lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Storia dell'arte: Lezione 11 BAROCCA














Barocco è il termine utilizzato dagli storici dell'arte per indicare lo stile artistico e architettonico dominante del XVII secolo. Lo stile barocco ha fondamenti negli ultimi anni del XVI secolo, ma nasce a Roma intorno al terzo decennio del Seicento. Il termine portoghese barrôco o spagnolo barrueco indicava la perla irregolare (in italiano scaramazza), e fu usato con riferimento all'arte per la prima volta alla fine del XVII secolo nel Dizionario dell'Académie française e nel secolo successivo nel Dictionnaire de Trevoux designando, con una sfumatura negativa, tutto ciò che è "irregolare, contorto, grottesco e bizzarro". In questo senso l'arte barocca era ed è considerata uno stile "anticlassico" per eccellenza, dove all'adesione delle rigide regole degli stili si andò sostituendo il capriccio dell'artista. Questo giudizio negativo intrinseco, molto ben radicato sia durante il neoclassicismo, sia durante il successivo gusto romantico che predilegeva il Medioevo e il Rinascimento, sebbene sia stato decisamente superato nel campo degli studi storico-artistici, non si può dire ancora completamente dissolto da parte del pubblico generale. In ogni caso oggi si tende a sottolineare il virtuosismo della produzione artistica barocca, la sua teatralità, il coinvolgimento attivo dello spettatore, la straordinaria ricchezza di forme e colori.Il "barocco" non può essere ridotto, come pure talora si sostiene, a mero stile dell'arte della Controriforma. Vanno soprattutto evitate valutazioni unidirezionali, dato che l'arte barocca contiene al suo interno tendenze molto variegate e talvolta contrastanti. Il barocco diviene in brevissimo tempo, grazie alla sua esuberanza, alla sua teatralità, ai suoi grandiosi effetti e alla magniloquenza profusa su ogni superficie e con ogni materiale, lo stile tanto della Chiesa cattolica che delle monarchie europee, tese verso un assolutismo che ha bisogno di esprimere il proprio potere con tutto il fasto possibile. Ciò premesso, l'influsso della Controriforma sulla nascita e lo sviluppo dell'arte e della cultura barocca è acquisizione critica pressoché universale. È uno stile rocambolesco.Come era già successo nell'epoca del Gotico internazionale, uno stile solo informa quasi tutta l'Europa ed esso diviene la lingua con cui la classe dirigente riscrive la propria storia passata (come nel caso delle grandi famiglie genovesi), e traccia le linee per le future, possibili, vittorie. A Roma il rinnovamento del centro urbano fu per il papato di Urbano VIII prima, di Alessandro VII poi, un'espressione di prestigio: Roma diviene così la prima città che nella sua struttura urbanistica rispecchia il proprio ruolo politico di principale capitale europea. La piazza, un elemento architettonico che già era stato ripensato in chiave monumentale nel XVI secolo da Michelangelo Buonarroti (con la formidabile risistemazione della piazza del Campidoglio), diviene ora la chiave di ogni rinnovamento. San Pietro in Vaticano con i completamenti berniniani della piazza, piazza Navona con la chiesa di Borromini e la fontana del Bernini, piazza del Popolo con le sue tre vie (Ripetta, Lata, del Babbuino) e il suo obelisco, diventano i prototipi della nuova idea di città che si irradierà da qui a tutte le grandi capitali europee.Le inquietudini esistenziali del Seicento si tradussero in mobilità e instabilità: linee curve, serpentine, spirali, torsioni, dominarono la scultura e l'architettura del tempo, così come le ardite metafore della lirica contraddistinsero la letteratura dell'epoca. Furono privilegiati la monumentalità, gli effetti drammatici e i contrasti di luce. In particolare fu ricercato l'illusionismo, un effetto di inganno che traducesse in arte la perdita di certezze dominante nell'epoca. L'illusionismo, cioè la sovrapposizione tra realtà, rappresentazione e finzione, si manifestò in pittura con prospettive impossibili e giochi di specchi che rendevano un'immagine deformata della realtà.

Spagna e suoi domini
Da massima potenza mondiale, la Spagna nel corso del XVII solcò un lento processo di declino, che la vide costretta a rinunciare ad alcuni suoi possedimenti (come i Paesi Bassi, nel 1648) e a ritirare qualsiasi pretesa di influenza in Francia (pace di Vervins, 1698). Se da un lato le ricche colonie dell'America centrale e meridionale continuavano ad essere sfruttate proficuamente, dall'altro i possedimenti europei (a partire dall'Italia meridionale, lo Stato di Milano e lo Stato dei Presidi) vivevano una recessione economica che causava miseria, moti di ribellione e consecutive repressioni. Nonostante la situazione non facile il Seicento rappresentò il Siglo de Oro dell'arte spagnola. La sede della corte reale Madrid richiamava i migliori artisti di tutto il regno, seconda come polo attrattivo in Europa alla sola Roma. Il gusto dei sovrani si confaceva alla Controriforma, all'insegna di un'esuberante devozione religiosa. Vi convergerono Rubens, El Greco, Luca Giordano, Pompeo Leoni, ma oltre agli stranieri spiccarono gli artisti locali, che diedero vita a una stagione di irripetibile vitalità: Diego Velázquez, Francisco de Zurbarán, Bartolomé Esteban Murillo. L'architettura sposava lo stile plateresco, dalla ricca ornamentazione ispirata agli argentieri (plata significa argento in spagnolo) che divenne via via più esuberante nel corso del secolo. Tra gli altri centri iberici spiccarono Siviglia (capitale marittima della Spagna), dove attecchì precocemente il naturalismo, e Toledo, dove lavorò a lungo El Greco.

Lombardia
A Milano, sebbene i governatori spagnoli si disinteressassero della crescita culturale e artistica, si sviluppò dalla fine del Cinquecento un vivace dibattito, alimentato dalle figure degli arcivescovi Carlo e Federico Borromeo (che fondò in questi anni l'Accademia Ambrosiana), e dagli artisti da essi protetti, quali il Cerano, Daniele Crespi, il Morazzone e i Procaccini. Si trattò di un'arte improntata a una severa religiosità, ma capace anche di slanci spettacolari in realizzazioni quali i Sacri Monti.

Regno di Napoli
Napoli invece mantenne saldo il ruolo di guida artistica, favorita dall'accentramento del potere vicereale, che richiedeva alla nobiltà la presenza nella capitale e favoriva la crescita demografica e la creazione di un vasto ceto di professionisti artistici. L'edilizia prosperava, sia con restauri di edifici esistenti, che con la realizzazione di nuovi, con la presenza di architetti come Cosimo Fanzago o Giovanni Antonio Dosio. In pittura fin dal 1606 il passaggio in città di Caravaggio determinò una decisa adesione al suo naturalismo, accentuato ancor più che nel maestro, nelle opere di artisti quali Battistello Caracciolo, Mattia Preti, José de Ribera e Massimo Stanzione. A questa influenza si affiancò precocemente anche l'esempio neoveneto e classicista di Guido Reni, Domenichino, Orazio Gentileschi e Nicolas Poussin. In altri centri del regno l'influenza dell'architettura barocca spagnola produsse esuberanti declinazioni locali, come nel Salento e nella Val di Noto, spesso in risposta a pestilenze e terremoti.

Colonie del Nuovo Mondo
Nelle colonie americane infine furono i vari ordini religiosi a importare dall'Europa le forme artistiche, che vennero adattate gradualmente alle esigenze locali. Nei maggiori centri (quali Città del Messico, Puebla, Bogotà, Guadalajara, ecc.) si distinsero almeno tre fasi principali: una sobria plateresca, dal 1580 al 1630 circa, una "salomonica" (dal 1630 fino al 1710 circa) caratterizzata da un decorativismo assai deciso con ampio ricorso alle colonne elicoidali di ispirazione berniniana, e infine una nel corso del XVIII secolo caratterizzata dalla sporgenza della decorazione e da un ampio ricorso alla doratura. A Cuzco si sviluppò una pittura di immagini devozionali, semplificate nel disegno ma caratterizzate da una ricca ornamentazione e dal ricorso a una brillante cromia.

Paesi Bassi
Liberatisi dal dominio degli Asburgo, i Paesi Bassi si avviarono a diventare una delle più importanti potenze commerciali d'Europa. Delle diciassette provincie, le sette del Nord basavano la loro economia su un'attività mercantile assai sviluppata e abbracciavano la fede calvinista; quelle del Sud invece erano prevalentemente agricole e di fede cattolica. Le due zone andarono distinguendosi anche dal punto di vista artistico, col Sud legato a un'arte sacra tradizionale, e il Nord invece vide la nascita dei generi destinati alla borghesia: paesaggi, nature morte, interni domestici, scene moraleggianti, marine. Il centro dominante divenne presto Amsterdam, come sede delle più importanti attività commerciali e industriali. Qui si ebbe una forte espansione urbanistica e un generale rinnovo architettonico, ispirato a un classicismo di ascendenza italiana, di cui fu il maggiore interprete Jacob van Campen, autore del municipio cittadino (1655) in un ornato stile barocco, mentre il suo successore Pieter Jansz. Post si espresse invece con uno stile più sobrio, più tipicamente olandese. Nella seconda metà del Seicento si diffusero gli ideali di essenzialità decorativa, uniformità nei colori e nelle facciate. Tra i pittori dominarono la scena Rembrandt e i suoi seguaci (Jacob Adriaensz Backer, Ferdinand Bol, Govert Flinck, ecc.), autori di intense scene religiose per la devozione domestica e di ritratti dalla forte connotazione psicologica. A Delft, terza città dei Paesi Bassi resa ricca tra l'altro dalla cospicua produzione ceramica, si sviluppò una scuola attorno alla personalità di Carel Fabritius, con esiti ben diversi dal sofferto tizianismo di Rembrandt. Le misurate composizioni si basavano su una tavolozza prevalentemente chiara, con un interesse verso la resa spaziale di oggetti e ambienti. Si sviluppò in questo contesto la pittura di intgerni di chiese disadorni, con esponenti quali Gerrit Houkgeest, Willem van der Vliet ed Emanuel de Witte. La figura più celebre della scuola di Delft fu comunque Johannes Vermeer, creatore di delicati interni domestici, in cui il soggetto di genere spesso sottintendeva un'interpretazione in senso morale. A Haarlem operò Frans Hals, che indagò a fondo le possibilità espressive e psicologiche del ritratto, soprattutto in una serie di ritratti di gruppo per le istituzioni locali. Anversa invece diventava il centro principale dei Paesi Bassi del Sud, con una vivace scena artistica ispirata ai principi della Controriforma. La necessità di ripristinare le decorazioni nelle chiese dopo i disordini religiosi del 1566, fece nascere una generazione di pittori assai a suo agio con la pittura monumentale, tra i quali spiccarono le figure di Pieter Paul Rubens e di Jacob Jordaens, autori anche di raffinate scene mitologiche, storiche e di ritratti per la corte. La pittura riscopriva l'allegoria politica, come decorazione per le sedi delle funzioni pubbliche, dai municipi alle sedi di corporazioni delle arti. Accanto a questa pittura monumentale, Anversa propose anche una ricca produzione di piccole scene inserite in lussureggianti paesaggi, dal gusto quasi miniaturistico, in cui spiccarono artisti quali Jan Brueghel il Vecchio e Frans Francken. Utrecht, potente vescovado, mantenne il ruolo di centro chiave per la produzione dell'arte religiosa. Aveva vissuto un notevole XVI secolo con la figura di Jan van Scorel, alla cui produzione tardomanierista guardò Abraham Bloemaert. Ispirandosi anche a Bartholomaeus Spranger, a Federico Barocci, a Caravaggio e a Rubens, elaborò un sofisticato stile "arcadico". A fianco di ciò si radunarono a Utrecht e dintorni un gruppo di artisti che avevano visto a Roma le opere di Caravaggio, tra cui Hendrick Terbruggen e Gerrit van Honthorst, che si concentrarono nella resa di scene notturne illuminate da candele e animate da un realismo popolaresco.

Roma e Stato della Chiesa
Roma continuò ad essere anche per tutto il XVII secolo il polo di maggiore attrazione per qualsiasi artista in cerca di fortuna. Le ampie politiche di mecenatismo promosse da Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII erano tese a ristabilire il ruolo centrale della Chiesa di Roma nel panorama europeo, attraverso un ampio rinnovo urbanistico. A ciò vanno aggiunte le sterminate ricchezze di cardinali e alti prelati, che spesso affidavano agli artisti il ruolo di promuovere la loro immagine verso i contemporanei e i posteri. Architetti, scultori e decoratori rifacevano le facciate degli edifici sacri e civili, ne ammodernavano gli interni, creavano piazze e fontane monumentali. Di tutte le opere, il fulcro principale di tutta quell'epoca fu la nuova basilica di San Pietro. In acerrima competizione tra loro, gli artisti svilupparono a Roma nuova sensibilità "barocca", fatta di esuberanza decorativa, teatralità, illusioni ottiche e ardite sperimentazioni virtuosistiche. Tra i protagonisti assoluti Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona e Pieter Paul Rubens, Alessandro Algardi e François Duquesnoy. Facevano inoltre parte dello Stato della Chiesa gran parte dell'Emilia e della Romagna, dove sul finire del Cinquecento si era sviluppata una delle più originali fucine artistiche, l'Accademia dei Carracci, dove si era formato anche Guido Reni. Se la decorazione dei grandi complessi nobiliari era affidata a pittori virtuosi ma "rassicuranti" come Agostino Mitelli e Angelo Michele Colonna, nuove tendenze energiche nascevano con artisti quali Guercino o lo stesso Algardi, formatisi a Bologna. Tra gli allievi di Guido Reni spicca anche una donna: Elisabetta Sirani. Nelle Marche, altro territorio sotto il dominio pontificio, operano artuisti classicisti quali il Sassoferrato e Simone Cantarini. In Umbria domina invece la Controriforma, con grandi opere nate per il rinnovo degli altari delle chiese.

Venezia
Nel corso del XVII secolo Venezia subì una crisi dovuta allo spostamento del baricentro dei traffici mercantili, dal Mediterraneo all'Oceano Atlantico. Il ristagno si manifestò in una più limitata disponibilità per le committenze artistiche, eccezion fatta per alcuni cantieri come la basilica della Salute di Baldassare Longhena, autore fino ad allora ancorato all'esempio dei maestri del secolo precedente, quali Jacopo Sansovino, Palladio e Vincenzo Scamozzi (come alle Fondamente Nove). La decorazione sovraccarica della nuova facciata di San Moisè, di Alessandro Tremignon (1688), dimostra come facesse fatica a trovare una suo compiuta declinazione in Laguna lo stile barocco. Anche la pittura sembrò risentire del retaggio del secolo precedente, coi discepoli di Tiziano, Jacopo Tintoretto e Veronese ancora attivi nella prima metà del secolo (quali il Padovanino, Domenico Tintoretto, ecc.). Dalla scuola dei Bassano, oltre a complesse pala di ispirazione tizianesca, nacque anche uno stile attento al dato reale, specialmente nella resa delle figure di animali, spesso inseriti in composizioni notturne. Domenico Fetti, Pietro Della Vecchia, Sebastiano Mazzoni, oltre allo straniero Johann Liss, portarono un po' di rinnovo in un panorama spesso non all'altezza del secolo precedente. Il passaggio di Luca Giordano e l'opera di Sebastiano Ricci accesero nuove, ampie prospettive che fioriranno pienamente nel Settecento; così come il rinnovato accento sul paeseggio delle opere di Marco Ricci farà da base per la rinascita del vedutismo.

