lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Storia dell'arte: Lezione 7 Paleocristiana

 









Arte paleocristiana è il termine che designa la produzione artistica dei primi secoli dell'era cristiana, compresa entro limiti di spazio e di tempo convenzionali: le testimonianze più significative risalgono in genere al III-IV secolo, poi si inizia a parlare anche di arte dei singoli centri d'arte: arte bizantina, arte ravennate, ecc. L'arte paleocristiana comunque viene collocata nell'orbita di Roma imperiale, e ha il suo momento di massimo splendore fra i primi decenni del IV secolo e gli inizi del VI secolo, fino al 604, anno della morte di papa Gregorio I, tanto che l'ideale cristiano assunse, ai suoi inizi, le forme offerte dall'arte della tarda antichità. Una specifica iconografia cristiana si sviluppò solo gradualmente e in accordo col progredire della riflessione teologica.

Il cristianesimo giunse a Roma probabilmente attraverso la minoranza giudaica, che teneva rapporti commerciali e culturali con la madrepatria Palestina: quando Paolo di Tarso visitò Roma nel 61 trovò una comunità cristiana già organizzata.

Tra i primi seguaci del cristianesimo vi furono appartenenti ai ceti poveri e a quello degli schiavi, ma soprattutto al ceto medio romano; progressivamente iniziarono a convertirsi le famiglie più agiate, le quali misero a disposizione le loro abitazioni per le riunioni. Nacquero le domus ecclesiae (case dell'assemblea, dal greco ecclesia, assemblea), antesignane delle chiese. Di questi edifici adibiti a riunioni domestiche sono giunti pochi resti archeologici, spesso rinvenuti tra le fondazioni delle basiliche, costruite in seguito alla libertà di culto sancita dall'Editto di Costantino (313). Una conseguenza della credenza nella resurrezione dei corpi, predicata da Cristo, fu l'usanza di inumare i corpi dei defunti, in luoghi sotterranei chiamati in seguito catacombe (termine documentato dal IX secolo a proposito della Basilica Apostolorum sulla via Appia e derivato dal greco katà kymbas, presso le grotte). L'uso di luoghi sotterranei non fu certo dettato dalle persecuzioni, poiché ci sono pervenuti ipogei anche pagani e giudaici, come quello della via Latina a Roma, risalente alla seconda metà del IV secolo. Nel III secolo Roma era già completamente organizzata per il culto cristiano, nonostante la clandestinità, con sette diaconi che sovraintendevano a sette zone distinte, ciascuna dotata di una propria area catacombale al di fuori delle mura.

Pittura e mosaico

Anche la pittura e il mosaico dei primi secoli del Cristianesimo derivarono i propri stilemi da correnti artistiche già in atto, legate al paganesimo o ad altre religioni, attribuendo però alle rappresentazioni altri significati. Un esempio emblematico è quello dell'immagine del banchetto, usato già da secoli nell'arte antica specialmente in ambito funerario: divenne la rappresentazione dell'Ultima Cena e quindi simbolo della celebrazione dell'Eucaristia, la liturgia fondamentale della nuova religione. Gli elementi di similitudine tra raffigurazioni cristiane e pagane nella medesima attribuzione cronologica hanno portato ad avvalorare l'ipotesi che gli artisti lavorassero indistintamente talvolta su commissione di pagani e talvolta di cristiani. Anche lo stile delle pitture va da un iniziale realismo a forme sempre più simboliche e semplificate, in linea con l'affermazione dell'arte provinciale e plebea nella tarda antichità. Con la fine delle persecuzioni, dal 313, la pittura si fece più sfarzosa, come i coevi esempi di pittura profana. L'aniconismo, cioè il divieto di raffigurare Dio secondo un passo dell'Esodo (XX, 3-5), applicato fino al III secolo, comportò la necessità di usare simboli per alludere alla divinità: il sole, l'agnello, simbolo del martirio di Cristo, o il pesce, il cui nome greco (ichthys) era acronimo di "Iesùs Christòs Theoù Yiòs Sotètur" (Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore). Altre immagini-segno sono quelle che invece di narrare un avvenimento suggeriscono un concetto: il Buon Pastore, che simboleggiava la filantropia di Cristo, l'orante, simbolo di sapienza, ecc. Anche queste raffigurazioni furono mutuate da iconografie antecedenti: il pastore proviene da scene pastorali, dalle allegorie della primavera e dalle raffigurazioni di Ermes pastore, il Cristo-filosofo, deriva dalla figura del filosofo Epitteto seduto. Tutti i temi legati all'Antico Testamento vennero invece ripresi dalla precedente tradizione giudaica: pittura cristiana ed ebraica nel III secolo sono pressoché combacianti, come testimoniano gli affreschi nella sinagoga di Dura Europos in Siria (oggi al Museo nazionale di Damasco), dove la stilizzazione formale è legata al valore simbolico delle scene. Gradualmente la perdita di interesse verso la descrizione di avvenimenti reali porta a una standardizzazione delle scene simboliche, con un progressivo appiattimento delle figure, preponderanza di raffigurazioni frontali e perdita del senso narrativo: gli artisti infatti adesso alludono al mondo spirituale, sono interessati a trasmettere messaggi precisi che prescindono dall'armonia formale e dalla verosimiglianza delle forme. Il gallo, che canta all'alba al sorgere del sole, è ritenuto simbolo della luce di Cristo[5]. La tartaruga è simbolo del male, del peccato causa dell'etimologia del termine che è dal greco "tartarukos", "abitante del Tartaro". La lotta tra gallo e tartaruga (il Bene contro il Male)[6] è più volte rappresentata sui mosaici pavimentali della basilica di Aquileia.

