Spagna e suoi domini
Da massima potenza mondiale, la Spagna nel corso del XVII solcò un lento processo di declino, che la vide costretta a rinunciare ad alcuni suoi possedimenti (come i Paesi Bassi, nel 1648) e a ritirare qualsiasi pretesa di influenza in Francia (pace di Vervins, 1698). Se da un lato le ricche colonie dell'America centrale e meridionale continuavano ad essere sfruttate proficuamente, dall'altro i possedimenti europei (a partire dall'Italia meridionale, lo Stato di Milano e lo Stato dei Presidi) vivevano una recessione economica che causava miseria, moti di ribellione e consecutive repressioni. Nonostante la situazione non facile il Seicento rappresentò il Siglo de Oro dell'arte spagnola. La sede della corte reale Madrid richiamava i migliori artisti di tutto il regno, seconda come polo attrattivo in Europa alla sola Roma. Il gusto dei sovrani si confaceva alla Controriforma, all'insegna di un'esuberante devozione religiosa. Vi convergerono Rubens, El Greco, Luca Giordano, Pompeo Leoni, ma oltre agli stranieri spiccarono gli artisti locali, che diedero vita a una stagione di irripetibile vitalità: Diego Velázquez, Francisco de Zurbarán, Bartolomé Esteban Murillo. L'architettura sposava lo stile plateresco, dalla ricca ornamentazione ispirata agli argentieri (plata significa argento in spagnolo) che divenne via via più esuberante nel corso del secolo. Tra gli altri centri iberici spiccarono Siviglia (capitale marittima della Spagna), dove attecchì precocemente il naturalismo, e Toledo, dove lavorò a lungo El Greco.
Lombardia
A Milano, sebbene i governatori spagnoli si disinteressassero della crescita culturale e artistica, si sviluppò dalla fine del Cinquecento un vivace dibattito, alimentato dalle figure degli arcivescovi Carlo e Federico Borromeo (che fondò in questi anni l'Accademia Ambrosiana), e dagli artisti da essi protetti, quali il Cerano, Daniele Crespi, il Morazzone e i Procaccini. Si trattò di un'arte improntata a una severa religiosità, ma capace anche di slanci spettacolari in realizzazioni quali i Sacri Monti.
Regno di Napoli
Napoli invece mantenne saldo il ruolo di guida artistica, favorita dall'accentramento del potere vicereale, che richiedeva alla nobiltà la presenza nella capitale e favoriva la crescita demografica e la creazione di un vasto ceto di professionisti artistici. L'edilizia prosperava, sia con restauri di edifici esistenti, che con la realizzazione di nuovi, con la presenza di architetti come Cosimo Fanzago o Giovanni Antonio Dosio. In pittura fin dal 1606 il passaggio in città di Caravaggio determinò una decisa adesione al suo naturalismo, accentuato ancor più che nel maestro, nelle opere di artisti quali Battistello Caracciolo, Mattia Preti, José de Ribera e Massimo Stanzione. A questa influenza si affiancò precocemente anche l'esempio neoveneto e classicista di Guido Reni, Domenichino, Orazio Gentileschi e Nicolas Poussin. In altri centri del regno l'influenza dell'architettura barocca spagnola produsse esuberanti declinazioni locali, come nel Salento e nella Val di Noto, spesso in risposta a pestilenze e terremoti.
Colonie del Nuovo Mondo
Nelle colonie americane infine furono i vari ordini religiosi a importare dall'Europa le forme artistiche, che vennero adattate gradualmente alle esigenze locali. Nei maggiori centri (quali Città del Messico, Puebla, Bogotà, Guadalajara, ecc.) si distinsero almeno tre fasi principali: una sobria plateresca, dal 1580 al 1630 circa, una "salomonica" (dal 1630 fino al 1710 circa) caratterizzata da un decorativismo assai deciso con ampio ricorso alle colonne elicoidali di ispirazione berniniana, e infine una nel corso del XVIII secolo caratterizzata dalla sporgenza della decorazione e da un ampio ricorso alla doratura. A Cuzco si sviluppò una pittura di immagini devozionali, semplificate nel disegno ma caratterizzate da una ricca ornamentazione e dal ricorso a una brillante cromia.
Paesi Bassi
Liberatisi dal dominio degli Asburgo, i Paesi Bassi si avviarono a diventare una delle più importanti potenze commerciali d'Europa. Delle diciassette provincie, le sette del Nord basavano la loro economia su un'attività mercantile assai sviluppata e abbracciavano la fede calvinista; quelle del Sud invece erano prevalentemente agricole e di fede cattolica. Le due zone andarono distinguendosi anche dal punto di vista artistico, col Sud legato a un'arte sacra tradizionale, e il Nord invece vide la nascita dei generi destinati alla borghesia: paesaggi, nature morte, interni domestici, scene moraleggianti, marine. Il centro dominante divenne presto Amsterdam, come sede delle più importanti attività commerciali e industriali. Qui si ebbe una forte espansione urbanistica e un generale rinnovo architettonico, ispirato a un classicismo di ascendenza italiana, di cui fu il maggiore interprete Jacob van Campen, autore del municipio cittadino (1655) in un ornato stile barocco, mentre il suo successore Pieter Jansz. Post si espresse invece con uno stile più sobrio, più tipicamente olandese. Nella seconda metà del Seicento si diffusero gli ideali di essenzialità decorativa, uniformità nei colori e nelle facciate. Tra i pittori dominarono la scena Rembrandt e i suoi seguaci (Jacob Adriaensz Backer, Ferdinand Bol, Govert Flinck, ecc.), autori di intense scene religiose per la devozione domestica e di ritratti dalla forte connotazione psicologica. A Delft, terza città dei Paesi Bassi resa ricca tra l'altro dalla cospicua produzione ceramica, si sviluppò una scuola attorno alla personalità di Carel Fabritius, con esiti ben diversi dal sofferto tizianismo di Rembrandt. Le misurate composizioni si basavano su una tavolozza prevalentemente chiara, con un interesse verso la resa spaziale di oggetti e ambienti. Si sviluppò in questo contesto la pittura di intgerni di chiese disadorni, con esponenti quali Gerrit Houkgeest, Willem van der Vliet ed Emanuel de Witte. La figura più celebre della scuola di Delft fu comunque Johannes Vermeer, creatore di delicati interni domestici, in cui il soggetto di genere spesso sottintendeva un'interpretazione in senso morale. A Haarlem operò Frans Hals, che indagò a fondo le possibilità espressive e psicologiche del ritratto, soprattutto in una serie di ritratti di gruppo per le istituzioni locali. Anversa invece diventava il centro principale dei Paesi Bassi del Sud, con una vivace scena artistica ispirata ai principi della Controriforma. La necessità di ripristinare le decorazioni nelle chiese dopo i disordini religiosi del 1566, fece nascere una generazione di pittori assai a suo agio con la pittura monumentale, tra i quali spiccarono le figure di Pieter Paul Rubens e di Jacob Jordaens, autori anche di raffinate scene mitologiche, storiche e di ritratti per la corte. La pittura riscopriva l'allegoria politica, come decorazione per le sedi delle funzioni pubbliche, dai municipi alle sedi di corporazioni delle arti. Accanto a questa pittura monumentale, Anversa propose anche una ricca produzione di piccole scene inserite in lussureggianti paesaggi, dal gusto quasi miniaturistico, in cui spiccarono artisti quali Jan Brueghel il Vecchio e Frans Francken. Utrecht, potente vescovado, mantenne il ruolo di centro chiave per la produzione dell'arte religiosa. Aveva vissuto un notevole XVI secolo con la figura di Jan van Scorel, alla cui produzione tardomanierista guardò Abraham Bloemaert. Ispirandosi anche a Bartholomaeus Spranger, a Federico Barocci, a Caravaggio e a Rubens, elaborò un sofisticato stile "arcadico". A fianco di ciò si radunarono a Utrecht e dintorni un gruppo di artisti che avevano visto a Roma le opere di Caravaggio, tra cui Hendrick Terbruggen e Gerrit van Honthorst, che si concentrarono nella resa di scene notturne illuminate da candele e animate da un realismo popolaresco.
