lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Storia dell'arte: Lezione 13 NEOCLASSICA











    
Il neoclassicismo è una tendenza culturale sviluppatasi nel '700. Nato come reazione al tardo barocco e al Rococò e ispiratosi all'arte antica, in particolar modo quella greco-romana, fu variamente caratterizzato, ma ben riconoscibile nelle varie arti, nella letteratura, in campo teatrale, musicale e nell'architettura. La sua teorizzazione prese vita a Roma con gli scritti dell'archeologo e storico dell'arte Johann Joachim Winckelmann e del pittore e storico dell'arte Anton Raphael Mengs, mentre la costituzione di tale modello si ebbe soprattutto grazie alle scoperte e agli scavi delle antiche città di Ercolano e Pompei, alla formazione dell'archeologia come scienza e alla diffusione di pubblicazioni sulle antichità greche. Il Neoclassicismo si diffuse in Francia grazie alla generazione di artisti che si recavano in Italia (a Napoli per esempio c'erano gli scavi di Pompei, molto apprezzata fu anche Ercolano) per studiare dal vero i reperti antichi, oltre alla pubblicazione di importanti scritti come la Storia dell'arte antica di Johann Joachim Winckelmann. Una seconda ondata neoclassica, più severa e contenuta, è associata all'apice dell'impero di Napoleone, che in particolare in Francia si manifestò con lo stile Luigi XVI, prima, e con lo stile Impero, poi. L'apice della pittura neoclassica è rappresentato da Jacques-Louis David e Jean Auguste Dominique Ingres; Joseph-Marie Vien, maestro di Jacques-Louis David, è considerato dai suoi contemporanei come il «padre del neoclassicismo francese», ancora quello del Vien è un neoclassicismo timido; nell'ambito della scultura si ricordano invece Antonio Canova, Luigi Acquisti e Bertel Thorvaldsen. Anche nelle sue forme più decorative il Neoclassicismo ebbe un marcato significato politico: esso, come già precedentemente accennato, raggiunse l'apice durante l'età napoleonica soprattutto al tempo dell'Impero. Le memorie romane, il consolato, i simboli gloriosi delle aquile imperiali sui labari delle legioni, il titolo di Re di Roma attribuito da Napoleone al figlio, gli archi di trionfo innalzati in onore di Bonaparte, rappresentarono agli occhi della borghesia francese, ormai padrona dell'Europa, e lanciata in un'inarrestabile politica imperialistica, il segno della potenza e della gloria raggiunta dopo secoli di sottomissione. Tutto il repertorio mitologico classico fu ripreso da letterati ed artisti; i primi fecero rivivere personaggi ed episodi della vita contemporanea in chiave mitologica, mentre i secondi dipingevano e scolpivano Napoleone nelle vesti di Giove olimpico o di un celebre ed invitto eroe della Grecia classica.

Copia e imitazione
Avvicinare l'arte alla natura per l'artista neoclassico non significa riprodurre la realtà in modo naturalistico (fedele nei particolari), ma estrarne l'essenza, l'atteggiamento psicologico e mentale tipico dell'artista dell'età classica. Winckelmann, uno dei maggiori teorizzatori del Neoclassicismo, sosteneva che l'unico modo per divenire grandi e, se possibile, inimitabili, è di imitare gli antichi. Convinto che "il contrario del pensiero indipendente è la copia, non l'imitazione", egli non raccomandava di copiare fedelmente le figure antiche ed auspicava un ritorno allo spirito, non alla lettera della antichità.

Gli esponenti principali
Giovan Battista Piranesi e Johann Joachim Winckelmann sono i maggiori esponenti in arte del Neoclassicismo, due importanti teorici, rispettivamente sostenitori dell'arte romana e greca. Entrambi privilegiano l'imitazione dell'arte alla sterile copia. Nelle vedute romane di Piranesi si nota maggiormente lo spirito della Roma antica. I tesori scoperti ad Ercolano mostrarono che anche i più classici interni romani o le stanze romane di William Kent erano basati sulla struttura architettonica esterna del tempio e della basilica. Questo lo si può notare dalle dorature negli specchi dei frontoni delle finestre. In Italia, fra i più noti esponenti del Neoclassicismo figurativo compaiono anche: Antonio Canova, Luigi Acquisti e Cosimo Morelli per l'arte, per la poesia Ugo Foscolo.

