lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Storia dell'arte: Lezione 12 ROCOCO’











 

Il rococò è uno stile ornamentale sviluppatosi in Francia nella prima metà del Settecento quale evoluzione del tardo barocco. Il termine deriva dal francese rocaille, un tipo di decorazione eseguita con pietre, rocce e conchiglie, utilizzate come abbellimento di padiglioni da giardino e grotte. Esso si distingue per la grande eleganza e la sfarzosità delle forme, caratterizzate da ondulazioni ramificate in riccioli e lievi arabeschi floreali, presenti soprattutto nelle decorazioni, nell'arredamento, nella moda e nella produzione di oggetti. Si pone in netto contrasto con la pesantezza e i colori più forti adottati dal precedente periodo barocco. Lo stile tende a riprodurre il sentimento tipico della vita aristocratica libera da preoccupazioni o del romanzo leggero piuttosto che le battaglie eroiche o le figure religiose. A fine secolo il rococò fu a sua volta rimpiazzato dallo stile neoclassico.

Dal barocco al rococò
Dopo l'opulenza del barocco, che aveva prosperato per tutto il XVII secolo annoverando grandi artisti come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona, all'inizio del XVIII secolo, nasce in Francia lo stile rococò. Esso si sviluppa come una elaborazione estrema di motivi già presenti nel barocco, soprattutto nella decorazione d'interni e nell'arredamento oltre che nei piccoli oggetti di ceramica.

Storia del rococò
Lo stile rococò francese fu inizialmente utilizzato nelle arti decorative e per il design degli interni. La successione al trono di Luigi XV di Francia portò un cambiamento tra gli artisti di corte e in generale nella moda del tempo. Verso la fine del precedente regno, i ricchi motivi tipici del barocco stavano dando già spazio ad elementi più leggeri, con più curve e motivi più naturali. Un primo segno di evoluzione si ebbe sotto la Reggenza di Filippo II di Borbone-Orléans dove le linee morbide e i colori pastello vincono sul rigore e i colori audaci. Un esempio ne è la Galerie Dorée dell'Hôtel de Toulouse a Parigi. Questi elementi erano già evidenti e riscontrabili, ad esempio, nei progetti architettonici di Germain Boffrand e del suo allievo Nicolas Pineau. Durante il regno di Luigi XV la vita di corte si allontanò dal palazzo di Versailles portando il cambiamento artistico nel palazzo reale e poi permettendo il suo diffondersi in tutta l'alta società francese. La delicatezza e la gioia dei motivi rococò sono stati spesso visti come reazione agli eccessi presenti nel regime di Luigi XIV. Opera esemplare ne è il fastoso Hôtel de Soubise di Parigi. Il 1730 rappresentò il periodo di maggior vitalità e sviluppo del Rococò in Francia. Lo stile si sviluppò bene oltre l'architettura e investì anche l'arredamento, la scultura e la pittura. Fra i lavori più esemplificativi vi sono quelli degli artisti Germain Boffrand per l'architettura; Lambert-Sigisbert Adam, par la scultura; e Jean-Antoine Watteau, François Boucher e Jean-Marc Nattier, per la pittura. Il rococò mantenne ancora il sapore tutto barocco delle forme complesse e intricate ma da quel momento iniziò ad integrare diverse e originali caratteristiche quali l'inclusione di temi orientali o composizioni asimmetriche. Lo stile rococò si diffuse soprattutto grazie agli artisti francesi e alle pubblicazioni del tempo. Fu prontamente accolto nelle zone cattoliche della Germania, Boemia e Austria dove venne "fuso" con il barocco tedesco. In particolare nel sud, il rococò tedesco fu applicato con entusiasmo nella costruzione di chiese e palazzi; gli architetti spesso addobbavano i loro interni con "nuvole" di stucco bianco. Tra gli esponenti più importanti del rococò tedesco si possono citare lo scultore ed ebanista Guillielmus de Groff e l'architetto Joseph Greissing. In Italia lo stile tardo Barocco di Francesco Borromini e Guarino Guarini si è evoluto nel Rococò a Torino, Venezia, Napoli ed in Sicilia, mentre in Toscana ed a Roma l'arte rimase ancora fortemente legata al barocco. In Inghilterra il nuovo stile fu considerato come "il gusto francese per l'arte", gli architetti inglesi non seguirono l'esempio dei loro colleghi continentali, ciò nonostante l'argenteria, la porcellana e le sete furono fortemente influenzate dal rococò. Thomas Chippendale trasformò l'aspetto dell'arredamento inglese attraverso lo studio e l'adattamento del nuovo stile. William Hogarth contribuì a creare una teoria sulla bellezza del rococò; senza riferirsi intenzionalmente al nuovo stile, egli affermò nella sua Analisi della bellezza (1753) che le curve a S presenti nel rococò erano la base della bellezza e della grazia presenti in arte e in natura. La fine del rococò inizia intorno al 1760 quando personaggi come Voltaire e Jacques-François Blondel muovono delle critiche alla superficialità e alla degenerazione dell'arte. Blondel, in particolare, si lamentò dell'incredibile miscuglio di conchiglie, dragoni, canne, palme e piante nell'arte contemporanea. Nel 1780 il rococò smette di essere di moda in Francia ed è rimpiazzato dall'ordine e dalla serietà dello stile Neoclassico il cui portabandiera è Jacques-Louis David.Il rococò rimane popolare in provincia e in Italia fino alla seconda fase del Neoclassicismo, il cosiddetto "stile Impero", quando grazie al governo napoleonico è definitivamente spazzato via. Un rinnovato interesse per il rococò si ha tra il 1820 e il 1870. L'Inghilterra è la prima a rivalutare lo "stile Luigi XIV", così come fu erroneamente chiamato all'inizio, e a pagare grosse cifre per comperare gli oggetti rococò di seconda mano che si potevano trovare a Parigi. Ma anche artisti importanti come Delacroix e mecenati quali l'imperatrice francese Eugénie riscoprono il valore della grazia e della leggerezza applicata all'arte e al design.