Roma e Stato della Chiesa
Roma continuò ad essere anche per tutto il XVII secolo il polo di maggiore attrazione per qualsiasi artista in cerca di fortuna. Le ampie politiche di mecenatismo promosse da Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII erano tese a ristabilire il ruolo centrale della Chiesa di Roma nel panorama europeo, attraverso un ampio rinnovo urbanistico. A ciò vanno aggiunte le sterminate ricchezze di cardinali e alti prelati, che spesso affidavano agli artisti il ruolo di promuovere la loro immagine verso i contemporanei e i posteri. Architetti, scultori e decoratori rifacevano le facciate degli edifici sacri e civili, ne ammodernavano gli interni, creavano piazze e fontane monumentali. Di tutte le opere, il fulcro principale di tutta quell'epoca fu la nuova basilica di San Pietro. In acerrima competizione tra loro, gli artisti svilupparono a Roma nuova sensibilità "barocca", fatta di esuberanza decorativa, teatralità, illusioni ottiche e ardite sperimentazioni virtuosistiche. Tra i protagonisti assoluti Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona e Pieter Paul Rubens, Alessandro Algardi e François Duquesnoy. Facevano inoltre parte dello Stato della Chiesa gran parte dell'Emilia e della Romagna, dove sul finire del Cinquecento si era sviluppata una delle più originali fucine artistiche, l'Accademia dei Carracci, dove si era formato anche Guido Reni. Se la decorazione dei grandi complessi nobiliari era affidata a pittori virtuosi ma "rassicuranti" come Agostino Mitelli e Angelo Michele Colonna, nuove tendenze energiche nascevano con artisti quali Guercino o lo stesso Algardi, formatisi a Bologna. Tra gli allievi di Guido Reni spicca anche una donna: Elisabetta Sirani. Nelle Marche, altro territorio sotto il dominio pontificio, operano artuisti classicisti quali il Sassoferrato e Simone Cantarini. In Umbria domina invece la Controriforma, con grandi opere nate per il rinnovo degli altari delle chiese.
Venezia
Nel corso del XVII secolo Venezia subì una crisi dovuta allo spostamento del baricentro dei traffici mercantili, dal Mediterraneo all'Oceano Atlantico. Il ristagno si manifestò in una più limitata disponibilità per le committenze artistiche, eccezion fatta per alcuni cantieri come la basilica della Salute di Baldassare Longhena, autore fino ad allora ancorato all'esempio dei maestri del secolo precedente, quali Jacopo Sansovino, Palladio e Vincenzo Scamozzi (come alle Fondamente Nove). La decorazione sovraccarica della nuova facciata di San Moisè, di Alessandro Tremignon (1688), dimostra come facesse fatica a trovare una suo compiuta declinazione in Laguna lo stile barocco. Anche la pittura sembrò risentire del retaggio del secolo precedente, coi discepoli di Tiziano, Jacopo Tintoretto e Veronese ancora attivi nella prima metà del secolo (quali il Padovanino, Domenico Tintoretto, ecc.). Dalla scuola dei Bassano, oltre a complesse pala di ispirazione tizianesca, nacque anche uno stile attento al dato reale, specialmente nella resa delle figure di animali, spesso inseriti in composizioni notturne. Domenico Fetti, Pietro Della Vecchia, Sebastiano Mazzoni, oltre allo straniero Johann Liss, portarono un po' di rinnovo in un panorama spesso non all'altezza del secolo precedente. Il passaggio di Luca Giordano e l'opera di Sebastiano Ricci accesero nuove, ampie prospettive che fioriranno pienamente nel Settecento; così come il rinnovato accento sul paeseggio delle opere di Marco Ricci farà da base per la rinascita del vedutismo.
Genova
Anche Genova risentiva della crisi legata al commercio nel Mediterraneo, però il XVII secolo si aprì nel segno della continuità col periodo aureo del secolo precedente. L'apertura di via Balbi portò alla costruzione di favolosi edifici, di misurata sobrietà all'esterno e di sfarzosa esuberanza all'interno. In pittura il passaggio di Rubens e poi soprattutto di Van Dyck portarono linfa vitalissima alla scuola locale, elaborando essi stessi dei traguardi fino ad allora mai raggiunti. Van Dyck ad esempio dipinse a Genova alcuni ritratti a figura intera degli aristocratici genovesi che sono tra i più felici raggiungimenti dell'intero secolo europeo. Grechetto, Bernardo Strozzi, Domenico Piola furono tra i più originali pittori genovesi. In scultura Pierre Puget, Anton Maria Maragliano e Filippo Parodi seppero coniugare monumentalità e virtuosismo, con un modellato estremamente morbido e un'accentuazione del patetismo.
Ducato estense e Ducato farnese
A Modena e Reggio Emilia, città principali del Ducato estense lavorarono Bartolomeo Schedoni, Nicolò dell'Abate e Jean Boulanger, in opere quali la Madonna della Ghiara. A Parma, capitale del Ducato farnese, fu chiamato Agostino Carracci. Sotto la sua figura si formarono artisti rinnovatori come Giovanni Lanfranco, Alessandro Tiarini e Sisto Badalocchio. A Piacenza invece, nel rinnovamento del duomo, accorsero via via artisti forestieri (come Guercino), ma non può dirsi che vi nascesse una vera e propria scuola locale.
Toscana
Firenze, come Venezia, subiva nel XVII secolo l'influsso degli artisti del secolo precedente. Emblematica in questo senso è l'esempio in scultura del Giambologna e dei suoi allievi (Pietro e Ferdinando Tacca, Clemente e Giovanni Francesco Susini), che protrassero un gusto manierista per tutta la prima metà del secolo, almeno finché Cosimo III non spedì Giovan Battista Foggini ad aggiornarsi a Roma. Non a caso gli scultori più originali, quali Pietro Bernini o Francesco Mochi, trovarono spazio altrove. In pittura la prima metà del secolo vide l'affermarsi di un misuratissimo gusto controriformato, sotto la guida di Santi di Tito, e con artisti quali il Passignano e il Cigoli che introdussero anche un certo colorismo di ispirazione veneta. Già dal 1637 il lavoro di Pietro da Cortona a palazzo Pitti diede un esempio di vibrante dinamismo, che venne raccolto solo da alcuni artisti eccentrici, quali Giovanni da San Giovanni e poi il Volterrano. Nella seconda metà del secolo Carlo Dolci portò avanti la lezione classicista con opere dalla intensa religiosità e dalla cromia smaltata.
Ducato di Savoia
I Savoia congiunsero il loro programma di ascesa politica nello scacchiere europeo a un rinnovamento della loro capitale, Torino. Oltre le mura romane, la città si ampliava e dotata di moderni edifici, grazie a uno studio di Ascanio Vittozzi. nella prima metà del secolo i nuovi palazzi rispecchiavano l'influenza della vicina Francia (come piazza San Carlo con le chiese gemelle, il palazzo Reale o il castello del Valentino). Dopo la metà del secolo Guarino Guarini, già allievo di Borromini, seppe trasformare la città in un laboratorio di nuove idee, con le ardite costruzioni delle cupole di San Lorenzo e della cappella della Sacra Sindone, o con la creazione di palazzo Carignano.
