Scultura romanica
«Accanto al culto dei concetti trasmessi come deposito di verità e saggezza, accanto a un modo di vedere la natura come riflesso della trascendeza, ostacolo e remora, è viva nella sensibilità dell'epoca una fresca sollecitudine verso la realtà sensibile in tutti i suoi aspetti, compreso quello della sua godibilità in termini estetici.» (Umberto Eco) La scultura romanica nacque in stretto rapporto con l'architettura, decorando capitelli, architravi e archivolti di finestre e portali. Ci fu una ripresa in più centri della scultura su scala monumentale (a Tolosa, a Moissac, a Modena, in Borgogna e nella Spagna settentrionale) a partire dall'XI secolo. Grazie a svariate influenze gli scultori crearono un repertorio del tutto nuovo, interpretando liberamente secondo sotto-scuole regionali. Si ebbero raffigurazioni del mondo animale e vegetale, oppure figurazioni e narrazioni legate ai testi sacri. In particolare cambiò anche il pubblico che fruiva delle rappresentazioni, non essendo più una ristretta élite ecclesiastica o imperiale, ma un ben più ampio bacino di persone di strati sociali e culturali diversi. I temi, tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento, raffigurati su portali di chiese e cattedrali con funzione didattica, dovevano essere soprattutto chiari ed efficaci. I principali scultori in Italia furono Wiligelmo, attivo sicuramente a Modena, Nonantola e forse Cremona (e alcuni membri della sua bottega anche a Piacenza), Nicholaus (Sacra di San Michele, Sant'Eufemia a Piacenza, Cattedrale di Piacenza, Ferrara, Verona, forse anche a Parma) e, allo scadere del secolo XII, Benedetto Antelami, che si firmò esplicitamente nella lastra della Deposizione del 1178, già parte di un pulpito, ora murata nella Cattedrale di Parma, più cripticamente nel Battistero, sempre a Parma, iniziato nel 1196. Numerose sono le opere riconducibili agli allievi dell'Antelami, come i Mesi del Maestro dei Mesi, già su un portale distrutto della Cattedrale di Ferrara.
Pittura romanica
Con il termine pittura romanica si vuole definire tutte quelle forme artistiche manifestatesi nell'Europa occidentale e centrale all'incirca tra la metà dell'XI secolo e la metà del XII secolo, con sensibili variazioni da una regione all'altra. Otto Demus, non potendo avvalersi di raffronti stilistici validi per tutta Europa, scelse, per determinare l'inizio della pittura romanica, una serie di date comprese entro il terzo quarto dell'XI secolo, subì un inarrestabile processo di disgregazione e svuotamento; con momenti e aspetti particolari nei diversi paesi, che vanno dal manierismo (il cosiddetto Zackenstil in Germania e Austria, prolungatosi fino alla fine del Duecento), ad un nuovo classicismo (il cosiddetto «stile 1200»), fino all'accentuazione del mai perduto influsso bizantino, visibile ad esempio negli affreschi dell'ultimo scorcio dell'XI secolo presso l'Abbazia di Novalesa in Piemonte raffiguranti S. Eldrado e San Nicola di Bari, quest'ultimo in una delle sue prime rappresentazioni iconografiche note in Occidente. In Umbria gli affreschi della chiesa di San Pietro in Valle a Ferentillo con Storie dell'Antico Testamento (fine dell'XII secolo), mostrano un plasticismo ed una espressività di influenza classicheggiante che non hanno riscontro nella coeva pittura su tavola, rappresentata dalle croci lignee sagomate, di severa ieraticità con la raffigurazione del Christus triumphans, prima della svolta iconografica di fine del XII secolo dei drammatici Cristi morenti (Christus patiens). La pittura romanica presenta una sensibilità tormentata che rappresenta soprattutto i temi più drammatici della religione: pene infernali, vizi, apocalissi, giudizio universale.
La raffigurazione di Gesù
Lo studioso Jacques Le Goff evidenzia che Dio è rappresentato più come Rex (re) che come Dominus (signore). Gli vengono infatti dati attributi regali, simboli del potere universale: il trono, il sole, la luna, l'alfa, l'omega, i vegliardi dell'Apocalisse di Giovanni e talvolta la corona."Questa sovranità regale di Cristo ispira la chiesa preromanica e romanica, concepita come un palazzo reale, derivato dalla rotonda reale iraniana convergente verso la cupola, oppure l'abside, dove troneggia il Pantocratore". Accanto a queste immagini troviamo il Cristo in croce con il fianco piagato ma in atteggiamento di vittoria sulla morte. Con l'appoggio della Chiesa l'immagine del Dio-Re favorisce il potere di re ed imperatori contro la feudalità: re ed imperatori sono infatti rappresentazioni terrene di Dio. A fianco di questa iconografia appare quella del Dio Uomo, il Cristo Pastore, Cristo Dottore, un Cristo docente con vari attributi cristologici: mulino e frantoio mistici (il sacrificio fecondo di Gesù); Cristo cosmologico derivato dal simbolismo solare che appare al centro di una ruota (per esempio in una vetrata della cattedrale di Chartres); i simboli della vigna e del grappolo d'uva (con riferimento ai testi evangelici); il leone e l'aquila segni di potenza; il liocorno simbolo di purezza; il pellicano segno di sacrificio; la fenice simbolo di resurrezione e di immortalità.