Gli interni
Per quanto riguarda gli interni, il neoclassicismo scoprì il gusto per l'autentico arredamento classico, sulla scia delle scoperte effettuate a Pompei ed Ercolano, scavi iniziati verso la fine del decennio del 1740 ma la cui eco aveva raggiunto il grande pubblico solo nei decenni successivi, grazie anche alla pubblicazione dei primi lussuosi volumi (dal 1757 al 1792) della monumentale opera Le Antichità di Ercolano del Bayard. Le illustrazioni mostravano come anche gli interni più classicheggianti di epoca barocca, o le più romane tra le stanze realizzate da William Kent fossero basate sullo stile architettonico degli esterni di basiliche e templi, il che si traduceva in: cornici delle finestre munite di frontone, specchi dalle cornici dorate e caminetti sormontati da simil-frontali come quelli dei templi, tutte cose che ora sembrano eccessivamente pompose e piuttosto assurde. Il nuovo stile cercò di ricreare invece un vocabolario architettonico autenticamente romano, servendosi di motivi decorativi più piatti e meno pesanti, come fregi scolpiti a bassorilievo o dipinti in monocromia come dei piccoli quadretti, che rappresentavano medaglioni, vasi, busti, bucrani o altri motivi appesi a nastri o rami d'alloro, con snelli arabeschi come sfondo, realizzati in rosso pompeiano o altre tinte pastello, oppure con colori che imitavano quello delle pietre naturali. Questa moda in Francia, chiamata "goût Grèc", fu inizialmente appannaggio dei cittadini di Parigi, ma non fu accettata a corte; solo quando il paffuto giovane Re salì al trono nel 1774 permise a sua moglie Maria Antonietta, seguace delle mode, di introdurre lo stile Luigi XVI nei palazzi reali, ma soprattutto nel suo Petit Trianon.