Francia
Nel corso del XVII secolo, sebbene travagliata da continue guerre e dissidi interni, la Francia consolidò il proprio potere, e con lo stato assoluto divenne il più importante centro politico europeo. La corte di Versailles divenne, soprattutto con Luigi XIV, il simbolo della grandezza del re e della Francia. Gradualmente Parigi andava assumendo il ruolo di guida culturale, creatrice di gusti e mode, e "capitale del mondo", un primato che avrebbe mantenuto fino alla seconda guerra mondiale. Già al tempo di Enrico IV l'architettura ebbe un nuovo impulso dopo un lungo periodo di immobilità causato dalle guerre di religione. Guardando oltre lo stile manierista, si seguirono più strade: da un lato l'ordine monumentale, caratterizzato da simmetria e decorativismo barocco (con capofila l'architetto François Mansart), dall'altro uno stile più semplice caratterizzato dall'uso dei mattoni combinati alla pietra. Nel periodo successivo dominerà poi la scena Jules Hardouin Mansart, con l'importante cantiere della reggia. Già nel 1648, l'Accademia divenne uno strumento di dominio sull'arte, che impose i principi del classicismo e dell'esaltazione del potere regale. In pittura spiccarono Charles Le Brun, Philippe de Champaigne, Claude Lorrain, Nicolas Poussin, Valentin de Boulogne, Nicolas Mignard e Pierre Mignard. Al naturalismo e allo stile caravaggesco guardarono Georges de La Tour, Simon Vouet e i fratelli Antoine, Louis e Mathieu Le Nain. In scultura si distinsero Antoine Coysevox, François Girardon e, attivi anche in Italia, Pierre Puget e François Duquesnoy.
Inghilterra
Nonostante i turbolenti rivolgimenti politici, nel corso del XVII secolo l'Inghilterra si avviò a diventare quella potenza internazionale su larghi orizzonti, grazie alla sua vantaggiosa politica coloniale su nuove rotte. In campo artistico, la corte reale orientava il gusto e le scelte, convergendo verso una politica di esaltazione della casa regnante. Lo stile puramente barocco veniva però visto come troppo legato al cattolicesimo romano, per cui si privilegiò un misurato classicismo, di derivazione palladiana, che con architetti come Inigo Jones e Christopher Wren superarono (ma mai del tutto) la continua ripetizione delle formule gotiche. Se però Carlo I cercò di aprire il paese dall'isolamento artistico, avviando il dibattito sulle arti e l'approfondimento teorico, in pittura e scultura è solo grazie all'apporto di artisti stranieri (quali Rubens e Van Dyck), che il paese respira le novità continentali. Soltanto nel secolo seguente l'Inghilterra svilupperà una scuola artistica di primissimo piano, beneficiando dell'apertura verso i paesi vicini quali la Francia e i Paesi Bassi.
Svezia
Aumentando il proprio peso politico in Europa, la Svezia poté promuovere anche una crescita culturale ed artistica, aperta alle novità provenienti dall'estero. Nella prima metà del Seicento gli architetti guardarono soprattutto alla Germania e all'Olanda, mentre successivamente, grazie soprattutto all'opera di Simon de la Vallée, si adottò soprattutto il classicismo di ispirazione francese. Contemporaneamente si guardò allo stile palladiano in edifici come il Riddarhuset di Stoccolma, opera dell'olandese Justus Vingboons. Ma il paese seppe mantenere un proprio stile architettonico, ad esempio con il persistere del säteritak, il tipico tetto a due spioventi separati da un breve rialzo verticale. Con l'incoronazione di Cristina (1644) si assistette a un grande fermento, grazie ai contatti della regina con molti dei maggiori centri culturali europei. Specialmente tra il 1660 e il 1680 la corte e l'aristocrazia fecero costruire numerosi castelli e dimore signorili, ad architetti quali Jean de la Vallée e Nicodemus Tessin il Vecchio. In campo sacro vennero costruite nuove chiese in sontuoso stile barocco, a cui facevano da contraltare le semplici chiese luterane della località periferiche. Sotto Gustavo Adolfo fu soprattutto la pittura a beneficiare dell'apertura verso l'estero, con l'arrivo di numerosi maestri stranieri.
Praga
All'inizio del XVII secolo Praga era la capitale del Sacro Romano Impero, ospitando l'imperatore Rodolfo II che ne fece uno dei centri più significativi del tardo manierismo. Con la morte dell'imperatore (1612), la corte tornò a Vienna, città ormai salva dalla minaccia ottomana. Dopo un periodo di stagnazione, a metà del secolo la capitale boema visse una stagione di ripresa, grazie alla fine della guerra dei trent'anni e al fervore della Controriforma, che stimolò il rinnovo dell'architettura religiosa, spesso aiutato dalla presenza di maestri stranieri. Tra gli anni sessanta e ottanta si definì uno stile pecualiare, nato dalla commistione di influenze italiane (soprattutto romane e lombarde), austriache e francesi. La successiva generazione di architetti locali beneficiò di questi esempi portando avanti un autonomo linguaggio barocco cecoslovacco (Jean Baptiste Mathey, Jan Santini Aichel, Christoph e Kilian Ignaz Dientzenhofer). In pittura invece non si ebbe una chiara scuola locale, ma la scena fu animata da un unico maestro di rilievo: Karel Škréta
Giovanni Luteri detto il Dosso o Dosso Dossi
https://youtu.be/z1Kf_8WWZEM
Sebastiano Luciani detto Sebastiano del Piombo
https://youtu.be/7MJRnFQkcjg
Pittore (Venezia 1485 circa - Roma 1547). Sussiste qualche incertezza, nella storia critica, sulla prima attività di S., coinvolta nella complessa questione dell'attività e dell'influenza di Giorgione a Venezia nel primo decennio del Cinquecento. A parte alcune opere giovanili attribuite in modo non sempre concorde (Sacra famiglia con santi e donatore, Louvre) e un suo probabile intervento, affermato da M. A. Michiel, nei Tre filosofi di Giorgione (Vienna, Kunsthistorisches Museum), le opere dipinte da S. a Venezia tra il 1506 e il 1511, di pubblica destinazione (Giudizio di Salomone, Kingston Lacy, National Trust; pala di S. Giovanni Crisostomo, Venezia; portelle d'organo con quattro Santi, Venezia, S. Bartolomeo a Rialto), fanno supporre tuttavia un suo ruolo di importanza maggiore di quanto non gli sia stato riconosciuto in passato. Tali opere mostrano, oltre a un influsso di Giorgione nei tipi fisici e nella morbidezza dei contorni, l'influenza dell'opera tarda di G. Bellini e un'impostazione monumentale, sottolineata anche dall'ambientazione architettonica, che sarà sempre più sviluppata dall'artista a contatto con l'ambiente romano. Agli ultimi anni veneziani appartengono inoltre la Morte di Adone (Uffizi) e Salomè (Londra, National Gallery). Nel 1511 S. andò a Roma, su invito di Agostino Chigi, per decorare una sala della sua villa suburbana sul Tevere, poi chiamata Farnesina. Qui eseguì il Polifemo e lunette con soggetti mitologici; gli affreschi, eseguiti con qualche incertezza tecnica, sono caratterizzati da un colore brillante e da un dinamismo compositivo che si pone in contrasto con la scansione architettonica della parete. L'incontro con l'opera di Raffaello, attivo nella stessa sala, che si evidenzia soprattutto in alcuni ritratti (La fornarina, Uffizi; Dorotea, Berlino, Gemäldegalerie; Cardinal Ciocchi del Monte, Dublino, National Gallery of Ireland) doveva presto cedere a un netto accostamento all'arte di Michelangelo. La protezione e l'amicizia del maestro procurò a S. importanti committenze, oltre a onori e cariche presso la corte pontificia. Già nella Deposizione (1516, San Pietroburgo, Ermitage) è evidente l'influsso di Michelangelo, che giunse a fornire all'amico disegni preparatorî per varie opere come la Pietà (1516, Viterbo, Museo Civico), la decorazione della cappella Borgherini in S. Pietro in Montorio (1516-24), la Resurrezione di Lazzaro (1517-19, Londra, National Gallery), dipinto su commissione del cardinal Giulio de' Medici in competizione con la Trasfigurazione di Raffaello. La collaborazione con Michelangelo accentuò la tendenza di S. verso la monumentalità compositiva e il plasticismo delle figure, che si unisce al caldo colore veneto. Tali caratteri informano anche gli straordinarî ritratti di eminenti personaggi, settore importante della sua attività (Clemente VII, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte; Andrea Doria, Roma, galleria Doria Pamphili) o le varie immagini di Cristo portacroce (Prado, Ermitage, ecc.). Tra i dipinti religiosi, la Flagellazione (1525, Viterbo, Museo Civico), o la pala della cappella Chigi in S. Maria del Popolo (1532). Dopo la morte di Raffaello, S. fu una delle personalità di maggior rilievo a Roma; dopo il sacco del 1527, e dopo aver assunto la prestigiosa carica di piombatore pontificio (1531), dalla quale derivò il soprannome, rallentò sensibilmente, pur senza interromperla, la propria attività artistica.