La rappresentazione di Cristo

Fino al III secolo quindi Cristo è rappresentato unicamente da simboli: il buon pastore, l'agnello, ecc. Abbastanza frequente è anche l'immagine del Cristo-Orfeo: Cristo scese nel Limbo, come Orfeo nell'oltretomba. Il divieto di raffigurare Gesù Cristo venne meno in conseguenza del primo concilio di Nicea, quando venne definitivamente sancita la duplice natura divina e umana di Cristo, quindi Verbo incarnato uomo e dotato di fattezze umane rappresentabili. La rappresentazione dei fatti salienti della vita di Cristo divenne necessaria per la trasmissione del suo messaggio, ma non fu questa l'unica ragione: la glorificazione di Cristo si rifletteva come celebrazione indiretta degli imperatori di fede cristiana dopo l'Editto di Tessalonica. L'identificazione tra Impero e Chiesa divenne sempre più stretta, soprattutto dal V secolo quando la cristianità iniziò ad essere vista come baluardo del mondo civilizzato, contro quello barbaro. Inizialmente Gesù veniva rappresentato imberbe: ne sono testimonianza gli affreschi nelle catacombe di Domitilla (Cristo che insegna agli apostoli) o il mosaico nella chiesa di Santa Costanza a Roma. Il Cristo barbato è successivo e deriva dalla tradizione siriaca relativa alla rappresentazione del filosofo cinico. In seguito si iniziò a raffigurare anche Cristo con le insegne regali, che lo assimilavano all'imperatore secondo l'iconografia imperiale romana della traditio legis, la "consegna della legge".

Scultura

Quando, nelle catacombe, apparvero le prime testimonianze pittoriche, non esisteva ancora una scultura cristiana. Essa si sviluppò lentamente, soprattutto nella decorazione di sarcofagi destinati a personaggi dei ceti più abbienti convertiti al cristianesimo, prendendo a prestito i temi del contemporaneo simbolismo funerario pagano. Al IV secolo appartiene la maggior parte dei sarcofagi paleocristiani noti, produzione per lo più di laboratori romani. Una delle simbologie ricorrenti riguardava l'immagine del pavone, simbolo di immortalità, rinascita spirituale e quindi della resurrezione in base a una credenza secondo la quale il pavone perdeva ogni anno in autunno le penne che rinascevano in primavera. Inoltre i suoi mille occhi sono stati considerati emblema dell'onniscienza di Dio e le sue carni erano ritenute incorruttibili.

I sarcofagi di Elena e Costantina (rispettivamente madre e figlia di Costantino I) si attengono alla corrente aulica. Nel primo tuttavia si notano motivi di arte plebea quali mancanza di prospettiva e inesistenza di un credibile piano di appoggio. Sostenuto da una coppia di leoni si deduce che non era stato eseguito appositamente per Elena, ma per un uomo, e questa tesi è avvalorata dalle scene di guerra rappresentate nel porfido. Il sarcofago di Costantina, trovato nel mausoleo di Santa Costanza a Roma e oggi conservato nei Musei Vaticani, invece è di carattere naturalistico e decorativo, strettamente legato ai soggetti raffigurati nella volta del deambulatorio del mausoleo stesso. Il Sarcofago di Stilicone si trova nella basilica di Sant'Ambrogio a Milano ed oggi è inglobato in un ambone medievale. Fu scolpito nella seconda metà del IV secolo e presenta una serie di figure allineate sullo sfondo di una città immaginaria con le architetture che incorniciano ritmatamente le teste delle figure. Al centro si trova la figura di Cristo seduto su un trono, in posa frontale e benedicente, con in mano il libro della Legge, che anticipa la successiva iconografia bizantina e medievale del Cristo-giudice. Nella base del sarcofago è evidenziato un festone orizzontale con incisi, alternati, un fiore a petali rotondi ed una croce rostrata di tipo ariano. Stilicone fu giustiziato nel 408 sotto l'imperatore Onorio.

