lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Storia dell'arte: Lezione 5 ETRUSCA e ROMANA

ARTE ETRUSCA










Per arte etrusca si intende la produzione artistica degli Etruschi, popolo stanziato nel territorio chiamato Etruria, triangolo compreso tra l'Arno a Nord, il Tevere a Sud e il Mar Tirreno a Ovest, con propaggini anche nell'Italia settentrionale, tra Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto meridionali, e alcuni territori nell'Italia meridionale in Campania. L'arte etrusca si distingue tra l'IX secolo a.C. e il I secolo a.C. circa (l'epoca di Silla e Ottaviano) rispetto a quella delle civiltà italiche di epoca preromana. Tale distinzione si affievolisce in modo progressivo a partire dal III secolo a.C. quando, insieme ai contributi provenienti da altre civiltà della penisola, la produzione etrusca confluisce nell'arte detta medio italica, fondamento sul quale andrà a costituirsi l'arte romana.

L'arte etrusca viene di solito divisa in cinque diversi periodi storico-artistici:

    Dal 900 a.C. al 675 a.C.: il periodo villanoviano o geometrico.

    Dal 675 a.C. al 575 a.C.: il periodo orientalizzante.

    Dal 575 a.C. al 480 a.C.: il periodo arcaico.

    Dal 480 a.C. al 300 a.C.: il periodo classico o età di mezzo.

    Dal 300 a.C. al 50 a.C.: il periodo ellenistico.

Villanoviano

Nel periodo villanoviano, compreso tra il X e il VII secolo a.C., l'enfasi sull'arte funeraria è già evidente. Caratterizzato da ceramica a impasto con decorazioni geometriche, o urne a forma di capanna, durante questo periodo è importante anche la produzione di oggetti di bronzo, per lo più di piccole dimensioni, tranne che per le navi, che sono decorati con modanature o con linee incise. Dopo poche generazioni dall'avvento della cultura villanoviana, caratterizzata da corredi sobri, si registrano numerosi scambi tra le comunità villanoviane e le altre culture, in particolare con la Sardegna nuragica, e in minor parte con le comunità enotrie dell'Italia meridionale. Sarà proprio la Sardegna con la sua tradizione bronzistica di tradizione miceneo-cipriota a esercitare la maggiore capacità di attrazione, come testimoniano i numero bronzetti sardi trovati nei corredi funerari di questo periodo.