https://youtu.be/mkBtwWT-vO8
Pittore e incisore, nacque a Parma l'11 gennaio 1503, morì a Casalmaggiore il 24 agosto 1540. Fu figlio di Filippo Mazzola, imitatore, come un altro parmense, Cristoforo Caselli detto il Temperello, di forme belliniane a lui giunte attraverso gl'insegnamenti di Francesco Tacconi. Nulla si sa dalle fonti circa l'educazione di Francesco, nelle cui opere non è traccia di ricordi dell'arte paterna. Certo egli si formò sul Correggio, come dimostrano gli affreschi in S. Giovanni Evangelista di Parma, sue pitture giovanili più note, da ascriversi circa al 1521, e anche i suoi disegni antecedenti al 1523. Nel 1523, a Roma, è presentato a papa Clemente VII, allora eletto, e in quello stesso anno dipinge la Sacra Famiglia degli Uffizî, con la Maddalena, ove appaiono sintomi di manierismo raffaellesco. Mentre stava lavorando alla Madonna Bufalini, tra i più notevoli esempî di trasfigurazione stilistica d'elementi romani e correggeschi, nel 1527 venne fatto prigioniero durante il sacco di Roma. Riacquistata la libertà, in quello stesso anno si reca a Bologna, ove dipinge per la cappella Gamba in S. Petronio la Madonna con Bambino e Santi, ora nella Pinacoteca Civica, ove il suo stile trova l'espressione più tipica nelle forme allungate e flessibili, nelle tortuosità di una linea ondulata e labile. Nell'agosto del 1529 è collocata nella chiesa di S. Margherita la pala della Madonna detta appunto di S. Margherita, ora nella pinacoteca di Bologna. Nel 1530 ritrae l'imperatore Carlo V durante il suo soggiorno in quella città, forse nel cartellone allegorico tutto sottigliezze di trame lineari, ora appartenente alla galleria Cook a Richmond. Il 10 maggio si stringe il contratto per gli affreschi di vòlta e catino della cappella maggiore di S. Maria della Steccata, lavoro interrotto per il malcontento causato dalla lentezza con cui procedeva. Nel 1531, nella rocca di Fontanellato, affresca la volta di una stanza terrena con scene del mito di Diana e Atteone, su fondo di pergole fiorite, tra motivi di fiori e frutta, d'un correggismo deliziosamente raffinato e capriccioso. Il 23 dicembre del 1534 riceve da Elena Baiardo, sposa di Francesco Tagliaferri, il pagamento per quella pala della Madonna detta dal collo lungo, che è come la sigla del manierismo parmigianinesco. Il 27 settembre del 1535 stringe contratto col cavalier Baiardo per iI Cupido che prepara l'arco, ora nel museo di Vienna. Nel 1540, a Casalmaggiore, dipinge per la chiesa di S. Stefano la pala della Madonna con i Santi Stefano e Giovanni Battista, ora a Dresda, nella Galleria. Sopra motivi correggeschi della camera di S. Paolo e della chiesa di S. Giovanni, il P. ha composto la decorazione ad affresco nella stessa chiesa, derivando dal Correggio la fluidità delle immagini rese leggiere da una densa atmosfera e il mobile chiaroscuro, che anima i fondi marmorei e accende nell'ombra le corolle dei fiori. Ma già la maniera elegante del P. si afferma nel profilo tenue e inarcato di S. Lucia, come nella sagoma svelta di un'anfora tra le panoplie dei sottarchi; e la vita erompe con impeto dinamico ignoto al Correggio dal gruppo di S. Isidoro col cavallo inalberato, dove tutte le linee sono trasverse e ardite, e tutto fiammeggia: la criniera del cavallo, le strisce dell'armatura del santo, la stoffa arrovellata dello stendardo. L'effetto illusionistico delle masse erompenti dall'arcata, l'effetto decorativo violento e fantastico, ci presentano qui il P. nell'aspetto di un Pordenone emiliano. La prima opera dove s'insinua qualche elemento raffaellesco è la pala d'altare con S. Maddalena agli Uffizî di Firenze, ove si vedono in pose statuarie le figure della Madonna e della Santa. Spunta il manierismo in queste due figure e nell'altra, di detestabile gusto, del Santo tronco dalla cornice; ma l'originalità stilistica del Parmigianino s'imprime nella sinuosa eleganza di una linea labile, che scivola sulla forma, suggerendola con leggerezza estrema, e nel segno arricciato e nervoso, che vibra alla luce, e si diffonde dalle figure al paese vario, pittoresco, tutto scabrosità e inuguaglianze, minuto e rapido. Raffaello insieme con il Correggio è presente al P. anche nella Visione di S. Girolamo della Galleria Nazionale di Londra, ma i baleni infondono vita impetuosa e fugace all'immagine del Battista come sospesa nell'ombra, in equilibrio instabile; e i contorni agili e leggieri del gruppo divino sembrano dissolversi e continuarsi nei brividi di luce di un alone sulfureo. Le ombre s'addensano nello Sposalizio di S. Caterina della Pinacoteca civica di Bologna, esempio tipico di manieristiche eleganze; la figura affusata della Santa s'avvolge nel manto come in una guaina; le capigliature crespe son tutte un brulichio di luce. Prossimo di tempo agli argentini affreschi del palazzo Sanvitale a Fontanellato è un gruppo di quadri che ci presentano l'arte del P. nel momento della più perfetta attuazione del suo stile pittorico: il Presepe della galleria Cook a Richmond, delizioso capriccio decorativo, dove l'eleganza fiorisce spontanea dal fresco gruppo delle figure, dalle acque di seta chiara, dalle ombre verdi del fogliame, a contorni indecisi e leggieri, a chiazze impressionistiche. I chiari predominano, con piumosa morbidezza; e i radi scuri intensi, le chiome di Maria, le ombre sotto l'arco del ponte, le chiazze del fogliame, vi acquistano vivezza di macchia. La Natività della Galleria Doria è una delizia di contorni instabili, di forme che s'accentuano e dileguano con l'ombra e la luce, di linee che s'annodano e si snodano nella lieve ghirlanda umana. Come in un cocchio di fiori che scorra per le vie del cielo, passa la Vergine con Gesù, la piccola S. Caterina e gli Angioli, nel quadro dello Sposalizio di S. Caterina, a Parma, sogno di eleganze parmigianinesche espresso mediante linee fluenti, deliziosa instabilità di contorni, delicatezza di vesti velate, di teste ricciute, di mani fogliacee. Non risponde a tanta grazia di trame compositive la Madonna col Bambino e Angioli della Galleria Pitti, che è il punto d'arrivo del più artificioso e perfetto manierismo parmigianinesco, l'applicazione più studiata del suo formulario estetico, tanto che la colonna fortemente rastremata dietro il seggio e l'anfora tenuta fra le braccia da un'angelo, appaiono come simboli della forma muliebre, che sboccia ovoidale nel contorno dei fianchi e si restringe all'estremo. Mirabile ritrattista fu il P. La cosiddetta cortigiana Antea del Museo di Napoli si disegna sul fondo verde come incisa nel marmo da un contorno penetrante e adamantino, che preludia alle castigate eleganze di un Ingres, pure essendo tipicamente parmigianinesco per il segno vibratile e deciso, la sinuosità dei lineamenti, la sottigliezza delle armonie cromatiche, il contorno preciso e conciso. Raffinata espressione di eleganze lineari e di sottigliezze pittoriche è l'autoritratto degli Uffizî, veduto traverso il velo di un liquido e trasparente chiaroscuro, come riflesso da specchio. Bello, raffinato nella cravatta a punte lanceolate, nella posa della mano aristocratica, sotto le falde mobili di un cappello nero, si presenta l'aristocratico signore, il sovrano delle cinquecentesche eleganze. Sinché, nel ritratto di giovanetta a Napoli, prossimo, per nerveggiata linea e snellezza di sagoma, ai ritratti del Pontormo, sembra che il gran nodo di stoffa bizzarramente formi la persona slanciata e acuta come un fioretto, nella sua mossa nervosa, di tutta tensione. Meglio che nei quadri, il valore pittorico del P. si esprime nelle incisioni, che più delle pitture contribuirono a crear la moda artistica parmigianinesca in Italia. Gran signore, perfetto aristocratico è il P., che ama soprattutto l'eleganza di un contorno, la purezza di sagoma delle forme modellate come in stampi preziosi da un sapiente vasaio: le anfore, che egli predilige quali ornamenti, sino dagli affreschi giovanili di S. Giovanni, appaiono come simboli del suo ideale estetico. Egli è un raffinato, un principe della moda, un esteta che giunge per sottili ragionamenti all'arte, piuttosto che un pittore nato, un pittore d'istinto, quale fu il suo contemporaneo Correggio. Padre dell'acquaforte italiana, le sue incisioni diffusero stilistiche eleganze dall'Emilia alla Toscana, a Roma, all'Italia settentrionale: raggiunsero il Pontormo nel mondo inquieto del manierismo toscano; raggiunsero Paolo Veronese, nel suo regno di colore.
