lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Storia dell'arte: Lezione 15 REALISTA


https://youtu.be/uB228UgufHY






Il realismo è una corrente artistica sviluppatasi negli anni quaranta del XIX secolo e che, in Francia, vede in Gustave Courbet il suo principale esponente; sono inoltre importanti le figure di Honoré Daumier e Jean-François Millet, oltre che di Rosa Bonheur. Il "realismo" nasce in Olanda nel XVII secolo, come particolare sottospecie del naturalismo e attenzione specifica all'osservazione personale del dato oggettivo, legato all'ambientazione, al carattere dei personaggi, al costume. Queste esperienze seicentesche, legate alla società borghese, rinascono intorno alla metà dell'800 in Francia. Il realismo, un movimento pittorico e letterario, trova le sue radici nel positivismo, un pensiero filosofico che studia la realtà in modo scientifico. Il Realismo tentava di cogliere la realtà sociale; si voleva rappresentare una realtà nuda e cruda con meno allegorie e più attenzione verso i dati di fatto. Esso si fa più acceso negli anni successivi alla rivoluzione del 1848, che aveva risvegliato aneliti democratici in tutta Europa, arriva ai suoi massimi nel periodo del Secondo Impero, caratterizzato da un forte sviluppo economico e tecnologico della borghesia e dalla conseguente mentalità imprenditoriale. È in questo periodo che inizia anche a definirsi l'impressionismo. La parola "realismo" generalmente indica la traduzione fedele delle qualità del mondo reale nella rappresentazione artistica. Il realismo, inteso come tendenza programmatica, invece, trova la sua esplicita affermazione nel 1855, anno in cui il pittore Courbet definisce i suoi ideali artistici in un opuscolo scritto in occasione dell'Esposizione universale di Parigi: «Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l'aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere, fare dell'arte viva, questo è il mio scopo». Tra 1830 e 1870, è inoltre attiva la scuola di Barbizon, una corrente paesaggista, legata alla località di Barbizon. La poetica realista traduceva in pittura il dilatarsi dell'interesse degli storici verso i problemi della società moderna. Infatti lo storico e filosofo Hippolyte Taine invitava a «vedere gli uomini nelle loro officine, negli uffici, nei campi, con il loro cielo, la loro terra, le case, gli abiti, le culture, i cibi», mentre lo scrittore Sainte-Beuve affermava: «La triade bello, vero e buono è certo un bel motto, ma inganna, se dovessi scegliermi un motto, sceglierei il vero». Il movimento si diffuse velocemente in Europa. In Italia i temi realisti vennero ripresi da Gioacchino Toma, Antonio Rotta, Antonio Mancini, e da Giuseppe Pellizza da Volpedo. In Germania si distinsero come pittori realisti Adolph von Menzel e Wilhelm Leibl; in Belgio, Constantin Meunier ed Evert Larock, morto di tubercolosi a 36 anni. In Messico le tematiche realiste vennero riprese dagli esponenti del muralismo; nell'Unione Sovietica si sviluppò a partire dagli anni trenta il realismo socialista, di chiara connotazione politica e finalizzato alla propaganda del regime stalinista.

Jean-Baptiste-Camille Corot
https://youtu.be/ww3o6LrlDb8



Pittore (Parigi 1796 - ivi 1875). Figlio d'un agiato mercante, studiò dapprima con A.-E. Michallon e poi con J.-V. Bertin, rigorosi paesisti classicheggianti, ma intraprese anche a dipingere dal vero nella foresta di Fontainebleau. Un viaggio in Italia (1825-28), e l'incontro con Th. Aligny, paesista classicheggiante di tendenza elegiaca, fu essenziale per la sua formazione: ritraendo il paesaggio italiano e soprattutto la campagna romana, con pennellate dense che mantengono l'immediatezza della percezione, giunse a una estrema nitidezza nella distribuzione delle masse, nella resa della luce, nella scelta dei toni. La stessa indagine acuta della forma si ritrova nei quadri di figura, esperienza intima e non ufficiale che dai ritratti di contadini dell'Agro Romano si estende alle varianti dell'Atelier (Parigi, Louvre e Mus. d'Orsay) fino alla Donna in blu del 1874 (Louvre). Ma accanto al rinnovamento della pittura nei suoi quadri dal vero, C. non cessò di indagare la possibilità di rielaborare, secondo canoni classicheggianti, i quadri destinati al pubblico: esemplare può essere il confronto fra lo studio de Il ponte di Narni (Parigi, Louvre) e l'opera rielaborata per il Salon del 1827 (Ottawa, Nat. Gall. of Canada). La sua vita fu un continuo viaggiare alla ricerca di una liricità e insieme di una vigorosa verità di visione di motivi pittorici: fu a più riprese nuovamente in Italia (1834, 1843), esplorò tutte le regioni della Francia, visitò l'Olanda e l'Inghilterra. Raggiunse un certo successo, soprattutto dal Salon del 1855, ma la sua ricerca, pur non toccata dalle nuove istanze del realismo e dell'impressionismo, risultò invisa alla critica ufficiale. La sua generosità verso artisti meno fortunati (aiutò Daumier cieco, la vedova di Millet) lo portò a convalidare con la sua firma numerose opere dei suoi allievi, dopo averle appena ritoccate.