Il rococò applicato alle arti
I temi leggeri ma intricati del design rococò si addicono meglio agli oggetti di scala ridotta piuttosto che imporsi (così come invece nel barocco) nell'architettura e nella scultura. Non sorprende quindi che il rococò francese fosse usato soprattutto all'interno delle case. Figure di porcellana, argenteria e soprattutto l'arredamento iniziarono ad applicare il rococò quando l'alta società francese cercava di arredare le sue abitazioni nel nuovo stile. Il rococò ama il carattere esotico dell'arte cinese e in Francia si sbizzarrisce nella produzione delle cosiddette Chinoiserie, le cineserie di porcellane e vasellame per la tavola, boiserie, paraventi. In Germania si creano grandiosi padiglioni e pagode nei giardini, come per esempio la bellissima Chinesische Haus del Parco di Sanssouci a Potsdam. Una dinastia di ebanisti parigini, alcuni dei quali nati in Germania, sviluppa uno stile di linee curve e sinuose in tre dimensioni, dove le superfici impiallacciate sono completate da intarsi in materiali preziosi come il bronzo, legni pregiati, tartaruga, marmo, avorio, madreperla. I maggiori autori di questi lavori rispondono ai nomi di Antoine Gaudreau, Charles Cressent, Jean-Pierre Latz, Jean-Françoise Oeben, Jean-Henri Riesener e Bernard II van Risenbergh. Disegnatori francesi come François de Cuvilliérs e Nicolas Pineau esportano lo stile a Monaco di Baviera e a San Pietroburgo, mentre il tedesco Juste-Aurèle Meissonier si trasferisce a Parigi. Il capostipite e precursore del rococò a Parigi è stato però Simon-Philippe Poirier. In Francia lo stile rimase abbastanza sobrio e caratterizzato da un'estrema eleganza e raffinatezza, dato che gli ornamenti, principalmente in legno, furono meno massicci e apparivano come un misto di motivi floreali, scene, maschere grottesche, dipinti e intarsi di pietre dure. In Baviera e in generale nella Germania meridionale, invece, lo stile si fece veramente ricco e ridondante, tanto da creare vere meraviglie. Il rococò inglese tende a essere più moderato, un po' per motivi puritanisti e un po' per quelli economici. Il disegnatore di mobili Thomas Chippendale mantiene le linee curve ma taglia corto con i costosissimi orpelli alla francese. Il maggior esponente del rococò inglese fu, probabilmente, Thomas Johnson, uno scultore e progettista di mobili attivo a Londra alla metà del 1700. In Italia il massimo esponente del rococò nell'arredamento è l'ebanista e intagliatore Pietro Piffetti, attivo a Torino tra terzo decennio del '700 e il 1777. Dal 1731 diviene primo ebanista di Carlo Emanuele III e molta produzione sarà destinata a casa Savoia. La cifra stilistica del Piffetti si esprime, contrariamente allo stile Chippendale, non tanto nelle curve quanto nella ricchezza dell'intaglio, con l'utilizzo di molti materiali anche preziosi (avorio, tartaruga, argento ecc.). Particolarmente suggestiva la Biblioteca realizzata per la Villa della Regina a Torino e ora al Palazzo del Quirinale.Biblioteca Piffetti - Palazzo del Quirinale

Pittura
Sebbene abbia avuto origine puramente nelle arti decorative, il rococò mostrò la sua influenza anche nella pittura. I pittori usarono colori delicati e forme curve, decorando le loro tele con cherubini e miti d'amore. Anche il ritratto fu popolare fra i pittori rococò. I loro panorami erano pastorali e spesso dipingevano i pranzi sull'erba di coppie aristocratiche. Con notevole successo in ambito aristocratico si affermò anche la scena galante, variante aristocratica della scena di genere, rappresentante donne impegnate nella toletta, in boudoirs o in riti edonistici che si fanno simbolo di una visione più smaliziata e mondana dell'arte. Il grande interesse verso un'indagine razionale della realtà trovò espressione nella pittura di vedute (vedutismo). Caratterizzata dalla fedele rappresentazione di luoghi e panorami, la vedutistica presenta finalità documentaristiche, nel rispetto degli indizi ottici ricavati da una diretta visione del reale. Tale genere si afferma soprattutto con il turismo culturale del Grand Tour. Grande successo, nell'ambito vedutistico, ebbe il cosiddetto capriccio. Legato alla dimensione del fantastico, il capriccio ha come oggetto paesaggi di pura invenzione disseminati di rovine classiche in realtà poste in siti differenti. Jean-Antoine Watteau (1684-1721) è considerato il più importante pittore rococò ed ebbe una grande influenza sui suoi successori, inclusi François Boucher (1703-1770) e Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), due maestri del tardo periodo. Anche il tocco delicato e la melanconia di Thomas Gainsborough (1727-1788) riflettono lo spirito rococò.

Scultura
La scultura è un'altra area nella quale gli artisti rococò hanno operato. Étienne Maurice Falconet (1716-1791) è considerato uno dei migliori rappresentanti del rococò francese. In generale, questo stile fu espresso meglio attraverso la scultura di porcellana delicata piuttosto che quella di statue marmoree ed imponenti. Falconet stesso era direttore di una famosa fabbrica di porcellana a Sèvres. I temi dell'amore e della gioia furono rappresentati nella scultura, così come la natura e le linee curve e asimmetriche. Lo scultore Edmé Bouchardon (1698-1762) rappresentò Cupido occupato nell'intagliare i suoi dardi d'amore dalla clava di Ercole; questa statua oggi conservata al museo del Louvre rappresenta un simbolo eccellente dello stile rococò. Il semidio è trasformato nel bambino tenero, la clava che fracassa le ossa si trasforma in frecce che colpiscono il cuore, nel momento in cui il marmo è sostituito così liberamente dallo stucco. In questo collegamento si possono menzionare gli scultori francesi Nicolas Coustou, Guillaume Coustou, Robert Le Lorrain, Michel Clodion e Jean-Baptiste Lo stile galante fu l'equivalente del rococò nella storia della musica, così come tra musica barocca e musica classica, e non è facile definire questo concetto con le parole. La musica rococò si sviluppò al di fuori della musica barocca, particolarmente in Francia. Può essere considerata come una musica molto intimistica resa in forme estremamente raffinate. Fra i massimi esponenti di questa corrente si possono citare Jean-Philippe Rameau e Carl Philipp Emanuel Bach.

Il Rococò in Italia
Anche in Italia il Rococò, sull'esempio francese, creò un notevole rinnovamento nel settore delle decorazioni d'interni e nella pittura. Questo avvenne soprattutto nelle regioni del nord (Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto), mentre nell'Italia centrale, forse per l'influenza della Chiesa, lo stile non si sviluppò in maniera sensibile. Fa eccezione la cittadina marchigiana di Jesi che risentì di un certo influsso austriaco grazie alle imprese eroiche della famiglia dei marchesi Pianetti al servizio degli Asburgo nell'Assedio di Vienna contro i Turchi. Altro discorso ancora va fatto per la Sicilia; qui si sviluppò una evoluzione del barocco ma di gusto più spagnoleggiante e molto simile al plateresco. Nel campo della pittura i maggiori interpreti del rococò si possono considerare gli artisti che operano a Venezia; tra di essi le figure più importanti si possono considerare: Giambattista Tiepolo di cui si ricordano Ritratto di Antonio Riccobono, San Rocco e Ercole soffoca Anteo; Canaletto che realizzò opere tra cui: Piazza San Marco, San Cristoforo San Michele e Murano, I cavalli di San Marco sulla piazzetta, Il campo di Rialto a Venezia e Paesaggio fluviale con colonna ed arco di trionfo; Francesco Guardi che dipinse circa ottocentosessanta opere fra le quali si ricordano Miracolo di un santo domenicano, Concerto di dame al Casino dei Filarmonici e La Carità. Nella scuola napoletana le due personalità più rappresentative del periodo sono: Francesco De Mura e Corrado Giaquinto. Il primo, autentico dominatore della scena artistica locale dopo la morte del suo maestro Solimena, fu impegnato in molte chiese e palazzi della città, ma ricevette commissioni anche dai Borbone di Napoli e di Spagna e dai Savoia; mentre il secondo, tra i pittori più acclamati in quel periodo, dipinse opere ed affrescò chiese per i Papi a Roma, per i Savoia a Torino e per i reali di Spagna a Napoli e Madrid, tanto da influenzare anche Antonio González Velázquez ed altri pittori spagnoli. Altri artisti importanti anche se scoperti successivamente sono Giovanni Battista Piazzetta, Sebastiano Ricci. Nel settore della scultura, per la verità assai povero in questo periodo, si distingue Giacomo Serpotta che, soprattutto a Palermo, realizzò opere per diverse chiese della città fra le quali si possono citare gli Oratori di Santa Cita, di San Lorenzo e del Rosario a San Domenico e la Chiesa di San Francesco d'Assisi. Anche alcuni scultori che realizzarono fontane a Roma e nella Reggia di Caserta possono essere considerati ispirati allo stile rococò.