Orientalizzante

Il periodo detto orientalizzante è compreso tra gli ultimi due decenni dell'VIII e i primi del VI secolo a.C. ed è così chiamato per il tipo di cultura che principalmente esprime. La struttura agro-pastorale della civiltà villanoviana si disgregò in seguito ai nuovi scambi commerciali e culturali con civiltà diverse, a partire dai primi incontri con i mercanti eubei giunti in occidente alla ricerca di giacimenti minerari. I nuovi sbocchi commerciali incrementarono le ricchezze delle classi aristocratiche etrusche le quali a loro volta divennero destinatarie di oggetti di lusso importati dalla Grecia e dal Vicino Oriente. Tale crescita economica si verificò nelle zone abitate presso le vie di comunicazione principali tra Etruria e Campania e come conseguenza del possesso della terra, dello sviluppo agricolo e della disponibilità delle zone metallifere. Gli Eubei nello stesso periodo si stabilivano in Asia Minore, le espansioni fenicie e levantine a loro volta contribuivano alla diffusione anche in territorio etrusco di quel linguaggio detto orientalizzante che aveva già allargato il patrimonio figurativo dei greci, introducendo in Etruria meridionale merci di fabbricazione egiziana, siriaca, fenicia e anatolica. Una prima disomogeneità nella "ricchezza" dei materiali dei corredi funerari iniziò ad apparire nell'VIII secolo a.C. con l'inclusione di oggetti di importazione quali paste vitree e sigilli, e divenne più evidente nella prima metà del VII secolo a.C. inizialmente nei centri marittimi della Toscana, principali territori metalliferi. Il processo di autocelebrazione delle classi aristocratiche etrusche attraverso l'edificazione dei grandi complessi tombali unifamiliari ebbe inizio anch'esso nella prima metà del VII secolo a.C. nell'Etruria meridionale, a Caere, Tarquinia e Vulci a seguito di un arricchimento inizialmente dovuto all'impiego di nuove colture. Tra i centri dell'Etruria tirrenica si distingue, in epoca orientalizzante, Vetulonia, i cui sepolcri sono caratterizzati dai cerchi in pietra che circondano le tombe appartenenti alle famiglie più ricche. All'interno la fossa sepolcrale è separata dalle altre che contengono il corredo dove sono sempre presenti il carro, l'armatura e il lebete con gli oggetti più preziosi provenienti da aree diverse, dall'Etruria meridionale come dal Vicino Oriente. L'attività artigianale locale era prevalentemente bronzistica, ma la lavorazione di altri materiali, come l'avorio, è documentata dalla presenza dei materiali stessi importati e non ancora lavorati. Materiali e oggetti di lusso, importati o prodotti localmente nel VII secolo a.C. si rinvennero a Preneste (tomba Bernardini e tomba Barberini) e a Caere (tomba Regolini-Galassi). Tra gli oggetti più preziosi i grandi calderoni bronzei con protomi di animali, i tripodi e le coppe bronzee o argentee con decorazione a sbalzo di produzione fenicia. Gli Etruschi rispetto alle altre civiltà italiche manifestarono una particolare capacità di assimilazione, ma anche il disinteresse verso l'organizzazione dei linguaggi e delle forme, di diversa provenienza e origine, all'interno di una propria tradizione organica; i beni suntuari, importati o prodotti sul luogo da artigiani stranieri, forse nemmeno stanziali, insediatisi in Etruria nella prima metà del VII secolo a.C., erano destinati ad un consumo ristretto e difficilmente poterono stabilire uno stile particolare all'interno di una produzione più vasta. Le produzioni indigene di imitazione assorbirono un linguaggio composito, detto appunto orientalizzante, distinguendosi tuttavia per una immediatezza e spontaneità espressiva mai soppressa nel tempo, particolarmente avvertibile, in questi primi decenni, nelle attività artigianali legate a materie di antica tradizione locale e meno aperte alle influenze dei prodotti di importazione, come l'impasto e il bronzo. La produzione orientalizzante etrusca si distingueva inoltre, malgrado le differenze regionali esistenti soprattutto in epoca orientalizzante e arcaica, per la prevalenza degli elementi ornamentali e animali a discapito dell'interesse verso l'aspetto narrativo della rappresentazione, tipico invece delle contemporanee esperienze greche. L'insediamento in Etruria di artigiani stranieri che fece seguito alla presenza di una classe sociale disposta ad acquistarne i prodotti favorì lo sviluppo di un artigianato locale che ne riprendeva i modelli di produzione in funzione concorrenziale. Tra questi artigiani immigrati l'autore del cratere di Aristonothos è stato l'unico a lasciarci il suo nome: egli chiuse l'esperienza euboico-cicladica a seguito della quale si aprì una fase di prevalente influenza corinzia, in un'epoca in cui si inseriscono le figure di Demarato di Corinto e degli artigiani giunti in Etruria al suo seguito. Caere e Vulci divennero i maggiori centri di importazione dei vasi corinzi fino alla prima metà del VI secolo a.C., da questi centri le imitazioni venivano esportate negli altri centri dell'Etruria e nel Sud Italia. Gli elementi greco-orientali tuttavia non scomparvero e furono anzi rinforzati dall'espansione di Focea verso occidente e dallo stabilirsi in Etruria di ceramografi come il Pittore delle rondini (630-620 a.C.). L'alternanza tra i modelli figurativi greci e vicino-orientali non si interruppe, ma a partire dal 630 a.C. (convenzionalmente la data di inizio dell'orientalizzante recente, collegato alla diffusione della ceramica etrusco-corinzia) essi si trovarono a essere mediati esclusivamente dalla cultura greca entro la quale le classe dominante etrusca trovò il linguaggio più adatto alle proprie esigenze espressive. Con l'orientalizzante recente si raggiunse in Etruria una certa omogeneità di linguaggio, basato su un tessuto artigianale ormai ampio benché diversificato.