Genova
Anche Genova risentiva della crisi legata al commercio nel Mediterraneo, però il XVII secolo si aprì nel segno della continuità col periodo aureo del secolo precedente. L'apertura di via Balbi portò alla costruzione di favolosi edifici, di misurata sobrietà all'esterno e di sfarzosa esuberanza all'interno. In pittura il passaggio di Rubens e poi soprattutto di Van Dyck portarono linfa vitalissima alla scuola locale, elaborando essi stessi dei traguardi fino ad allora mai raggiunti. Van Dyck ad esempio dipinse a Genova alcuni ritratti a figura intera degli aristocratici genovesi che sono tra i più felici raggiungimenti dell'intero secolo europeo. Grechetto, Bernardo Strozzi, Domenico Piola furono tra i più originali pittori genovesi. In scultura Pierre Puget, Anton Maria Maragliano e Filippo Parodi seppero coniugare monumentalità e virtuosismo, con un modellato estremamente morbido e un'accentuazione del patetismo.

Ducato estense e Ducato farnese
A Modena e Reggio Emilia, città principali del Ducato estense lavorarono Bartolomeo Schedoni, Nicolò dell'Abate e Jean Boulanger, in opere quali la Madonna della Ghiara. A Parma, capitale del Ducato farnese, fu chiamato Agostino Carracci. Sotto la sua figura si formarono artisti rinnovatori come Giovanni Lanfranco, Alessandro Tiarini e Sisto Badalocchio. A Piacenza invece, nel rinnovamento del duomo, accorsero via via artisti forestieri (come Guercino), ma non può dirsi che vi nascesse una vera e propria scuola locale.

Toscana
Firenze, come Venezia, subiva nel XVII secolo l'influsso degli artisti del secolo precedente. Emblematica in questo senso è l'esempio in scultura del Giambologna e dei suoi allievi (Pietro e Ferdinando Tacca, Clemente e Giovanni Francesco Susini), che protrassero un gusto manierista per tutta la prima metà del secolo, almeno finché Cosimo III non spedì Giovan Battista Foggini ad aggiornarsi a Roma. Non a caso gli scultori più originali, quali Pietro Bernini o Francesco Mochi, trovarono spazio altrove. In pittura la prima metà del secolo vide l'affermarsi di un misuratissimo gusto controriformato, sotto la guida di Santi di Tito, e con artisti quali il Passignano e il Cigoli che introdussero anche un certo colorismo di ispirazione veneta. Già dal 1637 il lavoro di Pietro da Cortona a palazzo Pitti diede un esempio di vibrante dinamismo, che venne raccolto solo da alcuni artisti eccentrici, quali Giovanni da San Giovanni e poi il Volterrano. Nella seconda metà del secolo Carlo Dolci portò avanti la lezione classicista con opere dalla intensa religiosità e dalla cromia smaltata.

Ducato di Savoia
I Savoia congiunsero il loro programma di ascesa politica nello scacchiere europeo a un rinnovamento della loro capitale, Torino. Oltre le mura romane, la città si ampliava e dotata di moderni edifici, grazie a uno studio di Ascanio Vittozzi. nella prima metà del secolo i nuovi palazzi rispecchiavano l'influenza della vicina Francia (come piazza San Carlo con le chiese gemelle, il palazzo Reale o il castello del Valentino). Dopo la metà del secolo Guarino Guarini, già allievo di Borromini, seppe trasformare la città in un laboratorio di nuove idee, con le ardite costruzioni delle cupole di San Lorenzo e della cappella della Sacra Sindone, o con la creazione di palazzo Carignano.

Francia
Nel corso del XVII secolo, sebbene travagliata da continue guerre e dissidi interni, la Francia consolidò il proprio potere, e con lo stato assoluto divenne il più importante centro politico europeo. La corte di Versailles divenne, soprattutto con Luigi XIV, il simbolo della grandezza del re e della Francia. Gradualmente Parigi andava assumendo il ruolo di guida culturale, creatrice di gusti e mode, e "capitale del mondo", un primato che avrebbe mantenuto fino alla seconda guerra mondiale. Già al tempo di Enrico IV l'architettura ebbe un nuovo impulso dopo un lungo periodo di immobilità causato dalle guerre di religione. Guardando oltre lo stile manierista, si seguirono più strade: da un lato l'ordine monumentale, caratterizzato da simmetria e decorativismo barocco (con capofila l'architetto François Mansart), dall'altro uno stile più semplice caratterizzato dall'uso dei mattoni combinati alla pietra. Nel periodo successivo dominerà poi la scena Jules Hardouin Mansart, con l'importante cantiere della reggia. Già nel 1648, l'Accademia divenne uno strumento di dominio sull'arte, che impose i principi del classicismo e dell'esaltazione del potere regale. In pittura spiccarono Charles Le Brun, Philippe de Champaigne, Claude Lorrain, Nicolas Poussin, Valentin de Boulogne, Nicolas Mignard e Pierre Mignard. Al naturalismo e allo stile caravaggesco guardarono Georges de La Tour, Simon Vouet e i fratelli Antoine, Louis e Mathieu Le Nain. In scultura si distinsero Antoine Coysevox, François Girardon e, attivi anche in Italia, Pierre Puget e François Duquesnoy.

Inghilterra
Nonostante i turbolenti rivolgimenti politici, nel corso del XVII secolo l'Inghilterra si avviò a diventare quella potenza internazionale su larghi orizzonti, grazie alla sua vantaggiosa politica coloniale su nuove rotte. In campo artistico, la corte reale orientava il gusto e le scelte, convergendo verso una politica di esaltazione della casa regnante. Lo stile puramente barocco veniva però visto come troppo legato al cattolicesimo romano, per cui si privilegiò un misurato classicismo, di derivazione palladiana, che con architetti come Inigo Jones e Christopher Wren superarono (ma mai del tutto) la continua ripetizione delle formule gotiche. Se però Carlo I cercò di aprire il paese dall'isolamento artistico, avviando il dibattito sulle arti e l'approfondimento teorico, in pittura e scultura è solo grazie all'apporto di artisti stranieri (quali Rubens e Van Dyck), che il paese respira le novità continentali. Soltanto nel secolo seguente l'Inghilterra svilupperà una scuola artistica di primissimo piano, beneficiando dell'apertura verso i paesi vicini quali la Francia e i Paesi Bassi.

Svezia
Aumentando il proprio peso politico in Europa, la Svezia poté promuovere anche una crescita culturale ed artistica, aperta alle novità provenienti dall'estero. Nella prima metà del Seicento gli architetti guardarono soprattutto alla Germania e all'Olanda, mentre successivamente, grazie soprattutto all'opera di Simon de la Vallée, si adottò soprattutto il classicismo di ispirazione francese. Contemporaneamente si guardò allo stile palladiano in edifici come il Riddarhuset di Stoccolma, opera dell'olandese Justus Vingboons. Ma il paese seppe mantenere un proprio stile architettonico, ad esempio con il persistere del säteritak, il tipico tetto a due spioventi separati da un breve rialzo verticale. Con l'incoronazione di Cristina (1644) si assistette a un grande fermento, grazie ai contatti della regina con molti dei maggiori centri culturali europei. Specialmente tra il 1660 e il 1680 la corte e l'aristocrazia fecero costruire numerosi castelli e dimore signorili, ad architetti quali Jean de la Vallée e Nicodemus Tessin il Vecchio. In campo sacro vennero costruite nuove chiese in sontuoso stile barocco, a cui facevano da contraltare le semplici chiese luterane della località periferiche. Sotto Gustavo Adolfo fu soprattutto la pittura a beneficiare dell'apertura verso l'estero, con l'arrivo di numerosi maestri stranieri.

Praga
All'inizio del XVII secolo Praga era la capitale del Sacro Romano Impero, ospitando l'imperatore Rodolfo II che ne fece uno dei centri più significativi del tardo manierismo. Con la morte dell'imperatore (1612), la corte tornò a Vienna, città ormai salva dalla minaccia ottomana. Dopo un periodo di stagnazione, a metà del secolo la capitale boema visse una stagione di ripresa, grazie alla fine della guerra dei trent'anni e al fervore della Controriforma, che stimolò il rinnovo dell'architettura religiosa, spesso aiutato dalla presenza di maestri stranieri. Tra gli anni sessanta e ottanta si definì uno stile pecualiare, nato dalla commistione di influenze italiane (soprattutto romane e lombarde), austriache e francesi. La successiva generazione di architetti locali beneficiò di questi esempi portando avanti un autonomo linguaggio barocco cecoslovacco (Jean Baptiste Mathey, Jan Santini Aichel, Christoph e Kilian Ignaz Dientzenhofer). In pittura invece non si ebbe una chiara scuola locale, ma la scena fu animata da un unico maestro di rilievo: Karel Škréta

Giovanni Luteri detto il Dosso o Dosso Dossi
https://youtu.be/z1Kf_8WWZEM


Nacque circa il 1479 da padre trentino, morì probabilmente nel 1542. 'u iniziato, con probabilità, da Lorenzo Costa, ma più a Venezia dagli esempî del Giorgione e del Tiziano. A Mantova lo incontriamo, per la prima volta, pittore, nel 1512, e di là, nel 1516, a Ferrara, ove rimase col fratello Battista, salvo brevi interruzioni, tutta la vita. Divenne ben presto pittore ufficiale della corte estense; e per essa dipinge ritratti, adorna di quadri il castello, compone scenarî di commedie, colora le ville ducali, fa cartoni per arazzi e disegni per maioliche, eseguisce ancone d'altare per le chiese di Ferrara e del ducato. Nel 1531, chiamato col fratello dal Cardinal Clesio, vescovo di Trento, a lavorare nel Castello del Buon Consiglio di quella città, vi dipinge la cappella, camere e anditi, sino ai primi mesi del 1532. Si suppone che l'anno seguente lavorasse nella Villa Imperiale di Pesaro, ove non è traccia né di lui, né del fratello. I due D. in quel tempo lavoravano a due pale votive per ahari delle cattedrali di Modena e Reggio, fatte eseguire da Alfonso I d'Este per il ricupero di quelle due città dalle mani del papa. La Circe, già nella raccolta Benson a Londra è l'opera del D. più vicina allo spirito del Giorgione, mentre richiama nelle smilze proporzioni qualche elemento del Costa. Il giorgionismo, senza la tenuità di forme della Circe, piú si rivela nella Ninfa seguita da un satiro della Galleria Pitti a Firenze e nel Giullare della Galleria estense a Modena. In questi due quadri il giorgionismo del D. aderisce al giorgionismo tizianesco. Ma per poco tempo, perché ben presto il pittore, dopo aver steso un velo tenue sulle cose, comincia a balzarle nella luce, tra le gemme e gli ori. Le sue figure arrossate, bruciate dal sole sulle compatte e dense superfici pittoriche, non ebbero dalla luce infusione, esaltazione di vita, e la ricerca di movimento, che aveva staccato Tiziano da Giorgio da Castelfranco, fu breve in D., che sempre mostrò di non saper volgere le composizioni ad effetto drammatico. I ritmi tizianeschi, le graduazioni della luce e dell'ombra nel colore furono ignoti al D., che si fermò a rendere forme nella loro rotondità, nella loro evidenza, nella loro poco mobile essenza. Parve nato a far ricami, frange dorate, a ingioiellare, a ornar di filigrane e di pietre preziose figure e cose; e pur giunse talvolta a maestà per i suoi simulacri imponenti, luminosi, abbaglianti. Nei camerini di Alfonso I d'Este, adorni da Giambellino e da Tiziano, erano losanghe del D., ora a Modena, a Londra e nel castello di Alnwich, ove le figure sono formose, massicce, solidamente costruite, sculturali. Tali sono anche la Sibilla dell'Ermitage a Leningrado, la Sacra Famiglia della Pinacoteca capitolina, la Vergine sull'arcobaleno e i Ss. Giorgio e Michele nella Galleria estense di Modena. Una volta il pittore pensò di parafrasare il San Michele Arcangelo di Raffaello; ma incapace di rappresentarlo nell'atto di calare a perpendicolo sul demone, cercò di ottenere mediante il colore quel che non gli era possibile con la linea, e raggiunse teatrali effetti nei lampeggiamenti della corazza, nei contrasti di luce ed ombra, nello scenario del profondo infernale, tutto fuoco e fumo, bagliori fosforici, nubi, turbini intorno a Satana. Con l'andar del tempo, il D. volse verso monumentalità di forme, come può vedersi mettendo a riscontro i due quadri rappresentanti la Concezione, nella Galleria di Dresda, ove alle forme assottigliate dell'uno succede nell'altro massività, corposità plastica. Sempre più egli volge ad effetti decorativi unendo alla figura il paese autunnale, variopinto, e sempre più s'inebria di colori, come nella Circe della Galleria Borghese, grande arazzo splendente; nella Giustizia della Galleria di Dresda, tutta ornata, gemmata, frangiata sopra un fondo di foglie di vite; nel San Sebastiano della Galleria di Brera, col manto verde splendente sopra rami di cedro, nell'Antiope dormiente della raccolta del duca di Northampton, ombreggiata da piante fruttifere, nei paesi di sfondo come ghirlande dell'Autunno intessute da una fantasia avida di colori e di luci. Con questo fuoco, il D. tradusse in colori le ottave ariostesche, cercò di divulgare i romantici personaggi dell'Orlando Furioso, come si vede nella Lotta di Orlando contro Rodomonte nel quadro della raccolta Brownlow a Londra. Negli ultimi anni, oppresso dal lavoro, affidò a numerosi aiuti l'esecuzione delle pitture allogategli; e sembrò spento il suo ardore, soffocata la sua sonorità. Il suo minor fratello, detto Battista del Dosso, visse accanto a lui, senza intenderlo, logorando, per la sua pochezza, la materia dossesca, come si può vedere nel quadro della Natività alla Galleria estense, nel quale egli cooperò certamente. In generale, si occupò in coloriture di cocchi, di stemmi, di bandiere, di turbanti, di stucchi, di cimieri di cartone, di rilievi di cera per applicarli a forme per getto di pezzi d'artiglieria. Fece anche qualche ritratto; ma probabilmente fu aiutato dal Garofalo, da Girolamo da Carpi, da Camillo Filippi.

