sabato 3 maggio 2025

Corso di storia dell'architettura: Sullivan 1856

 Sullivan (1856)





Louis Sullivan: modernità, contraddizioni e lascito critico

Sintesi iniziale. Louis Henry Sullivan (Boston, 3 settembre 1856 – Chicago, 14 aprile 1924) è figura-chiave della transizione dall’architettura storicista ottocentesca alla modernità americana: teorico e pratico dei nuovi edifici in altezza, ideatore di un linguaggio formale che cercava di mettere in relazione struttura, funzione ed espressione ornamentale. La sua vita professionale — formazione, partnership con Dankmar Adler, opere-campione e declino — offre un testo esemplare per discutere le ambivalenze e i limiti della nascita del Movimento Moderno.

Contesto, formazione e primi passi a Chicago

Sullivan si forma al MIT, sperimenta brevemente nello studio di Frank Furness a Filadelfia e approfondisce la cultura architettonica europea con studi all’École des Beaux-Arts di Parigi. Si trasferisce definitivamente a Chicago (dove arriva in un clima di ricostruzione dopo il grande incendio del 1871) e lavora con figure tecniche decisive per lo sviluppo del “grattacielo”, come William LeBaron Jenney: la questione tecnica della struttura metallica (che permette altezze e campate inedite) apre il terreno a nuove soluzioni tipologiche e formali.

La partnership con Dankmar Adler, formalizzata nel 1880, segna il periodo di massimo successo: la collaborazione unisce le capacità ingegneristiche e acustiche di Adler con la sensibilità formale e teorica di Sullivan, dando vita a opere come l’Auditorium Building (1889), il Wainwright Building (1891) e, più tardi, i magazzini Carson, Pirie, Scott (1899).

Linguaggio formale e principio teorico

Il nucleo teorico più noto di Sullivan è la massima «form follows function» (la forma segue la funzione), popolarizzata dal suo saggio del 1896 The Tall Office Building Artistically Considered. Per Sullivan la moderna costruzione in altezza richiedeva un nuovo ordine espressivo: la struttura metallica, le finestre più ampie e la diversa distribuzione d’uso dovevano modellare la forma esterna, anziché ricoprirla con stilemi storici non pertinenti.

Tuttavia — ed è qui che nasce una delle tensioni più feconde nella sua opera — Sullivan non aderì a un minimalismo astratto. Pur sostenendo la razionalità della forma, elaborò ornamentazioni ricche e organiche (motivi floreali e intrecci naturalistici in terracotta e ferro), integrate come elementi che nascevano dalla logica interna dell’edificio piuttosto che da un repertorio storico applicato a casaccio. Questa scelta lo pone in una posizione liminale fra la rinuncia a stili storici e la valorizzazione di un ornamento “derivato” dalla natura e dalla funzione.

Le opere-prisma: esempi e analisi

  • Wainwright Building (St. Louis, 1891). Esplicita la tripartizione «base-fusto-attico» ispirata alla colonna classica ma tradotta in chiave moderna: basamento per i negozi, fusto per gli uffici, coronamento per macchinari/servizi. La facciata enfatizza la verticalità con fasce e logiche di ritmica delle aperture, diventando modello per il prototipo del grattacielo “espressivo”.

  • Carson, Pirie, Scott (Chicago, 1899). Qui Sullivan sperimenta l’uso dell’ornamento con grande libertà: l’ingresso d’angolo e il piano terra ricevono una decorazione in ferro e terracotta che accentua apertura e accoglienza commerciale, mentre la struttura mantiene chiarezza tipologica. L’edificio è un ottimo esempio di come l’ornamento per Sullivan fosse parte di una strategia comunicativa e funzionale, non un abbellimento estraneo.

  • Auditorium Building e Guaranty (Buffalo). All’Auditorium la sinergia Adler–Sullivan produce un complesso che unisce esigenze acustiche, spaziali e rappresentative; il Guaranty Building rappresenta l’esemplificazione della tripartizione e dell’integrazione ornamentale nell’altezza.

Critica: contraddizioni e limiti

La figura di Sullivan è intrinsecamente contraddittoria, e qui sta la sua ricchezza interpretativa. Da un lato propugna una sorta di “funzionalismo” come criterio di progetto; dall’altro non disdegna l’ornamento, ma lo reinterpreta come linguaggio organico. Tenendo insieme entrambi gli aspetti, Sullivan apre la strada al Moderno, ma non corrisponde al riduzionismo funzionalista che diventerà dominante più tardi (p. es. nel movimento razionalista europeo): la sua modernità è più morfologica ed estetica che ideologica.

Un’altra questione critica riguarda l’attribuzione del “padre del grattacielo”. Se Sullivan è senz’altro il più influente dal punto di vista teorico ed estetico, l’innovazione strutturale è frutto di più attori (tra i quali William LeBaron Jenney), per cui l’appellativo va inteso soprattutto in termini culturali e progettuali, non puramente ingegneristici.

Declino personale e ricezione tardiva

Dopo la rottura con Adler e la crisi professionale, Sullivan entra in una fase di marginalità: incide sull’immagine pubblica la sua caduta economica e problemi personali (tra cui l’alcolismo), e cambia la scena architettonica (City Beautiful, Beaux-Arts, poi altre tendenze) che privilegia linguaggi diversi. La famosa controversia intorno al progetto vincitore per il Chicago Tribune (1922) — una torre neogotica che Sullivan giudicò negativamente — è sintomatica di un architetto culturalmente fuori fase rispetto alle scelte estetiche del suo tempo.

L’eredità storica e interpretativa

La fortuna storica di Sullivan è duplice: da un lato è maestro per Frank Lloyd Wright e per la scuola di Chicago, influenzando la concezione tipologica e il rapporto fra struttura e facciata; dall’altro la sua lezione è stata rilet­ta in modo selettivo: i modernisti presero il principio della chiarezza tipologica e strutturale ma spesso scartarono l’idea di un ornamento organico, producendo un modernismo più rigido e meno “lirico”. Tale eredità rende Sullivan una figura chiave per comprendere perché il Moderno non fu un passaggio netto ma una serie di tensioni e mediazioni.

Conclusione: perché Sullivan resta essenziale

Sullivan non è solo «il padre del grattacielo» come epigrafe semplificata; è piuttosto il teorico-pratico che ha saputo leggere le possibilità tecnologiche (la struttura in acciaio), tradurle in una tipologia nuova (il tall office building) ed esplorarne le implicazioni formali ed estetiche. La compresenza di rigore tipologico e di ornamento organico costituisce oggi una ricca palestra critica per chi voglia interrogare il rapporto tra funzione, tecnologia e bellezza: quella di Sullivan è una modernità problematica, non dogmatica — e per questo ancora fertile.



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