Honoré Daumier 

https://youtu.be/y-bu6GGNpaw






Pittore, scultore, litografo (Marsiglia 1808 - Valmondois, Val d'Oise, 1879). Artista originalissimo, tra i maggiori dell'Ottocento francese, esordì come disegnatore e litografo; all'arte litografica fu istruito da Ramelet. Aveva avuto infanzia e adolescenza povere e, come commesso presso un legale, aveva affinato il suo senso di osservazione di caratteri e ambienti. La sua formazione fu essenzialmente autodidattica, malgrado la sua presenza all'Accademia nel 1828. Nel 1830 partecipò alla rivoluzione di luglio, e nella passione politica definì il suo stile incisivo e grandioso. Collaborò alla Caricature (1831-1835), giornale di opposizione con disegni satirici che andarono acquistando una straordinaria potenza di denuncia sociale: appartengono a questo gruppo Le ventre législatif e La rue Transnonain, concepite per le insurrezioni dell'aprile 1834. Soppressa la libertà di stampa (1835), si volse, sul giornale Charivari, alla satira di costume (serie di Robert Macaire, Bohémiens de Paris, Bas bleus, Les bons bourgeois, Gens de justice, ecc.). Nel 1848 ritornò alla satira politica con litografie e con la statuetta di Ratapoil, tipo dell'aguzzino bonapartista, fusa in bronzo nel 1888. Ma la proclamazione dell'Impero (1852) lo costrinse ad appartarsi dalla lotta politica e a dedicarsi alla satira di costume. Egli si volse soprattutto alla pittura, lasciando (1855) Parigi per Valmondois e stringendo rapporti con i pittori di Barbizon: una vigorosa, appassionata tesi umana e sociale traspare nei suoi quadri, che ritraggono tribunali, avvocati, amatori di stampe, attori di teatro, lavoratori, ecc. Numerose sono le variazioni sul tema prediletto del Don Chisciotte. D. elevò al più alto livello di poesia i più umili motivi della vita quotidiana (Portatrici d'acqua; Lavanderia; Viaggiatori di terza classe; Commedianti, ecc.). L'aspro accento polemico e l'evidente contenuto sociale alienarono al D. il favore del pubblico parigino del secondo Impero, ma gli artisti lo consideravano un maestro e C. Corot confortò la sua misera vecchiaia acquistando per lui la piccola casa dove morì solo e dimenticato.

Jean-François Millet
https://youtu.be/PBb5JNuaojk



Pittore (Gruchy, Gréville, 1814 - Barbizon 1875). Figlio di contadini, studiò dapprima a Cherbourg ed esordì dipingendo idillî, bagnanti, figurazioni mitologiche e alcuni ritratti, in cui già si nota la solidità di impianto che caratterizzerà le opere del periodo successivo. L'influenza dell'arte di H. Daumier e poi dei pittori di Barbizon, ai quali si unì definitivamente nel 1849, determinarono una svolta decisiva nell'arte di M., che prese a interessarsi di problemi sociali e si dedicò a esprimere, senza compiacenze pittoresche e aneddotiche, l'austerità e il senso religioso della vita e del lavoro dei contadini. Il Ritorno dai campi (1846-47, Cleveland, Museum of art), il Seminatore (1850, Boston, Museum of fine arts), l'Angelus (1857-59, Parigi, Musée d'Orsay), le Spigolatrici (1857, Parigi, Musée d'Orsay) ebbero un immenso successo non soltanto per l'intento umanitario, ma anche per la profonda sincerità dell'espressione pittorica. Più ancora che in queste opere, talvolta d'un sentimentalismo troppo scoperto, l'ispirazione di M. si rivela nella sua purezza nei disegni (in gran parte al Louvre) e nelle incisioni. La sua influenza si esercitò in Francia (soprattutto su C. Pissarro), in Olanda (su I. Israels e fu notevole su V. van Gogh) e negli altri paesi europei.