Sebastiano Luciani  detto Sebastiano del Piombo
https://youtu.be/7MJRnFQkcjg


Pittore (Venezia 1485 circa - Roma 1547). Sussiste qualche incertezza, nella storia critica, sulla prima attività di S., coinvolta nella complessa questione dell'attività e dell'influenza di Giorgione a Venezia nel primo decennio del Cinquecento. A parte alcune opere giovanili attribuite in modo non sempre concorde (Sacra famiglia con santi e donatore, Louvre) e un suo probabile intervento, affermato da M. A. Michiel, nei Tre filosofi di Giorgione (Vienna, Kunsthistorisches Museum), le opere dipinte da S. a Venezia tra il 1506 e il 1511, di pubblica destinazione (Giudizio di Salomone, Kingston Lacy, National Trust; pala di S. Giovanni Crisostomo, Venezia; portelle d'organo con quattro Santi, Venezia, S. Bartolomeo a Rialto), fanno supporre tuttavia un suo ruolo di importanza maggiore di quanto non gli sia stato riconosciuto in passato. Tali opere mostrano, oltre a un influsso di Giorgione nei tipi fisici e nella morbidezza dei contorni, l'influenza dell'opera tarda di G. Bellini e un'impostazione monumentale, sottolineata anche dall'ambientazione architettonica, che sarà sempre più sviluppata dall'artista a contatto con l'ambiente romano. Agli ultimi anni veneziani appartengono inoltre la Morte di Adone (Uffizi) e Salomè (Londra, National Gallery). Nel 1511 S. andò a Roma, su invito di Agostino Chigi, per decorare una sala della sua villa suburbana sul Tevere, poi chiamata Farnesina. Qui eseguì il Polifemo e lunette con soggetti mitologici; gli affreschi, eseguiti con qualche incertezza tecnica, sono caratterizzati da un colore brillante e da un dinamismo compositivo che si pone in contrasto con la scansione architettonica della parete. L'incontro con l'opera di Raffaello, attivo nella stessa sala, che si evidenzia soprattutto in alcuni ritratti (La fornarina, Uffizi; Dorotea, Berlino, Gemäldegalerie; Cardinal Ciocchi del Monte, Dublino, National Gallery of Ireland) doveva presto cedere a un netto accostamento all'arte di Michelangelo. La protezione e l'amicizia del maestro procurò a S. importanti committenze, oltre a onori e cariche presso la corte pontificia. Già nella Deposizione (1516, San Pietroburgo, Ermitage) è evidente l'influsso di Michelangelo, che giunse a fornire all'amico disegni preparatorî per varie opere come la Pietà (1516, Viterbo, Museo Civico), la decorazione della cappella Borgherini in S. Pietro in Montorio (1516-24), la Resurrezione di Lazzaro (1517-19, Londra, National Gallery), dipinto su commissione del cardinal Giulio de' Medici in competizione con la Trasfigurazione di Raffaello. La collaborazione con Michelangelo accentuò la tendenza di S. verso la monumentalità compositiva e il plasticismo delle figure, che si unisce al caldo colore veneto. Tali caratteri informano anche gli straordinarî ritratti di eminenti personaggi, settore importante della sua attività (Clemente VII, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte; Andrea Doria, Roma, galleria Doria Pamphili) o le varie immagini di Cristo portacroce (Prado, Ermitage, ecc.). Tra i dipinti religiosi, la Flagellazione (1525, Viterbo, Museo Civico), o la pala della cappella Chigi in S. Maria del Popolo (1532). Dopo la morte di Raffaello, S. fu una delle personalità di maggior rilievo a Roma; dopo il sacco del 1527, e dopo aver assunto la prestigiosa carica di piombatore pontificio (1531), dalla quale derivò il soprannome, rallentò sensibilmente, pur senza interromperla, la propria attività artistica.

Francesco Mazzola detto il Parmigianino
https://youtu.be/mkBtwWT-vO8


Pittore e incisore, nacque a Parma l'11 gennaio 1503, morì a Casalmaggiore il 24 agosto 1540. Fu figlio di Filippo Mazzola, imitatore, come un altro parmense, Cristoforo Caselli detto il Temperello, di forme belliniane a lui giunte attraverso gl'insegnamenti di Francesco Tacconi. Nulla si sa dalle fonti circa l'educazione di Francesco, nelle cui opere non è traccia di ricordi dell'arte paterna. Certo egli si formò sul Correggio, come dimostrano gli affreschi in S. Giovanni Evangelista di Parma, sue pitture giovanili più note, da ascriversi circa al 1521, e anche i suoi disegni antecedenti al 1523. Nel 1523, a Roma, è presentato a papa Clemente VII, allora eletto, e in quello stesso anno dipinge la Sacra Famiglia degli Uffizî, con la Maddalena, ove appaiono sintomi di manierismo raffaellesco. Mentre stava lavorando alla Madonna Bufalini, tra i più notevoli esempî di trasfigurazione stilistica d'elementi romani e correggeschi, nel 1527 venne fatto prigioniero durante il sacco di Roma. Riacquistata la libertà, in quello stesso anno si reca a Bologna, ove dipinge per la cappella Gamba in S. Petronio la Madonna con Bambino e Santi, ora nella Pinacoteca Civica, ove il suo stile trova l'espressione più tipica nelle forme allungate e flessibili, nelle tortuosità di una linea ondulata e labile. Nell'agosto del 1529 è collocata nella chiesa di S. Margherita la pala della Madonna detta appunto di S. Margherita, ora nella pinacoteca di Bologna. Nel 1530 ritrae l'imperatore Carlo V durante il suo soggiorno in quella città, forse nel cartellone allegorico tutto sottigliezze di trame lineari, ora appartenente alla galleria Cook a Richmond. Il 10 maggio si stringe il contratto per gli affreschi di vòlta e catino della cappella maggiore di S. Maria della Steccata, lavoro interrotto per il malcontento causato dalla lentezza con cui procedeva. Nel 1531, nella rocca di Fontanellato, affresca la volta di una stanza terrena con scene del mito di Diana e Atteone, su fondo di pergole fiorite, tra motivi di fiori e frutta, d'un correggismo deliziosamente raffinato e capriccioso. Il 23 dicembre del 1534 riceve da Elena Baiardo, sposa di Francesco Tagliaferri, il pagamento per quella pala della Madonna detta dal collo lungo, che è come la sigla del manierismo parmigianinesco. Il 27 settembre del 1535 stringe contratto col cavalier Baiardo per iI Cupido che prepara l'arco, ora nel museo di Vienna. Nel 1540, a Casalmaggiore, dipinge per la chiesa di S. Stefano la pala della Madonna con i Santi Stefano e Giovanni Battista, ora a Dresda, nella Galleria. Sopra motivi correggeschi della camera di S. Paolo e della chiesa di S. Giovanni, il P. ha composto la decorazione ad affresco nella stessa chiesa, derivando dal Correggio la fluidità delle immagini rese leggiere da una densa atmosfera e il mobile chiaroscuro, che anima i fondi marmorei e accende nell'ombra le corolle dei fiori. Ma già la maniera elegante del P. si afferma nel profilo tenue e inarcato di S. Lucia, come nella sagoma svelta di un'anfora tra le panoplie dei sottarchi; e la vita erompe con impeto dinamico ignoto al Correggio dal gruppo di S. Isidoro col cavallo inalberato, dove tutte le linee sono trasverse e ardite, e tutto fiammeggia: la criniera del cavallo, le strisce dell'armatura del santo, la stoffa arrovellata dello stendardo. L'effetto illusionistico delle masse erompenti dall'arcata, l'effetto decorativo violento e fantastico, ci presentano qui il P. nell'aspetto di un Pordenone emiliano. La prima opera dove s'insinua qualche elemento raffaellesco è la pala d'altare con S. Maddalena agli Uffizî di Firenze, ove si vedono in pose statuarie le figure della Madonna e della Santa. Spunta il manierismo in queste due figure e nell'altra, di detestabile gusto, del Santo tronco dalla cornice; ma l'originalità stilistica del Parmigianino s'imprime nella sinuosa eleganza di una linea labile, che scivola sulla forma, suggerendola con leggerezza estrema, e nel segno arricciato e nervoso, che vibra alla luce, e si diffonde dalle figure al paese vario, pittoresco, tutto scabrosità e inuguaglianze, minuto e rapido. Raffaello insieme con il Correggio è presente al P. anche nella Visione di S. Girolamo della Galleria Nazionale di Londra, ma i baleni infondono vita impetuosa e fugace all'immagine del Battista come sospesa nell'ombra, in equilibrio instabile; e i contorni agili e leggieri del gruppo divino sembrano dissolversi e continuarsi nei brividi di luce di un alone sulfureo. Le ombre s'addensano nello Sposalizio di S. Caterina della Pinacoteca civica di Bologna, esempio tipico di manieristiche eleganze; la figura affusata della Santa s'avvolge nel manto come in una guaina; le capigliature crespe son tutte un brulichio di luce. Prossimo di tempo agli argentini affreschi del palazzo Sanvitale a Fontanellato è un gruppo di quadri che ci presentano l'arte del P. nel momento della più perfetta attuazione del suo stile pittorico: il Presepe della galleria Cook a Richmond, delizioso capriccio decorativo, dove l'eleganza fiorisce spontanea dal fresco gruppo delle figure, dalle acque di seta chiara, dalle ombre verdi del fogliame, a contorni indecisi e leggieri, a chiazze impressionistiche. I chiari predominano, con piumosa morbidezza; e i radi scuri intensi, le chiome di Maria, le ombre sotto l'arco del ponte, le chiazze del fogliame, vi acquistano vivezza di macchia. La Natività della Galleria Doria è una delizia di contorni instabili, di forme che s'accentuano e dileguano con l'ombra e la luce, di linee che s'annodano e si snodano nella lieve ghirlanda umana. Come in un cocchio di fiori che scorra per le vie del cielo, passa la Vergine con Gesù, la piccola S. Caterina e gli Angioli, nel quadro dello Sposalizio di S. Caterina, a Parma, sogno di eleganze parmigianinesche espresso mediante linee fluenti, deliziosa instabilità di contorni, delicatezza di vesti velate, di teste ricciute, di mani fogliacee. Non risponde a tanta grazia di trame compositive la Madonna col Bambino e Angioli della Galleria Pitti, che è il punto d'arrivo del più artificioso e perfetto manierismo parmigianinesco, l'applicazione più studiata del suo formulario estetico, tanto che la colonna fortemente rastremata dietro il seggio e l'anfora tenuta fra le braccia da un'angelo, appaiono come simboli della forma muliebre, che sboccia ovoidale nel contorno dei fianchi e si restringe all'estremo. Mirabile ritrattista fu il P. La cosiddetta cortigiana Antea del Museo di Napoli si disegna sul fondo verde come incisa nel marmo da un contorno penetrante e adamantino, che preludia alle castigate eleganze di un Ingres, pure essendo tipicamente parmigianinesco per il segno vibratile e deciso, la sinuosità dei lineamenti, la sottigliezza delle armonie cromatiche, il contorno preciso e conciso. Raffinata espressione di eleganze lineari e di sottigliezze pittoriche è l'autoritratto degli Uffizî, veduto traverso il velo di un liquido e trasparente chiaroscuro, come riflesso da specchio. Bello, raffinato nella cravatta a punte lanceolate, nella posa della mano aristocratica, sotto le falde mobili di un cappello nero, si presenta l'aristocratico signore, il sovrano delle cinquecentesche eleganze. Sinché, nel ritratto di giovanetta a Napoli, prossimo, per nerveggiata linea e snellezza di sagoma, ai ritratti del Pontormo, sembra che il gran nodo di stoffa bizzarramente formi la persona slanciata e acuta come un fioretto, nella sua mossa nervosa, di tutta tensione. Meglio che nei quadri, il valore pittorico del P. si esprime nelle incisioni, che più delle pitture contribuirono a crear la moda artistica parmigianinesca in Italia. Gran signore, perfetto aristocratico è il P., che ama soprattutto l'eleganza di un contorno, la purezza di sagoma delle forme modellate come in stampi preziosi da un sapiente vasaio: le anfore, che egli predilige quali ornamenti, sino dagli affreschi giovanili di S. Giovanni, appaiono come simboli del suo ideale estetico. Egli è un raffinato, un principe della moda, un esteta che giunge per sottili ragionamenti all'arte, piuttosto che un pittore nato, un pittore d'istinto, quale fu il suo contemporaneo Correggio. Padre dell'acquaforte italiana, le sue incisioni diffusero stilistiche eleganze dall'Emilia alla Toscana, a Roma, all'Italia settentrionale: raggiunsero il Pontormo nel mondo inquieto del manierismo toscano; raggiunsero Paolo Veronese, nel suo regno di colore.