Il Rococò e la Chiesa cattolica
Una visione critica del rococò in contesti ecclesiastici fu sostenuta dall'Enciclopedia cattolica. Per la chiesa, si diceva, lo stile rococò può essere assimilato alla musica profana, contrapposta alla musica sacra. La sua mancanza di semplicità, la sua esteriorità e la frivolezza hanno un effetto che distrae dal raccoglimento e dalla preghiera. La sua mollezza e la grazia non si addicono alla casa di Dio. A questa affermazione si contrappone oggi quella di molti critici, che vede nella raffinata espressione rococò lo stile più vicino alla grazia e alla bellezza del paradiso. Nello sviluppo del rococò, sarà trovata una decorazione compatibile con l'aspetto sacro delle chiese. In ogni caso è molto diverso se lo stile è usato in forma moderata come dai maestri francesi o estremizzato dall'opulenza delle forme degli artisti tedeschi. Gli artisti francesi sembra non abbiano mai considerato la bellezza della composizione l'oggetto principale, mentre i tedeschi fecero dell'imponenza delle linee il loro scopo più importante. Nel caso di grandi oggetti, la scultura rococò può riuscire, ma qualora questa graziosità venga elusa si riscontra una somiglianza con il barocco. Gli elementi fantasiosi di questo stile mal si confanno con le grandi pareti delle chiese. In ogni caso tutto deve essere uniformato alle situazioni locali ed alle circostanze. Fra i materiali usati nello stile rococò figurano il legno intagliato, il ferro e il bronzo usati nella costruzione di balaustre e cancellate. Elemento distintivo è la doratura che rende i freddi materiali metallici più accettabili per l'inserimento in un ambiente non profano.

Anton Van Dyck
https://youtu.be/jZPM9FfKdRk



Pittore, nato ad Anversa il 22 marzo 1599, morto a Londra il 9 dicembre 1641. I suoi genitori, agiati mercanti, lo collocarono nel 1609 come apprendista presso Henri van Baelen, pittore molto meticoloso. Nulla invece di preciso si sa intorno a un suo tirocinio presso Rubens. Molto precoce, egli aveva già a 17 anni un proprio studio e degli allievi. L'11 febbraio 1618, a 19 anni, fu ammesso maestro nella corporazione dei pittori di Anversa; e cominciò allora la sua collaborazione con Rubens. Lasciò Anversa tra il 17 luglio e il 25 novembre 1620. Il 26 febbraio 1621 il re d'Inghilterra gli accordò una pensione annua; due giorni dopo V.D. ottenne un passaporto valido otto mesi, ma non partì subito per l'Italia, ritornò prima ad Anversa e ne partì il 3 ottobre 1621 per l'Italia. Il 20 novembre arrivava a Genova, dove prese stanza presso il pittore fiammingo Corneille de Wael. Viaggiò attraverso l'Italia: nel febbraio 1622 era a Roma, nel settembre a Venezia, alla fine dell'anno passava da Firenze per tornare a Roma; nel 1624 era a Palermo. Dalla fine del 1623 al 1627 risiedette specialmente a Genova, l'8 marzo 1628 era nuovamente ad Anversa. Nel 1632 ripartiva per Londra, dove (5 luglio 1632) il re d'Inghilterra lo nominava pittore aulico. Nel 1634 tornò temporaneamente ad Anversa; nel 1635 risiedeva nuovamente a Londra. Nel 1640 otteneva un passaporto per il Belgio, dove cercò di farsi ammettere come pittore alla corte di Bruxelles. Tornato a Londra nella primavera del 1641, nell'autunno era ad Anversa, andò quindi a Parigi, che lasciò per Londra, dove morì a soli 42 anni. Artista molto vario, nella giovinezza produsse opere piene di slancio, vigorose nel colore, che rivelano una conoscenza profonda del mestiere. Il suo fare si andò allora avvicinando a quello del Rubens: talvolta è solido e accurato, tal'altra brutale con impasti ruvidi e triti (serie dei Busti degli Apostoli, S. Martino a Saventhem, S. Girolamo in diverse redazioni, Susanna e i vecchioni a Monaco, Crocifissione di S. Pietro e Sileno ebbro Bruxelles, Cristo porta la Croce ad Anversa e varî ritratti). La collaborazione col Rubens non fece tuttavia del giovane artista un seguace di questo. Se nelle opere del Rubens, come nella serie della storia di Decio Mure (Gall. Liechtenstein, Vienna), usò lo stile del maestro con straordinaria duttilità, nel proprio studio continuò a lavorare con uno stile personale, evidente nei due S. Giovanni di Berlino, in cui sono già palesi l'eleganza particolare delle forme, i toni bruni, la maniera larga, le pennellate segnanti muscolatura e forme. Il lungo soggiorno in Italia lo volse a un altro fare mentre egli diveniva il ritrattista prediletto dell'alta società. A Genova conobbe i grandi ritratti di carattere decorativo eseguiti dal Rubens circa 15 anni prima. Alla maestà di questi unì l'eleganza e l'ingenuità proprie al suo temperamento (ritratti di Andrea Brignole-Sale, di Geromina Brignole-Sale, di Paola Adorno Brignole-Sale a Genova; di Corneille de Wael ad Anversa, di C. e Luc de Wael a Roma, del Cattaneo e della di lui consorte a Londra. A Roma dipinse i ritratti del cardinale Bentivoglio (Firenze), di Francesco Colonna (Roma), della marchesa Spinola (Berlino), notevoli, oltre che per la larghezza e la delicatezza della presentazione, per la sobrietà coloristica. Il V. D. deve al contatto con la cultura italiana lo sviluppo della dote propria al suo temperamento: il senso della forma elegante. Pure al contatto con la pittura italiana il V.D. poté acquistare quella maniera morbida e quella ritenutezza nell'uso del colore che conferiscono tanta finezza alla sua opera; quanto egli deve all'Italia si riassume un'ultima volta nel quadro di Palermo: Madonna del Rosario, eseguito alla fine del suo soggiorno in Italia. Tornato ad Anversa, la sua arte torna a imborghesirsi. L'eleganza acquisita si nota ancora in numerosi quadri, eseguiti in quella città tra il 1628 e il 1632 (Calvario e Pietà, ad Anversa; Nozze mistiche di S. Caterina, a Vienna; Madonna e Committenti, a Parigi); ma nei numerosi ritratti di borghesi della città mercantile un certo realismo s'infiltra nel senso di nobiltà acquistato in Italia (varî ritratti dello Snyders e della di lui moglie; Maria Luisa di Tassis, Gall. Liechtenstein, Vienna). Le tonalità si arricchiscono e le vibrazioni luminose si fanno più intense e più vive, come in un periodo di rinnovata collaborazione con il Rubens. Il V.D. preparava allora l'edizione dei ritratti incisi di 100 uomini illustri, edizione per la quale fece grandi ritratti o chiaroscurì. Una nuova fase dello stile del V.D. è segnata dal suo stabilirsi nel 1632 alla corte di Londra: sparito il vigore, il pittore si va facendo sempre più elegante, capriccioso, raffinato. Nei suoi ritratti muliebri e anche in quelli virili, le figure hanno un nobile portamento e dal colore sobrio e caldo emana un senso di turbamento e di seduzione. Alcuni dei ritratti fatti a Londra sono opere notevoli, che segnano il più alto grado di perfezione raggiunto allora nel ritratto in pittura (Carlo I a caccia, Parigi; Carlo I a cavallo, Windsor; ritratto dl Maria Antonietta, Windsor; I figli del re, Windsor e Torino; Filippo Warton, già a Pietroburgo, ora a Washington; I conti di Bristol e di Bedford, Althorp-Park; Joh e Bernard Stuart, Londra; L'abate Scoglia, ivi). Wel suo ultimo periodo l'artista sembra abbandonarsi al virtuosismo manuale: si faceva allora aiutare copiosamente, produceva in serie ritratti di dame, di fattura superficiale, se pur sempre idealizzate nella concezionc. Il V. D. è da annoverare tra i maggiori ritrattisti. Alle sue grandi composizioni fanno spesso difetto la profondità e la larghezza dell'intelligenza di un Rubens, difetto che si rileva anche in numerosi suoi ritratti. Ma nessuno seppe meglio di lui conferire ai ritratti tanta eleganza. Egli armonizzò mirabilmente colore e forma; di temperamento sensibile e delicato, risentì vivamente l'influenza dell'ambiente, seppe tradurre l'atmosfera in cui vivevano i suoi modelli.