Adolf Menzel
https://youtu.be/Zat5STNZNGI

Pittore, disegnatore e incisore (Breslavia 1815 - Berlino 1905). Dal 1830 visse a Berlino, dove nel 1832 assunse l'officina litografica del padre, producendo opere che, per il loro carattere pittorico, segnano una svolta nella storia della litografia tedesca: illustrazioni per la Geschichte Friedrichs des Grossen di F. Kugler (1839-42), litografie riproducenti le uniformi dell'esercito di Federico il Grande, re di Prussia (1845-57), disegni per xilografie di una nuova edizione delle opere di quel sovrano (1843 - 49), xilografie per Der zerbrochene Krug di H. von Kleist (1877), ecc. Autore di celebri quadri storici raffiguranti episodî della vita di Federico il Grande e scene della vita di Gugliemo I e della corte, tra il 1840 e il 1850, dipinse anche piccoli paesaggi e interni caratterizzati da una accurata resa luministica e dalla perfetta intonazione atmosferica del colore. La maggior collezione di opere di M. è conservata nella Galleria nazionale e nel Gabinetto delle stampe di Berlino.

Gustave Courbet
https://youtu.be/d9fYh6in_jk

Pittore (Ornans, Franca Contea, 1819 - La Tour-de-Peilz, Vaud, 1877). Figlio di un agiato possidente, C. si recò a Parigi nel 1839 seguendo la sua inclinazione artistica e si formò, al di fuori delle istituzioni, attraverso lo studio soprattutto della tradizione seicentesca spagnola e olandese. Dal 1847 C. allargò i suoi interessi a contatto con Baudelaire, Proudhon, Champfleury, stagliandosi sullo sfondo del complesso e contraddittorio mondo culturale sociale e politico della Parigi del tempo, fino ad assumere il ruolo di campione di un realismo che voleva essere superamento di ogni poetica volta a mediare, condizionare o orientare il rapporto con la realtà, di un realismo che, accanto al riconoscimento dell'oggettività del mondo esterno, valorizzava anche la sensibilità soggettiva e non ricusava la tradizione artistica, considerandola mezzo di formazione di un proprio linguaggio. L'arte di C. si presenta ricca di valori e fermenti, più di quanto faccia supporre una lettura che tenda a privilegiare le tematiche sociali di alcune sue opere. Dal 1841 C. affrontò il giudizio del Salon; dal 1844 alcune sue opere furono accettate e, nel 1849, il Dopo pranzo a Ornans (Lilla, Mus. des beaux-arts), laureato con un diploma d'onore, gli permise di partecipare ai successivi Salons senza il vaglio della giuria. Da quel momento le sue opere s'imposero nel controverso giudizio della critica e del pubblico, oggetto di entusiasmi e di scherni: presentò nel 1850 il Seppellimento a Ornans (1849; Parigi, Mus. d'Orsay), Gli spaccapietre (Dresda, Gemäldegal., distrutto nel 1945), nel 1852 Le signorine del villaggio (New York, Metropolitan Mus.), nel 1853 la Filatrice addormentata (Montpellier, Mus. Fabre), Le bagnanti (ibid.). Nel 1855 contrappose all'ufficialità dell'Esposizione universale, nella quale esponeva, tra l'altro, L'incontro (Montpellier, Mus. Fabre) e Le vagliatrici di grano (Nantes, Mus. des beaux-arts), una sua propria mostra personale, significativamente intitolata "Du réalisme": 40 quadri accompagnati da un breve scritto programmatico e dal catalogo che si apriva con L'atelier del pittore, allegoria reale determinante una fase di sette anni della mia vita artistica (Parigi, Mus. d'Orsay). Nel 1857, accanto a Les demoiselles des bords de la Senne (Parigi, Mus. du Petit Palais), fortemente attaccate, presentò dei soggetti di caccia che anche negli anni successivi furono apprezzati dalla critica. Nel Salon del 1865 presentò il significativo Ritratto di P. -J. Proudhon nel 1853 (Parigi, Mus. du Petit Palais) e nel 1867, di nuovo, accanto all'Esposizione universale, organizzò una sua personale con oltre cento opere. Pur al centro della scena artistica parigina, C. ottenne con la sua opera (ritratti, nudi, paesaggi) maggiori successi nelle città di provincia e all'estero, a Bruxelles e soprattutto a Francoforte (1858) e a Monaco, dove soggiornò nel 1869. Coerentemente con le sue idee e la sua indole ribelle e sanguigna, C. rifiutò onorificenze da Napoleone III e partecipò attivamente alla Comune, subendo prigione ed esilio per essere stato membro della commissione che aveva decretato la distruzione della Colonna Vendôme.