Giovan Battista Piranesi

https://youtu.be/dpQ7wS7O7V4



Incisore e architetto (Mogliano, Mestre, 1720 - Roma 1778). Si formò a Venezia con lo zio M. Lucchesi, ingegnere idraulico, e poi con l'architetto palladiano G. A. Scalfarotto; seguì inoltre l'insegnamento della prospettiva nella bottega dell'incisore C. Zucchi. La vocazione per l'architettura, la passione per l'archeologia e l'interesse per il vedutismo e il capriccio architettonico di P. trovarono numerosi stimoli nella formazione veneziana, a cui si unirono gli insegnamenti di progettazione scenica di G. e D. Valeriani. Le piene potenzialità della fantasia architettonica di P. si realizzarono tuttavia dopo il trasferimento a Roma (1740), al seguito dell'ambasciatore veneziano M. Foscarini. Qui si dedicò decisamente all'incisione, dopo un breve apprendistato tecnico con G. Vasi; fu ancora a Venezia (1744 e 1745-47), dove conobbe l'opera di G. B. Tiepolo. All'inizio del soggiorno romano realizzò alcune serie di incisioni fantastiche, come la Prima parte di architetture e prospettive (1743) e la prima redazione delle Carceri (1745), straordinarie e visionarie interpretazioni dell'antico, con lo scopo dichiarato di stimolare l'immaginazione degli artisti contemporanei. In questo periodo, P. entrò in contatto con gli artisti che frequentavano l'Accademia di Francia, allora a palazzo Mancini. L'arte tardobarocca romana rimase un riferimento fondamentale nell'attività sia teorica che artistica di P.; nell'incisione, l'artista usò con libertà inventiva i procedimenti dell'acquaforte, realizzando, specie nella maturità, composizioni drammatiche e complesse tramite accentuati effetti prospettici e chiaroscurali. Dagli anni Cinquanta sviluppò i suoi interessi per l'archeologia, anche in seguito a una visita agli scavi di Ercolano. Del 1750 sono i Capricci, dal luminoso impianto di origine veneziana; seguono le Antichità romane (1756), la nuova edizione delle Carceri (1760), Della magnificenza ed architettura de' Romani (1761), dedicato a papa Clemente XIII, suo protettore e mecenate. In queste opere P. inaugurò un nuovo sistema di ricerca archeologica, rivolta tanto ai processi tecnici e costruttivi quanto all'originalità e alla ricchezza dei repertorî ornamentali; sviluppò inoltre l'aspetto teorico, ponendosi al centro del dibattito sulla superiorità tra l'architettura greca e romana. In contrasto con il programma rigorista e filoellenico di Winckelmann, si schierò in favore dell'architettura romana, sottolineandone la capacità tecnica e la ricchezza inventiva. Culmine della polemica il Parere su l'architettura (1765), dialogo tra due architetti, Protopiro e Didascalo, che rappresentavano i diversi aspetti del dibattito. Di questo stesso periodo sono Le rovine del castello dell'Acqua Giulia (1761) e la Descrizione e disegno dell'emissario del Lago di Albano (1762), che rivelano la sua attenzione per i problemi idraulici. Sotto il pontificato di Clemente XIII P. fu vicino a realizzare i suoi interessi per l'architettura, con l'importante commissione (1763) del rifacimento della tribuna e dell'altare maggiore di S. Giovanni in Laterano. Il progetto, abbandonato nel 1767 e testimoniato da una serie di disegni (New York, Pierpont Morgan library e Columbia University, Avery architectural library), si poneva in ideale continuità con il restauro borrominiano della basilica. Del 1764 è l'incarico per il rifacimento di S. Maria del Priorato: P. realizzò la piazza antistante il giardino e la decorazione della facciata e dell'interno, con un complesso ed eclettico repertorio ornamentale che unisce motivi antichi e iconografia legata alla committenza. Tra le ultime raccolte di incisioni, le Diverse maniere d'ornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi (1769), dimostrazione delle possibilità di applicazione pratica di un sistema progettuale e decorativo ispirato a motivi romani ed etruschi, e Vasi, candelabri, cippi, sarcofaghi, tripodi, lucerne ed ornamenti antichi (1778). I rami da cui furono tratte le sue opere, portati a Parigi dai figli, furono acquistati nel 1839 da Gregorio XVI (Roma, Calcografia Nazionale).

Jacques-Louis David
https://youtu.be/ZtvX-7aTpuk




Pittore (Parigi 1748 - Bruxelles 1825), figura dominante della pittura neoclassica europea. Allievo di J.-M. Vien, cominciò a dipingere secondo la tradizione settecentesca francese; ma un soggiorno a Roma (1775-80) modificò radicalmente il suo stile. Dallo studio dei maestri del sec. 17º passò all'ammirazione entusiastica per gli antichi; ma, a differenza dei classicisti italiani che nell'antico vedevano realizzato il bello ideale, egli era mosso da interessi morali che lo portavano a cercare negli eroi greci e romani altrettanti esempî di virtù civile. Si formò così uno stile solenne e asciutto, sdegnoso d'ogni grazia di forma o di colore, ma severissimo e nobile nella composizione e nel disegno. Appartengono a questo periodo il Belisario (1781, museo di Lilla), il Giuramento degli Orazî (1784, Louvre), la Morte di Socrate (1787). Il grande successo del D. in quegli anni fu in parte dovuto ai sentimenti rivoluzionarî che trasparivano nelle sue opere; e alla Rivoluzione D. partecipò ardentemente: il Marat (1793, museo di Bruxelles) è la sua opera più alta e più drammatica. Incarcerato durante la reazione termidoriana e poi liberato, aprì una scuola che raccolse allievi d'ogni parte d'Europa. In Napoleone, D. vide incarnato il suo ideale eroico. Eseguì di lui due ritratti, e per suo incarico le due grandi tele (1805-1810) con l'Incoronazione (Louvre) e la Consegna delle Aquile (Versailles). Altra opera importantissima è, nel 1812, Leonida alle Termopili. Dopo i Cento giorni si rifugiò a Bruxelles, dove continuò la sua attività in forme sempre più stanche e accademiche (Amore e Psiche; Venere disarma Marte, ecc.). Notevolissimi, per la penetrazione psicologica e il colore più mosso e accordato, i ritratti. Enorme fu la sua influenza sulla pittura europea. Le opere sono in gran parte nei musei francesi e belgi.