Arcaico

Si indica con il termine arcaico il secolo compreso tra il 580 e il 480 a.C. circa. Fu il periodo in cui emerse la dodecapoli etrusca e in cui il potere, dalle mani di un singolo sovrano, passò in quelle di una stretta oligarchia come conseguenza del fenomeno di urbanizzazione ormai giunto al suo completamento. La nuova organizzazione sociale portò allo svilupparsi dell'edilizia civile e della tipologia templare; le opere pubbliche, attrassero gran parte delle ricchezze prima dedicate al consumo privato; con l'edificazione dei templi comparvero anche le offerte le quali assorbirono parte dei beni che sarebbero altrimenti confluiti nei corredi funerari. Le ceramiche greche di importazione, di provenienza prima corinzia poi prevalentemente attica, furono frequentemente affiancate da una produzione locale di livello medio. La produzione di vasellame da tavola, in bronzo e in ceramica, venne stimolata tra l'altro dal nuovo costume del simposio; tipiche le brocche, usate come attingitoio, definite schnabelkanne. Il complesso palaziale di Poggio Civitate, nei pressi di Murlo a sud di Siena, mostra tuttavia come il fenomeno appena descritto fosse riservato, nella prima metà del VI secolo a.C., alle zone meridionali e costiere dell'Etruria, coinvolgendo l'entroterra, con il formarsi di una nuova oligarchia agraria, solo a partire dalla fine del VI secolo a.C. Tra i coroplasti (gli artigiani della terracotta) si diffuse l'impiego della tecnica a stampo per le lastre architettoniche di rivestimento decorate a rilievo, testimoniata nella decorazione della seconda fase del palazzo di Poggio Civitate (580-570 a.C.); si elaborarono fregi figurati a carattere narrativo funzionali all'ideologia gentilizia. Al di sopra della produzione artigianale destinata al consumo quotidiano, uniformemente diffusa, la produzione qualitativamente più elevata diviene in questo periodo individuabile. Bucchero di pregiata fattura era prodotto a Vulci, Orvieto e Tarquinia, la ceramica a figure nere, il bronzo e la coroplastica si trovavano a Vulci, Orvieto e Caere. Gli artigiani dediti alla fusione a cera persa si staccarono dalle botteghe dei bronzisti alla fine del VI secolo a.C. quando la nuova tecnica si diffuse anche in Etruria. È su commissione di Tarquinio Prisco che Plinio (Nat. hist., XXXV, 157), seguendo Varrone, pone l'esecuzione da parte di Vulca da Veio della statua fittile di Giove per il tempio Capitolino a Roma, in un'epoca che potrebbe quindi coincidere con quella della seconda fase del palazzo di Poggio Civitate, sebbene la cronologia dell'attività di Vulca sia sempre stata dubbia. Nella statuaria in pietra Vulci si pose come centro attivo nel VI secolo a.C., insieme a Chiusi; si impiegavano il nenfro, l'arenaria e il tufo per le statue, prevalentemente animalistiche e a scopo apotropaico, da porre all'esterno delle tombe. La serie di queste statue testimonia il passaggio dallo stile dedalico, esemplificato dal noto Centauro di Vulci (al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia), allo stile ionizzante della fine del secolo, quando tali apparati decorativi esterni, insieme ai bassorilievi che decoravano il tamburo delle tombe a tumulo, terminarono forse a seguito dell'emanazione di leggi antisuntuarie, lasciando spazio ad una maggiore decorazione interna. A Chiusi si usava la pietra per le urne cinerarie, destinate all'interno delle tombe, dove presero il posto dei canopi chiusini. La nuova ondata di ionismo che si verificò in Etruria dal terzo quarto del VI secolo a.C. era collegata alla progressiva avanzata di Focea verso occidente, dalla fondazione di Marsiglia nel 600 a.C. alla diaspora determinata dall'avanzata persiana del 545 a.C. circa (Battaglia di Alalia). Le idrie ceretane rientravano in questa temperie. Attraverso l'emporio di Gravisca gli artisti ionici ebbero un forte impatto sulla pittura funeraria di Tarquinia e sulla scultura in pietra, come testimoniato dalla Venere di Cannicella e dalle statue-cinerario chiusine. L'attività coroplastica di Caere produsse in questa fase le due notissime urne-sarcofago con coppia a banchetto, opere iniziali di una attività al servizio dei privati che avrà fortuna fino al 480 a.C. circa. Intorno al 520 a.C. le lastre fittili di rivestimento degli edifici mutarono, per l'ingresso in Etruria meridionale di maestranze provenienti dalla Magna Grecia e dalla Sicilia, sia nella composizione dell'argilla sia nella decorazione, per la quale nel persistere dei lunghi fregi decorati a stampo, si abbandonò la figurazione a favore di stilemi vegetali. L'evoluzione si verificò inizialmente a Caere, a Veio e a Falerii.[27] Appartengono a questa fase le decorazioni architettoniche del tempio di Portonaccio a Veio, del tempio B di Pyrgi e del tempio di Mater Matuta di Satricum, le ultime due ad opera della scuola cerite. Rispetto alla produzione di Caere, la scuola di Veio si manifestava con un carattere maggiormente espressivo, ancora evidente nelle generazioni seguenti, che proseguirono l'attività fino al 480 a.C. circa. Il movimento di merci e persone gravitante intorno all'emporio di Gravisca determinò una risposta stilistica tutt'altro che omogenea per quanto riguarda le maestranze attive nella decorazione pittorica dei sepolcri di Tarquinia: nella seconda metà del VI secolo a.C. vi si trovavano botteghe diverse e di diversa formazione, pur nell'ambito di una prevalente matrice greco-orientale.[29] In questo panorama si inserì tra VI e V secolo a.C. una nuova attenzione al disegno attico (v. Ceramica a figure rosse) che giunse ad una punta di virtuosismo nel fregio inferiore della tomba delle Bighe,[19] opera importante anche in ambito tematico per la comprensione delle esigenze espressive della nuova classe aristocratica in ascesa.

