Ina a Parma (1950-54), e gli Uffici Comunali, sempre a Genova (1950-63), che si confrontano con la città storica in modo inedito. Nei primi anni '60 entrano nello studio le altre due presenze importanti di Antonio Piva (nel 1962) e del figlio Marco Albini (nel 1965), che assieme a Franca Helg costituiranno un gruppo che porterà a termine numerosi progetti di Albini anche dopo la sua morte[1]. Successivamente l'architetto ebbe numerosi incarichi, tra questi la sede della Rinascente a Roma (1957-61) e la stazioni della linea 1 della Metropolitana Milanese (1962-63), inaugurata il primo novembre 1964[2]. Vanno anche ricordati i numerosi e magistrali allestimenti di mostre. Albini affiancò all'attività di architetto quella di designer, soprattutto di elementi d'arredo, per tutta la carriera. Alcuni mobili, quali la sperimentale libreria in tensostruttura del 1938, lo pongono come grande innovatore in questo campo. Alcuni degli oggetti progettati da Albini, mobili e altri oggetti, tra cui alcune famose maniglie, sono ancora in produzione e sono venduti in tutto il mondo: fra questi vi è la poltrona Fiorenza, disegnata nel 1952 per Arflex utilizzando materiali allora innovativi per il settore del mobile. Già nel 1936, aveva dato alle stampe il volumetto La Gommapiuma Pirelli alla VI Triennale, in cui illustrava le applicazioni innovative di questo materiale nell'industria del mobile, portando, come esempi, le realizzazioni di sedute proposte in diversi spazi espositivi della VI Triennale di Milano, disegnate da lui stesso, e da vari architetti, tra cui Giulio Minoletti, Gio Ponti, Piero Bottoni, e altri ancora. Albini ebbe anche un'importante attività didattica, da quando, nel 1949, insieme ad altri architetti importanti, fu chiamato da Giuseppe Samonà allo IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia), in cui insegnò negli anni 1949-1954 e 1955-1964. Ha inoltre insegnato al Politecnico di Torino, nell'anno accademico 1954-1955, per la prima volta come professore di ruolo, e dal 1964 al Politecnico di Milano.Albini fu nel gruppo di architetti del CIAM (Congresso internazionale di architettura moderna) e fu membro dell'INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), dell'Accademia di San Luca, dell'American Institute of Architects (AIA), dell'Istituto scientifico del CNR-Consiglio nazionale delle ricerche per la sezione di museografia (1970). Numerosi furono i premi e i riconoscimenti, tra i quali si citano:  i tre Compasso d’oro (1955, 1958, 1964); il premio Olivetti per l'Architettura (1957); il premio "Royal Designer for Industry" dalla Royal Society di Londra (1971).

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