William Blake
https://youtu.be/3xJTF_bEyhA



Poeta, incisore, pittore (Londra 1757 - ivi 1827). Si dedicò giovanissimo all'arte e alla letteratura, studiò incisione e frequentò per breve tempo la Royal Academy (1779). Spirito ribelle e visionario, considerò il mezzo verbale e quello visivo espressione unica del suo genio profetico. Istanze neoclassiche e fermenti preromantici pervadono la sua arte, carica di complessi simbolismi, cui contribuirono certamente la poetica del sublime, la mistica di Swedenborg e, nell'ambito più propriamente visivo, l'arte gotica inglese (tra i suoi primi disegni sono quelli delle tombe di Westminster per la Society of antiquaries), Michelangelo, Dürer e, tra i suoi contemporanei, Fuseli e Flaxman. L'esigenza di una unità espressiva lo portò anche a sperimentare un sistema di stampa a colori, incidendo testo e illustrazioni che poi colorava a mano (illuminated printing). Tra le sue opere: Poetical sketches (1783), Songs of innocence (1783), The marriage of Heaven and Hell (1790-93), Songs of experience (1794), i libri profetici Vision of the daughters of Albion (1793), America (1793), Europe: a prophecy (1794), The book of Urizen (1794), The song of Los (1795), The book of Ahania (1795), i poemi mistici Milton (1804-08) e Jerusalem (1804-20). Fece anche illustrazioni per Night Thoughts di E. Young (1796-97), per la Divina Commedia (1825), per il Libro di Giobbe (1821-26). Non compreso dai contemporanei, che vedevano in lui solo una vena di follia, B. fu particolarmente apprezzato nell'ambito della corrente preraffaellita e considerato, in seguito, tra i precursori del simbolismo.

Antonio Canova
https://youtu.be/S9_ZU7eFRXA



Scultore (Possagno 1757 - Venezia 1822). Dal nonno, capomastro e scalpellino, imparò i primi elementi del mestiere; per interessamento del senatore Falier, che ne aveva avvertito le doti eccezionali, fu mandato a studiare a Venezia, con G. Bernardi-Torretti, poi con G. Ferrari. Le prime opere (1773-79) risentono del gusto settecentesco (Orfeo ed Euridice, 1773; Apollo; busto di P. Renier; Dedalo e Icaro, 1779). Con l'architetto G. A. Selva, il C. si recò a Roma (1779), e vi si stabilì nel 1781. Nel Teseo del 1781, e nel Monumento a Clemente XIV (1783-87) nella chiesa dei SS. Apostoli, si avvertono i primi segni dell'influenza degli ideali neoclassici sulla sua arte, più chiaramente visibili nella serie di sculture di soggetto mitologico eseguita negli ultimi anni del Settecento (Eros giovinetto, Amore e Psiche, Ebe, Venere e Adone, Ercole e Lica). Dopo un viaggio a Vienna, dove ebbe l'incarico del Monumento funebre di Maria Cristina, tornò a Roma (1799) e poco dopo cominciò a lavorare per Napoleone (busto e statua nuda di Napoleone, ritratto di Paolina Borghese come Venere vincitrice, ritratto di Maria Letizia, ecc.). Tra il 1800 e il 1815, assurto a fama europea, scolpiva il Perseo e i due Pugilatori, molti bassorilievi tombali, il Monumento a Vittorio Alfieri in S. Croce a Firenze, ecc. A Parigi, dove già era stato nel 1802 e nel 1810 chiamato da Napoleone, tornò nel 1815 per rivendicare all'Italia i tesori d'arte asportati dai Francesi; condotta a buon termine la missione, si spinse fino a Londra dov'ebbe la rivelazione dell'arte fidiaca dinanzi alle sculture del Partenone. Agli ultimi anni del C. appartengono: Le tre Grazie, Marte e Venere, il Monumento degli Stuart in S. Pietro, il Monumento di Carlo III di Borbone a Napoli. L'arte del C. ebbe un'influenza enorme sulla scultura del primo Ottocento: artisti d'ogni paese si formarono alla sua scuola e ne diffusero ovunque i principî e i modi. Se oggi la scultura del C. può apparire talvolta fredda e accademica, e troppo palesemente legata a un programma culturale, qualità vive di essa rimangono la compostezza dei gesti, l'eleganza armoniosa delle forme, la sensibilità del modellato.