Una nuova simbologia si riscontra nel cosiddetto Sarcofago del Buon Pastore, conservato nel Museo pio cristiano di Roma e risalente alla seconda metà del IV secolo. Attorno alla figura centrale del buon pastore, ingrandita, posta su un piedistallo e riprodotta anche alle due estremità, si dispone una serie di piccoli angeli vendemmiatori in una complessa rappresentazione di tralci di vite ricavati con abbondante uso del trapano. La pianta di vite, già usata in passato per raffigurare paesaggi elegiaci e idealizzati, qui assume la simbologia di rinascita, con i ceppi apparentemente morti e i rami più alti via via più ricchi di fogliame e frutti. I grappoli richiamavano inoltre il vino dell'Eucaristia.

Sempre al Museo pio cristiano è conservato un altro interessante esempio di sarcofago paleocristiano con uno stile della rappresentazione continuo, il cosiddetto Sarcofago con i miracoli di Cristo, in marmo, risalente al IV secolo. In esso sono rappresentati, da sinistra: il peccato originale, i miracoli del vino, del cieco guarito e del morto resuscitato.

La figura di Cristo, senza aureola, giovane e imberbe, è rappresentata tre volte a breve distanza, in posizione pressoché identica, che ne facilita l'identificazione. Le figure appaiono strette nello spazio e si sovrappongono fisicamente le une alle altre.

Il sarcofago di Giunio Basso, sempre al Museo pio cristiano e in marmo (243x141 cm, seconda metà del IV secolo), ha un'impaginazione del tutto diversa, con la divisione delle scene in uno schema rigoroso scandito dalle colonnine di una ipotetica architettura; questa disegna due registri con cinque edicole ciascuno: quello inferiore vede un porticato con colonne sormontate da archi e timpani, quello superiore è architravato. Ogni edicola contiene la rappresentazione di una scena tratta dal Vecchio e dal Nuovo Testamento; non vi è uno svolgersi continuo della narrazione, poiché ogni riquadro è fine a se stesso. Queste scene sono ricchissime di particolari e non immediate, ma complesse, destinate a colti e non alla plebe. Lo stile appartiene alla corrente aulica, con una realistica resa volumetrica delle figure, e ciò è dovuto all'estrazione sociale del committente che, in quanto dignitario di corte, è ancora vicino alla tradizione del classicismo imperiale: l'iscrizione in alto è datata 359 e ricorda l'ex-console Giunio Basso convertitosi al Cristianesimo.

Una nuova iconografia che si venne affermando nel IV secolo è quella dei cosiddetti sarcofagi della passione. Tale denominazione deriva dal fatto che il soggetto delle sculture è costituito dalla passione di Cristo e dal martirio di san Pietro e san Paolo.

In un esemplare al Museo pio cristiano chiamato Sarcofago con monogrammi di Cristo, si trova al centro, in una rappresentazione anche questa a cinque scene scandite da colonnine, la croce con il monogramma di Cristo affiancato da due colombe, che sovrastano due soldati, guardie del sepolcro colte nel sonno dalla Resurrezione.

La porta lignea della basilica di Santa Sabina a Roma, risalente al V secolo, coeva anch'essa alla costruzione della chiesa, costituisce il più antico esempio di scultura lignea paleocristiana. In origine era costituita da 28 riquadri dei quali ne sono rimasti 18. È di legno di cipresso ed è incredibile che sia giunta sino a noi, sia pure con alcuni restauri e con l'aggiunta successiva della fascia decorativa a grappoli e foglie d'uva, che circonda i singoli riquadri. Vi sono rappresentate scene dall'Antico e dal Nuovo Testamento fra cui le storie di Mosè, di Elia, l'Epifania, i miracoli di Cristo, la Crocifissione e l'Ascensione. Nella disposizione attuale le storie sono mischiate, non c'è una parte relativa all'Antico Testamento ed una al Nuovo.

Nella porta lignea operano due artisti assai diversi fra di loro: uno di ispirazione classico-ellenistica, l'altro di ispirazione popolare tardo-antica. A questo secondo artista appartiene il riquadro della Crocifissione (che è la prima rappresentazione di Cristo fra i due ladroni). Cristo è rappresentato con dimensioni maggiori, a significare la sua superiorità morale. Non c'è nessuna ricerca prospettica, le figure poggiano su una parete che simula dei mattoni, e le croci si intuiscono solo dietro la testa e le mani dei ladroni: nei primi tempi del Cristianesimo c'era il divieto di rappresentare Cristo nel suo supplizio, fra l'altro essendo ancora vivo il ricordo della morte in croce quale pena da schiavi. Un'arte sommaria, ad intaglio secco, molto diretta, anche perché doveva essere compresa dalla plebe, in quanto luogo di culto pubblico.


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