Periodo classico o età di mezzo.

Dalla metà del V alla metà del III secolo a.C.

Il declino dell'emporia ionica e l'esito della battaglia di Cuma furono causa del ristagno della produzione artistica etrusca del V secolo a.C. i cui contatti si limitavano ormai alla Magna Grecia e alla Sicilia. Tra le motivazioni interne vi fu il declino dei ceti urbani intermedi a favore di una nuova oligarchia poco dedita all'ostentazione. Anche la circolazione degli artisti diminuì. Già alla fine del VI secolo a.C. si era verificato quel fenomeno che Mario Torelli ha definito produzione delegata, riferendosi alle tipologie vascolari prodotte ad Atene specificamente per il mercato etrusco, come nel caso delle anfore nicosteniche; allo stesso fenomeno, alla metà del V secolo a.C., si riconduce la presenza di artigiani etruschi ad Atene (se ne conserva testimonianza per l'officina del Pittore di Pentesilea), dove firmavano in lingua etrusca opere destinate alla madrepatria. La crisi investì soprattutto l'area costiera e meridionale, mentre le zone interne e settentrionali, che avevano conosciuto uno sviluppo più lento e omogeneo in precedenza, divennero la principale area economica e produttiva. Chiusi è la città nella quale in questi anni diviene più facile seguire i tempi e i modi della penetrazione delle forme classiche. Dal 470 a.C. circa si data una serie di statue-cinerario sedute o, in seguito, per una maggiore ellenizzazione, recumbenti, che sostituisce interamente la produzione dei cippi e delle urne scolpite a bassorilievo, riprendendo una tipologia in parte già in uso in epoca arcaica. Da uno stile tardo arcaico gli scultori chiusini passarono ad una assimilazione di forme protoclassiche e poi fidiache nel trattamento dei panneggi e policletee nei nudi. La produzione, a parte alcuni pezzi di eccezione, divenne di bottega nel IV secolo a.C. Oltre alla scultura in pietra Chiusi raggiunse alti livelli nella lavorazione del bronzo, esemplificata dal celebre lampadario di Cortona al Museo dell'Accademia Etrusca e della città di Cortona; non vi era eccellenza invece nell'ambito della coroplastica che continuò a essere praticata dalle maestranze di Veio, fino alla caduta della città nel 396 a.C. L'ingresso delle forme protoclassiche e classiche, che avvenne a Veio per il tramite di Taranto, Capua e Anzio, giunse agli esiti oggi percepibili nelle statue votive provenienti dal santuario di Portonaccio, che indossano l'himation e si atteggiano in pose policletee. Orvieto diede l'avvio verso il 430-420 a.C. ad un programma pubblico per la ricostruzione dei santuari di Vigna Grande, Belvedere, via San Leonardo e Cannicella che permette di seguire l'influenza dello stile classico nella decorazione architettonica fittile; negli stessi anni Orvieto si poneva come grande centro per la statuaria in bronzo, della quale restano tuttavia scarse tracce, tra le quali il Marte di Todi, una delle duemila statue bronzee sottratte dai Romani durante il sacco di Volsinii del 264 a.C. (Plinio, Nat. hist., XXXIV, 34). Nell'Etruria padana si segnalano per la seconda metà del V secolo a.C. le stele funerarie felsinee, decorate a bassorilievo, e i corredi funerari dalla Necropoli della Galassina, in particolare un raffinato specchio in bronzo con decorazione figurata incisa e una grande cista bronzea cordonata. Dopo la caduta di Veio e l'espansione celtica nell'Etruria padana, iniziò una riorganizzazione sociale su base cittadina che, minando il precedente assetto oligarchico, soprattutto nel meridione (Vulci, Tarquinia, Falerii e Caere), provocò una ripresa dei consumi privati e della committenza pubblica, oltre al rifiorire delle piccole città all'interno. A seguito della perdita della funzione politica del simposio si interruppero le importazioni di ceramica dall'Attica e si stimolarono le produzioni locali a favore dei ceti medi; alla riduzione nella produzione del vasellame da mensa, in metallo e in ceramica, seguì la scomparsa della decorazione alla metà del III secolo a.C., sostituita dai soli stampi commerciali. La lavorazione del bronzo copriva l'intero territorio, concentrando la produzione più impegnativa nei centri tradizionali. Nel campo della bronzistica minore, gli specchi etruschi, decorati a incisione e talvolta a rilievo, si datano dalla fine del VI secolo a.C., ma videro un periodo di particolare eccellenza nel IV e nel III, con una produzione soprattutto vulcente e orvietana. A questo artigianato artistico, interessante quanto la ceramografia per le connessioni con la grande pittura, si collegano le ciste prenestine, notevoli nel IV secolo a.C., prodotte da maestranze etrusche. Anche in altri campi della lavorazione del bronzo l'Etruria meridionale sembra, nel IV secolo a.C., essere stata all'avanguardia. La scultura in pietra riemerse in Etruria meridionale e a Chiusi con la produzione dei sarcofagi destinati all'interno delle tombe a camera e con il ritorno della scultura riservata all'esterno dei sepolcri. Le figure dei banchettanti sui coperchi dei sarcofagi permettono di individuare l'ingresso del tipo eroico del ritratto (da intendersi in senso non fisionomico), derivato da quelli di Alessandro Magno e dei diadochi (v. Ritratto ellenistico); l'evoluzione dei bassorilievi sulle casse, assimilabile a quella della decorazione pittorica funeraria, permette di individuare il nuovo meccanismo di autocelebrazione degli aristocratici etruschi, ormai esaltati in quanto figure pubbliche nelle processioni magistratuali, un motivo sconosciuto nel mondo greco. Nell'ambito della committenza pubblica si segnala l'attività di Falerii con l'edificazione del tempio di Giunone Curite, il rifacimento della decorazione del tempio dei Sassi caduti e la costruzione, alla fine del secolo, del tempio dello Scasato la cui impronta ellenistica è di derivazione tarantina. In area costiera si ampliò l'Ara della Regina di Tarquinia e si costruì il tempio grande di Vulci. A Pyrgi si ricorda l'altorilievo per il columen anteriore del tempio A. Ad ambito pubblico appartenevano probabilmente, oltre alla Chimera di Arezzo, anche le teste ritratto, dotate di funzione onoraria; tra queste, il Bruto capitolino rientrava già in un linguaggio, detto medio italico, che per un certo periodo accomunò la produzione in Etruria, Lazio e Campania. Con la graduale conquista romana le caratteristiche proprie che la produzione etrusca aveva fatto emergere, pur attraverso l'adozione della cultura greca, si affievolirono fino a confluire, insieme ai contributi provenienti da altre civiltà della penisola, nell'arte detta medio italica, caratterizzata da un linguaggio comune, di koiné. Era un linguaggio basso e uniforme, identificabile per una progressiva semplificazione formale che giungeva alla sola restituzione degli elementi simbolici, funzionali all'identificazione dello status della committenza. Allo stesso tempo continuò a vivere l'arte legata alla committenza privata più alta per la quale si realizzarono opere grandiose e isolate come la tomba dell'Orco e la tomba François.