Agnolo Tori detto il Bronzino
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Pittore e poeta fiorentino, nato il 17 novembre 1503, morto il 23 novembre 1563; figliolo di Cosimo di Mariano, d'una famiglia oriunda da San Gimignano trasferitasi in Firenze. Alcuni scrittori dànno al B. il casato di Allori (v.) confondendolo con quello di Alessandro Cristofano di Lorenzo (1535-1607) ritenuto da alcuni nipote del B., mentre non fu effettivamente che suo discepolo. I fatti principali della vita e dell'arte del B. sono questi: 1522-25, dipinge alla Certosa di Val d'Ema, presso Firenze, in due archi sopra la porta che va dal chiostro grande in capitolo, una Pietà fra gli Angeli e un San Lorenzo; 1524-26, dipinge a Firenze nella cappella di Lodovico Capponi in Santa Felicita due tondi a olio con teste di Evangelisti; nel chiostro della chiesa di Badia una Storia della vita di San Benedetto, che è andata perduta; 1530-33, è chiamato a Pesaro da Guidobaldo II duca d'Urbino e alla villa detta l'Imperiale dipinge in una volta le Storie della vita di Francesco Maria della Rovere, ormai quasi cancellate; dipinge poi il ritratto del duca Guidobaldo (Galleria Palatina, Firenze); 1533, richiamato insistentemente dal Pontormo, torna a Firenze e aiuta il maestro a finire gli affreschi della villa medicea di Poggio a Caiano (il Pontormo aveva dipinto durante la sua assenza Venere e Amore, su cartone di Michelangelo, Galleria degli Uffizî, Firenze, opera che dovette impressionare molto il B., inducendolo ad una maggiore plasticità); 1534-40, dipinge i ritratti di Bartolomeo e di Lucrezia Panciatichi; di Ugolino Martelli, del Giovane dal liuto (Galleria degli Uffizî, Firenze), forse quello dello Scultore (Louvre, Parigi); 1536, collabora col Pontormo negli affreschi, ormai scomparsi, della villa medicea di Careggi, eseguendo la parte più importante di essi; 1537-42, idem, negli affreschi della villa medicea di Castello, anch'essi periti; 1539, fa due storie di chiaroscuro nel cortile del palazzo Medici in via Larga, in occasione delle nozze del duca Cosimo con Eleonora di Toledo; 1540, entra al servizio del duca Cosimo in qualità di pittore di Corte. S'inizia da allora la serie dei ritratti della famiglia Medici, fra i quali quelli di piccole dimensioni, dipinti su piastra di stagno, di tutti gl'illustri uomini di Casa Medici, eseguiti per lo studiolo di Cosimo fatto dal Vasari in Palazzo Vecchio (una parte di tali ritrattini si trova nella Galleria Palatina di Firenze); 1545-1564, dipinge la cappella di Eleonora di Toledo in Palazzo Vecchio: gli affreschi delle pareti con le Storie di Mosè, quello della vòlta con le apoteosi di San Francesco, di San Girolamo, di San Giovanni, dell'Arcangelo Michele; la pala a olio dell'altare con la Deposizione dalla Croce; le ali laterali dell'altare medesimo, raffiguranti l'Annunciazione (tale cappella costituisce una specie di sintesi dell'arte del B.); 1546 circa, dipinge - forse su cartone di Michelangelo - il quadro Venere, Cupido, la Follia e il Tempo, altrimenti detto La Verità e la Calunnia (Galleria nazionale, Londra); 1552, per la cappella di Giovanni Zanchini, in Santa Croce, dipinge la grande tavola Cristo al Limbo, va a Pisa chiamatovi dal duca Cosimo, fa alcuni ritratti per il medesimo, dipinge quello di Luca Martini, ingegnere delle bonifiche (Galleria Palatina, Firenze); si trattiene a Pisa per dipingere una tavola da collocarsi nel duomo di quella città; 1558, dà termine agli affreschi del Pontormo nell'abside della chiesa di San Lorenzo, rimasti interrotti per la morte del maestro; 1561, il granduca Cosimo lo chiama a riformare la Compagnia del Disegno, della quale il B. diviene uno dei consoli; 1565 circa, per incarico del granduca dipinge una Deposizione per la chiesa dei Frati Zoccolanti di Cosmopoli (Portoferraio) all'isola d'Elba (Galleria d'arte antica e moderna, Firenze), e una Natività per la chiesa dei cavalieri di Santo Stefano a Pisa (Museo di Budapest?); 1569, termina l'affresco dell'Apoteosi di San Lorenzo Martire nella chiesa di San Lorenzo. La forrmazione della sua personalità artistica fu piuttosto lenta. Da ragazzo era stato messo dal padre ad apprendere presso un anonimo pittore, ma né costui, né Raffaellino del Garbo, nella cui bottega Agnolo passò più tardi, si possono considerare come suoi veri maestri, più che maestro, padre all'anima all'ingegno, gli fu Iacopo Carrucci, detto il Pontormo, da cui il B. attinse, se non lo spirito, l'essenza tecnica del proprio stile. La prima evidente prova che il B. diede del suo talento fu il ritratto di Guidobaldo duca d'Urbino, dipinto intorno al 1533. In una serie successiva di ritratti dipinti fra il 1533 e il 1540 (quelli di Bartolomeo e di Lucrezia Panciatichi, di Ugolino Martelli, forse anche quello dello Scultore al Louvre) il B. rivela tutta la maturità della sua arte e del suo ingegno. In seguito, la maniera del B. si evolverà verso un senso più astratto della forma, una maggiore acutezza e fermezza di disegno, una semplificazione sempre più scultoria dei piani e dei volumi. L'arte del B. è come un riflesso freddo e pacato, un'algida ossidazione di quella di Michelangiolo e del Pontormo. Tutte le immagini del vero sensibile, il colore compreso, appaiono nei quadri di cotesto pittore filtrate e sublimate attraverso a una scienza vigile e sicura, che solo in grazia della sua intensità e perfezione attinge la lirica e diviene arte. La pittura, nel B., tende al rilievo e alla sodezza della scultura; le figure dànno piuttosto il senso del marmo gelido, duro, polito, che quello delle vive carni; e tutte le forme indistintamente, anche le più minute, sembrano scolpite o sbalzate, tanto i loro contorni sono vivi, netti, palesi. L'acuto senso estetico dei Fiorentini, dopo le sapienti esperienze dei Quattrocentisti, trova nel B. la sua conclusione e il suo punto morto. Non è da escludersi che attraverso gli esempî di Piero di Cosimo (v.), come nel ritratto di dama intitolato La Maddalena nella galleria Corsini di Firenze, il B. abbia accolto le suggestioni della puntualità veristica fiamminga, che fu peraltro elevata da lui ad un'eccezione tutta metafisica e platonica, giusta l'atmosfera spirituale che la cultura. umanistica e il genio di Michelangiolo avevano creato in Firenze. Il B., considerato in passato artista di scarso valore, soltanto ai nostri giorni ha ricevuto dalla critica una precisa valutazione che gli assegna un equo posto, subito dopo gli astri maggiori del Rinascimento maturo, a fianco del Pontormo, piuttosto sopra che accanto ad Andrea del Sarto, e ben più alto, certamente, dello stuolo dei michelangioleschi fiorentini, nel cui mazzo per l'addietro veniva confuso. Il B. si dilettò anche di lettere e fu poeta forbito e vivace, se non originale. Il platonismo e il petrarchismo, allora in voga, gli fecero scrivere sonetti dedicati alle virtù più che alla bellezza di Laura Battiferri, gentildonna letterata moglie dell'Ammannati. Ma scrisse anche capitoli umoristici e salaci, alla maniera bernesca, pieni di vita e di brio. Fu accademico della Crusca e come tale difese la purezza e l'aristocrazia dell'idioma fiorentino, senza peraltro irrigidirsi nel misoneismo pedante dei puristi.

Iacopo Robusti detto il Tintoretto
https://youtu.be/PU-L0ASqMg8





Pittore (Venezia 1518/1519 - ivi 1594), dovette il soprannome alla professione di tintore esercitata dal padre. Uno dei massimi innovatori del Rinascimento veneziano, fin dalle sue prime opere si nota una forte impronta della cultura figurativa del manierismo. Il pittore armonizzò la tradizione veneta di Giorgione e Tiziano, basata sulla funzione espressiva autonoma del colore, con la cultura fiorentina e romana, rivolte al ruolo primario del disegno. Di particolare rilievo nella sua produzione pittorica sono le tele della Scuola di S. Rocco, realizzate in tre cicli tra il 1564 e il 1587.Vita e opereLe fonti riferiscono di un suo breve e contrastato periodo di formazione nella bottega di Tiziano, ma la critica moderna ha piuttosto ipotizzato come suoi maestri ora Bonifacio de' Pitati, ora Paris Bordone, ora Andrea Schiavone col quale, secondo C. Ridolfi, il T. collaborò a una serie di pannelli per cassoni. I valori lineari e dinamici che segnano già le sue prime opere indicano il suo profondo interesse per le esperienze manieriste dell'Italia centrale, conosciute attraverso stampe e disegni: a parte un tardo soggiorno a Mantova (1580) il T. infatti non si mosse mai da Venezia, dove la sua opera occupa un posto importante e particolare, rivolta prevalentemente a una committenza di confraternite e comunità religiose, in contrasto con i modi pittorici apprezzati dall'aristocrazia veneziana che trovano nell'arte di Paolo Veronese l'espressione più compiuta. Nella sua vastissima produzione emergono le linee essenziali della sua ricerca che, privilegiando composizioni decentrate, direttrici diagonali, audaci scorci e un particolare intenso luminismo, raggiunse una grande forza narrativa ed emozionale. Anche la rapidità di esecuzione (la prestezza ricordata nelle fonti) giuoca un ruolo importante nella sua pittura, e i rari disegni preparatorî pervenutici sembrano confermare la sua pratica di far riferimento a modelli tridimensionali illuminati dalla luce artificiale di torce o lampade. E proprio il suo modo complesso, concitato e drammatico di operare, affiancato spesso da modi più rifiniti e raffinati, ha portato a giudizî contrastanti sia tra i suoi contemporanei sia nella critica successiva, ma rivela la sua originale partecipazione alla crisi spirituale e culturale che travaglia l'Italia e l'Europa della seconda metà del Cinquecento. Al 1547-48 risalgono le opere che con più chiarezza mostrano l'avviarsi della sua più originale ricerca: la Lavanda dei piedi (Prado), in origine in S. Marcuola dove si trova anche la prima realizzazione di un tema ripetutamente affrontato dal T., l'Ultima cena; e ancora il Miracolo dello schiavo (Venezia, gallerie dell'Accademia), commissionato dalla Scuola grande di S. Marco, dove la plasticità michelangiolesca delle forme, l'attento studio dei rapporti concatenati tra figura e figura, combinati con l'impostazione tonale di tutta la composizione, raggiungono effetti di enfatica narrazione. Nella Presentazione di Maria al tempio (1552, Venezia, S. Maria dell'Orto), la luce addensata sulla scalinata ha funzione tonale e insieme drammatica; nelle altre tre storie per la Scuola di S. Marco (Rinvenimento del corpo di s. Marco, 1562, Brera; Trafugamento del corpo di s. Marco e Miracolo del naufrago, 1567-68, Venezia, gallerie dell'Accademia) ogni valore tende a subordinarsi alla luce; la forma si alleggerisce nel moto vorticoso che la investe, il colore, in quanto tono, si svaluta, le linee prospettiche sono segnate dai fasci dell'illuminazione improvvisa.La massima fatica del T. è rappresentata dalle tele (una cinquantina circa) della Scuola di S. Rocco. Il pittore vi si dedicò in tre riprese: del 1564-66 sono quelle dell'Albergo (fra cui Cristo davanti a Pilato e la grandiosa Crocifissione); del 1576-81 quelle del salone superiore (con storie del Vecchio e del Nuovo Testamento sul soffitto e Storie di Cristo sulle pareti); del 1583-87 quelle della sala terrena (con Storie della Vergine). Il secondo e il terzo gruppo sono quelli più significativi nella storia dello stile del Tintoretto. Nel Presepio della sala superiore la luce esalta l'arditissima doppia prospettiva delle due scene sovrapposte, puntualizza il senso miracoloso dell'avvenimento. Nei quadri della sala terrena è un continuo superarsi in audacie compositive che avrebbero del paradossale se non fossero condizionate, di volta in volta, dall'ansia appassionata di dar forma nuova e adeguata a un prorompente sentimento. I paesaggi (Fuga in Egitto, S. Maria Maddalena, S. Maria Egiziaca) si accendono di bagliori fosforescenti che penetrano nella forma delle cose e delle figure sostanziandola, annullano quasi, addirittura trasfigurano, i colori in un'unica dorata tonalità, precorrendo alcune soluzioni rembrandtiane; lo spazio si estende in una illusione d'infinito. Il complesso della Scuola di S. Rocco è stato preceduto, affiancato e seguito da innumerevoli altre opere, di cui non si possono citare che le più importanti: quadri profani, come la Liberazione di Arsinoe (1550 0 1570, Dresda, Gemäldegalerie), Susanna e i vecchioni (1560 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum), Venere, Vulcano e Amore (1551 circa, Firenze, Galleria Palatina), Danae (1580 circa, museo di Lione) e le tele decorative nel Palazzo Ducale di Venezia (atrio, sala delle quattro porte, Anticollegio, Collegio, sala dello Scrutinio); potenti ritratti come quello, più bello fra tutti, di Iacopo Soranzo (1550 circa, Milano, Museo del Castello Sforzesco); infine i moltissimi quadri religiosi - alcuni di grandissime proporzioni - che adornano le chiese di Venezia, come S. Luca e s. Matteo in S. Maria del Giglio (1557), l'Adorazione del vitello d'oro e il Giudizio finale nella Madonna dell'Orto (1560), la decorazione della chiesa di S. Rocco (1549-67), la Cena in S. Paolo (1565-70), Le tentazioni di s. Antonio, in S. Trovaso (1577), l'Orazione nell'orto in S. Stefano (1580 circa). Gli ultimi lavori del vecchio T. non furono di minore impegno: basti pensare all'immenso Paradiso nella sala del Maggior consiglio in Palazzo Ducale (bozzetto al Louvre), cui il maestro pose mano nel 1588, e le tele di S. Giorgio Maggiore (La caduta della manna e L'ultima cena) del 1594.
Pieter Brueghel il Vecchiohttps://youtu.be/Z3qVJqMJTM4