Rosa Bonheur
https://youtu.be/cK-N7m12F1A

Pittrice e scultrice francese (Bordeaux 1822 - Fontainebleau 1899). Avviata all'arte dal padre Raymond (m. Parigi 1849), si dedicò prevalentemente alla pittura di animali. Ebbe larga notorietà in Francia e in Inghilterra, sin dal Salon del 1853, in cui aveva esposto il Marché aux chevaux.

Giovanni Fattóri


Pittore italiano (Livorno 1825 - Firenze 1908); uno dei maggiori pittori italiani del sec. 19º. Condusse una vita modesta, tenendosi in disparte anche dalle polemiche dei macchiaioli di cui è considerato il massimo esponente. Dopo aver studiato a Livorno con G. Baldini e a Firenze con G. Bezzuoli, si dedicò soprattutto a dipingere battaglie e scene di vita militare. Verso i nuovi modi pittorici fu orientato da Nino Costa, giunto a Firenze nel 1859. Da allora andò sempre più discostandosi dalle forme accademiche per cercare negli umili aspetti della vita quotidiana - personaggi, animali, scene di vita rustica, ecc. - una più genuina fonte d'ispirazione. Fu anche ottimo ritrattista (ritratti della Cugina Argia, della Prima moglie, della Figliastra, Autoritratto, ecc.), e acquafortista di grande originalità. Nel 1869 fu nominato professore nell'accademia di Firenze. Il F. nel gruppo dei macchiaioli non ebbe mai una posizione di punta; tuttavia nella purezza espressiva della sua pittura emerge, meglio che in altri, la forza rinnovatrice di quella corrente. Le idee dei puristi orientarono il F. verso lo studio dei quattrocentisti, ma fu suo merito l'averlo condotto a fondo, mirando piuttosto alle qualità profonde dell'espressione che ai motivi esteriori. La parte migliore della sua opera è costituita da rapidi, piccoli abbozzi, in cui la rappresentazione è affidata all'accordo di poche, essenziali macchie di colore.


Constantin Meunier
https://youtu.be/d4mnUC

Scultore belga (Bruxelles 1831 - ivi 1905). Esordì come pittore, lavorando a lungo con Ch. de Groux e prediligendo temi storico-religiosi e rappresentazioni realistiche della vita dei lavoratori. Dopo il 1880 si dedicò alla scultura, derivando da A. Rodin il proprio stile plastico, ma ponendo la sua arte a servizio di una nobile propaganda per l'esaltazione del lavoro e dei suoi oscuri eroi. Rappresentò di preferenza minatori, scaricatori, operai; notevole il rilievo Il grisou (1887). Progettò un grande monumento a gloria del lavoro, ma morì prima di terminarlo: alcune parti compiute furono sistemate in una piazza di Bruxelles. Nel 1900 la sua casa è stata trasformata in un museo a lui dedicato.

Gioacchino Toma
https://youtu.be/gwdUiB8tN9I
Pittore (Galatina, Lecce, 1836 - Napoli 1891). Autodidatta, nel 1855 si stabilì a Napoli dove, attivo come ornamentista, esordì dipingendo alcune nature morte. In contatto dal 1857 con i gruppi di cospirazione antiborbonica, combattè nel 1860 a fianco di Garibaldi. Dal 1861 T. cominciò a dipingere, con sensibilità vicina a quella di F. Palizzi e D. Morelli, opere che risentono, nella scelta dei temi, dei suoi ideali politici (Roma o morte, 1863, Lecce, Museo civico) maturando un linguaggio personale caratterizzato da un naturalismo dai toni sobrî e da una visione intimista accompagnata da sottili ricerche di effetti di luce, tenue e smorzata (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna: Il viatico dell'orfana, 1877; Luisa Sanfelice in carcere, 1877). Nominato in seguito (1878) professore di disegno all'Accademia di Napoli, dal 1879 dipinse anche piccoli paesaggi, marine e ritratti. Scrisse l'autobiografico Ricordi di un orfano.