Wiligelmo (probabilmente da Willelmus, Guglielmo) (XI secolo – XII secolo) è stato uno scultore italiano, uno dei primi a firmare le proprie opere in Italia. Forse originario della diocesi di Como come forse Lanfranco, scolpì i rilievi del duomo di Modena verso il 1099 e probabilmente fu anche l'architetto responsabile dell'edificazione della facciata e della parte anteriore della cattedrale modenese. È il più importante maestro della scultura romanica in Italia, dotato nelle sue opere di una forza vitale e di un senso della narrazione impareggiabile per i suoi seguaci, superato pienamente forse solo da Nicola Pisano, oltre cento anni più tardi. Molto probabilmente Wiligelmo lavorava come maestro lapicida sotto la direzione dell'architetto Lanfranco (forse originario dalla diocesi di Como e attivo nell'area padana nell'XI secolo) quando questi fu ingaggiato dai modenesi per l'edificazione della loro grandiosa cattedrale (1099). Il suo nome ci è noto grazie ai distici leonini (scritti in caratteri diversi e dunque sicuramente postumi) che elogiano nel latino dell'epoca la sua opera di scultore: essi sono stati aggiunti, in basso, nella lastra posta sulla facciata del Duomo di Modena (opera di Wiligelmo stesso), dove è la dedicazione e la data di fondazione della chiesa in un cartiglio sorretto dalle figure di Enoch ed Elia, profeti che furono assunti in cielo senza morire, per sottolineare il carattere di immortalità dell'opera architettonica e scultorea: «Quanto tra gli scultori tu sia degno di onore, è evidente ora, o Wiligelmo, per la tua scultura» (Epigrafe, Duomo di Modena). Nel corso della decorazione del duomo di Modena, Wiligelmo si avvalse ovviamente della collaborazione di diversi allievi, purtroppo tutti anonimi e indicati negli studi coi nomi di Maestro di Artù, Maestro di San Geminiano, Maestro delle Metope). Fra i più noti rilievi di Wiligelmo vi sono quelli con le Storie della Genesi, oggi inseriti nella facciata del Duomo di Modena. Si tratta di quattro lastre in marmo con le seguenti raffigurazioni in bassorilievo:
Dio Padre creatore. La creazione di Adamo. La creazione di Eva. Il peccato originale.
Il rimprovero ad Adamo. La cacciata dall'Eden. Il lavoro dei progenitori.
Le offerte di Caino e di Abele. Caino uccide Abele. Caino risponde al Signore
La vendetta di Lamech. L'arca di Noè. Noè e i suoi tre figli.
Anticamente, è probabile che abbiano fatto parte del prospetto del pontile della chiesa. Da essi vediamo emergere le qualità dell'autore: aderenza al tema trattato, espressività, essenzialità. Gli ambienti non vengono descritti: i soggetti vengono piuttosto colti in azione, esaltando la loro esistenza. Esempio tipico è quello del cieco Lamech che uccide Caino: la cecità è resa mirabilmente dal suo atteggiamento. Il tutto costituisce una narrazione sommaria; si osservi, anche, La creazione di Eva, dove l'ambiente in cui avviene l'episodio è indicato da una roccia tondeggiante, che rappresenta le acque del fiume Paradiso. Non è il naturalismo romano, classicheggiante o funzionale alla narrazione storica. Ma non è neanche la concezione aspaziale bizantina. È piuttosto una trasformazione del simbolismo bizantino. Non è fatto per intuire un'idea, ma per far concepire la realtà del luogo, senza descriverlo dettagliatamente, ma dando efficacemente solo degli accenni, per lasciare l'immaginazione allo spettatore. La scultura di Wiligelmo è alquanto rozza, volutamente sommaria, per essere più comprensibile ai fedeli analfabeti cui era didatticamente rivolta. Ciò però non deve indurre a pensare a carenze tecniche dello scultore, perché nei due Geni portafiaccola, oggi sulla facciata del Duomo ma provenienti dall'altare, la tecnica di Wiligelmo può dirsi pari a quella delle opere degli scultori classici. Probabilmente, aveva potuto osservare queste opere nei reperti romani venuti alla luce quando si era scavato per cercare pietre, trovando invece la necropoli romana ricca di lapidi e sarcofagi. Sulla facciata sono murati anche i quattro Simboli degli Evangelisti, in origine parti di un pulpito smembrato, sicuramente opera di Wiligelmo. Inoltre, al maestro sono attribuiti gli stipiti del portale principale, decorati da un tralcio abitato nelle parti frontali e da Profeti negli interni. A Wiligelmo (in collaborazione con uno dei suoi più abili allievi, il Maestro delle metope) sono attribuite altre sculture: le metope che fungevano da contrafforti esterni, con figurazioni di chimere, sirene e mostri (oggi nel Museo Lapidario del duomo modenese); i numerosi capitelli e i semicapitelli.