Famiglia di pittori e incisori fiamminghi:  (n. tra il 1526 e il 1531 probabilmente a Breda - m. Bruxelles 1569), scolaro in Anversa di P. Coeck, poi di H. Cock, intraprese nel 1553 un viaggio in Italia che non ebbe tuttavia influenza sul suo sviluppo artistico. Egli rimase fedele alla visione realistica dei vecchi Fiamminghi, anzi l'accentuò, e le sue numerose stampe s'ispirarono al folclore fiammingo, evocando scene popolari, illustrando proverbî e ricordando anche l'immaginazione fantastica di H. Bosch. Stabilitosi a Bruxelles vi dipinse una serie di capolavori di una singolare originalità, rappresentandovi scene tratte dalla Bibbia, dai proverbî, dalla vita del popolo (opere nella maggior parte nel museo di Vienna, dove sono pure quattro grandi paesaggi che sembrano avere appartenuto a una serie di dodici mesi). In questi dipinti, come nella Parabola dei ciechi (Napoli), nel Censimento di Betlemme (Bruxelles) e nella Conversione di s. Paolo (Vienna), si può dire che nasca il paesaggio impressionistico, reso in modo nuovo per mezzo dell'atmosfera e della gradazione della luce. Invece il Banchetto di nozze, la Kermesse, la Danza dei contadini (Vienna) sono improntati a un realismo che cerca di cogliere e approfondire il caratteristico con acuta e appassionata indagine. Il B. fu l'unico pittore fiammingo originale del sec. 16º. n Il figlio Pieter il Giovane, detto anche "degl'Inferni" (Bruxelles 1564 circa - Anversa 1637-38), fu imitatore fedele del padre; ebbe il soprannome da certi quadri in cui dipinse, spesso su rame in formato piccolo, scene infernali: composizioni più artificiali che artistiche. L'altro figlio, Jan, detto "dei Velluti" (1568-1625), fu in Italia (1592-96); dipinse numerosi paesaggi di carattere decorativo in cui tuttavia non manca mai l'elemento realistico. Jan B. ebbe due figli. Il primo, Jan il Giovane (Anversa 1601 - ivi 1678), fu in Italia dal 1622 al 1625; dipinse soggetti sacri e profani (con finezza, ma senza molta invenzione, continuando l'arte del padre con successo) e anche quadri di fiori. Genere che fu trattato con preferenza dal fratello Ambrosius (1617-75). Dei sette figli di Jan il Giovane, di cui cinque esercitarono il mestiere del padre, ricordiamo Abraham, detto il Napolitano (1631-90), valentissimo pittore di fiori; dopo un lungo soggiorno a Roma, si trasferì a Napoli, dove rimase fino alla morte. Subì fortemente l'influsso di Mario de' Fiori, contribuì allo sviluppo della pittura di fiori a Napoli. Un fratello minore di Abraham, Giovanbattista (Anversa 1647 - Roma 1719), fu pittore di nature morte.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese
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Pittore (Verona 1528 - Venezia 1588). Nella grande civiltà pittorica veneziana del sec. 16º, P. V. si distingue per la peculiare armonia delle sue tinte limpide, brillanti, gioiose e per la trasparenza delle sue atmosfere; mezzi espressivi e libertà di atteggiamenti che ne faranno un punto di riferimento per la pittura veneziana del Settecento. Suo primo maestro fu G. A. Badile; anche i bresciani G. Romanino, il Moretto e G. G. Savoldo, presenti con opere a Verona, contribuirono alla sua prima formazione, orientata verso le novità cromatiche di cui Venezia era la fonte. Ma ancora altri elementi si inseriscono nella sua cultura figurativa: le eleganze manieristiche del Parmigianino, la grandiosa ampiezza della figura umana di Giulio Romano. Accenti variamente commisti, che tuttavia s'intonano in una pittura ampiamente decorativa. Al 1548 risale la sua prima opera datata: la pala Bevilacqua (Verona, museo di Castelvecchio). Nel 1551 decorava la villa Soranzo presso Castelfranco, e nel 1552 dipingeva la pala con le Tentazioni di s. Antonio (museo di Caen). Infine, giunto a Venezia, dove la sua arte limpida e serena s'impose, cominciò (1553) a dipingere una serie di quadri: i soffitti delle sale del Consiglio dei Dieci e dei Tre Capi del Consiglio nel Palazzo Ducale, rappresentanti Giunone che versa i suoi tesori su Venezia, la Gioventù e la Vecchiaia, ecc.; opere nelle quali lo stile dell'artista appare perfettamente definito, in un felicissimo senso degli accordi cromatici, cui si aggiunge un senso grandioso dei valori spaziali. Nel 1555 aveva terminato il soffitto della sacrestia di S. Sebastiano, a cui seguirono a varie riprese (fino al 1570) il soffitto della chiesa stessa, e poi l'intera decorazione del tempio. Negli anni che corsero tra il 1557, data presumibile dell'inizio di un lungo soggiorno a Venezia, e il 1566, anno in cui tornò a Verona per sposare Elena figlia di G. A. Badile, eseguì numerosi cicli di affreschi, oggi perduti, nei palazzi veneziani (restano frammenti nella casa Trevisani a Murano e il ciclo, eseguito prima del 1560, nella palladiana villa Barbaro a Maser, che costituisce uno dei più interessanti complessi della pittura veneziana, con pitture che coprono quasi da cima a fondo le pareti della mirabile costruzione palladiana e costituiscono uno dei più estesi, complessi e stupendi cicli pittorici, che mai siano usciti da pennello d'artista). Autore a Verona della pala di S. Giorgio in Braida, nel 1563 dipinse a Venezia la più famosa delle sue Cene, le Nozze di Cana ora al Louvre; dieci anni dopo eseguì la Cena in casa di Levi, ora all'Accademia di Venezia, che, nell'ambito della Controriforma, gli procurò il processo dell'Inquisizione: pitture ove le capacità scenografiche, la freschezza e la novità del colorito si affermarono altamente. Fra le sue opere più significative vanno ancora ricordate: le Cene di Dresda, di Brera e di Monte Berico. Contemporaneamente a questi conviti, dipinse moltissime altre tele di vario argomento, dove però sempre s'affermano quella sua tendenza al sogno gaio, brillante, ritmato, e quella sua virtù d'esprimerlo, non già con la densa e profonda orchestrazione tizianesca, o col balenante notturno del Tintoretto, ma con l'accordo, leggerissimamente tramato, dei colori squillanti e vivi: e insieme quel suo carattere, impropriamente detto esteriore, che lo porta a scegliere argomenti profani o a trattare profanamente argomenti sacri. Si ricordano: la Famiglia di Dario ai piedi di Alessandro (1565-67, Londra, National Gallery); i ritratti, o gruppi di ritratti, a Firenze, a Dresda, ad Amsterdam, e alcune composizioni di soggetto sacro. Sensibile negli ultimi anni agli esempi di Tiziano, del Tintoretto, del Bassano che ne arricchirono tecnicamente l'arte, per il rinnovamento del Palazzo Ducale, dopo l'incendio del 1576, eseguì le magnifiche tele di soggetto allegorico, la Vittoria di Lepanto, la prodigiosa decorazione della Sala del Maggior Consiglio. La pittura di P. V. fu tra le poche di altezza veramente suprema, e di una purità forse unica. Giacché in nessun artista, come in lui, il cosiddetto contenuto non vale se non in quanto dà concretezza all'armonia delle forme raffaellescamente equilibrate in un riposato ritmo, e al brillare dei colori, i quali, pur impeccabilmente accordandosi in un insieme intonatissimo, non rinunciano mai all'individualità del loro timbro particolare, alla chiarezza della loro voce, all'intensità della loro vita. Storicamente fu un rinnovatore formidabile, sebbene a scadenza assai lunga: il seme ch'egli gettò nel Cinquecento, difatti, non fiorì rigoglioso che nel Settecento. Al suo tempo ebbe l'incondizionata adorazione dei contemporanei; fu posto tra i tre grandi numi tutelari della pittura veneziana (alla quale, poi che si faceva per via dell'eredità tizianesca piuttosto nebulosa, diede quasi una nuova verginità); rialzò il tono emotivo della città inspirandole una rinnovata e trionfante gioia di vivere. ׫P. V. educò all'arte i figli Carlo e Gabriele, e il fratello minore Benedetto: v. Caliari, Carlo; Caliari, Benedetto.

Luca Cambiaso
https://youtu.be/elIPp4TEk1M


Pittore e scultore (Moneglia 1527 - Madrid 1585). Scolaro e collaboratore del padre, Giovanni (1495-1577 circa), negli affreschi di pal. Doria (ora prefettura di Genova). Attento all'arte di Perin del Vaga e del Pordenone, ma anche del Beccafumi, il C. addolcì poi le forme segnate dal gigantismo delle proporzioni e da insoliti scorci delle opere giovanili con una personale elaborazione delle esperienze luministiche e cromatiche dei veneti. Di grande importanza fu anche la sua intensa amicizia e collaborazione con G. Alessi e G. B. Castello. Dopo il 1555 creò con feconda invenzione, per palazzi e chiese genovesi, affreschi e dipinti di soggetto sacro e profano, raggiungendo effetti di massima teatralità e, nelle opere più tarde, di solenne grandiosità: Il ratto delle Sabine (Villa Imperiale); Il ritorno di Ulisse (pal. Grimaldi, ora della Meridiana); Resurrezione e Trasfigurazione (S. Bartolomeo degli Armeni); affreschi con scene della vita della Vergine (duomo, capp. Lercari); affreschi con storie e ritratti della famiglia Lercari e storia di Niobe (pal. Lercari, Via Garibaldi), ecc. E ancora sono da ricordare La Pietà, nella chiesa di Carignano, gli intensi notturni (Cristo davanti a Caifa, Madonna della candela a pal. Bianco, varie versioni del Presepe) e i numerosi e incisivi disegni. Nel 1583 fu chiamato da Filippo II per la decorazione dell'Escuriale. Della sua attività di scultore è testimonianza la statua della Prudenza nel duomo di Genova.

Giambologna
https://youtu.be/KkR_KSDsL0s


Scultore (Douai 1529 - Firenze 1608). Ad Anversa (1540) apprese la scultura da J. du Broeucq. Recatosi a Roma insieme a F. e C. Floris, avvicinò Michelangelo. Si recò nel 1562 a Firenze, ove fu protetto da Francesco de' Medici, che aveva acquistato una sua Venere, ed eseguì il gruppo, ora perduto, di Sansone che atterra il filisteo. Al 1563-67 risale la fontana con il Nettuno sulla piazza omonima di Bologna, concepita e animata in modo da ricordare l'Ammannati, grandiosa nell'idea del colosso che placa i flutti, concettosa ed elegante nelle maschere, nelle cartelle, nei putti e, nell'insieme, tipica espressione della teatralità manieristica. La fontana dell'Oceano in Boboli a Firenze mostra invece l'influsso del Tribolo. Si accentua qui la ricerca, già propria di altre importanti opere del G. conservate nella stessa città (il Mercurio in bronzo, ora al Bargello, eseguito nel 1572 per la villa Medici a Roma; Venere, a Boboli; Ratto delle Sabine, del 1580-83, nella loggia dei Lanzi), del movimento in masse contrapposte e serpentinate, secondo un acuto spirito manieristico. Il Mercurio, elegante capolavoro, in cui, contraddicendo le norme del classicismo, la figura sorge dal basso in alto priva di peso, presuppone la visione di opere di B. Cellini; e come contrapposto al Perseo di Cellini era stato concepito il gruppo della loggia dei Lanzi, dapprima destinato a raffigurare Andromeda rapita da Fineo, poi, per suggerimento di R. Borghini (cui si deve una celebre esegesi del gruppo, alta testimonianza della critica d'arte del manierismo), trasformato nel soggetto di storia romana (Ratto delle Sabine), e dotato di un bassorilievo raffinatissimo in cui si amplia con gusto narrativo la storia delle Sabine. Altre opere, conservate a Firenze, rivelano la sua tecnica corretta, il gusto decorativo e l'eleganza del movimento: l'Ercole che uccide il Centauro (loggia dei Priori); i due monumenti equestri di Cosimo I (1594, piazza della Signoria) e di Ferdinando I de' Medici (piazza della Ss. Annunziata); i colossi dell'Appennino e di Giove Pluvio nella villa di Pratolino. Opere sue si trovano anche a Lucca e a Pisa. Di suprema raffinatezza i bronzetti eseguiti dal G., alcuni dei quali furono donati da Cosimo I al re d'Inghilterra.

Domìnikos Theotokòpulos detto El Greco
https://youtu.be/bnJy7-Z2gek








Soprannome con cui è conosciuto Domìnikos Theotokòpulos, pittore cretese trapiantato in Spagna (Creta 1541 - Toledo 1614). Discepolo di Tiziano, subì l'influsso del Tintoretto, di cui apprezzò il luminismo, approfondito con la conoscenza delle opere di Correggio e Parmigianino. A Toledo, che divenne la sua terza patria, produsse opere memorabili e maturò uno stile tormentato e tragico, in cui si scontrano attualità realistica ed evocazione visionaria (Entierro del conde de Orgaz, 1586, Toledo, chiesa di S. Tomé). Tra le opere principali si segnalano anche: Espolio (1577-79), per la cattedrale di Toledo, e il ritratto di Vincenzo Anastagi (1586, New York, Frick collection). Incerta è l'identificazione della prima opera del G. "madonnero" (1563-65 circa, Modena, Galleria Estense); egli si formò essenzialmente a Venezia, dove era giunto probabilmente nel 1567: come discepolo di Tiziano è ricordato da G. Clovio (1570). L'influsso di I. Bassano risulta evidente nel dinamismo della stesura cromatica (Bimbo che soffia sopra un tizzone, 1570 circa, pinac. di Napoli, museo di Capodimonte), ma soprattutto al G. fu congeniale il luminismo del Tintoretto (La Vergine, Strasburgo, Musée de beaux-arts; Ultima cena, Lugano, collezione Thyssen-Bornemizsa), mentre la sua cultura si arricchiva di elementi del Correggio, del Parmigianino e anche di Michelangelo, Raffaello e Dürer. A Roma (1570-72) fu in contatto con la cerchia del cardinale A. Farnese, sebbene si sentisse estraneo alla cultura locale e critico nei confronti degli affreschi di Michelangelo. Fu, forse, ancora a Venezia, e quindi in Liguria, prima di partire (1576) per la Spagna: a Toledo produsse opere memorabili, e alcune stupende. La sua arte assunse una voce insolita: nell'Espolio (1577-79) per la cattedrale, la composizione addensa le figure e le luci divengono lividi barbagli; tragico, carico d'intensità espressiva è il già citato Entierro del conde de Orgaz (1586, chiesa di S. Tomé), ispirato a una leggenda toledana, interpretata dal G. in un acuto scontro di attualità realistica e di evocazione visionaria. Nel 1579 per Filippo II dipinse il Trionfo del Nome di Gesù (detto anche Il sogno di Filippo II) per la cappella dell'Escorial e il Martirio di s. Maurizio (1582), sempre per l'Escorial, che non soddisfece le esigenze di cupa religiosità del re; il G. si ritirò definitivamente a Toledo.

Michelangelo Merisi o Amerighi detto il Caravaggio
https://youtu.be/GpOV6Uo3zxI









Pittore (Milano 1571 - Porto Ercole 1610), detto C. dal paese d’origine della famiglia. Allievo di S. Peterzano a Milano (1584), intorno al 1592 andò a Roma, dove il Cavalier d’Arpino lo avrebbe applicato «a dipingere fiori e frutta». Protetto dal cardinale F. M. del Monte e da V. Giustiniani, C. approfondì la sua ricerca naturalista, legata alla sua formazione a contatto con la pittura lombardo-veneta (L. Lotto, il Moretto, G. B. Moroni, G. G. Savoldo), in composizioni allegoriche, religiose (Riposo nella fuga in Egitto e la Maddalena, Roma, Galleria Doria Pamphilj), e più ancora in quadri un tempo considerati di genere, come il Bacco (Firenze, Uffizi), il Bacchino (Roma, Galleria Borghese), il Ragazzo con canestro di frutta (ivi), la Buona ventura (Parigi, Louvre), il Concerto (New York, Metropolitan Museum), il Canestro di frutta (Milano, Pinacoteca Ambrosiana). Abbandonò poi le tematiche poetiche ed elegiache dei quadri giovanili per sviluppare una pittura più drammatica, basata sul contrasto tra luce e ombra, sull’immanenza e la reale e quotidiana rappresentazione del divino. Nel 1599 ebbe l’incarico di decorare con Storie di s. Matteo la cappella Contarelli in S. Luigi dei Francesi, prima opera pubblica: la Vocazione di s. Matteo rappresenta l’iniziale manifestazione del suo stile maturo, in cui l’evento sacro viene drammaticamente sottolineato dall’uso e dalla dialettica tra luce e ombra. L’opera suscitò polemiche e scandalo (secondo alcune fonti sarebbe stata richiesta una seconda versione della pala d’altare) e avviò la celebrità dell’artista. Dopo i dipinti della cappella Contarelli, C. creò una serie di opere assai importanti sia per l’innovazione iconografica sia nella struttura compositiva: la Crocifissione di s. Pietro e la Conversione di s. Paolo per la cappella Cerasi in S. Maria del Popolo (eseguite in due versioni, 1601-05), la Deposizione (Pinacoteca Vaticana), la Madonna dei Pellegrini (S. Agostino), la Madonna dei Palafrenieri (Roma, Galleria Borghese), la Morte della Vergine (Parigi, Louvre), le due versioni della Cena in Emmaus (1602, Londra, National Gallery e 1606, Milano, Brera). Costretto alla fuga per un omicidio compiuto nel 1606 durante una rissa, passò a Napoli, di lì a Malta, ove nel 1608, nominato cavaliere di grazia ma poi imprigionato, evase, soggiornando quindi in Sicilia e a Napoli; di qui, nel tentativo di tornare a Roma approdò a Porto Ercole, possedimento spagnolo, e vi morì. Ovunque aveva lasciato opere altissime, di un’intima e cupa drammaticità: le Sette Opere di Misericordia (Napoli, Pio Monte della Misericordia), la Decollazione del Battista a Malta (La Valletta, Cattedrale), il Seppellimento di s. Lucia (Siracusa, S. Lucia), l’Adorazione dei Pastori e la Resurrezione di Lazzaro (Messina, Museo Regionale). L’originalità del suo fare artistico, sempre riconosciuta, seppure in modo controverso, ha determinato soprattutto nel 20° sec. interpretazioni critiche di segno diverso, ponendo l’artista in vario modo in relazione con l’ambiente culturale e religioso del tempo.