Giovanni Boldini
https://youtu.be/i7X9x87lN7o



Pittore italiano (Ferrara 1842 - Parigi 1931). Fu avviato all'arte dal padre Antonio (1789-1872), discepolo di T. Minardi e pittore di ritratti e quadri storici. Recatosi a Firenze (1865), si orientò subito verso l'arte dei macchiaioli, ma già manifestando uno spirito estroso vòlto alla ricerca di raffinate eleganze. Nel 1870 lasciò l'Italia. A Londra iniziò quella brillante opera di ritrattista che doveva dargli fama europea. Ma il centro della sua attività fu Parigi, dove si stabilì nel 1871, e l'oggetto della sua pittura divenne l'alta società parigina. Il suo disegno rapido, il colore squillante, il tocco audace e sicuro colgono bene il carattere di una società frivola e raffinata.

Giuseppe Gaetano De Nittis
https://youtu.be/VWcjK6_9t24




Giuseppe Gaetano De Nittis nacque a Barletta nel 1846, figlio quartogenito di don Raffaele De Nittis e donna Teresa Emanuela Barracchia. Prima che nascesse, il padre fu arrestato per motivi politici, e, appena uscì di prigione due anni più tardi, si tolse la vita. Rimasto orfano sin dall'infanzia, crebbe con i nonni paterni, e dopo il suo apprendistato presso il pittore barlettano Giovanni Battista Calò, si iscrisse nel 1861 - contro il volere della famiglia - all'Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida di Mancinelli e Gabriele Smargiassi. Di indole indipendente e insofferente verso qualunque tipo di schema, si mostrò disinteressato alle nozioni ed esercitazioni accademiche, tanto che fu espulso per indisciplina due anni più tardi. Assieme ad altri pittori, fra cui Federico Rossano e Marco De Gregorio, si diede alla composizione all'aria aperta (dipingevano generalmente a Portici), specializzandosi nella riproduzione di paesaggi porticesi, partenopei e barlettani. Nel 1864 fu notato da Adriano Cecioni e l'anno successivo fondò la Scuola di Resìna, corrente italiana sul tema del realismo. A Firenze, nel 1866, si avvicinò ai Macchiaioli e, dopo aver girato l'Italia toccando Napoli, Palermo, Barletta, Roma, Firenze, Venezia e Torino, si trasferì nel 1867 a Parigi dove conobbe Ernest Meissonier e Jean-Léon Gérôme e sposò due anni più tardi la parigina Léontine Lucile Gruvelle, che influenzerà notevolmente le scelte sociali e artistiche del marito. Il 1869 lo vide esporre per la prima volta al Salon, ma la pedissequa imitazione dei colleghi parigini fece infuriare Cecioni, che gli ricordò come il suo talento avesse bisogno di essere espresso con tratti affatto specifici. De Nittis ritrovò immediatamente la propria indipendenza artistica e riscosse grande successo al Salon del '72 con la tela Una strada da Brindisi a Barletta. Nel '74 ebbe ancora elogi per Che freddo!, in cui l'abituale raffinatezza, di esecuzione dell'artista pugliese aveva come soggetto le giovani dame parigine, tema che seppe integrare molto bene nella pittura di paesaggio, meritandosi l'appellativo di peintre des Parisiennes (pittore delle parigine). Toccò il culmine della sua fama all'esposizione del 1874, tenutasi nello studio del fotografo Nadar e comunemente indicata come data di nascita dell'Impressionismo. Vi espose cinque tele secondo Vittorio Pica e così come si rileva dal Catalogo delle Esposizioni in cui compaiono i titoli di cinque opere, dal nº 115 al nº 119: Paesaggi presso il Bois; Levar di luna; Campagna del Vesuvio; Studio di donna; Strada in Italia. Quell'anno fu poi a Londra dove dipinse scene della vita della capitale inglese. L'Esposizione Internazionale parigina, nel 1878, riservò grandi onori per De Nittis: fu insignito della Legion d'onore, mentre una sua opera, Le rovine delle Tuileries, fu acquistata dal governo per il Museo del Lussemburgo.(in origine il nome del dipinto era: La Place du Carrousel). Fu assimilabile per certe caratteristiche ai Macchiaioli e agli Impressionisti, ma mantenne sempre un'indipendenza di stile e contenuti. Morì nel 1884 a Saint-Germain-en-Laye, colpito da un fulminante ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta. Nel 2010 il Museo del Petit Palais di Parigi dedicò a De Nittis la grande mostra: "De Nittis,la modernité élégante".