A Piacenza
Wiligelmo lavorò anche nella cattedrale di Piacenza dove, nei portali laterali, si distinguono le mani dei due artisti: la sua e quella di un altro suo allievo, che diventerà un grande maestro Nicolò.
A Cremona
Alcuni attribuiscono a Wiligelmo, o alla sua scuola, anche alcuni rilievi, facenti forse parte di un pulpito smembrato, che oggi sono collocati in vari punti della facciata del Duomo di Cremona.
A Nonantola
La sua attività e dei suoi allievi è attestata anche all'abbazia di Nonantola dove si ammirano i bassorilievi delle Storie della Vergine e di sant'Anselmo negli stipiti del portale.
Influenze
Alcuni elementi della sua tecnica ricordano la scultura aquitanica, in modo particolare quella del chiostro dell'abbazia di San Pietro a Moissac e quella di Saint-Sernin nella vicina Tolosa, ma ebbe modo di confrontarsi a fondo con la scultura romana, le cui influenze sono chiaramente ravvisabili nei reperti della necropoli della Mutina latina. Si è discusso a lungo su questi contatti, presupponendo una formazione di Wiligelmo entro l'ambito di quei cantieri. Non vi è dubbio che questi contatti esistano ma, più che di una dipendenza di Wiligelmo dalle sculture aquitaniche (del resto di poco precedenti quelle di Modena), si tratta di una contemporaneità culturale, di reciproci scambi, pur nell'affermazione individuale della personalità di ogni singolo artista. Si può parlare di una scuola wiligelmica non solo per i suoi allievi ma anche per due altri grandi scultori dell'epoca, a lui di poco posteriori: Niccolò, attivo a Ferrara, e Benedetto Antelami, attivo a Parma, i quali mostrano di avere subito la sua influenza.
https://youtu.be/x5VmrgyrhvY
Antèlami, Benedetto. - Scultore e architetto (n. 1150 circa - m. 1230 circa). Di formazione probabilmente provenzale, la sua arte ha costituito un significativo nodo di passaggio fra la cultura romanica e quella gotica e un punto di riferimento per la scultura italiana del Duecento. Attivo prevalentemente a Parma, oltre a eseguire l'altorilievo con la Deposizione dalla Croce e la cattedra episcopale per il duomo fu incaricato della costruzione e della decorazione plastica del Battistero, che resta la sua opera più illustre. Vita e opere. Originario probabilmente della Valle d'Intelvi, fu prevalentemente attivo a Parma. L'altorilievo con la Deposizione dalla Croce nel duomo (firmato e datato 1178) è la sua prima opera nota: i tratti stilistici fanno presupporre una sua formazione provenzale. Per il duomo eseguì anche la cattedra episcopale (1180 circa) e nel 1196 intraprese l'opera sua più significativa, la costruzione e la decorazione plastica del Battistero, cui lavorò per circa due decenni. Il complesso programma iconografico, strettamente connesso con la struttura architettonica, si concentra nella decorazione, all'esterno, dei tre portali principali e, all'interno, delle lunette e nelle figurazioni dei mesi e delle stagioni situate nel primo ordine delle gallerie; presenta un'unità stilistica di altissimo livello con la creazione di un linguaggio che originalmente filtra motivi della più recente plastica provenzale e francese e suggestioni dell'arte classica. Problematici rimangono i suoi interventi nell'ambito del duomo di Fidenza (1179; 1214-18) e dell'abbazia di S. Andrea a Vercelli (1219-27), dove le forme gotiche prevalgono tanto da far supporre un suo nuovo viaggio in Francia verso il 1219. Punto nodale del passaggio dalla cultura romanica alla gotica, l'arte dell'A. ha avuto profonda risonanza nella scultura italiana duecentesca; direttamente alla scuola antelamica si ricollegano il ciclo dei mesi della cattedrale di Ferrara, il rilievo equestre raffigurante Oldrano da Tresseno (1233; Milano, Broletto), l'arcone del portale maggiore di S. Marco a Venezia, la Deposizione del duomo di Tivoli.
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