Guido Reni
https://youtu.be/nBhgEJkztPs

Pittore (Bologna 1575 - ivi 1642). Tra i maggiori artisti del tempo, molto apprezzato dai contemporanei, operò a Roma, a Napoli ma soprattutto nella sua città natale. Vicino al classicismo carraccesco seppe darne un'interpretazione personale e controllata, che al di là dello studio dei classici lascia intravedere un reale apprezzamento della corposità barocca, all'interno di una struttra elegante e rigorosa e di un altissimo uso del colore. Vita e opere.Allievo del pittore fiammingo D. Calvaert (1585-94), entrò poi nell'Accademia dei Carracci. Nelle prime opere (Incoronazione della Vergine, Bologna, Pinacoteca Nazionale) si nota ancora l'insegnamento di Calvaert, insieme all'influsso di Annibale e Ludovico Carracci. Dopo un periodo di collaborazione con l'Accademia (Resurrezione, 1596-97, Bologna, S. Domenico), se ne allontanò ponendosi in aperto contrasto con L. Carracci e raggiungendo una rapida affermazione personale (affreschi in palazzo ex Zani, 1598; Madonna con s. Domenico e i misteri del Rosario, 1598-99, santuario di S. Luca; Assunzione, 1599-1600, Cento, parrocchiale). Nel 1601 fu chiamato a Roma dal card. P. E. Sfondrato, per eseguire dipinti in S. Cecilia (Martirio della santa e Incoronazione dei ss. Cecilia e Valeriano); rimase nella città con brevi interruzioni fino al 1614 (decorazione del chiostro di S. Michele in Bosco a Bologna, 1603-04), e vi tornò nel 1621 e nel 1627. Qui arricchì le proprie esperienze, fino a porsi in confronto con Caravaggio (Crocifissione di s. Pietro, 1604-05, Roma, Pinacoteca Vaticana; SS. Pietro e Paolo, Brera; David e Golia, Louvre): l'uso di soluzioni caravaggesche viene fuso ed equilibrato nello stile personale e idealizzante dell'artista. Dal 1608 iniziò l'attività per la famiglia Borghese a Roma, per tramite del Cavalier d'Arpino (affreschi nella Sala delle nozze Aldobrandini e nella Sala delle Dame in Vaticano; S. Andrea condotto al martirio, 1609, S. Gregorio al Celio; dipinti nella cappella dell'Annunciata, 1609-10, palazzo del Quirinale; decorazione della cappella Paolina, 1610-12, S. Maria Maggiore; L'Aurora, 1613-14, casino di palazzo Rospigliosi), continuando nel frattempo ad assolvere commissioni bolognesi (Strage degli innocenti, 1610, Bologna, Pinacoteca Nazionale). A Bologna R. si affermò come il maggiore artista del tempo, dando un'interpretazione personale del classicismo carraccesco basata sullo studio di Raffaello, Correggio, Veronese e guardando a Rubens e alla scultura contemporanea, con opere caratterizzate dalla struttura elegante e serrata e dal magistrale uso del colore (S. Domenico in gloria, 1613-14, S. Domenico; Pietà per la chiesa dei Mendicanti e Crocifissione per la chiesa dei Cappuccini, ambedue nella Pinacoteca Nazionale; Assunzione, 1616-17, Genova, S. Ambrogio o chiesa del Gesù; Gesta di Ercole, 1617-21, Louvre). Dal terzo decennio R. introdusse nei suoi dipinti l'uso di una luce argentea e di toni chiari e preziosi (Annunciazione e Consegna delle chiavi, 1620-26, Fano, S. Pietro in Valle; Trinità, 1625, Roma, Ss. Trinità dei Pellegrini). Per tramite del card. B. Spada eseguì il Ratto di Elena (1629, Louvre) per Maria de' Medici; del 1631 è la Pala della peste (Bologna, Pinacoteca Nazionale) e del 1635-36 il S. Michele Arcangelo in S. Maria della Concezione a Roma. Le ultime opere presentano una pennellata libera e sfaldata e un aspetto abbozzato, solo in parte dovuto a un'effettiva assenza di finitura causata dalla morte dell'artista (Madonna con Bambino e s. Giovannino, Firenze, coll. R. Longhi; Cleopatra, Roma, Pinacoteca Capitolina).

Peter Paul Rubens
https://youtu.be/tQC-tnpFK_A



Pittore (Siegen, Vestfalia, 1577 - Anversa 1640). Nato in Germania, dopo la morte del padre (1587), si trasferì con la famiglia ad Anversa (1589), dove frequentò prima la bottega del pittore di paesaggi Tobias Verhaecht, in seguito (1692) quella di A. van Noort e quindi (1595-97) proseguì il suo apprendistato presso il pittore di tradizione romanista O. van Veen, l'unico ad avere avuto una certa importanza per la formazione del giovane artista. Nel 1598 R. venne ammesso in qualità di maestro nella gilda di San Luca di Anversa. Nel maggio del 1600 partì per un viaggio di studî in Italia; fu prima a Venezia quindi a Mantova dove Vincenzo Gonzaga gli diede l'incarico di pittore, incarico che manterrà durante tutti gli otto anni del soggiorno italiano. Nell'ottobre era a Firenze, quindi a Genova e nel 1601 raggiungeva Roma con l'incarico di copiare quadri per il suo protettore. Durante questo primo soggiorno romano (1601-02), negli anni in cui erano già attivi i Carracci e Caravaggio, R. eseguì per S. Croce in Gerusalemme il Trionfo di sant'Elena, l'Incoronazione di spine (ora Grasse, cattedrale) e l'Innalzamento della croce (perduta), opere in cui, accanto a reminiscenze dell'arte fiamminga tardo manierista, si mescolano una serie di citazioni italiane (in primo luogo la pittura veneta cinquecentesca) non ancora bene padroneggiate. Degli stessi anni sono il Compianto sul corpo di Cristo (Roma, Galleria Borghese) e il Martirio di san Sebastiano (Roma, Galleria nazionale d'arte antica; datato però anche al secondo soggiorno romano). Nel 1603 il duca di Mantova inviò R. in missione diplomatica a Madrid presso Filippo III; qui ebbe modo di studiare le splendide collezioni reali (copiò tele di Tiziano) e di dimostrare le eccezionali doti di diplomatico che furono oggetto di costante ammirazione da parte dei contemporanei. Alla fine del 1604 era a Mantova e l'anno successivo nuovamente a Roma, dove nel settembre del 1606 ricevette l'incarico di dipingere la tela dell'altare maggiore della Chiesa Nuova. La prima versione con San Gregorio Magno e altri santi venerano l'immagine della Vergine (1606-07, Grenoble, Musée des Beaux-Arts) venne rifiutata (probabilmente per motivi iconografici) e l'anno successivo R. eseguì su ardesia i tre dipinti tuttora nella chiesa (Vergine in gloria adorata dagli angeli, Santi Gregorio, Mauro e Papiano e Santi Domitilla, Nereo e Achilleo): sono evidenti riferimenti a Correggio, Tiziano e Veronese, ma sono soprattutto straordinarie la dilatazione spaziale, la magniloquenza dei gesti, la ricchezza dei panneggi, tutti elementi che diverranno tipici del barocco romano. Nel 1606 aveva momentaneamente interrotto il soggiorno romano per un viaggio a Genova dove lasciò tra l'altro alcuni splendidi ritratti (Ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria, 1606, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola; Ritratto della marchesa Brigida Spinola Doria, 1606, Washington, National Gallery of Art). Nell'ottobre del 1608, venuto a conoscenza della malattia della madre, partì da Roma alla volta di Anversa abbandonando per sempre l'Italia. L'anno successivo fu nominato pittore degli arciduchi Alberto d'Austria e Isabella, dei quali fu uno dei consiglieri ed ebbe da loro importanti incarichi politici, sposò Isabella Brant, si costruì una casa e aprì uno studio frequentato da un gran numero di allievi che collaborarono attivamente alle grandi imprese decorative del maestro. L'opera pittorica di R. è sterminata; il suo grande talento si evolve lentamente ed egli trova un suo stile personale solo dopo il rientro dall'Italia, meditando costruttivamente su quelle esperienze. Nel trittico della Erezione della croce (1610-11, Anversa, Notre-Dame) il suo stile è audacissimo, dal dinamismo intenso, dalle potenti forme alla rapida e salda fattura; nella successiva Deposizione dalla croce (1611-14, Anversa, Notre-Dame) il parossismo dei movimenti si placa in una maggiore ricerca di classicità e di nobile grandiosità. Il suo stile drammatico giunge alla piena fioritura con opere come il Grande giudizio universale (1515-16), la Battaglia delle amazzoni (1615-18) e il Piccolo giudizio universale (1618-20) e la Caduta dei dannati (1621) conservate a Monaco nella Alte Pinakothek. Dal 1620 in poi R., coadiuvato dalla sua fiorente bottega, sarà impegnato in alcune grandi imprese decorative (che produrranno un'immensa produzione grafica, di rapida esecuzione e limpidezza estrema, e un gran numero di bozzetti eseguiti a olio) caratterizzate da un dinamismo travolgente, da una fattura pittorica rapida e da un intenso e vibrante cromatismo. Dopo l'esecuzione delle 39 tele per il soffitto della chiesa dei gesuiti di Anversa (1620; distrutte da un incendio nel 1718), R. si dedicò alla realizzazione di quella che è forse la sua impresa più celebre, la decorazione della galleria del palazzo del Lussemburgo a Parigi con la Storia di Maria de' Medici (1521-25, Louvre; 22 tele, solo in parte autografe). Non poté poi portare a termine la prevista galleria ispirata alla vita di Enrico IV di Francia (si conoscono solo 9 composizioni, tra cui il Trionfo di Enrico IV, 1628-29, Uffizî), ma eseguì invece i disegni per gli arazzi destinati al convento delle carmelitane scalze di Madrid raffiguranti il Trionfo dell'eucarestia (1625-28). Questi anni sono anche caratterizzati da una straordinaria produzione di ritratti (Ritratto dell'infanta Isabella Clara Eugenia di Spagna in abiti da clarissa, 1625, Firenze, Galleria Palatina; Ritratto di Suzanne Fourment, 1625, Londra, National Gallery; Ritratto di Isabella Brant, 1625-26, Uffizî; Ritratto di Elisabetta di Borbone, 1628-29, Vienna Kunsthistorisches Museum). Nel 1626 era intanto morta la moglie di R. e il pittore, disperato, accettò numerosi incarichi diplomatici che lo portarono in Francia, Spagna, Olanda e Inghilterra (1627-29). Tornato ad Anversa nel 1630 si risposò con Hélène Fourment che gli ispirerà dei bellissimi ritratti caratterizzati da una stesura del colore più calda e intrisa di luce (Ritratto di Hélène Fourment e i figli Clara Johanna e Frans, 1636-37, Louvre; Ritratto di Hélène Fourment, 1638, Vienna, Kunsthistoriches Museum; ecc.). I maggiori incarichi degli ultimi dieci anni di vita di R. furono la decorazione della Banqueting Hall di Whitehall a Londra (1629-34), i disegni e i modelli per gli arazzi con la Storia di Achille (1630-32), la direzione degli addobbi per l'entrata trionfale ad Anversa del cardinale Infante Ferdinando (1635) e le decorazioni per il padiglione di caccia della Torre de la Parada, vicino a Madrid, con episodî delle Metamorfosi di Ovidio (1637-38).

Domenico Zampieri detto il Domenichino
https://youtu.be/S2rUCfVWcWA

Pittore, nato a Bologna il 21 ottobre 1581, morto a Napoli il 6 aprile 1641. Prima scolaro di Dionigi Calvaert, poi dei Carracci, a Bologna. Con Annibale Carracci, del quale fu aiuto negli affreschi della Galleria Farnese, lo si trova intorno al 1602 a Roma. Nel palazzo Farnese gli si possono ascrivere alcuni affreschi, tra altri: la Morte di Adone, Apollo e Giacinto, Narciso alla fonte, e, nella Galleria, la Vergine con l'alicorno. La prima opera interamente di sua mano è la Liberazione di S. Pietro, nella sacrestia di S. Pietro in Vincoli a Roma. Seguono tre lunette nel portico della chiesa di S. Onofrio. A questo periodo iniziale vanno riferiti due ritratti del cardinale Girolamo Agucchia (Roma, Galleria Corsini; Firenze, Uffizî) e il sepolcro del porporato in San Pietro in Vincoli; forse anche la Messa di S. Gregorio della Bridgewaterhouse a Londra, e l'Adorazione dei pastori nella Galleria di Dulwich (Londra). Opere giovanili sono anche molti paesi, generalmente di piccole dimensioni (Roma, Gallerie Doria e Capitolina; Londra, Galleria Nazionale; Madrid, Prado, ecc.). Del 1608 è l'affresco rappresentante il Martirio di S. Andrea nella cappella di S. Andrea annessa alla chiesa di S. Gregorio Magno a Roma, e quasi contemporanei risultano altri affreschi della Villa Aldobrandini a Frascati e del castello di Bassano di Sutri (1609). Opera di maggiore importanza fu la decorazione della cappella Farnese nell'abbazia di Grottaferrata presso Roma, con storie di San Nilo, compiuta nel 1610. Fra questi affreschi e la Comunione di S. Gerolamo (Pinacoteca Vaticana) del 1614, non vi sono lavori di sicura datazione, ma probabilmente anteriori ad essa vanno considerati gli affreschi in S. Luigi de' Francesi a Roma (1611-14). Del 1615 è l'Angelo Custode del Museo nazionale di Napoli e coevo ad esso si può ritenere un affresco nel palamo Costaguti a Roma, rappresentante la Verità scoperta dal Tempo. Del 1617 è l'Assunta, nel mezzo del soffitto della chiesa di S. Maria in Trastevere, del quale il disegno fu dato dal Domenichino. Verosimilmente intorno a quest'anno è da porsi l'autoritratto degli Uffizî, la Caccia di Diana e la Sibilla della Galleria Borghese a Roma. Fra il 1621-23 furono eseguite, verosimilmente, le due grandi tele raffiguranti la Madonna del Rosario e il Martirio di S. Agnese, ora nella Pinacoteca di Bologna. Del periodo 1624-28 è la decorazione dei pennacchi della cupola di S. Andrea della Valle a Roma. Segue la decorazione, di minore rilievo, della cappella Bandini in S. Silvestro al Quirinale e, probabilmente, la pala di Brera, già in S. Petronio dei Bolognesi a Roma. Nel 1630 il D. terminò gli affreschi nei pennacchi della cupola in S. Carlo ai Catinari di Roma, e nello stesso tempo dové eseguire il Martirio di S. Sebastiano, ora in S. Maria degli Angeli. L'attività del D. si chiude a Napoli con la decorazione della cappella del Tesoro in duomo, commessagli nel 1630: opera interrotta dalla morte, avvenuta non senza sospetto di veleno. Altre opere del D. degne di menzione, fra le molte che gli si ascrivono, sono la Susanna (Monaco, Galleria); il David di Versailles; il ritratto di Vincenzo Scamozzi (Berlino, Museo), ecc. Della sua attività di architetto (il D. nel 1621 era stato nominato architetto del palazzo apostolico) s'indicavano come massimo segno i progetti per la chiesa di S. Ignazio a Roma, ma senza fondamento. Nella ricca serie di disegni suoi conservati nella biblioteca del castello reale di Windsor (circa 1750), si hanno alcuni saggi di architetture, nello spirito di Michelangelo, del Palladio e delle fabbriche barocche di Roma; è noto anche che costruì qualche monumento sepolcrale, qualche cappella, forse qualche chiesa, come la "Crocetta" a Bologna; ma nulla autorizza a vedere in lui un vero e proprio architetto.

Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino
https://youtu.be/55aKom1mDB0

Pittore (Cento 1591 - Bologna 1666). Ritenuto uno degli artisti più rappresentativi della fase matura del barocco, la sua abilità tecnica e l'originalità del tocco ebbero notevole influsso sull'evoluzione delle decorazioni nel 17° secolo. La produzione del G. del tutto scevra dalle pesantezze e opacità che intralciano alcuni artisti coevi, è caratterizzata da forti contrasti di luce e da ombreggiature ariose che, pur non divenendo mezzo per ottenere valori costruttivi come nel Caravaggio, creano una freschezza e una trasparenza caratteristiche. Tra le sue opere più significative si ricordano il S. Guglielmo d'Aquitania (1620, pinac. di Bologna) e il Cristo che appare alla Maddalena (1630, pinac. di Cento). Studiò con B. Bertozzi e poi con B. Gennari il Vecchio; più tardi, attraverso G. B. Cremonini, entrò in contatto con l'ambiente artistico dei Carracci, e fu specialmente attratto dal pittoricismo di Ludovico. A Ferrara nel 1616 attraverso lo Scarsellino ebbe un primo contatto con i modi pittorici veneziani, che ebbe poi occasione di sviluppare durante il suo soggiorno a Venezia (1618), con lo studio dei grandi maestri veneziani del 16º sec. Opere. Le opere del primo periodo (1615-20), ma specialmente quelle posteriori al soggiorno veneziano (Susanna: museo del Prado; il summenzionato S. Guglielmo d'Aquitania) hanno un colorito caldo e intenso, effetti di luce e ombra, e rappresentano indubbiamente la miglior parte della sua opera. Chiamato a Roma da Gregorio XV (1621), vi dipinse, tra l'altro, la Maria Maddalena della Pinac. Vaticana, la Sepoltura di s. Petronilla della Gall. Capitolina, la mirabile decorazione, con l'Aurora, nel Casino Ludovisi. Questa, con la libertà della composizione e l'efficacia cromatica e luministica, in netto contrasto con la serrata quadratura del Tassi, si pone come un fatto totalmente nuovo nell'ambiente romano e più precisamente in netta contrapposizione con la classica realizzazione dello stesso soggetto di Guido Reni al Palazzo Rospigliosi. Tornò a Cento nel 1623 e vi rimase, lavorando intensamente fino al 1642, quando si stabilì a Bologna. Del 1626 è la decorazione della cupola del duomo di Piacenza; del 1630 il già citato Cristo che appare alla Maddalena, opera celebratissima, ma che già tradisce la prossima crisi dell'artista. L'influenza di G. Reni si fa sempre più netta e, con essa, l'arte del G. si volge a modi accademici, sia nella composizione, sia nel colorito, sia nella fattura, sia infine nei temi e nei motivi. Inesistente o almeno assai debole fu l'influenza del Caravaggio sul primo stile del Guercino. La trasformazione subita dalla pittura del G. è la prova più patente della crisi della cultura artistica che avvenne verso il 1630 e che portò al trionfo del cosiddetto "classicismo barocco".

Nicolas  Poussin
https://youtu.be/aiHvRj2TeUo



Pittore (Les Andelys, Normandia, 1594 - Roma 1665), tra i massimi esponenti del classicismo barocco. Allievo del pittore manierista Q. Varin (1611), nel 1612 si trasferì a Parigi dove, dopo un breve e insoddisfacente apprendistato presso F. Elle e G. Lallemant, si rese indipendente, accettando commissioni casuali per sostenersi. Interrotti, forse a causa di malattie, due tentativi di recarsi a Roma (1620, 1621), rientrò a Parigi dove i gesuiti lo incaricarono di dipingere sei grandi tempere per la canonizzazione di s. Ignazio (1622; perdute); collaborò poi con Ph. de Champaigne alla decorazione dell'appartamento di Maria de' Medici (1623; perduta). In quegli anni avvenne l'incontro con G. B. Marino per il quale eseguì dei disegni illustranti le Metamorfosi di Ovidio (Windsor Castle) che, unica testimonianza rimastaci del periodo preromano, indicano una formazione ancora manieristica. Incoraggiato da Marino, ripartì per Roma dove, dopo un breve soggiorno a Venezia, giungerà all'inizio del 1624. Con lo scultore F. Duquesnoy disegnò e misurò le statue antiche, copiò i Baccanali di Tiziano, ammirò i pittori bolognesi (in particolare il Domenichino) e Raffaello. Tra i primi committenti di P. vi fu il cardinale Francesco Barberini, ma più importante fu l'amicizia con Cassiano Dal Pozzo, conoscitore d'arte e appassionato studioso dell'antichità. Grazie a Dal Pozzo, a Barberini e a Bernini ricevette la commissione di dipingere il Martirio di s. Erasmo per S. Pietro (1629, Pinacoteca Vaticana), in cui è già visibile la meditazione classicista di P., che fu accolto però abbastanza freddamente. In seguito l'artista non cercherà più commissioni ufficiali, preferendo dedicarsi a tele di minori dimensioni, destinate a collezionisti privati. P. realizzò quadri religiosi (Strage degli innocenti, 1627 circa, Chantilly, Musée Condé) e di soggetto storico, in cui espresse in forme severe e contenute l'aspirazione a un linguaggio ricco di significati filosofici e universali (Morte di Germanico, 1626-28, Minneapolis, The Minneapolis institute of arts). L'artista predilesse però soggetti mitologici e raffigurazioni arcadiche, così influenzati dallo studio di Tiziano da far parlare di un P. "neoveneto" (Pastori d'Arcadia, 1627 circa, Chatsworth, collezione del duca di Devonshire; Trionfo di Flora, 1627 circa, Louvre; ecc.). P. sviluppò anche un intenso interesse per il paesaggio, studiato dalla natura in splendidi disegni, che assunse nei suoi dipinti un ruolo fondamentale e lirico in rapporto alla storia narrata (Apollo e Dafne, Monaco, Alte Pinakothek; Cefalo e Aurora, Londra, National Gallery). Dopo il 1633 P. recuperò una concezione formale più rigorosa; lo stile si fece più controllato, il disegno prevalse sul colore e l'idea sul sentimento. Ai soggetti sacri (Passaggio del Mar Rosso, 1634, Melbourne, National Gallery of Victoria; Adorazione del vitello d'oro, 1635 circa, Londra, National Gallery) si alternarono quelli profani in cui sono più evidenti i riferimenti alla cultura rinascimentale (Trionfo di Venere, 1634 circa, Filadelfia, Philadelphia museum of art). Si può osservare una ispirazione più diretta rivolta al mondo degli antichi; la cultura classica attraverso i suoi monumenti occupò la mente di P. che raggiunse nei suoi dipinti un altissimo grado di elaborazione formale e di pensiero. Attraverso l'antico studiò le passioni umane e nuovi criterî di proporzioni e di grandezza in grado di esprimerli (prima serie dei Sette sacramenti, commissionata da Dal Pozzo, 1636-42, cinque tele a Grantham, Belvoir Castle, una a Washington, The national gallery of art, una perduta; Ratto delle sabine, 1637, Louvre). Il soggiorno parigino (1640-42) non fu ricco di soddisfazioni per P., incompreso e scontento degli incarichi monumentali affidatigli. Al ritorno a Roma la sua pittura divenne più solenne e patetica, la forma si semplificò ulteriormente, il colore divenne più astratto e quasi spento, solo a tratti ravvivato da dettagli di colore scintillante. Nella seconda serie dei Sette sacramenti, commissionata da P. Fréart de Chantelou (1644-48, Edimburgo, National gallery of Scotland), si intensificò l'intonazione solenne; la composizione è impostata su una severa simmetria e una perfetta padronanza dello spazio; le figure sembrano statue: viene eliminato tutto ciò che non è essenziale. Negli ultimi anni, funestati da una malattia alle mani che gli impedì di lavorare intensamente, P. sembrò nuovamente rinnovare il suo stile dando più importanza al paesaggio. Nel Paesaggio con i funerali di Focione (1648, Cardiff, National museum of Wales), la natura viene usata per sottolineare il carattere eroico del personaggio; nel Paesaggio con Diogene (1648, Louvre) la lussureggiante vegetazione esprime invece l'ideale del filosofo che considera la natura fonte di tutto ciò che è necessario per l'uomo; nel Paesaggio con un uomo ucciso da un serpente (1648, Londra, National Gallery) sono indagate le forze misteriose della natura; nel Paesaggio con Orione e Diana (1658, New York, The Metropolitan Museum) l'umanità ormai non è più nulla e lo stesso gigante sembra sopraffatto dalle querce che lo circondano. Le Quattro stagioni (1660-64, Louvre) sono una sintesi altissima e commovente dello stile tardo di Poussin.

Gian Lorenzo Bernini 
https://youtu.be/vL-wWMBCFD8







Architetto, scultore, pittore (Napoli 1598 - Roma 1680), figlio di Pietro. È il massimo protagonista della cultura figurativa barocca. Esordì giovanissimo, attirando su di sé l'attenzione del card. Scipione Borghese, che gli commise quattro gruppi statuarî (ora tutti conservati nella Galleria Borghese, Roma), eseguiti fra il 1616 e il 1624. Il primo, Enea e Anchise, rivela ancora l'influenza (e forse la collaborazione) del padre, mentre nel David, nel Ratto di Proserpina e specialmente nell'Apollo e Dafne, capolavoro del suo periodo giovanile, si dimostra artista compiuto, nel movimento della composizione e nel modellato pieno di sfumature pittoriche. Nel baldacchino di S. Pietro (1624-33), opera insieme di architetto e scultore, e poi nella fontana del Tritone, si precisa la ricerca berniniana di forme mosse, impostate su ritmi di linee curve; il S. Longino in S. Pietro è già una piena espressione dell'ideale barocco di una forma liberamente espansa nello spazio. Il monumento sepolcrale di Urbano VIII in S. Pietro fissa il modello del sepolcro barocco, solenne e fastoso ma intensamente pittorico nel movimento delle masse plastiche. Salito al trono Innocenzo X, il B. cadde in disgrazia; in questa parentesi amara della sua vita scolpì La Verità scoperta dal Tempo (Gall. Borghese, Roma), iniziata nel 1644, e L'estasi di s. Teresa (1647, Roma, S. Maria della Vittoria), l'opera forse più intensamente poetica dell'artista, in cui sfruttando i più sottili artifici prospettici, seppe avvolgere il gruppo di una calda luminosità. Innocenzo X, riconciliatosi col B., gli affidò l'incarico della fontana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona, compiuta nel 1651, forse il punto più alto raggiunto dall'arte barocca, per la fusione dell'elemento plastico e paesistico e per il pittorico legarsi delle forme ai giuochi d'acqua. Nel 1647 gli fu commessa la decorazione dei pilastri e delle navate di S. Pietro. Per Alessandro VII, immaginò la scenografia plastica della cattedra di S. Pietro (1661) e scolpì le statue per la cappella Chigi in S. Maria del Popolo e la Maddalena e il S. Girolamo del duomo di Siena; per Clemente X ideò la decorazione di ponte S. Angelo; fece in S. Pietro la tomba di Alessandro VII (1672-78) e la statua giacente della Beata L. Albertoni in S. Francesco a Ripa (1674). Fu anche grande ritrattista, come mostrano i suoi molti busti, di straordinaria vivezza. Enorme fu, nei secc. 17° e 18°, l'influenza del B. sulla scultura italiana e straniera. Il B. riassume l'ideale classico del Barocco romano: per il quale, infatti, il classicismo non è scolastico esempio ma modo d'intendere la realtà nella sua pienezza e universalità.  Il Bernini era già famoso come scultore quando (1625) iniziò la sua attività di architetto col rifacimento della chiesa di S. Bibiana e il restauro del pal. di Propaganda Fide. Dalla sobrietà formale di questi primi lavori si stacca di colpo col baldacchino di S. Pietro, in cui il motivo classico delle colonne tortili è svolto nell'impetuosa ascesa delle spirali. Incerta è la parte del B. nella costruzione di pal. Barberini, benché sia sicuramente sua l'audace invenzione prospettica dei finestroni a strombo; sua è la geniale impostazione prospettica del pal. di Montecitorio e suo il progetto, poi alterato, di pal. Odescalchi. Nel 1656 iniziò la costruzione del portico di S. Pietro, straordinario esempio di architettura aperta ai più larghi effetti di luce e atmosfera, e creò la Scala Regia, in Vaticano, le tre piccole chiese a pianta centrale di S. Andrea al Quirinale (1658), di Castelgandolfo (1660), dell'Ariccia (1668). Al colmo della sua fama, il B. fu invitato da Luigi XIV a preparare un progetto per la facciata del Louvre; e a tale scopo egli si recò a Parigi (1665), ma il suo magnifico disegno non fu accettato, forse per il sopravvenire, in Francia, di un più rigoroso gusto classicistico. Del soggiorno a Parigi è importante testimonianza il Diario tenutone dallo Chantelou. Il B. eseguì per Luigi XIV anche un grande monumento equestre, che ora, trasformato in parte, si trova nel parco di Versailles.