Vincenzo Gèmito
https://youtu.be/9_tHQfBa


Scultore italiano (Napoli 1852 - ivi 1929). Di umili origini, fu allievo di E. Caggiano e di S. Lista. Insofferente di ogni convenzionalismo accademico, produsse un gran numero di figure in terracotta (bambini, pescatori, popolani) intensamente pittoriche pur nella forza plastica del modellato, con grande vivezza naturalistica, cere e alcuni notevolissimi bronzi (Pescatore, 1879, Firenze, Museo nazionale del Bargello; Acquaiolo, 1880-81, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Le sue opere riscossero ampio successo ai Salons (1876-77) di Parigi, dove ebbe modo di conoscere intimamente Meissonier. Il lungo periodo felicemente produttivo fu interrotto da una grave malattia mentale e da una crisi intellettuale nata dal dissidio tra la spontanea tendenza a un vivace e pittorico naturalismo e l'aspirazione verso le forme plastiche assolute del classicismo. Segregatosi dal mondo, si diede a studiare con furiosa ostinazione la scultura ellenistica del Museo Nazionale di Napoli. Quando riprese a partecipare alla vita artistica italiana (1909), si era formato un sottile gusto d'orafo e produsse opere notevoli più per il prezioso virtuosismo tecnico che per la qualità artistica.

Antonio Mancini
https://youtu.be/Jz6Ev3mhz6o 

Pittore italiano (Roma 1852 - ivi 1930). Formatosi a Napoli, restò legato al quadro d'impianto seicentesco e al naturalismo ottocentesco italiano, anche se talune sue sperimentazioni (inserimento di vetro, stoffe e altri materiali sul quadro) confermano come ne avvertisse la crisi. Tra le opere: Il prevetariello (1870, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte). Si formò a Napoli, dove si era trasferito nel 1865, alla scuola di Domenico Morelli. Molto amico di V. Gemito, ebbe anch'egli una giovinezza povera e difficile. Fece un viaggio nel 1872 a Venezia, e rimase profondamente colpito dalla pittura veneziana. Nel 1875 fu a Parigi; poi a Londra dove, apprezzato e aiutato da J. Sargent, eseguì numerosi ritratti; fu ancora a Parigi nel 1877, poi (1879) tornò a Napoli, vittima di una malattia e di una crisi profonda, e infine (1883) si stabilì a Roma dove ebbe riconoscimenti ufficiali. Malgrado i due soggiorni a Parigi, rimase profondamente estraneo alle tendenze più attuali della pittura francese di allora, conservando sempre un forte legame con il naturalismo ottocentesco italiano e una predilezione per il quadro d'impianto seicentesco. All'attenta e commossa osservazione della vita popolare, segnata da un destino triste, con il quale il pittore s'identifica e che fu caratteristica delle sue prime opere (oltra al Prevetariello, lo Scugnizzo, L'Aia, Mesdag Museum; Autoritratto, Londra, National Gallery), subentra, nelle opere successive (ritratti di dame, autoritratti, strane figure in fantasiosi travestimenti), una maniera pittorica più agitata e focosa, con vivi sprazzi di luce, colori violenti, spesso deposti sulla tela in grumi e accese colate. Ulteriori sue ricerche (con l'inserimento di pezzi di vetro, stoffe e altri materiali sul quadro) confermano come egli sentisse la profonda crisi del naturalismo, pur non riuscendo a superarlo.