Bartolomé Esteban Murillo

https://youtu.be/Rb8PcxNA5Yg
Pittore (Siviglia 1618 - ivi 1682). Massimo artista del barocco religioso, nelle sue opere rivelò una ricchezza nella pennellata e una padronanza tecnica notevoli, tutti elementi volti alla costituzione di un linguaggio sentimentale che rese famose le sue madonne e i suoi ritratti, dall'acuta interpretazione psicologica.VitaAncora fanciullo entrò nello studio di Juan de Castillo (1929), dove erano Alonso Cano e Pedro de Moya. Probabilmente non lasciò mai l'Andalusia, ma poté conoscere bene e studiare, nelle ricche collezioni della sua città natale, la pittura veneziana e fiamminga, che furono decisive nell'avviarlo al suo colorito morbido e chiaroscurato. Divenuto famoso, ebbe molte committenze, soprattutto dalle comunità religiose. Nel 1660 fondò a Siviglia un'Accademia di belle arti nella Casa Lonja. Verso il 1670 il re Carlo II chiese a M. di trasferirsi a Madrid, ma l'artista declinando l'invito rimase a Siviglia, dove nel 1672 eseguì diversi quadri per adornare la nuova cappella dell'Ospedale della carità, che ne conserva soltanto cinque. Nel 1680 il pittore, mentre lavorava nel convento dei cappuccini a Cadice, cadde dal ponte, e, tornato in grave stato a Siviglia, morì. A Siviglia (1645-46) dipinse undici tele, poi disperse in sedi diverse, per il convento di S. Francesco: di queste, mentre il S. Diego tra i poveri (Madrid, Accademia di San Fernando) è strettamente dipendente dall'arte di Alonso Cano, la Cucina degli angeli (Parigi, Louvre) mostra una maniera pittorica più calda e ricca di effetti chiaroscurali. La Sacra Famiglia del Prado o la Cena di Santa Maria la Blanca a Siviglia risentono ancora dell'influenza di Ribera, ma i SS. Isidoro e Leandro della cattedrale di Siviglia, o la Nascita della Vergine al Louvre, mostrano uno stile fluido, una particolare sensibilità luministica e cromatica. Nella Visione di s. Antonio (1656), sempre nella cattedrale di Siviglia, il chiaroscuro si risolve in maniera brillante e superba. Tra le sue opere maggiori, oltre ai quadri del Prado che illustrano la Fondazione di S. Maria Maggiore a Roma (1665), sono i grandi cicli per il convento dei Cappuccini (1665-70), per la chiesa dell'Ospedale della Carità (1670-74). Morì subito dopo aver terminato il suo ultimo quadro, lo Sposalizio di s. Caterina (1681), per la chiesa dei Cappuccini di Cadice. Fu soprattutto popolare per le sue Madonne e Immacolate, immagini soffuse di sentimentalismo patetico, che, se resero viva la sua fama fino all'Ottocento, tuttavia condizionarono un certo tipo di critica che sottovalutò il suo vero valore poetico. Notevoli i suoi quadri di genere, le scene e i tipi picareschi e soprattutto i ritratti (Don Andrés de Andrade, New York, Metropolitan museum of art; Caballero de golilla, Madrid, Prado).

Johannes Jan Vermeer
https://youtu.be/1PZ3O6PDzZ





Pittore, nato a Delft il 31 ottobre 1632, morto ivi il 15 dicembre 1675. É detto Jan Vermeer van Delft per distinguerlo dal suo contemporaneo, il paesista Jan Vermeer, o Van der Meer, da Haarlem (1628-91). Fra il 1652 e il 1654 fu allievo di Carel Fabritius, il geniale scolaro di Rembrandt; ma non può dirsi seguace di colui: forse sollecitato dal maestro, sviluppò nella propria arte quella tendenza alla luminosità, che già è palese nei suoi primi quadri. Accolto maestro nella compagnia dei pittori a Delft (1653), ne fu sindaco negli anni 1662-63 e 1670-71. Sembra che abbia dipinto relativamente poco; e oggi di lui sono noti soltanto 32 quadri. Per la rarità delle sue opere il V. cadde completamente in oblio e soltanto nel 1866 uno studio magistrale di W. Bürger (Thore; poi seguito dalle ricerche dell'Obreen e del Bredius) rivelò il suo genio, la cui fama oggi non cede che a quella di Rembrandt e di Frans Hals. È stato affermato che il campo della sua attività pittorica non fu molto vasto. Ma così non è. Fra le opere, pur così rare, si trovano almeno tre composizioni di figure quasi al naturale: Gesù con le sorelle Marta e Maria (firmato) nella Galleria nazionale della Scozia a Edimburgo; Diana con le ninfe (pure firmato) nella R. Galleria Mauritshuis a L'Aia; La Cortigiana (1656), nella Galleria di Dresda; due ritratti (Budapest e Bruxelles); varie teste muliebri evidentemente dipinte con non altro scopo che la soddisfazione del proprio impulso (la più famosa è la celeberrima Ragazza con la perla al Mauritshuis a L'Aia); due allegorie: la Religione (L'Aia, Mauritshuis), il Pittore e la Fama che gli posa (Vienna, Galleria Gernin); poi la celebre veduta di Delft (L'Aja, Mauritshuis) e il Vicoletto della raccolta Six (ora ad Amsterdam nel museo nazionale). A questo complesso già così vario di soggetti si aggiungono interni con una figura sola (un geografo, una fanciulla) o con due: signora e serva, damigella con il maestro di musica, ecc. Questi personaggi ora sono intere figure in diversi ambienti, ora sono mezze figure, attente alle più varie occupazioni: una signora legge una lettera (Amsterdam e Dresda), apre la finestra (Nuova York) o tocca il clavicembalo (Londra); la cuoca versa il latte (Amsterdam); la fanciulla civetta si mette una collana di perle (Berlino), ecc. Sono quadri di non grandi dimensioni, di fattura qualche volta minutissima, ma nel più dei casi di tocco vibrato, vivo fino al magico, esatto fino all'infallibilità. La più minuscola di queste opere, e pure la più franca, disinvolta e fine di esecuzione, è la celebre Dentelière al Louvre. Sovrana in tutte le composizioni del maestro è la luce, elemento essenziale, animatore, cagione per cui i quadri sono quali sono e che ci spiega perché furono creati appunto così e non diversamente. In molte delle sue opere domina un luminoso giallo che forma un accordo assai sentito con un azzurro ceruleo. Nelle opere del primo gruppo è palese un influsso italiano. Non è sicuro se il Vermeer l'ha subito indirettamente attraverso un maestro come Hendrik Terbrugghen, il quale sotto un certo rispetto, principalmente per la tendenza luministica, pare preannunziarlo, oppure direttamente mediante una conoscenza di qualche composizione di Orazio Gentileschi che aveva lavorato forse in Olanda prima di recarsi a Londra, dove morì nel 1646. Nella tavolozza dei due maestri pare che si riveli una certa affinità. Nell'arte del Vermeer quest'influsso italiano tuttavia non è stato dominante né costante. Intorno al 1658 esso svanisce. Scolaro del V. fu Pieter de Hooch.


