Marcello Piacentini:architetto del Novecento tra monumentalismo e controversia
Introduzione
La figura di Marcello Piacentini (Roma, 1881 – 1960) occupa un posto centrale nella storia dell’architettura italiana del XX secolo. Architetto, urbanista e accademico, egli rappresentò la sintesi più evidente del rapporto ambiguo tra creatività architettonica e potere politico nel periodo fascista. La sua parabola, segnata da un precoce successo, da un trentennio di dominio culturale e professionale e da un difficile dopoguerra, illustra in modo paradigmatico le tensioni tra innovazione artistica, monumentalità e ideologia di regime.
Formazione e primi lavori
Figlio dell’architetto Pio Piacentini, Marcello ricevette un’educazione cosmopolita che gli permise, in giovane età, di confrontarsi con i linguaggi emergenti dell’Art Nouveau europea, dal Jugendstil tedesco alla Secessione viennese¹. Già con il Cinema-Teatro Corso di Roma (1905) cercò di mediare tra classicismo tradizionale e suggestioni moderne, inserendo elementi innovativi come bovindi e decorazioni di ascendenza nordica. Tuttavia, l’esperimento suscitò polemiche violente che obbligarono l’autore a modificare il progetto a proprie spese².
Altri incarichi giovanili, come il Progetto Ophelia per l’ospedale psichiatrico di Potenza (1905), testimoniarono una precoce capacità organizzativa e un’attenzione alla dimensione urbanistica, che sarebbe divenuta cifra distintiva della sua carriera³.
L’età fascista e il monumentalismo
Il consolidarsi del regime offrì a Piacentini l’occasione di affermarsi come architetto di riferimento del fascismo. Tra il 1920 e il 1940 egli sviluppò uno stile eclettico e monumentale, oscillante tra il Novecento milanese (Muzio, Lancia, Ponti) e il razionalismo del Gruppo 7 (Terragni, Pagano, Libera). La sua abilità consistette nel creare un neoclassicismo semplificato, capace di soddisfare al tempo stesso le esigenze propagandistiche del regime e le spinte moderniste⁴.
Mussolini, riconoscendone il ruolo di “architetto del regime”, lo nominò membro dell’Accademia d’Italia (1929). Progetti come la Città Universitaria di Roma (1935) e il coordinamento urbanistico dell’E42 (attuale EUR) segnarono l’apice della sua influenza⁵. Nella Città Universitaria si concesse un certo pluralismo, affidando singoli edifici a giovani architetti, mentre nell’E42 prevalse la logica del monumentalismo, più vicina alle esigenze celebrative del regime⁶.
Un’opera emblematica fu il Torrione INA a Brescia (1932), primo grattacielo italiano, ispirato al modello statunitense ma reinterpretato in chiave nazionale. L’edificio testimoniava l’intenzione di Piacentini di dialogare con la modernità senza rinunciare a un registro formale solenne⁷.
Urbanistica e trasformazioni della città
La carriera di Piacentini fu segnata anche da un’intensa attività urbanistica. Egli sostenne interventi di sventramento e di apertura di assi radiali, spesso al prezzo della distruzione di tessuti storici. L’operazione più nota fu la demolizione della Spina di Borgo per l’apertura di Via della Conciliazione (1936-1950), progettata con Attilio Spaccarelli, che modificò irreversibilmente il rapporto tra San Pietro e il tessuto urbano circostante⁸.
Altri interventi, come la Piazza della Vittoria a Brescia o la via Roma a Torino (1927-1936), riflettevano la volontà di creare spazi monumentali che esaltassero il potere politico e ridefinissero l’identità delle città italiane⁹.
Il dopoguerra: epurazione, ritorno e declino
Caduto il fascismo, Piacentini subì una temporanea epurazione dall’insegnamento universitario, ma fu presto reintegrato. Nel dopoguerra tentò di mantenere la propria influenza, partecipando al Piano regolatore di Bari (1950) e ad altri progetti, ma la sua produzione perse incisività, venendo giudicata da alcuni critici come stanca e priva di slancio¹⁰.
Collaborò con Pier Luigi Nervi al Palazzo dello Sport dell’EUR (1957), opera in cui la modernità strutturale si univa alla monumentalità di marca piacentiniana, segnando simbolicamente la conclusione della sua parabola creativa¹¹.
Giudizi critici e rivalutazioni
Il giudizio sulla figura di Piacentini rimane controverso. Bruno Zevi lo definì impietosamente “morto nel 1925”, sottolineando la sua incapacità di accogliere davvero le sfide del modernismo¹². Tuttavia, studi più recenti hanno rivalutato alcuni interventi, riconoscendo nella sua opera una mediazione originale tra linguaggi diversi e una capacità di pianificazione urbanistica che segnò profondamente l’Italia del Novecento¹³.
Il suo rapporto con il fascismo rimane un nodo centrale: se da un lato Piacentini fu interprete fedele della monumentalità littoria, dall’altro non mancarono contraddizioni personali e politiche, che rendono la sua figura meno univoca di quanto la propaganda coeva o la critica successiva abbiano spesso suggerito.
Conclusione
Marcello Piacentini rimane un protagonista imprescindibile della storia dell’architettura e dell’urbanistica italiana del XX secolo. La sua opera, oscillante tra innovazione e monumentalismo, adesione e resistenza, rappresenta un laboratorio privilegiato per riflettere sui rapporti tra architettura, ideologia e modernità. Il giudizio su di lui non può prescindere da un’analisi critica delle condizioni storiche e culturali in cui si trovò ad operare, ma neppure può ignorare la portata delle sue realizzazioni, che continuano a segnare il volto di molte città italiane.
Note
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Cfr. G. Fanelli, Architettura e cultura europea agli inizi del Novecento, Firenze, 1980.
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V. Fraticelli, Il giovane Piacentini: tra Secessione e modernismo, Roma, 1995.
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G. Spagnesi, Storia dell’architettura italiana 1900-1944, Torino, 1990.
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M. Tafuri, Architettura contemporanea in Italia, Milano, 1964.
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F. Dal Co, Architettura e fascismo, Venezia, 1976.
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E. Mantero, L’E42 e la città ideale del fascismo, Roma, 2002.
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A. Pica, Architettura moderna a Brescia, Brescia, 1981.
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B. Zevi, Saper vedere l’urbanistica, Torino, 1960.
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P. Portoghesi, Roma moderna. Da Piacentini a Libera, Roma, 1971.
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M. Muratore, Architettura italiana del dopoguerra, Milano, 1990.
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G. Ciucci, Pier Luigi Nervi. Architetture per lo sport, Roma, 2009.
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B. Zevi, Cronache di architettura, Milano, 1950.
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S. Maggi, Piacentini e il Novecento italiano, Milano, 2010.














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