Giovanni Segantini 



Pittore, nato ad Arco (nelle vicinanze di Riva di Trento) il 15 gennaio 1858, morto sullo Schafberg (Svizzera, Engadina) il 28 settembre 1899. Grande pittore e singolare figura che subito dopo la morte apparve circonfusa non soltanto dalla luce della gloria, ma anche da un alone di leggenda. Il ragazzo, abbandonato a sé stesso per il vergognoso disinteressamento di una sorellastra, fu, a seguito di una sentenza, rinchiuso a Milano nell'Istituto Marchiondi. Vi rimase un paio di anni, dal dicembre 1870 al gennaio 1873, tentando anche di evaderne. Un fratellastro che viveva a Borgo Valsugana lo prese con sé. Dopo un soggiorno di qualche anno nel villaggio trentino dove lavorò anche come fotografo, ritornò a Milano, occupandosi poveramente. Frequentò qualche tempo l'accademia di Brera, conobbe artisti, letterati, giornalisti dell'ultima scapigliatura lombarda, si legò di profonda amicizia con i pittori Mentessi e Longoni, col decoratore Bugatti del quale sposava, anni dopo, la sorella, Bice. Ma la fortuna e la determinante nella giovinezza e nell'arte segantiniana fu l'incontro con Vittore e Alberto Grubicy, i quali gli assicurarono un modesto mensile che gli permise di abbandonare la città affrontando i problemi sommi dell'arte e perseguendoli nella solitudine dei campi e dei monti e gli consentirono di seguire un ideale artistico umano e panteistico che concordava con alcuni indirizzi e atteggiamenti dello spirito poetico, filosofico, sociale in quella fine di secolo europea. Dal 1882 al 1885 trascorse la sua vita in Brianza, (a Pusiano, a Carrella) e a Caglio; dal 1885 al 1894 a Savognino (nei Grigioni) e dal 1894 al 1899 al Maloia (Engadina). Giovanni S. pur avendo imparato tardi e imperfettamente (quanto a ortografia e a sintassi) a scrivere l'italiano, si compiaceva di scrivere lettere, di teorizzare intorno alla propria arte e aveva anche incominciato a tracciare la propria biografia. L'arte segantiniana spunta nel fiorire della pittura cremoniana e ne riflette qualche grazia; ma presto si svincola per assumere caratteristiche veriste, prendendo lo spunto da un personaggio del Porta "La Ninetta del Verzée", o per rappresentare paesaggi dei dintorni di Milano (il Naviglio, il Redefossi) e qualche natura morta. Il primo quadro che lo fece conoscere e notare a un'esposizione milanese fu Il coro di Sant'Antonio dove, per rilevare gli effetti luminosi prodotti da un raggio di sole irrompente in una chiesa, sono applicati in embrione e istintivamente alcuni contrasti di colori puri che saranno poi la base scientifica del divisionismo. Le conversazioni di Vittore Grubicy con S. durante gli anni meditativi del soggiorno in Brianza e a Savognino, i confronti con la pittura del belga Mauve e del francese Millet lo avviano quanto alla tecnica verso il divisionismo e quanto all'ispirazione verso la contemplazione degli spettacoli naturali e della vita campestre. Sono famosi del periodo brianzolo i quadri: Ave Maria a trasbordo (1833), Temporale sulle Alpi, Il Reddito del pastore, Messa prima. L'opera che lo afferma in Italia (le altre avevano già avuto successo all'estero) è Alla stanga (subito acquistato dalla Galleria d'arte moderna di Roma dove trovasi tuttora). Segantini è già in questo momento (1885) un grande pittore, un completo pittore; la poesia del paesaggio, la potenza della tavolozza, l'interpretazione lirica della montagna raggiungono, anche prima del periodo tipicamente e decisamente divisionista, una grande altezza d'arte. "Il pensiero dell'artista moderno - egli scriveva - deve liberamente correre alle limpide e sempre fresche sorgenti della natura eternamente giovane, eternamente bella, eternamente vergine". Ma tale tendenza, pur riconducendo il pittore davanti alla natura, era decisamente antiverista: "Non è arte quella verità che sta e resta fuori di noi: questa non ha e non può avere alcun valore come arte: questa non è e non può essere che cieca imitazione della natura quindi semplice riproduzione materiale. La materia deve essere invece elaborata dal pensiero per salire a forma durevole". Mentre così si definiva lo scopo della sua arte, il mezzo tecnico cercava nuove vie. E il S. convertito alla teoria scientifica della scomposizione dei colori, mentre mandava alle esposizioni di Parigi e di Londra i primi saggi della sua famosa maniera, Ragazza che fa la calza e Caprette al sole, la definiva e la giustificava così: "Il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l'aria e la verità. Pochi pittori sanno rendersi conto di tutta l'estensione di diversità che esiste tra il mescolare i colori puri sulla tela e il mescolarli sulla tavolozza". Si capisce come la sensibilità pittorica del S. educata alla limpidezza atmosferica, alla nitidezza cristallina dell'alta montagna, inebriata della intensità coloristica del paesaggio alpestre cercasse di tradurre le emozioni visive con un nuovo mezzo pittorico. In lui e nella sua arte, emozione e divisionismo erano legati da un necessario rapporto di causa e di effetto e poterono creare capolavori appunto nel periodo che va dal 1887 all'anno della morte, 1899. Tra i più significativi e quelli che diedero al S. una fama mondiale sono: Vacche aggiogate, Alti pascoli, Alpe di maggio, Aratura, Mezzogiorno sulle Alpi, Pascoli alpini, dipinti nel periodo di Savognino e Ritorno al paese natio, Amore alla fonte della vita, Il dolore confortato dalla fede e il trittico La natura, La vita e La morte, destinato all'Esposizione universale di Parigi e rimasto interrotto, dipinti in Engadina. (Del trittico: La morte dipinta al Maloia, La vita dipinta a Soglio, La natura dipinta allo Schafberg). Accanto a queste opere divisioniste il pittore inconsciamente contraddicendo la sua teoria, astraendo dalla maniera divisionista dipingeva capolavori come: Le due madri e Ritratto di Vittore Grubicy. Inutile la discussione se il divisionismo abbia giovato o nociuto all'arte del S.: certo tale maniera fu sentita da lui come indispensabile all'espressione della sua arte, nacque direttamente dalla sua sensibilità e non da una provvisoria e voluta moda. Taluni dei suoi discepoli videro soltanto l'"esteriorità meccanica" del sistema divisionista e lo ridussero a una meticolosa punteggiatura o tratteggiatura, più vicina al ricamo e al musaico che alla pittura. D'altra parte il simbolismo, che era sincero in un uomo provato cristianamente da tutte le durezze della vita o commosso dalle affrettate letture, dalle paniche solitudini sugli alti monti, inclinato verso le trasfigurazioni del vero, divenne, ad opera di incauti e freddi discepoli, un'esercitazione accademica. Dei figli, Gottardo, nato a Pusiano il 5 maggio 1882, studiò pittura all'Accademia di Brera, e pur dedicandosi al paesaggio di alta montagna, ha saputo liberarsi dall'influenza paterna.