Bertel Thorvaldsenhttps://youtu.be/DIGCpfC8HCM



Scultore, nato a Copenaghen nel 1770, ivi morto il 24 marzo 1844. Dal padre artigiano apprese un'abilissima pratica di scultore in legno. Fu scolaro all'accademia del pittore Abildgaard, e nel 1789 ebbe una medaglia d'argento per un bassorilievo di marmo, Amore in riposo, ispirato come altre opere coeve a un quadro del maestro. Nel 1791 ebbe la medaglia d'oro per un bassorilievo, Eliodoro cacciato dal tempio, che mostra residui formali settecenteschi; e gli fu decretata una borsa triennale a Roma. L'influenza artistica più profonda la ebbe dal pittore Carstens, professore all'accademia, che teneva anche un circolo privato di cultura artistica e di esercitazioni, nel quale si bandivano i risultati critici del Winckelmann: fino alla morte del Carstens il Th. copiò sue opere ed eseguì statue da suoi disegni, come già da quelli dell'Abildgaard. Th. partì per l'Italia nel 1796; si fermò a Malta, dove vide opere del Rubens e di Vincenzo Manno, e di là partì per Palermo e Napoli, dove ebbe la prima esperienza diretta della scultura antica ed ebbe modo di studiare le imitazioni ercolanesi eseguite fin dal 1781 dal Venuti e poi dal Tagliolini e dal Lorenzi, e già ammirate dal Goethe nel 1787. L'8 marzo 1797 arrivò a Roma. Il soggiorno romano doveva esercitare su di lui una decisiva influenza. Al sistematico e volontario studio delle opere classiche, sorretto da un programma elaborato di classicismo integrale, unì l'imitazione del Canova, visibile in molte opere, come nelle Grazie, nell'Ebe, nella Venere, nel Leone di Lucerna (derivato da quello del monumento a Clemente XIII), nel Genio piangente del monumento ad Augusto Boehmer (imitato dalla tomba Stuart) e in altre. Consumato, duttile e peritissimo tecnico, il mondo formale della classicità gli fu più compiutamente rivelato, nell'organizzazione critica che aveva per allora raggiunto nel Winckelmann e nell'accademico Quatremère de Quincy, dal dilettante, mecenate e archeologo danese Zoëga. A Roma, lo scultore eseguì molte copie da opere antiche, e studiò in particolare la pittura vascolare etrusca, e la scultura fittile etrusco-romana. Del 1801 è la prima opera per così dire autonoma del Th., il Giasone, che gli procurò subito fama e danaro. Fino al 1809 compì una serie di lavori, fra cui primeggia l'Amore e Psiche del 1803: in quell'anno conobbe Luigi di Baviera che nel 1812 gli affidò il restauro delle statue di Egina, che durò fino al 1818. Veniva intanto nominato socio e professore nelle accademie di Firenze e di S. Luca a Roma: notevole di questo tempo è il monumento funebre alla baronessa Schubart, il ritratto della piccola Lady Russell, e il Pastorello (1814-15). In questo tempo aprì anche in Roma uno studio con molti aiuti e scolari, che era insieme gabinetto archeologico. Compì nel 1817 la Speranza e il busto del Byron, che conobbe a Roma in quell'anno: da quel busto fu ricavato poi il monumento, oggi a Cambridge, commessogli nel 1830 e compiuto nel 1835 con l'aggiunta di un bassorilievo, il Genio della poesia. Del 1818 è il Mercurio seduto e il gruppo delle Grazie, compiuto nel 1819. L'opera - della quale già i primi critici del Th., Plon, David d'Angers e Lange parlano severamente - fu dal Th. ripresa più tardi, e modificata con maggior cura per l'armonica simmetria del legame compositivo, e rinnovata anche nel bassorilievo del monumento funebre ad Andrea Appiani in Milano (1818). Di questi anni è anche il ritratto della