Medio e tardo ellenismo

La pace romana del 280 a.C. non influì tanto sulla produzione legata alle committenze alte, quanto su quella destinata ai ceti medi. Dopo la seconda guerra punica la cultura di koiné fu sostituita da modelli culturali e iconografici provenienti da Roma, ormai inserita nell'ambiente delle monarchie ellenistiche, divenendo un punto di attrazione per le maestranze greco-orientali e ateniesi. Al nord, a Chiusi e Perugia, accanto alla vecchia oligarchia si formò una committenza nuova costituita da piccoli proprietari terrieri. Le nuove e più modeste strutture tombali testimoniano di questo cambiamento e livellamento verso una produzione di tipo medio. Le commissioni alte tuttavia, legate all'esistenza di una classe politica ed economica ancora intatta, diedero manifestazione di grande vitalità, della quale è mirabile esempio l'Ipogeo dei Volumni, interamente realizzato da maestranze chiusine. Se l'ipogeo dei Volumni è l'ultimo esempio di tomba gentilizia nell'Etruria settentrionale, il linguaggio che vi si esprime, malgrado la contrazione dei consumi, crollò definitivamente, insieme all'identità della classe sociale che ne aveva determinato l'esistenza, solo con l'età delle guerre civili. Le nuove classi intermedie, allo stesso tempo, stimolavano l'arte funeraria delle urne e dei sarcofagi. Questi videro, verso la metà del III secolo a.C., la rinascita di una tradizione artigianale precedente, rinnovata dall'ingresso di maestranze provenienti dal sud dell'Etruria, verosimilmente da Tarquinia; l'evoluzione formale delle urne nelle città del nord segue lo stesso percorso dei sarcofagi tarquiniesi, con un progressivo avvicinamento alla ritrattistica romana per quanto riguarda le figure sui coperchi, e con l'ingresso a Chiusi e a Volterra di tematiche mitologiche e storiche nei rilievi delle casse, formalmente assimilabili alla produzione tarantina. A Chiusi è sensibile la derivazione dei temi da modelli preesistenti e trasmessi attraverso "cartoni"; a partire dalla metà del II secolo a.C. le urne chiusine vennero prodotte prevalentemente a stampo e dipinte in vivace policromia. Una figura determinante è stata riconosciuta in questo ambito, attiva tra Chiusi, Volterra e Perugia, ed è stata chiamata Maestro di Enomao, per il soggetto dell'urna che si ritiene sia l'opera sua più alta (Museo gregoriano etrusco 13887). Caratterizzato dal forte influsso pergameno e forse di origine greca lo si ritiene responsabile dell'ingresso delle tematiche mitologiche a Perugia, e dell'origine della produzione di qualità che si verifica a Volterra nella prima metà del II secolo a.C. La committenza per urne e sarcofagi si differenziava nei materiali impiegati, più o meno preziosi, dall'alabastro al tufo. A queste differenze sembra corrispondessero le diverse tematiche affrontate nei rilievi della cassa, più frequentemente legati alla mitologia greca per le committenze colte e a temi locali per le classi medie. La coroplastica architettonica templare era formalmente collegata alla scultura funeraria: se ne ha esempio nella decorazione del tempio di Talamonaccio, affine all'ellenismo pergameno. La bronzistica era confinata ad Arezzo, da dove giunse la nota statua dell'Arringatore. In area meridionale, già romanizzata negli ultimi decenni del II secolo a.C. diminuì la committenza più alta per un esodo verso Roma e restò quella media, legata alla plastica fittile a carattere devozionale del periodo. A Caere l'ultima tomba gentilizia, la tomba delle Iscrizioni, è datata all'inizio del III secolo a.C., lo stesso vale per Vulci, ma a Tarquinia la tomba del Tifone è del terzo quarto del secolo e prosegue la grande tradizione della pittura tarquiniese tardo-classica. Con il II secolo a.C. la decorazione pittorica funeraria terminò anche a Tarquinia, così come la decorazione scultorea e le facciate architettoniche delle tombe. Le nuove sepolture gentilizie continuarono ad utilizzare i sepolcri già esistenti. I sarcofagi in pietra di Tarquinia, dopo le opere di qualità della prima metà del III secolo a.C., seguirono un percorso di decadimento che giunse nella seconda metà del II secolo a.C. alla semplificazione formale sia delle casse, ormai rozzamente scolpite o solo dipinte, sia dei coperchi le cui figure venivano rappresentate con una tunica che non riusciva a mascherarne l'inconsistenza. Di qualità superiore erano i contemporanei sarcofagi fittili prodotti a Tuscania, più vicini alle esperienze dell'Etruria settentrionale. Anche nell'ambito delle terrecotte architettoniche, templari e di provenienza domestica, le maestranze chiusine e volterrane riuscirono ad apportare una vitalità che svanì totalmente dalla seconda metà del II secolo a.C. Infine, con la colonizzazione graccana, si inserirono in Etruria meridionale, area tradizionalmente trainante per l'artigianato artistico etrusco, i monumenti romani, interrompendone definitivamente la continuità.