Ardengo Sòffici
https://youtu.be/1WPJK7rf6Ys

Scrittore e pittore (Rignano sull'Arno 1879 - Forte dei Marmi 1964); lasciò presto le scuole per studiare liberamente pittura; dal 1903 al 1907 visse a Parigi; tornato in Italia, fu tra i principali collaboratori della Voce e fondò (1913), con G. Papini, Lacerba; interventista e combattente della guerra 1915-18, fu collaboratore, dalla fondazione/">fondazione, del Popolo d'Italia, e convinto sostenitore del fascismo; nel 1939 fu nominato accademico d'Italia. La sua prima attività fu di critico d'arte, inteso a demolire le fame usurpate e a illustrare o valorizzare alcune fra le maggiori personalità dell'impressionismo e postimpressionismo francese, con una violenza polemica simile a quella, in campo filosofico-letterario, di Papini. E, come Papini, S. passò per varie esperienze d'avanguardia, dal futurismo al cubismo, facendosene via via acceso banditore, per poi ripiegare, nel primo dopoguerra, su quelle posizioni tradizionali di cui, in fondo, il suo temperamento sanamente provinciale e il suo gusto arguto di toscano avevano sempre sentito la nostalgia. Come scrittore, dopo l'autobiografia trasposta di Ignoto toscano (1909) e quella ingenuamente donchisciottesca di Lemmonio Boreo (1911), S. trovò nelle impressioni, nei ricordi, nei paesaggi, nei rapidi bozzetti e ritratti di Arlecchino (1914), Giornale di bordo (1915), La giostra dei sensi (1919), la sua congeniale misura/">misura di frammentista lirico, innamorato, nonostante certo pessimismo, della vita e della natura e portato a "posar le parole come il pittore i colori". E queste doti di ritrattista e paesista, ma non la luminosità e la freschezza delle sue opere precedenti, sono presenti anche in altre sue opere, da Kobilek (1918) e La ritirata del Friuli (1919), notevolissimi libri di guerra, ai Ricordi di vita artistica e letteraria (1930), al Taccuino di Arno Borghi (1933), alle quattro parti dell'"autoritratto" L'uva e la croce (1951), Passi tra le rovine (1952), Il salto vitale (1954), Fine di un mondo (1955). Anche come poeta S. passò dall'avanguardismo futurista di Bif§zf+18. Simultaneità. Chimismi lirici (1915) al tradizionalismo conservatore di Marsia e Apollo (1938). Fra i numerosi altri scritti: Il caso Rosso e l'impressionismo (1909); Arthur Rimbaud (1911); Cubismo e futurismo (1914); Scoperte e massacri (1919); Statue e fantocci (1919); Primi principi di un'estetica futurista (1920); Giovanni Fattori (1921); Periplo dell'arte (1928); Salti nel tempo (1939); Itinerario inglese (1947); D'ogni erba un fascio (1958). Le sue Opere sono state raccolte in 7 volumi (1959-68); tra le pubblicazioni postume si ricordano le Lettere a Prezzolini (1988). n La produzione pittorica di S. corrisponde a quella singolare posizione, da lui assunta nel campo letterario e critico, di anticonformismo, non mai drastico, però, rispetto alla tradizione. Cézanne è, fra i maestri di Parigi, quello il cui insegnamento è stato per lui il più fecondo, tanto da riaffiorare di volta in volta nei suoi quadri migliori. Si ricordano Casa colonica della coll. M. Rimoldi a Cortina d'Ampezzo, Campi arati e Campo con pagliaio nella Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.


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