Diego Rodríguez de Silva y Velázquez
https://youtu.be/gnSItp4Oj7A


Pittore (Siviglia 1599 - Madrid 1660). Nato da famiglia della nobiltà sivigliana, entrò presto (1609) nella bottega di F. de Herrera il Vecchio, che l'anno seguente abbandonò per entrare nello studio di F. Pacheco del Río, pittore erudito e conoscitore della letteratura classica, collezionista di opere e stampe di varî artisti, che gli fu di grande aiuto nell'ingresso nella vita artistica e culturale della città. In questo periodo V. (entrato nella gilda cittadina nel 1617) unisce a una formazione letteraria e culturale l'interesse per il naturalismo e il tenebrismo, conseguendo con straordinaria maestria il dominio della rappresentazione del reale e la resa dei volumi tramite la luce, che si esplicano in quadri di genere e di natura morta (i bodegones), di grande successo presso la committenza. Sono di questi anni capolavori come L'acquaiolo (Londra, Wellington Museum) o la Vecchia che frigge le uova (Edimburgo, National gallery of Scotland), che uniscono una potente resa del volume alla forte evidenza della qualità della materia e dei contrasti di luce, insieme ad alcuni quadri religiosi concepiti come scene di genere (Cristo in casa di Marta e Maria, Londra, National Gallery) o di carattere devozionale come l'Immacolata Concezione o la Visione di s. Giovanni Evangelista (ivi). Attraverso la mediazione di Pacheco, del quale V. nel 1618 aveva sposato la figlia, il pittore ebbe nel 1623 la commissione per un ritratto equestre di Filippo IV, che ottenne un vero trionfo. Da quel momento V. rimase al servizio della corte, raggiungendo una posizione di grande prestigio. Il soggiorno madrileno ebbe un importante ruolo nell'evoluzione stilistica del pittore, che studiò assiduamente le collezioni reali di pittura, ricche in particolare di dipinti veneziani. V. si dedicò soprattutto ai ritratti dei reali e di personaggi della corte (numerosi quelli di Filippo IV e del conte duca di Olivares conservati al Prado) e a dipinti di soggetto storico-celebrativo, opere nelle quali si riscontra il passaggio verso le luminose trasparenze e i colori argentei degli anni maturi. A questo periodo appartiene I bevitori (o Festino di Bacco, Prado), che rappresenta una visione personale e di grande forza comunicativa del tema mitologico. Nel 1628 conobbe P. P. Rubens, che V. accompagnò in visita all'Escorial; certamente in conseguenza dell'incontro con il pittore, dopo la sua partenza da Madrid V. nel 1629 chiese al sovrano il permesso di compiere un viaggio di studio in Italia. Al seguito del marchese Ambrogio Spinola, col quale si era imbarcato a Barcellona, V. giunse a Genova, passando poi a Milano e quindi a Venezia, dove copiò numerose opere dal Tintoretto. Da qui raggiunse Ferrara, Cento (dove conobbe il Guercino), Bologna e Roma, dove si stabilì a Villa Medici, e ottenne il permesso di studiare in Vaticano. Le esperienze fondamentali della sensualità coloristica veneziana e dell'equilibrio della pittura bolognese, vista soprattutto per tramite del Guercino, connotano le opere eseguite a Roma, come La fucina di Vulcano (Prado) e La tunica di Giuseppe (El Escorial). Alla fine del 1630 fu a Napoli, dove eseguì il ritratto di Doña María, sorella di Filippo IV (Prado). Al ritorno a Madrid (1631) V. dipinse una nuova serie di ritratti reali, tra i quali i superbi ritratti equestri di Filippo III e Filippo IV (ivi), e varî dipinti celebrativi tra i quali la famosa Resa di Breda (detto anche Las lanzas; 1634-35, ivi). In quest'opera, che dimostra una completa maturità tecnica e concettuale, si realizza un equilibrio esemplare tra narrazione storica e realizzazione tecnica. Tra i due gruppi di personaggi in primo piano, rappresentati con equilibrio e dignità severa e resi con vivida attenzione ritrattistica, emerge il luminosissimo paesaggio, eseguito con una materia impalpabile e vibrante; il colore si schiarisce, raggiungendo tonalità grigio-argentee, e viene annullata la precisione dei contorni, lasciando al tocco fluido del pennello la costruzione della forma. Alla fine degli anni Trenta V. dipinse alcuni quadri mitologici o letterarî come Marte, Menippo, Esopo (Prado), interpretati con un tono malinconico e disincantato. Pochi i quadri di soggetto religioso, come il Cristo crocifisso, l'Incoronazione della Vergine, che rivelano il ricordo del classicismo romano, e i SS. Antonio Abate e Paolo eremita (tutti al Prado), immerso in un luminoso paesaggio. Negli anni seguenti V. proseguì la sua attività ritrattistica, nella quale figurano opere come Pablo de Valladolid (ivi), in cui si evidenzia la costruzione dello spazio senza alcun supporto di disegno geometrico ma solo tramite i valori di ombra e luce, o i numerosi ritratti di nani e buffoni di corte (Il buffone Calabacillas, ivi). Nel 1649 V. partì di nuovo per l'Italia, per fare ritorno in Spagna, su ordine del re, solo nel 1651. Il pittore doveva acquistare opere d'arte per incarico del sovrano; fu a Genova, Milano, Venezia, Bologna, Modena, Parma e Firenze. Nel 1650 era a Roma, dove fu accolto nell'Accademia di s. Luca ed eseguì il ritratto di Innocenzo X (Roma, Galleria Doria Pamphili). Per la decorazione del palazzo reale cercò, senza esito, di persuadere Pietro da Cortona a partire con lui per la Spagna, e trattò l'arrivo a corte di A. Mitelli e A. M. Colonna. Al ritorno a Madrid (1651) gli furono affidate importanti cariche, i cui obblighi assorbivano gran parte della sua attività, ed ebbe varî onori quali la nomina a cavaliere di Santiago (1659), riservata all'alta aristocrazia. Negli ultimi anni la produzione di V. fu dunque piuttosto limitata, pur segnando un ulteriore rinnovamento dei temi e dello stile; è quanto dimostrano dipinti come La Venere allo specchio (Londra, National Gallery), nella quale la decisiva lezione di Tiziano e l'apporto della pittura fiamminga e rubensiana si collegano a una vitalità e a una vibrazione della materia pittorica assolutamente nuove, o La filanda o Favola di Aracne (Prado). In quest'ultima opera, alla realistica ambientazione della scena in primo piano fa riscontro, nel fondo luminoso del quadro, l'ingannevole trattamento delle figure di Minerva e Aracne contro l'arazzo appeso alla parete, confondendosi, per voluta ambiguità, il quotidiano realismo delle filatrici con il tema mitologico espresso nello sfondo. L'attività di V. culminò nel capolavoro del 1656, Las meninas (Prado), complessa composizione ambientata nella penombra dorata di un salone del palazzo, dove l'infanta Margherita è circondata da servitrici, nani e buffoni, le immagini dei sovrani compaiono riflesse in uno specchio nello sfondo e lo stesso pittore si ritrae al cavalletto, rivolto verso lo spettatore. Nel 1660, in vista delle nozze tra l'infanta Maria Teresa e Luigi XIV, V. si recò alla frontiera francese, per allestire gli alloggi e gli apparati per l'incontro tra i due sovrani; morì al ritorno dalla sua ultima impresa ufficiale.

Harmenszoon van Rijn Rembrandt
https://youtu.be/SmI3eBds9Mw




Pittore e incisore (Leida 1606 - Amsterdam 1669). Figlio del mugnaio Harmen Gerritszoon van Rijn, penultimo di nove figli, R. fu mandato nel 1615 alla scuola latina di Leida, ma, dopo aver passato le prove per l'ammissione all'università, abbandonò gli studî (1619) per entrare come apprendista nella bottega del pittore Jacob van Swanenburgh (1571-1638), artista modesto ma a conoscenza dell'arte romana e napoletana contemporanea. Nel 1624, recatosi ad Amsterdam, entrava per soli sei mesi nella bottega di P. Lastmann, pittore che risulterà ben più importante per la sua formazione, avendo datogli la possibilità di conoscere il vivace ambiente culturale della città, aperto agli stimoli della pittura italiana ed europea. Lastmann inoltre, reduce da un lungo soggiorno in Italia (1610) e apertosi al caravaggismo tramite Elsheimer, diede a R. la possibilità di entrare in contatto con la pittura di storia e di soggetto mitologico. Forti segnali caravaggeschi provenivano anche dalla vicina Utrecht dove erano attivi pittori come H. Terbruggen, G. van Honthorst, T. van Baburen e altri. Rientrato successivamente a Leida, aprì una sua bottega che ben presto si arricchì di numerosi allievi; la prima commissione documentata (ma perduta) è del 1625. A questo primo periodo di attività risalgono dipinti di genere, alcuni ritratti familiari e dipinti di soggetto storico e religioso: La lapidazione di s. Stefano (1625, Lione, Musée des beaux-arts); L'asina di Balaam (1626, Parigi, Musée Cognacq-Jay); Tobia, Anna e il capretto (1626, Amsterdam, Rijksmuseum), dipinto che si distingue per la precisione quasi maniacale dei dettagli, per la monumentalità delle figure immerse entro un complesso gioco luministico. Il contrasto chiaroscurale si accentua nel Cambiavalute (1627, Berlino, Dahlem) dove, abbandonata la policromia accesa dei primi dipinti, si fa più evidente l'influsso del caravaggismo; il chiaroscuro è già adoperato con estrema abilità, le atmosfere create dall'artista sottolineano l'atteggiamento psicologico dei personaggi (S. Paolo in meditazione, 1629-30, Norimberga, Germanisches Nationalmuseum). Nella Presentazione di Gesù al tempio (1631, L'Aia, Mauritshuis) l'atmosfera va rarefacendosi, già compaiono sofisticate soluzioni di controluce che diverranno tipiche dell'artista. A questi anni appartengono anche alcuni dei circa ottanta autoritratti che R. dipinse durante tutta la vita (Autoritratto con baverino bianco, 1629, Monaco, Alte Pinakothek; Autoritratto con gorgiera, 1629 circa, L'Aia, Mauritshuis). Nel 1631 R. si trasferì ad Amsterdam presso il mercante d'arte Hendrick Uylenburgh che fece in modo di fargli ottenere importanti commissioni, soprattutto ritratti. Tutti i ritratti realizzati in questo primo periodo ad Amsterdam sono di alta qualità e sono caratterizzati da una approfondita osservazione psicologica, nonché da una sapiente costruzione spaziale e da un'illuminazione che crea forti ombre marcate (Ritratto di Maurits Huygens, 1632, Amburgo, Kunsthalle; Ritratto di Jacob De Gheyn III, 1632, Londra, Dulwich College; Ritratto del costruttore navale con la moglie, 1633, Londra, Buckingham Palace; ecc.). Con La lezione di anatomia del dottor Tulp (1632, L'Aia, Mauritshuis) R. rivoluziona il concetto tradizionale dello statico "ritratto di gruppo", affrontando una delle specialità più richieste della pittura olandese del sec. 17°, cioè il ritratto di gruppo di membri delle corporazioni cittadine: le figure, osservate e quasi indagate psicologicamente, sono colte nell'atto di parlare e gesticolare. Nel 1633 R. si fidanzò con Saskia Uylenburgh, nipote del mercante, acquisendo poi con il matrimonio la cittadinanza di Amsterdam ed entrando nella gilda di San Luca. La giovane donna apparirà molto spesso nei dipinti del marito, ricchi in questo periodo di esotiche atmosfere e atti a rappresentare il raggiungimento di un nuovo status sociale; il colore, filtrato nella sua luminosità, si accende all'improvviso, risplende in alcuni tocchi di memoria rubensiana (Ritratto di Saskia con cappello, 1634, Kassel, Staatliche Kunstsammlungen; Ritratto di Saskia in veste di Flora, 1634, San Pietroburgo, Ermitage; R. e Saskia, 1635 circa, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen; ecc.). Agli anni Trenta risale anche una delle rare commissioni ufficiali ricevute da R.: la serie dei cinque quadri con episodî della vita di Cristo richiestigli dallo statolder Federico Enrico (1632-46). A quadri di piccolo formato come il Ratto di Ganimede (1635, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen) e la Susanna e i vecchioni (1636, L'Aia, Mauritshuis) R. alterna dipinti di grandi dimensioni in cui è evidente la sua ambizione di rivaleggiare con la grande pittura barocca (Sacra Famiglia, 1634 circa, Monaco, Alte Pinakothek; Sansone accecato dai Filistei, 1636, Francoforte, Städelsches Kunstinstitut). La produzione artistica autografa di R., ormai circondato da una vastissima cerchia di allievi, sembra diminuire nella seconda metà degli anni Trenta, anni in cui il pittore cominciò a interessarsi anche del commercio di oggetti d'arte, collezionando quadri, disegni, armi, incisioni e altre curiosità. Nel 1639 acquistò una vasta dimora il cui pagamento gli procurerà crescenti preoccupazioni finanziarie, aggravate dalla nascita del figlio Titus (1641), dalla morte della moglie (1642) e dai problematici rapporti con la nutrice del figlio. Il quarto decennio, che pure si apre con un'opera straordinaria come la cosiddetta Ronda di notte (1642, Amsterdam, Rijksmuseum) in cui la luce determina la costruzione del quadro, è in realtà caratterizzato da una crescente commozione interiore, dall'intensificarsi della ricerca sugli effetti luministici e dal colore caldo e profondo; giocando sugli impasti materici la sua pittura tende a un aspetto ruvido e grumoso (Cristo e l'adultera, 1644, Londra, National Gallery; Adorazione dei pastori, 1646, Monaco, Alte Pinakothek; Sacra Famiglia della tenda, 1646, Kassel, Staatliche Kunstsammlungen; Cena in Emmaus, 1648, Louvre). Gli anni Cinquanta portano al pittore una gravissima crisi finanziaria che, nel 1656, lo costringe a dichiarare bancarotta, a vendere la sua collezione (1657) e la sua casa (1658). Appartengono a questi anni l'Aristotele con il busto di Omero (1653, New York, Metropolitan museum of art), la Giovane che si bagna in un ruscello (1655, Londra, National Gallery), la natura morta con il Bue macellato (1655, Louvre) e numerosi ritratti del figlio Titus (per es., Ritratto di Titus che studia, 1655, Rotterdam, Museum Boymans-van Beuningen). R. raggiunge da un punto di vista tecnico la dissoluzione completa; il colore è steso sulla superficie a pennellate larghe, grumose; sembra quasi di trovarsi davanti a degli "abbozzi" che raggiungono però un'intensità poetica e un'espressività altissima (Negazione di s. Pietro, 1660, Amsterdam, Rijksmuseum; Ritorno del figliuol prodigo, 1662 circa, San Pietroburgo, Ermitage; La sposa ebrea, 1665 circa, Amsterdam, Rijksmuseum; Ritratto di famiglia, 1665 circa, Braunschweig, Staatliches Herzog Anton Ulrich-Museum). La produzione pittorica di R., ormai da anni isolato dagli ambienti ufficiali che non gradivano la sua pittura fatta di colore, si chiude con alcuni splendidi autoritratti di estrema libertà espressiva (Ultimo autoritratto, 1669, L'Aia, Mauritshuis). Straordinaria fu l'attività grafica di R. di cui rimangono nelle principali collezioni pubbliche e private oltre un migliaio di fogli, che si distinguono per l'intensa espressività del segno vibrante di luce. Oltre 300 sono le acqueforti di R., caratterizzate da una progressiva trasformazione luminosa sempre più ardita e drammatica. Celebri i fogli della Predica di Cristo e Le tre croci (1653-55).

Giovanni Benedetto Castiglióne detto il Grechetto
https://youtu.be/c8f9PkqVZEo

Pittore e incisore (Genova 1609 - Mantova 1663 circa). Allievo di G. B. Poggi e S. Scorza, soggiornò più volte a Roma. Il contatto con l'ambiente romano arricchì di una nuova dimensione spaziale i suoi dipinti (a Genova: Presepe, S. Luca; S. Giacomo che scaccia i mori, S. Giacomo della Marina; Immacolata di Osimo, Minneapolis, Inst. of arts, ecc.). I soggetti allegorici e le incisioni risentono anche delle rievocazioni archeologiche di Poussin.

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