Agnolo Tori detto il Bronzino
https://youtu.be/360rmUUuMCI
Pittore e poeta fiorentino, nato il 17 novembre 1503, morto il 23 novembre 1563; figliolo di Cosimo di Mariano, d'una famiglia oriunda da San Gimignano trasferitasi in Firenze. Alcuni scrittori dànno al B. il casato di Allori (v.) confondendolo con quello di Alessandro Cristofano di Lorenzo (1535-1607) ritenuto da alcuni nipote del B., mentre non fu effettivamente che suo discepolo. I fatti principali della vita e dell'arte del B. sono questi: 1522-25, dipinge alla Certosa di Val d'Ema, presso Firenze, in due archi sopra la porta che va dal chiostro grande in capitolo, una Pietà fra gli Angeli e un San Lorenzo; 1524-26, dipinge a Firenze nella cappella di Lodovico Capponi in Santa Felicita due tondi a olio con teste di Evangelisti; nel chiostro della chiesa di Badia una Storia della vita di San Benedetto, che è andata perduta; 1530-33, è chiamato a Pesaro da Guidobaldo II duca d'Urbino e alla villa detta l'Imperiale dipinge in una volta le Storie della vita di Francesco Maria della Rovere, ormai quasi cancellate; dipinge poi il ritratto del duca Guidobaldo (Galleria Palatina, Firenze); 1533, richiamato insistentemente dal Pontormo, torna a Firenze e aiuta il maestro a finire gli affreschi della villa medicea di Poggio a Caiano (il Pontormo aveva dipinto durante la sua assenza Venere e Amore, su cartone di Michelangelo, Galleria degli Uffizî, Firenze, opera che dovette impressionare molto il B., inducendolo ad una maggiore plasticità); 1534-40, dipinge i ritratti di Bartolomeo e di Lucrezia Panciatichi; di Ugolino Martelli, del Giovane dal liuto (Galleria degli Uffizî, Firenze), forse quello dello Scultore (Louvre, Parigi); 1536, collabora col Pontormo negli affreschi, ormai scomparsi, della villa medicea di Careggi, eseguendo la parte più importante di essi; 1537-42, idem, negli affreschi della villa medicea di Castello, anch'essi periti; 1539, fa due storie di chiaroscuro nel cortile del palazzo Medici in via Larga, in occasione delle nozze del duca Cosimo con Eleonora di Toledo; 1540, entra al servizio del duca Cosimo in qualità di pittore di Corte. S'inizia da allora la serie dei ritratti della famiglia Medici, fra i quali quelli di piccole dimensioni, dipinti su piastra di stagno, di tutti gl'illustri uomini di Casa Medici, eseguiti per lo studiolo di Cosimo fatto dal Vasari in Palazzo Vecchio (una parte di tali ritrattini si trova nella Galleria Palatina di Firenze); 1545-1564, dipinge la cappella di Eleonora di Toledo in Palazzo Vecchio: gli affreschi delle pareti con le Storie di Mosè, quello della vòlta con le apoteosi di San Francesco, di San Girolamo, di San Giovanni, dell'Arcangelo Michele; la pala a olio dell'altare con la Deposizione dalla Croce; le ali laterali dell'altare medesimo, raffiguranti l'Annunciazione (tale cappella costituisce una specie di sintesi dell'arte del B.); 1546 circa, dipinge - forse su cartone di Michelangelo - il quadro Venere, Cupido, la Follia e il Tempo, altrimenti detto La Verità e la Calunnia (Galleria nazionale, Londra); 1552, per la cappella di Giovanni Zanchini, in Santa Croce, dipinge la grande tavola Cristo al Limbo, va a Pisa chiamatovi dal duca Cosimo, fa alcuni ritratti per il medesimo, dipinge quello di Luca Martini, ingegnere delle bonifiche (Galleria Palatina, Firenze); si trattiene a Pisa per dipingere una tavola da collocarsi nel duomo di quella città; 1558, dà termine agli affreschi del Pontormo nell'abside della chiesa di San Lorenzo, rimasti interrotti per la morte del maestro; 1561, il granduca Cosimo lo chiama a riformare la Compagnia del Disegno, della quale il B. diviene uno dei consoli; 1565 circa, per incarico del granduca dipinge una Deposizione per la chiesa dei Frati Zoccolanti di Cosmopoli (Portoferraio) all'isola d'Elba (Galleria d'arte antica e moderna, Firenze), e una Natività per la chiesa dei cavalieri di Santo Stefano a Pisa (Museo di Budapest?); 1569, termina l'affresco dell'Apoteosi di San Lorenzo Martire nella chiesa di San Lorenzo. La forrmazione della sua personalità artistica fu piuttosto lenta. Da ragazzo era stato messo dal padre ad apprendere presso un anonimo pittore, ma né costui, né Raffaellino del Garbo, nella cui bottega Agnolo passò più tardi, si possono considerare come suoi veri maestri, più che maestro, padre all'anima all'ingegno, gli fu Iacopo Carrucci, detto il Pontormo, da cui il B. attinse, se non lo spirito, l'essenza tecnica del proprio stile. La prima evidente prova che il B. diede del suo talento fu il ritratto di Guidobaldo duca d'Urbino, dipinto intorno al 1533. In una serie successiva di ritratti dipinti fra il 1533 e il 1540 (quelli di Bartolomeo e di Lucrezia Panciatichi, di Ugolino Martelli, forse anche quello dello Scultore al Louvre) il B. rivela tutta la maturità della sua arte e del suo ingegno. In seguito, la maniera del B. si evolverà verso un senso più astratto della forma, una maggiore acutezza e fermezza di disegno, una semplificazione sempre più scultoria dei piani e dei volumi. L'arte del B. è come un riflesso freddo e pacato, un'algida ossidazione di quella di Michelangiolo e del Pontormo. Tutte le immagini del vero sensibile, il colore compreso, appaiono nei quadri di cotesto pittore filtrate e sublimate attraverso a una scienza vigile e sicura, che solo in grazia della sua intensità e perfezione attinge la lirica e diviene arte. La pittura, nel B., tende al rilievo e alla sodezza della scultura; le figure dànno piuttosto il senso del marmo gelido, duro, polito, che quello delle vive carni; e tutte le forme indistintamente, anche le più minute, sembrano scolpite o sbalzate, tanto i loro contorni sono vivi, netti, palesi. L'acuto senso estetico dei Fiorentini, dopo le sapienti esperienze dei Quattrocentisti, trova nel B. la sua conclusione e il suo punto morto. Non è da escludersi che attraverso gli esempî di Piero di Cosimo (v.), come nel ritratto di dama intitolato La Maddalena nella galleria Corsini di Firenze, il B. abbia accolto le suggestioni della puntualità veristica fiamminga, che fu peraltro elevata da lui ad un'eccezione tutta metafisica e platonica, giusta l'atmosfera spirituale che la cultura. umanistica e il genio di Michelangiolo avevano creato in Firenze. Il B., considerato in passato artista di scarso valore, soltanto ai nostri giorni ha ricevuto dalla critica una precisa valutazione che gli assegna un equo posto, subito dopo gli astri maggiori del Rinascimento maturo, a fianco del Pontormo, piuttosto sopra che accanto ad Andrea del Sarto, e ben più alto, certamente, dello stuolo dei michelangioleschi fiorentini, nel cui mazzo per l'addietro veniva confuso. Il B. si dilettò anche di lettere e fu poeta forbito e vivace, se non originale. Il platonismo e il petrarchismo, allora in voga, gli fecero scrivere sonetti dedicati alle virtù più che alla bellezza di Laura Battiferri, gentildonna letterata moglie dell'Ammannati. Ma scrisse anche capitoli umoristici e salaci, alla maniera bernesca, pieni di vita e di brio. Fu accademico della Crusca e come tale difese la purezza e l'aristocrazia dell'idioma fiorentino, senza peraltro irrigidirsi nel misoneismo pedante dei puristi.