Domenico Piola
https://youtu.be/V8waB8uoY4g

Pittore e incisore, nato a Genova nel 1627, ivi morto l'8 aprile 1703. Grande decoratore, ebbe emulo e amico Gregorio De Ferrari: lo stile dei due si trasfuse nella scultura e nella decorazione plastica del tempo. La grazia del Correggio ha nei due artisti un'espressione differente, più sostenuta e corretta, classicheggiante nel P., più fantastica e vivace nel De Ferrari. Il P. mantiene i caratteri dell'arte ligure della prima metà del sec. XVII, di Valerio Castello e del Castiglione. Fecondissimo oltre misura, i suoi affreschi, i suoi dipinti, i suoi disegni sono innumerevoli (v. nave, XXIV, tav. LIX) e furono oggetto d'imitazioni. Fra i disegni autentici ve ne sono molti falsificati da quei valentissimi imitatori del sec. XIX che fornivano i collezionisti di disegni di illustri maestri. Fece anche dell'incisione e dell'acquaforte. Lavorò in collaborazione con suo cognato, Stefano Camoggi, pittore di fiori, di frutti, di fogliami e d'arabeschi. Dopo il 1685 si recò a Milano con i due figli Anton Maria e Paolo Girolamo. Fu poi a Bologna, a Piacenza e ad Asti. Nella pittura a olio è un eclettico, con reminiscenze del Correggio e del Castiglione. La facilità straordinaria di composizione, la festosità dei concetti, la meravigliosa conoscenza del mestiere, la raggiunta e mai mutata e perfezionata forma stilistica, lo stesso studio superficiale dei grandi maestri furono le ragioni della sua produzione, monotona nel suo complesso ma ricca e che si mantiene in intima corrispondenza con l'architettura. Fra i suoi figli si distinse soltanto Paolo Girolamo. Antonio Maria imitò lo stile paterno e fu abile copista. Giovanni Battista esplicò la sola attività di Lopista. Ricorderemo fra i quadri di Domenico i più espressivi: Il Carro del Sole nella Galleria di Palazzo Rosso e La fuga in Egitto in S. Ambrogio, e fra le decorazioni murali quelle delle chiese della SS. Annunziata, delle Vigne, di San Siro, di San Luca, dei palazzi Rosso, De Mari, Sauli, Negrone, Balbi, Spinola, ecc., in Genova. Pellegro, fratello di Domenico, pittore e decoratore, nacque a Genova nel 1617; vi morì il 26 novembre 1640. La sua breve vita permette di esaminare la sua personalità artistica, non di definirla. La Madonna di Via degli Orefici e lo stendardo della confraternita del Rosario sono sue opere sicure. Sono a lui attribuite da antichi cataloghi la Sacra Famiglia di Palazzo Rosso, S. Orsola di Palazzo Bianco, la Baccante di Palazzo reale, la Madonna col Bambino degli Uffizî, la Baccantina della pinacoteca di Torino. Allievo del Cappellino, egli dimostrò uno straordinario e precoce talento pittorico. L'ambiente pittorico genovese lo ha formato e, se nella Sacra Famiglia di Palazzo Rosso si sente l'amore per Andrea del Sarto, la Madonna degli Orefici ci presenta un'espressione personale libera da visuali di scuole e da riflessi d'artisti maggiori.

Luca Giordano
https://youtu.be/a4q3BhkALiA


Pittore, nato a Napoli nel 1632, morto ivi nel 1705. La sua attività pittorica, iniziatasi mentre il primo ciclo della pittura napoletana seicentesca si chiudeva, dominò su tutta l'arte che si svolse a Napoli nella seconda metà del sec. XVII, rimanendo legata, in seguito, agli sviluppi della locale pittura del sec. XVIII. La più gloriosa fase di quella fortunatissima carriera si svolse nell'ultimo venticinquennio della vita del pittore, dalla decorazione della cupola della chiesa di S. Brigida in Napoli, eseguita nel 1682 con mirabili effetti di prospettiva illusionistica, alle pitture della certosa di S. Martino, condotte a termine alla vigilia della morte. In tale periodo di tempo, la sua produttività copiosa e rapida (il nomignolo "fa presto" gli fu dato fin dalla prima giovinezza) si svolse quasi tutta fuori di Napoli: a Firenze (1684-86), ove frescò la vòlta della gran sala del palazzo Riccardi; a Venezia (prima del 1692), ove lasciò notevoli testimonianze dell'arte sua in S. Maria della Salute; a Madrid, ove fu pittore di corte acclamatissimo tra il 1692 e il 1702. Le numerose opere eseguite in Spagna durante quel decennio di lavoro, e quelle, di numero non minore, esportate in Germania e in Austria dettero a L. G. una notorietà diffusa ovunque e una fama non adeguata ai meriti dell'arte sua. Suo padre Antonio, piccolo copista e imitatore riberiano, che fu suo iniziatore alla pittura, lo orientò verso il Ribera. Questo pittore e Lanfranco, operante in Napoli quando il G. nacque, costituirono le più salde annodature dell'arte sua alla pittura che lo precedette in Napoli; poiché con lui ci sentiamo decisamente fuori dell'atmosfera caravaggesca nella quale operarono Battistello, Cavallini e Preti, i maggiori esponenti della pittura napoletana del Seicento. Poco prima dei vent'anni, accompagnato dal padre, viaggiò l'Italia; fece sosta a Roma e a Firenze, a Parma e a Venezia. A Roma la sua ferace istintività pittorica trovò nell'opera di Pietro da Cortona il primo decisivo orientamento. Il cortonese gli spianò la via verso Venezia, ov'egli fissò la sua mente soprattutto sulla pittura di Paolo Veronese. Il passaggio dai cinquecentisti veneti a Rubens fu cosa perfettamente logica per lui. La sua opera, sviluppatasi secondo il presupposto di quei dati culturali, rappresenta sessant'anni di fatica accanita, condotta senza tormento e senza pensiero, quasi senza respiro: un succedersi di affreschi popolosi sotto grandi soffitti e su pareti vaste, un accumularsi di quadri a olio d'ogni misura e d'ogni valore, attraenti per piacevolezza di pittura, o sgangherati e fiacchi. I racconti biblici, le favole dei Greci, il mito cristiano, tuttele allegorie gli fornirono confusamente aggregati figurativi per scenografie d'una pittorica piacevolezza che vale a nascondere, assai spesso, una drammaticità tutta esteriore di mera retorica oratoria. Operando composizioni copiose e vaste, con singolare prontezza di fantasia ferace e con foga gioiosa di esecuzione pratica, movendo folle agitate in ampî spazî, sopra lunghe scalee, tra alti colonnati, e tutto animando con le grandi risorse della sua destrezza di mestiere e con compiaciuta ricerca di effetti scenografici, egli recava in Napoli gli elementi veri del Barocco, che doveva solamente con lui, dopo il Lanfranco, affermare il suo trionfo, e coi successivi pittori del sec. XVIII che l'ebbero maestro o precursore. Possiamo tuttora ammirare taluni suoi affreschi, anticipazioni del Settecento; possiamo compiacerci dei suoi rapidi disegni (cfr. la raccolta del Gabinetto delle stampe in Roma), dei suoi bozzetti vivacissimi, dei suoi quadri di piccola misura, di tutto ciò che esprime i suoi momenti iniziali di lavoro, e di non molte sue tele di più vasta misura; ma nella più gran parte dell'opera sua cercheremo invano aspetti o momenti delle più vive realizzazioni pittoriche raggiunte dall'arte italiana dopo il Caravaggio. D'altra parte, non sarebbe possibile trattare della pittura settecentesca a Napoli senza dire dell'arte di Luca Giordano come d'un suo esordio, o, almeno, d'una sua premessa. Tanto più ricca di vitalità ci si palesa, difatti, la decorazione del G., quanto più chiaramente la sentiamo concomitante o subordinata (in senso settecentesco) all'intendimento d'una decorazione architettonica unitaria. Prima di Francesco Solimena e dei suoi seguaci settecenteschi, il G. realizzò pienamente questo tipo di pittura, che non dovrà essere giudicata staccata dall'ambiente, come qualcosa che viva soltanto della sua propria vita.

