Nel 1999 Libeskind inaugura a Berlino lo Jewish Museum, il museo
ebraico. L'impressione che suscita l’opera e’ notevolissima. Folle enormi lo
visitano e, come già era successo a Bilbao, ancora una volta l’edifico e’
ritenuto più importante degli oggetti esposti. Il carattere di novità della proposta e’
certamente assai alto, ma soprattutto e’ in antitesi rispetto alle scelte
culturali berlinesi fino all’epoca effettuate, che miravano alla salvaguardia
del tessuto storico urbano e delle tipologie edilizie tradizionali, affidando
la realizzazione ad architetti postmodernisti o classicisti quali Ungers, Rossi, Gregotti, Krier, Grassi e Stirling.. Gehry si reca a Berlino ed esclama “Libeskind
conosce veramente l'arte di costruire lo spazio”.. Tra l’altro “l’inesperto” professionista, che
fino allora ha progettato moltissimo, ma ha al suo attivo solo poche opere
realizzate, puo’ vantarsi di aver chiuso il difficile Jewish Museum con uno
scarto di appena il 4% rispetto al budget prefissato. Libeskind usa un approccio decostruttivista:
geometrie disarticolate, spazi frammentati, dettagli stridenti, materiali di
produzione industriale. L’edificio, altamente retorico, si basa su direttrici
che rievocano, non sempre in maniera evidente, temi, simboli, geografie e
vicissitudini della comunità ebraica berlinese, prima dello sterminio nazista. Prevale il motivo di una linea a zig zag,
quella degli ambienti espositivi intersecata da una linea rettilinea, un taglio
longitudinale che scava la serpentina, creando alcune corti interne
impraticabili che rappresentano, simbolicamente, lo spazio vuoto lasciato
dall’Olocausto. Accanto sorge una struttura cava in cemento, la Torre
dell’Olocausto, e un giardino artificiale, l’Hoffmann Garden, composto da 49
prismi inclinati in cemento, al cui interno sono rinchiusi altrettanti alberi. Il Jewish Museum appare come un edificio-fortezza
entro cui si sviluppano percorsi continui, privi di soste, senza pausa, senza
meta, cunicoli, quasi labirinti, spazi-corridoio per le esposizioni. Lo spazio è metafora dell'incedere del popolo
ebraico. La "raum", cioè la stanza, il luogo dello stare e
dell'esserci di Heidegger, non esiste più. Ha ceduto il posto al "mauer",
cioè al muro, che delimita un percorso, una traiettoria, una condizione di
nomadismo. Da un museo contenitore ad un museo
itinerario metafora di una diaspora senza fine.
Vi racconto la Storia dell’Architettura 1 raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog HOMO LUDENS
(https://nonmirompereitabu.blogspot.com/)
L’opera completa si compone di 3 volumi.
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog
HOMO LUDENS
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L’opera completa si compone di 3 volumi.
Vi racconto la Storia dell’Architettura 3. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog HOMO LUDENS
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