Iacopo Robusti detto il Tintoretto
https://youtu.be/PU-L0ASqMg8
Paolo Caliari detto Paolo Veronese
https://youtu.be/70d9ULQejYc
Luca Cambiaso
https://youtu.be/elIPp4TEk1M
Pittore e scultore (Moneglia 1527 - Madrid 1585). Scolaro e collaboratore del padre, Giovanni (1495-1577 circa), negli affreschi di pal. Doria (ora prefettura di Genova). Attento all'arte di Perin del Vaga e del Pordenone, ma anche del Beccafumi, il C. addolcì poi le forme segnate dal gigantismo delle proporzioni e da insoliti scorci delle opere giovanili con una personale elaborazione delle esperienze luministiche e cromatiche dei veneti. Di grande importanza fu anche la sua intensa amicizia e collaborazione con G. Alessi e G. B. Castello. Dopo il 1555 creò con feconda invenzione, per palazzi e chiese genovesi, affreschi e dipinti di soggetto sacro e profano, raggiungendo effetti di massima teatralità e, nelle opere più tarde, di solenne grandiosità: Il ratto delle Sabine (Villa Imperiale); Il ritorno di Ulisse (pal. Grimaldi, ora della Meridiana); Resurrezione e Trasfigurazione (S. Bartolomeo degli Armeni); affreschi con scene della vita della Vergine (duomo, capp. Lercari); affreschi con storie e ritratti della famiglia Lercari e storia di Niobe (pal. Lercari, Via Garibaldi), ecc. E ancora sono da ricordare La Pietà, nella chiesa di Carignano, gli intensi notturni (Cristo davanti a Caifa, Madonna della candela a pal. Bianco, varie versioni del Presepe) e i numerosi e incisivi disegni. Nel 1583 fu chiamato da Filippo II per la decorazione dell'Escuriale. Della sua attività di scultore è testimonianza la statua della Prudenza nel duomo di Genova.
https://youtu.be/KkR_KSDsL0s
Scultore (Douai 1529 - Firenze 1608). Ad Anversa (1540) apprese la scultura da J. du Broeucq. Recatosi a Roma insieme a F. e C. Floris, avvicinò Michelangelo. Si recò nel 1562 a Firenze, ove fu protetto da Francesco de' Medici, che aveva acquistato una sua Venere, ed eseguì il gruppo, ora perduto, di Sansone che atterra il filisteo. Al 1563-67 risale la fontana con il Nettuno sulla piazza omonima di Bologna, concepita e animata in modo da ricordare l'Ammannati, grandiosa nell'idea del colosso che placa i flutti, concettosa ed elegante nelle maschere, nelle cartelle, nei putti e, nell'insieme, tipica espressione della teatralità manieristica. La fontana dell'Oceano in Boboli a Firenze mostra invece l'influsso del Tribolo. Si accentua qui la ricerca, già propria di altre importanti opere del G. conservate nella stessa città (il Mercurio in bronzo, ora al Bargello, eseguito nel 1572 per la villa Medici a Roma; Venere, a Boboli; Ratto delle Sabine, del 1580-83, nella loggia dei Lanzi), del movimento in masse contrapposte e serpentinate, secondo un acuto spirito manieristico. Il Mercurio, elegante capolavoro, in cui, contraddicendo le norme del classicismo, la figura sorge dal basso in alto priva di peso, presuppone la visione di opere di B. Cellini; e come contrapposto al Perseo di Cellini era stato concepito il gruppo della loggia dei Lanzi, dapprima destinato a raffigurare Andromeda rapita da Fineo, poi, per suggerimento di R. Borghini (cui si deve una celebre esegesi del gruppo, alta testimonianza della critica d'arte del manierismo), trasformato nel soggetto di storia romana (Ratto delle Sabine), e dotato di un bassorilievo raffinatissimo in cui si amplia con gusto narrativo la storia delle Sabine. Altre opere, conservate a Firenze, rivelano la sua tecnica corretta, il gusto decorativo e l'eleganza del movimento: l'Ercole che uccide il Centauro (loggia dei Priori); i due monumenti equestri di Cosimo I (1594, piazza della Signoria) e di Ferdinando I de' Medici (piazza della Ss. Annunziata); i colossi dell'Appennino e di Giove Pluvio nella villa di Pratolino. Opere sue si trovano anche a Lucca e a Pisa. Di suprema raffinatezza i bronzetti eseguiti dal G., alcuni dei quali furono donati da Cosimo I al re d'Inghilterra.
https://youtu.be/bnJy7-Z2gek
https://youtu.be/GpOV6Uo3zxI
Pittore (Milano 1571 - Porto Ercole 1610), detto C. dal paese d’origine della famiglia. Allievo di S. Peterzano a Milano (1584), intorno al 1592 andò a Roma, dove il Cavalier d’Arpino lo avrebbe applicato «a dipingere fiori e frutta». Protetto dal cardinale F. M. del Monte e da V. Giustiniani, C. approfondì la sua ricerca naturalista, legata alla sua formazione a contatto con la pittura lombardo-veneta (L. Lotto, il Moretto, G. B. Moroni, G. G. Savoldo), in composizioni allegoriche, religiose (Riposo nella fuga in Egitto e la Maddalena, Roma, Galleria Doria Pamphilj), e più ancora in quadri un tempo considerati di genere, come il Bacco (Firenze, Uffizi), il Bacchino (Roma, Galleria Borghese), il Ragazzo con canestro di frutta (ivi), la Buona ventura (Parigi, Louvre), il Concerto (New York, Metropolitan Museum), il Canestro di frutta (Milano, Pinacoteca Ambrosiana). Abbandonò poi le tematiche poetiche ed elegiache dei quadri giovanili per sviluppare una pittura più drammatica, basata sul contrasto tra luce e ombra, sull’immanenza e la reale e quotidiana rappresentazione del divino. Nel 1599 ebbe l’incarico di decorare con Storie di s. Matteo la cappella Contarelli in S. Luigi dei Francesi, prima opera pubblica: la Vocazione di s. Matteo rappresenta l’iniziale manifestazione del suo stile maturo, in cui l’evento sacro viene drammaticamente sottolineato dall’uso e dalla dialettica tra luce e ombra. L’opera suscitò polemiche e scandalo (secondo alcune fonti sarebbe stata richiesta una seconda versione della pala d’altare) e avviò la celebrità dell’artista. Dopo i dipinti della cappella Contarelli, C. creò una serie di opere assai importanti sia per l’innovazione iconografica sia nella struttura compositiva: la Crocifissione di s. Pietro e la Conversione di s. Paolo per la cappella Cerasi in S. Maria del Popolo (eseguite in due versioni, 1601-05), la Deposizione (Pinacoteca Vaticana), la Madonna dei Pellegrini (S. Agostino), la Madonna dei Palafrenieri (Roma, Galleria Borghese), la Morte della Vergine (Parigi, Louvre), le due versioni della Cena in Emmaus (1602, Londra, National Gallery e 1606, Milano, Brera). Costretto alla fuga per un omicidio compiuto nel 1606 durante una rissa, passò a Napoli, di lì a Malta, ove nel 1608, nominato cavaliere di grazia ma poi imprigionato, evase, soggiornando quindi in Sicilia e a Napoli; di qui, nel tentativo di tornare a Roma approdò a Porto Ercole, possedimento spagnolo, e vi morì. Ovunque aveva lasciato opere altissime, di un’intima e cupa drammaticità: le Sette Opere di Misericordia (Napoli, Pio Monte della Misericordia), la Decollazione del Battista a Malta (La Valletta, Cattedrale), il Seppellimento di s. Lucia (Siracusa, S. Lucia), l’Adorazione dei Pastori e la Resurrezione di Lazzaro (Messina, Museo Regionale). L’originalità del suo fare artistico, sempre riconosciuta, seppure in modo controverso, ha determinato soprattutto nel 20° sec. interpretazioni critiche di segno diverso, ponendo l’artista in vario modo in relazione con l’ambiente culturale e religioso del tempo.