Anton Maria Maraglianohttps://youtu.be/IMYP2JIS0A0

Scultore in legno, nato il 18 settembre 1664 a Genova, dove morì il 7 marzo 1739. Fu a bottega con un certo Arata, poi da Pietro Andrea Torre e più probabilmente da suo padre Giovanni Andrea, scultore in legno notevole. C.G. Ratti riferisce che studiò molto un crocifisso di Giambattista Bissone e che profittò dell'amicizia di Domenico Piola per averne consigli sulla composizione. Fecondissimo artefice, scolpì molte casse processionali, gruppi da altare, crocifissi, per chiese e oratorî di Genova e delle due riviere. È celebre anche per le numerosissime figurine da presepio che tradizionalmente gli si attribuiscono in molti conventi liguri, specialmente francescani (Ss. Barnaba e Oregina a Genova, ecc.). Decorò la poppa della galea capitana della repubblica con storie di Colombo in bassorilievo. Opere sue furono esportate in Spagna e in America. Ebbe numerosi allievi ed aiuti, fra cui suo figlio Giambattista, assassinato a Lisbona, Pietro Galleano, Agostino Storace, Giambattista Pedevilla. All'elenco delle opere pubblicato dal Suboff (v. bibl.) si devono aggiungere un S. Michele (Celle Ligure, parrocchiale) e un S. Francesco (Chiavari, N. S. dell'Orto).

Giambattista Tiepolo
https://youtu.be/Mm258AvGlyU







Pittore (Venezia 1696 - Madrid 1770). Tra i massimi esponenti del rococò e ultimo grande protagonista della decorazione monumentale in Europa. T. lavorò in Italia e all'estero, lasciando numerose opere, nelle quali, sempre aggiornato sulle ultime tendenze artistiche, mostra una stupefacente capacità di assorbire con naturalezza le intonazioni stilistiche dai più differenti pittori, rielaborandole poi con la propria sensibilità e una tecnica rapida. Grazie a lui la tradizione decorativa veneziana tornò a imporsi sulla scena artistica del suo tempo. Tra le opere più significative dell'evoluzione della sua arte vi sono gli affreschi del palazzo arcivescovile di Udine (1726-30), le tele per la Scuola del Carmine a Venezia (1743), uno dei suoi capolavori, e gli affreschi per la residenza di Carlo Filippo di Greiffenklau a Würzburg (1751-53).Cognato di Francesco Guardi, di cui sposò la sorella, Cecilia, dalla quale ebbe nove figli, e allievo di G. Lazzarini, fu presto attratto dalla pittura contrastata e tenebrosa e dallo stile espressivo e drammatico di G. B. Piazzetta e F. Bencovich (Madonna del Carmelo, 1720 circa, Brera; Martirio di s. Bartolomeo, 1722, Venezia, S. Stae). Con l'esordio di T. nel campo della decorazione e dell'affresco divenne presto evidente il nuovo interesse per l'arte di S. Ricci e il riferimento fondamentale a P. Veronese. Dopo la decorazione della volta della cappella di S. Teresa nella chiesa degli Scalzi a Venezia (1724-25; per alcuni critici 1728-29), che presenta ancora molti punti di convergenza con Piazzetta, con gli affreschi del palazzo arcivescovile di Udine si verificò una vera e propria svolta nell'arte di T.; la decorazione (Storie dell'Antico Testamento), che si estende nella galleria, nella volta dello scalone e nella Sala Rossa, è caratterizzata dall'uso di colori chiari e trasparenti, permeati di luce, e da composizioni spaziali aperte monumentali; la fantasiosa realizzazione scenografica lascia spazio alla resa del reale, come nei dettagli naturalistici dell'episodio di Rachele e Giacobbe. Negli anni successivi la fama di T. si consolidò in Italia e all'estero. Guardando, oltre che a Ricci, a G. A. Pellegrini e L. Giordano, ma soprattutto al classicismo veronesiano, l'artista sviluppò una versione personale del rococò attraverso la ricerca di luminosità atmosferica e di un nuovo rapporto forma/luce/colore, che non mira allo sfaldamento del volume ma piuttosto sottolinea la solidità e il plasticismo della figura umana, anche con l'uso di tinte esaltate dalla luce solare. Nelle sue composizioni, spesso osservate con sottile ironia, coniugò arguzia narrativa e finzione scenica, avvalendosi anche dell'apporto delle quadrature, spesso realizzate dal collaboratore G. Mengozzi Colonna. Al ritorno da Udine (dove aveva eseguito anche affreschi nel duomo) fu a Milano (decorazioni nei palazzi Archinto e Dugnani, 1731), a Bergamo (Cappella Colleoni, 1732-33), a Vicenza (villa Loschi-Zilieri). Accanto ai numerosi dipinti di soggetto profano, a questo periodo risalgono importanti realizzazioni per le istituzioni religiose di Venezia, come gli affreschi per la chiesa dei Gesuati (1737-39) e i dipinti per la chiesa del Carmine e per S. Alvise. Tra i maggiori risultati del sodalizio con Mengozzi Colonna è la decorazione del palazzo Labia (1747-50) con le Storie di Marcantonio e Cleopatra, con una splendida coreografia di architetture aperte sul cielo, popolata da personaggi in costumi contemporanei. Chiamato a Würzburg nel 1750 dal principe vescovo Carlo Filippo di Greiffenklau, realizzò la decorazione della residenza, con l'aiuto dei figli Giandomenico (v.) e Lorenzo (Venezia 1736 - Madrid 1776), attivi nella sua bottega. La decorazione, da molti ritenuta il suo capolavoro assoluto, raggiunge un effetto fastoso nel salone progettato da B. Neumann, ornato di stucchi bianchi e oro, e ancora di più nella volta dello scalone, con la grandiosa rappresentazione dell'Olimpo con le quattro parti del mondo. Tornato a Venezia (1753), T. assolse numerosissime commissioni di ogni genere: del 1757 sono gli affreschi di villa Valmarana presso Vicenza, mentre a Venezia lavorò in Palazzo Ducale (Nettuno offre doni a Venezia, 1748-50), e per nobili famiglie veneziane (affreschi in Ca' Rezzonico, 1758). Nel 1759 eseguì a Udine affreschi nell'oratorio della Purità, e nel duomo di Este la pala con S. Tecla libera Este dalla pestilenza; del 1761-62 è l'Apoteosi della famiglia Pisani nella villa Pisani a Stra, ultima opera eseguita in Italia. Nel 1762 il pittore si trasferì infatti a Madrid per affrescare le sale del nuovo Palazzo Reale (Apoteosi di Enea, Grandezza della monarchia spagnola e Apoteosi della Spagna), eseguite con l'aiuto dei figli tra il 1762 e il 1767. Dopo il compimento del ciclo T. rimase in Spagna; le sette pale d'altare dipinte per il convento di Aranjuez (1767-69; ora divise tra il Prado e il Palazzo Reale di Madrid), dall'intonazione più intimamente patetica, furono però poco dopo sostituite con altrettante tele di A. R. Mengs, segno dell'avvento del nuovo gusto neoclassico. Di notevole importanza è l'opera grafica di T.; di grande interesse i disegni (conservati soprattutto a Londra, Victoria and Albert Museum; Firenze, museo Horne; Stoccarda, Staatsgalerie; Venezia, museo Correr; Trieste, Museo Civico), in rapporto alla sua produzione pittorica, che seguono la sua evoluzione stilistica e ne rivelano la straordinaria fantasia e la vena satirica. Più limitata la produzione incisoria: tra le acqueforti ricordiamo i ventiquattro Scherzi e i dieci Capricci, di data incerta, e vari soggetti religiosi.