principessa Baryatinski, a guisa di Musa pensosa o Vestale; più tardo un altro dei pochi ritratti del Th., quello della contessa Osterman, a guisa di Agrippina. Una passione amorosa del 1819 fu da lui commemorata scolpendo il ciclo degli amori, mentre un anno dopo compiva il Leone di Lucerna. Tornò nel 1819 a Copenaghen, donde ripartì in breve per un viaggio, carico di commissioni, attraverso la Germania e la Polonia. Da questo tempo data il nucleo delle opere polacche: il monumento a Poniatowski (a guisa di Marc'Aurelio; commessogli già nel 1817), il Copernico, il Potocki nella cattedrale di Cracovia (a guisa di Apollo), lavori compiuti verso il 1830. Frattanto dava mano alla decorazione della Frauenkirche in Copenaghen, con le statue di Cristo, dei 12 Apostoli e un insieme di bassorilievi evangelici. Morto nel 1823 Pio VII, l'incarico di scolpire il monumento toccò al Th. che scolpì nel contempo la tomba del cardinal Consalvi. Tra vivi contrasti causati dalla confessione protestante del Th. il monumento a Pio VII, in S. Pietro a Roma, fu condotto a termine nel 1831. Dal 1824 al 1830 fece molte opere per Luigi di Baviera e le città tedesche: il monumento a Eugenio di Leuchtemberg in S. Michele a Monaco, il monumento equestre a Massimiliano I a Monaco (modello del 1836, esecuzione del 1839), il monumento a Gutemberg a Magonza, il monumento a Schiller a Stoccarda, e la statua commemorativa di Corradino di Svevia nel Carmine di Napoli. A Roma scolpì la Danzatrice per il duca Torlonia (1837), il Vulcano, e nello stesso anno fece ritorno a Copenaghen per breve tempo: là compì la statua a Cristiano IV per il castello di Rosenborg. Frattanto veniva eretto dall'arch. Bindesboell il Museo Thorvaldsen, che fu finito e allestito nel 1848, e dove fu collocato il mausoleo dello scultore. Tornato a Roma nel 1841, attraverso la Germania, questo fu l'ultimo periodo di un soggiorno durato complessivamente 39 anni. La fama contemporanea del Th. fu grandissima, pari a quella del Canova. Presto peraltro venne limitato il giudizio sulla sua opera, alla quale oggi non può essere riconosciuto più che un valore culturale. La sua produzione enorme ha soltanto un valore intellettualistico, riflesso, né vi si nota alcuno svolgimento particolare; la sua attività e la sua umanità sono senza problemi e senza passioni, senza osmosi con la vita, la storia, la natura. Il contenuto immobile e unilaterale della sua produzione è la passione da erudito con cui ricostruisce (cfr. il Trionjo di Alessandro a Babilonia, nella villa Carlotta a Cadenabbia, imitato dal fregio delle Panatenaiche) con calcolo consequenziario, che va dalle minime particolarità aneddotiche di un mito alle più incalzate ricerche di costume, il repertorio delle opere classiche. Ben diverso dall'ispirazione classica di un Piranesi o di un Canova è il suo atteggiamento verso le opere antiche: delle quali accoglie e rinnova il linguaggio, ma generalizzandolo in schemi e tipizzazioni appunto per l'indole raziocinativa del suo spirito. Un'analisi delle sue opere scopre non già l'adeguazione qualificatrice ai fenomeni artistici dell'antichità, ma questi ci offre in forma di astratte generalizzazioni tematiche e grammaticali, quali si ritrovano nella critica contemporanea, e che sono il ritmo chiuso, la bellezza ideale, il tipico, l'armonia, la simmetria, i contrapposti, le proporzioni, ecc.; e in tale arido elenco o formulario finisce per conchiudersi l'esame della produzione dello scultore.