Peter Paul Rubens
https://youtu.be/tQC-tnpFK_A
https://youtu.be/aiHvRj2TeUo
Pittore (Les Andelys, Normandia, 1594 - Roma 1665), tra i massimi esponenti del classicismo barocco. Allievo del pittore manierista Q. Varin (1611), nel 1612 si trasferì a Parigi dove, dopo un breve e insoddisfacente apprendistato presso F. Elle e G. Lallemant, si rese indipendente, accettando commissioni casuali per sostenersi. Interrotti, forse a causa di malattie, due tentativi di recarsi a Roma (1620, 1621), rientrò a Parigi dove i gesuiti lo incaricarono di dipingere sei grandi tempere per la canonizzazione di s. Ignazio (1622; perdute); collaborò poi con Ph. de Champaigne alla decorazione dell'appartamento di Maria de' Medici (1623; perduta). In quegli anni avvenne l'incontro con G. B. Marino per il quale eseguì dei disegni illustranti le Metamorfosi di Ovidio (Windsor Castle) che, unica testimonianza rimastaci del periodo preromano, indicano una formazione ancora manieristica. Incoraggiato da Marino, ripartì per Roma dove, dopo un breve soggiorno a Venezia, giungerà all'inizio del 1624. Con lo scultore F. Duquesnoy disegnò e misurò le statue antiche, copiò i Baccanali di Tiziano, ammirò i pittori bolognesi (in particolare il Domenichino) e Raffaello. Tra i primi committenti di P. vi fu il cardinale Francesco Barberini, ma più importante fu l'amicizia con Cassiano Dal Pozzo, conoscitore d'arte e appassionato studioso dell'antichità. Grazie a Dal Pozzo, a Barberini e a Bernini ricevette la commissione di dipingere il Martirio di s. Erasmo per S. Pietro (1629, Pinacoteca Vaticana), in cui è già visibile la meditazione classicista di P., che fu accolto però abbastanza freddamente. In seguito l'artista non cercherà più commissioni ufficiali, preferendo dedicarsi a tele di minori dimensioni, destinate a collezionisti privati. P. realizzò quadri religiosi (Strage degli innocenti, 1627 circa, Chantilly, Musée Condé) e di soggetto storico, in cui espresse in forme severe e contenute l'aspirazione a un linguaggio ricco di significati filosofici e universali (Morte di Germanico, 1626-28, Minneapolis, The Minneapolis institute of arts). L'artista predilesse però soggetti mitologici e raffigurazioni arcadiche, così influenzati dallo studio di Tiziano da far parlare di un P. "neoveneto" (Pastori d'Arcadia, 1627 circa, Chatsworth, collezione del duca di Devonshire; Trionfo di Flora, 1627 circa, Louvre; ecc.). P. sviluppò anche un intenso interesse per il paesaggio, studiato dalla natura in splendidi disegni, che assunse nei suoi dipinti un ruolo fondamentale e lirico in rapporto alla storia narrata (Apollo e Dafne, Monaco, Alte Pinakothek; Cefalo e Aurora, Londra, National Gallery). Dopo il 1633 P. recuperò una concezione formale più rigorosa; lo stile si fece più controllato, il disegno prevalse sul colore e l'idea sul sentimento. Ai soggetti sacri (Passaggio del Mar Rosso, 1634, Melbourne, National Gallery of Victoria; Adorazione del vitello d'oro, 1635 circa, Londra, National Gallery) si alternarono quelli profani in cui sono più evidenti i riferimenti alla cultura rinascimentale (Trionfo di Venere, 1634 circa, Filadelfia, Philadelphia museum of art). Si può osservare una ispirazione più diretta rivolta al mondo degli antichi; la cultura classica attraverso i suoi monumenti occupò la mente di P. che raggiunse nei suoi dipinti un altissimo grado di elaborazione formale e di pensiero. Attraverso l'antico studiò le passioni umane e nuovi criterî di proporzioni e di grandezza in grado di esprimerli (prima serie dei Sette sacramenti, commissionata da Dal Pozzo, 1636-42, cinque tele a Grantham, Belvoir Castle, una a Washington, The national gallery of art, una perduta; Ratto delle sabine, 1637, Louvre). Il soggiorno parigino (1640-42) non fu ricco di soddisfazioni per P., incompreso e scontento degli incarichi monumentali affidatigli. Al ritorno a Roma la sua pittura divenne più solenne e patetica, la forma si semplificò ulteriormente, il colore divenne più astratto e quasi spento, solo a tratti ravvivato da dettagli di colore scintillante. Nella seconda serie dei Sette sacramenti, commissionata da P. Fréart de Chantelou (1644-48, Edimburgo, National gallery of Scotland), si intensificò l'intonazione solenne; la composizione è impostata su una severa simmetria e una perfetta padronanza dello spazio; le figure sembrano statue: viene eliminato tutto ciò che non è essenziale. Negli ultimi anni, funestati da una malattia alle mani che gli impedì di lavorare intensamente, P. sembrò nuovamente rinnovare il suo stile dando più importanza al paesaggio. Nel Paesaggio con i funerali di Focione (1648, Cardiff, National museum of Wales), la natura viene usata per sottolineare il carattere eroico del personaggio; nel Paesaggio con Diogene (1648, Louvre) la lussureggiante vegetazione esprime invece l'ideale del filosofo che considera la natura fonte di tutto ciò che è necessario per l'uomo; nel Paesaggio con un uomo ucciso da un serpente (1648, Londra, National Gallery) sono indagate le forze misteriose della natura; nel Paesaggio con Orione e Diana (1658, New York, The Metropolitan Museum) l'umanità ormai non è più nulla e lo stesso gigante sembra sopraffatto dalle querce che lo circondano. Le Quattro stagioni (1660-64, Louvre) sono una sintesi altissima e commovente dello stile tardo di Poussin.