Giovanni Antonio Canal detto il Canaletto 
https://youtu.be/FKfOQ3wp_-8








Pittore e incisore (Venezia 1697 - ivi 1768), caposcuola dei vedutisti veneti del Settecento. Si formò al seguito del padre Bernardo, pittore di teatro, e, verso il 1719, a Roma cominciò a dedicarsi alla pittura di paesaggio. Ispirato dal Vanvitelli e, dopo il suo ritorno a Venezia nel 1720, da L. Carlevarijs e da M. Ricci, elaborò uno stile personale di vedute di Venezia e del suo entroterra, che incontrò il favore di un pubblico internazionale: ebbe tra i suoi committenti il principe di Liechtenstein e, soprattutto, J. Smith, banchiere, mercante e poi console inglese a Venezia che gli aprì le porte del ricco e nobile collezionismo inglese. Dal 1746 al 1756 soggiornò a Londra (con brevi ritorni a Venezia), dipingendo vedute del Tamigi e della campagna inglese per i duchi di Richmond, di Beaufort, di Northumberland e per altre eminenti personalità. Nel clima di crisi della civiltà veneziana, gli ultimi anni del C. sono segnati da isolamento nel mondo artistico locale (dopo due rifiuti, fu accolto nell'Accademia solo nel 1763) e da una declinante fortuna sul mercato (l'unica importante commissione fu la serie di disegni delle Feste dogali, incisa da G. Brustolon). Nelle vedute e nei capricci, la pittura del C., segnata all'inizio da una maggiore libertà di tocco, più precisa e meticolosa in seguito, rivela acuto senso del colore, gusto personale nel taglio della veduta prospettica, grande sensibilità per i valori di luce e di atmosfera, viva arguzia nelle macchiette. Il catalogo dell'opera del C. comprende oltre cinquecento dipinti, oltre trecento disegni e trentaquattro acqueforti; la serie completa di queste ultime (prodotte tra il 1741 e il 1744), insieme a un cospicuo numero di dipinti e di disegni, è conservata nelle Collezioni reali inglesi. Molte sue vedute furono incise da A. Visentini (1735, 1742).

Francesco Guardi
https://youtu.be/TL_8XCshKqM





Pittore (Venezia 1712 - ivi 1793). Tra i più significativi esponenti del vedutismo veneziano, si formò sullo stile di Canaletto, diversificandosene per la diversa interpretazione ed elaborazione della luce, particolarmente apprezzata dopo la rivoluzione impressionista. La riscoperta di G. è un merito della critica moderna, educata dall'impressionismo. Particolarmente noti il Rio dei Mendicanti (Bergamo, accademia Carrara) e La laguna (Milano, museo Poldi-Pezzoli); bellissimi e numerosi i suoi disegni. Nel 1761-63 entrò nella fraglia dei pittori; nel 1782 viaggiò in Valtellina; nel 1784 divenne "pittore prospettico" nell'Accademia di Venezia. Le sue opere giovanili, quasi tutte in Trentino, furono eseguite spesso in collaborazione col fratello Giovanni Antonio. Di qui le indecisioni della critica nelle attribuzioni: esemplare il coro dell'organo della chiesa dell'Angelo Raffaele a Venezia (1747-53) da alcuni studiosi decisamente conteso a G. e attribuito al fratello. G. ha tuttavia una cultura più complessa e aperta a diverse esperienze: A. Magnasco, S. Ricci, G. A. Pellegrini, G. Bazzani, come dimostrano anche i suoi più tardi quadri di figure (Miracolo di s. Giacinto, 1763, Vienna, Kunsthistorisches Museum; un disegno, 1779, Venezia, museo Correr). Fu anche pittore di fiori, dipinse per il teatro (sipari) e decorò persino mobili. Ugualmente complessa è la formazione di G. paesista, la cui originalità di visione è pienamente raggiunta verso la metà del secolo. Canaletto è la fonte essenziale della "veduta" di G.; ma anche del Canaletto l'artista sa cogliere e rielaborare la nuova interpretazione del valore della luce, separandola dall'impalcatura prospettica che la sorreggeva. La luminosità illimitata delle vedute di G. conserva un valore di spazio, e perciò ha bisogno di giustificarsi con pretesti e talvolta "capricci" architettonici o con l'inserzione di elementi aneddotici (macchiette, gondole, gruppi di figurine, ecc.), sempre vivamente accentuati. E certamente nella sua visione fantastica egli ha un compagno piuttosto in M. Ricci che nel Canaletto. Molti gli imitatori e i falsificatori della sua maniera.

Joseph-Marie Vien
https://youtu.be/S4q_5G7er9c

Pittore, nato a Montpellier il 18 giugno 1716, morto a Parigi il 27 marzo 1809. Fu allievo a Montpellier dell'architetto e pittore Giral; si recò a Parigi nel 1741; nel 1743, vinto il gran premio, venne a Roma, dove dipinse un Eremita addormentato (Louvre), di maniera bolognese, e dieci tele della Vita di S. Marcello. Tornato in Francia, entrò a far parte dell'Accademia di pittura nel 1752. Direttore dell'Accademia di Francia a Roma (1775-81) vi fu affascinato dall'antichità e tornato a Parigi ne riportò la maniera grandiosa. Primo pittore aulico nel 1789, fu poi senatore, membro dell'istituto (Accademia di belle arti), conte dell'impero. La sua opera si divide in due maniere: grandi quadri storici (Predicazione di S. Dionigi in Gallia, Saint-Roche, Parigi); composizioni semplici e pacate secondo il nuovo gusto; ma l'opera sua principale è quella dovuta alla sua passione per le antichità pompeiane, che gli fece trovare nelle pitture d'Ercolano l'ispirazione a scene galanti. L'antichità e la grazia del '700 sembrano unirsi in alcuni suoi dipinti (Venditrice d'amore, del 1763, a Fontainebleau; Giovane Ateniese e Giovane Corinzia, del 1761): un'antichità alessandrina, dove si fondono Pompei e Parigi. La linea si distende, il movimento si va calmando, costumi e arredamento sono pseudo-archeologici, ma il tutto è pervaso dalla grazia francese del sec. XVIII.