Jean-Auguste-Dominique Ingres
https://youtu.be/mhjaWI8nX3w


Pittore francese (Montauban 1780 - Parigi 1867). Direttore dell'Accademia di Francia a Roma (1834-41), esercitò, anche attraverso il suo frequentatissimo studio, una profonda influenza sulla pittura francese e su pittori come Degas, Cézanne e lo stesso Renoir. Perseguì un ideale di purezza formale e di eleganza della linea e fu ritenuto dai contemporanei il campione dell'ordine classicista contro la passionalità romantica incarnata da E. Delacroix. Predilesse soggetti classici, di storia medievale francese, e gli studi di nudo: celeberrime le tele La grande baigneuse (1807, Louvre) e La grande odalisque (1808, Louvre). Vita e opere. Frequentò l'accademia di Tolosa e, dal 1796, lo studio di J.-L. David a Parigi, dal cui stile ufficiale si discostò, già nelle prime opere di gusto classico e arcaicizzante, per l'assenza di qualsiasi accento oratorio (ritratti della famiglia Rivière, 1805, Louvre; La belle Zélie, 1806, Rouen; Napoleone I sul trono imperiale, 1806, Parigi, Musée de l'armée). Vinse il Prix de Rome con Gli ambasciatori di Agamennone nel 1801 (Parigi, École des beaux-arts), ma si recò in Italia, dove visse 18 anni, solo nel 1806. A Roma guardò soprattutto ai quattrocentisti e a Raffaello, mirando a raggiungere una suprema purezza formale piuttosto che la grandiosità di effetto. Sono di questo periodo molti ritratti, tra cui quello del pittore F.-M. Granet, di L. Bartolini (di cui fu anche amico), di M.me de Senonnes; alcuni stupendi nudi femminili, quali i già citati La grande baigneuse e La grande odalisque; molti disegni e ritratti a punta d'argento, di straordinaria finezza. Se le opere che di volta in volta I. inviava ai Salons parigini non suscitarono grande impressione, né fu avvertita la distanza che passava tra il suo classicismo tutto interiore e pieno di contenuto ardore e l'oratoria civile di David, con Il voto di Luigi XIII (1824, cattedrale di Montauban) I. ottenne un vasto successo, contrapponendosi al romanticismo di E. Delacroix che presentava, nello stesso Salon, La battaglia di Scio. Il contrasto tra le due tendenze, quale si riflette negli scritti di Ch. Baudelaire, si concentrava nell'antitesi tra il disegno e il colore, cioè tra elemento intellettuale ed elemento passionale e, anche se il disegno fu il fattore predominante nelldi I., questa tuttavia non fu mai fredda o accademica. Sensibile a taluni aspetti della cultura preromantica, accanto ai temi desunti dalla tradizione classica e mitologica, I. amò interpretare anche episodî della storia medievale francese ma soprattutto soggetti esotici ispirati alla iconografia delle miniature persiane o ai resoconti dei viaggiatori del 19º secolo. I suoi ritratti (E. Bertin, 1833, Louvre; M.me di Haussonville, 1842, New York, coll. Frick; Baronessa Rothschild, 1848, Parigi, coll. Rothschild) sono intensamente caratterizzati, nonostante l'idealizzazione del personaggio; i suoi nudi (Venere Anadiomene, 1848, Chantilly, museo Condé; La sorgente, 1856, e Il bagno turco, 1863, entrambi al Louvre) sono pieni di sensualità sebbene l'immagine si concluda in un puro ritmo lineare e in una perfetta, quasi astratta plasticità; le grandi composizioni invece (Apoteosi di Omero, 1827, Louvre; Martirio di s. Sinforiano, 1834, cattedrale di Autun; Apoteosi di Napoleone, 1853, per il soffitto del municipio di Parigi, distrutto nel 1871; Gesù tra i dottori, 1866, Montauban, museo Ingres), pur nella saldezza compositiva, risultano più fredde e distaccate.

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