https://youtu.be/vL-wWMBCFD8
Harmenszoon van Rijn Rembrandt
https://youtu.be/SmI3eBds9Mw
Pittore e incisore (Leida 1606 - Amsterdam 1669). Figlio del mugnaio Harmen Gerritszoon van Rijn, penultimo di nove figli, R. fu mandato nel 1615 alla scuola latina di Leida, ma, dopo aver passato le prove per l'ammissione all'università, abbandonò gli studî (1619) per entrare come apprendista nella bottega del pittore Jacob van Swanenburgh (1571-1638), artista modesto ma a conoscenza dell'arte romana e napoletana contemporanea. Nel 1624, recatosi ad Amsterdam, entrava per soli sei mesi nella bottega di P. Lastmann, pittore che risulterà ben più importante per la sua formazione, avendo datogli la possibilità di conoscere il vivace ambiente culturale della città, aperto agli stimoli della pittura italiana ed europea. Lastmann inoltre, reduce da un lungo soggiorno in Italia (1610) e apertosi al caravaggismo tramite Elsheimer, diede a R. la possibilità di entrare in contatto con la pittura di storia e di soggetto mitologico. Forti segnali caravaggeschi provenivano anche dalla vicina Utrecht dove erano attivi pittori come H. Terbruggen, G. van Honthorst, T. van Baburen e altri. Rientrato successivamente a Leida, aprì una sua bottega che ben presto si arricchì di numerosi allievi; la prima commissione documentata (ma perduta) è del 1625. A questo primo periodo di attività risalgono dipinti di genere, alcuni ritratti familiari e dipinti di soggetto storico e religioso: La lapidazione di s. Stefano (1625, Lione, Musée des beaux-arts); L'asina di Balaam (1626, Parigi, Musée Cognacq-Jay); Tobia, Anna e il capretto (1626, Amsterdam, Rijksmuseum), dipinto che si distingue per la precisione quasi maniacale dei dettagli, per la monumentalità delle figure immerse entro un complesso gioco luministico. Il contrasto chiaroscurale si accentua nel Cambiavalute (1627, Berlino, Dahlem) dove, abbandonata la policromia accesa dei primi dipinti, si fa più evidente l'influsso del caravaggismo; il chiaroscuro è già adoperato con estrema abilità, le atmosfere create dall'artista sottolineano l'atteggiamento psicologico dei personaggi (S. Paolo in meditazione, 1629-30, Norimberga, Germanisches Nationalmuseum). Nella Presentazione di Gesù al tempio (1631, L'Aia, Mauritshuis) l'atmosfera va rarefacendosi, già compaiono sofisticate soluzioni di controluce che diverranno tipiche dell'artista. A questi anni appartengono anche alcuni dei circa ottanta autoritratti che R. dipinse durante tutta la vita (Autoritratto con baverino bianco, 1629, Monaco, Alte Pinakothek; Autoritratto con gorgiera, 1629 circa, L'Aia, Mauritshuis). Nel 1631 R. si trasferì ad Amsterdam presso il mercante d'arte Hendrick Uylenburgh che fece in modo di fargli ottenere importanti commissioni, soprattutto ritratti. Tutti i ritratti realizzati in questo primo periodo ad Amsterdam sono di alta qualità e sono caratterizzati da una approfondita osservazione psicologica, nonché da una sapiente costruzione spaziale e da un'illuminazione che crea forti ombre marcate (Ritratto di Maurits Huygens, 1632, Amburgo, Kunsthalle; Ritratto di Jacob De Gheyn III, 1632, Londra, Dulwich College; Ritratto del costruttore navale con la moglie, 1633, Londra, Buckingham Palace; ecc.). Con La lezione di anatomia del dottor Tulp (1632, L'Aia, Mauritshuis) R. rivoluziona il concetto tradizionale dello statico "ritratto di gruppo", affrontando una delle specialità più richieste della pittura olandese del sec. 17°, cioè il ritratto di gruppo di membri delle corporazioni cittadine: le figure, osservate e quasi indagate psicologicamente, sono colte nell'atto di parlare e gesticolare. Nel 1633 R. si fidanzò con Saskia Uylenburgh, nipote del mercante, acquisendo poi con il matrimonio la cittadinanza di Amsterdam ed entrando nella gilda di San Luca. La giovane donna apparirà molto spesso nei dipinti del marito, ricchi in questo periodo di esotiche atmosfere e atti a rappresentare il raggiungimento di un nuovo status sociale; il colore, filtrato nella sua luminosità, si accende all'improvviso, risplende in alcuni tocchi di memoria rubensiana (Ritratto di Saskia con cappello, 1634, Kassel, Staatliche Kunstsammlungen; Ritratto di Saskia in veste di Flora, 1634, San Pietroburgo, Ermitage; R. e Saskia, 1635 circa, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen; ecc.). Agli anni Trenta risale anche una delle rare commissioni ufficiali ricevute da R.: la serie dei cinque quadri con episodî della vita di Cristo richiestigli dallo statolder Federico Enrico (1632-46). A quadri di piccolo formato come il Ratto di Ganimede (1635, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen) e la Susanna e i vecchioni (1636, L'Aia, Mauritshuis) R. alterna dipinti di grandi dimensioni in cui è evidente la sua ambizione di rivaleggiare con la grande pittura barocca (Sacra Famiglia, 1634 circa, Monaco, Alte Pinakothek; Sansone accecato dai Filistei, 1636, Francoforte, Städelsches Kunstinstitut). La produzione artistica autografa di R., ormai circondato da una vastissima cerchia di allievi, sembra diminuire nella seconda metà degli anni Trenta, anni in cui il pittore cominciò a interessarsi anche del commercio di oggetti d'arte, collezionando quadri, disegni, armi, incisioni e altre curiosità. Nel 1639 acquistò una vasta dimora il cui pagamento gli procurerà crescenti preoccupazioni finanziarie, aggravate dalla nascita del figlio Titus (1641), dalla morte della moglie (1642) e dai problematici rapporti con la nutrice del figlio. Il quarto decennio, che pure si apre con un'opera straordinaria come la cosiddetta Ronda di notte (1642, Amsterdam, Rijksmuseum) in cui la luce determina la costruzione del quadro, è in realtà caratterizzato da una crescente commozione interiore, dall'intensificarsi della ricerca sugli effetti luministici e dal colore caldo e profondo; giocando sugli impasti materici la sua pittura tende a un aspetto ruvido e grumoso (Cristo e l'adultera, 1644, Londra, National Gallery; Adorazione dei pastori, 1646, Monaco, Alte Pinakothek; Sacra Famiglia della tenda, 1646, Kassel, Staatliche Kunstsammlungen; Cena in Emmaus, 1648, Louvre). Gli anni Cinquanta portano al pittore una gravissima crisi finanziaria che, nel 1656, lo costringe a dichiarare bancarotta, a vendere la sua collezione (1657) e la sua casa (1658). Appartengono a questi anni l'Aristotele con il busto di Omero (1653, New York, Metropolitan museum of art), la Giovane che si bagna in un ruscello (1655, Londra, National Gallery), la natura morta con il Bue macellato (1655, Louvre) e numerosi ritratti del figlio Titus (per es., Ritratto di Titus che studia, 1655, Rotterdam, Museum Boymans-van Beuningen). R. raggiunge da un punto di vista tecnico la dissoluzione completa; il colore è steso sulla superficie a pennellate larghe, grumose; sembra quasi di trovarsi davanti a degli "abbozzi" che raggiungono però un'intensità poetica e un'espressività altissima (Negazione di s. Pietro, 1660, Amsterdam, Rijksmuseum; Ritorno del figliuol prodigo, 1662 circa, San Pietroburgo, Ermitage; La sposa ebrea, 1665 circa, Amsterdam, Rijksmuseum; Ritratto di famiglia, 1665 circa, Braunschweig, Staatliches Herzog Anton Ulrich-Museum). La produzione pittorica di R., ormai da anni isolato dagli ambienti ufficiali che non gradivano la sua pittura fatta di colore, si chiude con alcuni splendidi autoritratti di estrema libertà espressiva (Ultimo autoritratto, 1669, L'Aia, Mauritshuis). Straordinaria fu l'attività grafica di R. di cui rimangono nelle principali collezioni pubbliche e private oltre un migliaio di fogli, che si distinguono per l'intensa espressività del segno vibrante di luce. Oltre 300 sono le acqueforti di R., caratterizzate da una progressiva trasformazione luminosa sempre più ardita e drammatica. Celebri i fogli della Predica di Cristo e Le tre croci (1653-55).
Giovanni Benedetto Castiglióne detto il Grechetto
https://youtu.be/c8f9PkqVZEo
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