Thomas Chippendale the Elder
https://youtu.be/1tOzQsHnd68

Ebanista e designer inglese (Otley, 5 giugno 1718 – Londra, 16 novembre 1779), , conosciuto per lo stile artistico dei mobili da lui ideati, basati su una particolare morbidezza delle linee. Assieme a Thomas Sheraton e George Hepplewhite fu uno dei "tre magnifici" creatori di mobilia inglese del XVIII secolo. La data di nascita di Chippendale è controversa: si conosce solo quella in cui fu battezzato, così come ugualmente si conosce solo la data di sepoltura - il 16 novembre 1779, secondo le registrazioni della chiesa di Saint Martin-in-the-Fields - avvenuta nel terreno oggi occupato dalla National Gallery. A Londra, Chippendale - che aveva iniziato l'attività di cabinet-maker, ovvero ebanista, nella bottega del padre - stabilì il proprio laboratorio iniziando a disegnare di mobili con un particolare stile ispirato al medio-georgiano, al gotico e al rococo inglese a quel tempo in voga; nella seconda parte della carriera il suo stile si avvicinò maggiormente allo stile neoclassico. Nella capitale inglese, l'ebanista si era trasferito nel 1749 provenendo dalla città natale di Otley situata nei pressi di Leeds, nello West Yorkshire. Cinque anni dopo pubblicò il primo libro che un artista del suo genere avesse mai edito, The Gentleman and Cabinet Maker's Director. Del libro furono pubblicate tre edizioni diverse: dopo la prima del 1754, si ebbe subito una ristampa l'anno successivo mentre una versione revisionata e ampliata del testo fu data alle stampe nel 1762, in coincidenza con il passaggio al neoclassicismo. Chippendale fu più che un semplice ebanista: si occupò infatti del disegno di interni e, in senso ancor più lato, della realizzazione di arredamenti nel suo insieme - spesso destinati a dimore patrizie, come nel caso della Harewood House, in cui lavorò per anni - fino alla scelta del colore con cui una stanza sarebbe stata dipinta. Lavorò inizialmente in società con James Rannie e successivamente con l'assistente di questi, Thomas Haig, mantenendo tuttavia sempre il controllo sull'esito finale della produzione del laboratorio di St. Martin's Lane. I mobili da lui disegnati - sedie, letti, sofa, ma anche commode, tavoli, armadi, specchiere, ecc. - furono commissionati da facoltosi aristocratici: nel 1978 il suo biografo Christopher Gilbert ha documentato come arredi di Chippendale forniti a ventisei clienti (su un lotto di oltre sessanta conosciuti) siano sopravvissuti nel tempo. Parte di questa mobilia era destinata, ad esempio, al Blair Castle, Perthshire, per il Duca di Atholl (1758); la Wilton House, per Henry, 10º conte di Pembroke (circa 1759-1773); Nostell Priory, Yorkshire, per Sir Roland Winn, (tra il 1766 e il 1785); Mersham Le Hatch, nel Kent, per Sir Edward Knatchbull, (tra il 1767 ed il 1779). Altri arredi furono poi realizzati dall'ebanista per la famiglia reale e per l'attore David Garrick, sia per quanto riguardava la sua casa di città sia per la villa di campagna ad Hampton, nel Middlesex; il Normanton Park, Rutland e altre case per Sir Gilbert Heathcote (tra il 1768 ed il 1778), inclusa in questo caso l'organizzazione di un funerale, quello di Lady Bridget Heathcote (1772); la già citata Harewood House, nello Yorkshire, per Edwin Lascelles (vi lavorò undici anni, fra il 1767 ed il 1778); Newby Hall, Yorkshire, per William Weddell (1772-1776); Temple Newsam, Yorkshire, per Lord Irwin (1774); Paxton House, Berwickshire, Scozia, per Ninian Home (tra il 1774 ed il 1791); Burton Constable Hall, Yorkshire, per William Constable (1768-1779); Petworth House, Sussex, ed altre case per George Wyndham, 3º Earl of Egremont (1777-1779). Chippendale collaborò poi alla realizzazione degli interni disegnati da Robert Adam per la Brocket Hall, Hertfordshire, e Melbourne House, Londra, per Lord Melbourne, con Sir William Chambers (1772-1775). La sua opera fu poi continuata dal figlio, Thomas Chippendale, il giovane (1749-1822), il maggiore degli undici figli che ebbe da Catherine Redshaw - cui si unì dopo il suo arrivo a Londra - che lavorò nel successivo stile neoclassico e nel cosiddetto Regency. Un dissesto finanziario e la svendita dei materiali stoccati nel laboratorio di St. Martin's Lane, nel 1804, non mise tuttavia fine all'attività del giovane Chippendale, che poté completare la creazione dell'arredamento per la residenza di Sir Richard Colt Hoare a Stourhead, completata poco prima della morte, nel 1820. Chippendale padre specialmente fu artefice di uno stile personale che fece scuola e mobili improntati a questo stile sono stati prodotti a Dublino e a Filadelfia, così come a Lisbona, Copenaghen, Amburgo. Caterina II di Russia e Luigi XVI di Francia possedevano copie del Director, il libro stampato anche nella versione in lingua francese. Il particolare fascino dei suoi disegni ha avuto nuova popolarità nella seconda metà dell'Ottocento, con la creazione di stili derivati, come lo "Chinese Chippendale", il "Gothic Chippendale", e finanche lo "Irish Chippendale". Molti di questi disegni successivi, va detto a onor del vero, poco hanno da spartire con lo stile originale ed origionario del più celebre ebanista. Al pari di un eroe popolare Chippendale è ricordato in una scultura a piena figura inserita fra le molte altre relative a personalità che adornano la facciata del Victoria and Albert Museum, a Londra. DaL 1965 è attiva con sede a Otley, città natale di Chippendale, la "The Chippendale Society" che si propone di sostenere nel tempo l'opera dei Chippendale, padre e figlio, anche attraverso l'acquisizione di esemplari di lavorazioni di questi due artisti.

Johann Heinrich Füssli
https://youtu.be/Py3mkcZTyz4


Pittore e scrittore d'arte (Zurigo 1741 - Londra 1825). Figlio di Johann Kaspar, nel 1761 prese gli ordini nella chiesa evangelica riformata. Costretto, per le sue idee politiche, a lasciare la Svizzera, nel 1763, dopo un breve soggiorno a Berlino presso G. Sulzer, giunse a Londra dove, incoraggiato da J. Reynolds, decise di dedicarsi alla pittura. Recatosi in Italia nel 1769 per studiare le antichità classiche (La disperazione dell'artista davanti alla grandezza delle rovine antiche, 1778, Zurigo, Kunsthaus), guardò con interesse anche a soluzioni manieriste; a Roma tra il 1770 ed il 1778 fu in contatto con N. A. Abildgaard, T. Banks e G. Romney e si dedicò allo studio di Raffaello e di Michelangelo. Stabilitosi definitivamente a Londra, dal 1780 svolse un'intensa attività pittorica e letteraria. Amico di W. Blake, interpretò l'arte come trascrizione di interne visioni e di emozioni sublimi (Ezzelino e Meduna, 1780, Londra, Soane Museum; L'Incubo, di cui una versione del 1781 a Francoforte, Goethe Museum, e una del 1782 al Detroit institute of art; Titania e Bottom, 1788, Londra, Tate Gallery). Abile disegnatore, illustrò con fredde tonalità e sottile simbolismo opere di Shakespeare, Dante e Milton. Fu professore e poi direttore, dal 1804, della Royal Academy. I suoi scritti furono raccolti e pubblicati nel 1831.

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