Pittura

Gli ambienti sepolcrali non erano gli unici luoghi affrescati in Etruria, ma sono quelli meglio conservati. Dalle prime esperienze del VII secolo a.C. l'uso di dipingere le pareti delle tombe con scene legate agli ideali della vita aristocratica, ai riti funerari e alla vita ultraterrena si diffonde manifestando l'accoglienza della lezione della pittura greca in scene a soggetto sempre più complesso, all'inizio mediate dalla ceramica greca, che fonde temi locali ai modelli greci. La tecnica pittorica maggiormente utilizzata era l'affresco, solo in pochi casi si riscontra l'uso della pittura a secco; uno di questi è la tomba del Barone. Ad una prima fase di grande libertà nella composizione e nella scelta tematica segue un periodo di maggiore contenimento e standardizzazione; i grandi e complessi cicli pittorici si hanno con la metà del IV secolo a.C. e culminano nella tomba François di Vulci che, caratterizzata da una più accentuata volontà celebrativa e più precisi riferimenti alla realtà contemporanea, è tra le tombe dipinte etrusche quella che maggiormente si avvicina ai sepolcri tarquiniesi dove si formò una scuola pittorica particolarmente originale e vivace.

Scultura

La scultura etrusca, pur essendo fortemente influenzata dalla scultura greca, non seguì un percorso di armonia e perfezione formale. I singoli centri svilupparono gli stimoli che giungevano dall'esterno in modo autonomo dando luogo ad una produzione diseguale ed estranea a coerenti ricerche formali. Influenze ioniche e attiche si evidenziano tra VI e V secolo a.C., mentre la scultura greca di epoca classica è recepita in modo marginale e superficiale. Dalla prima metà del V secolo a.C. le forme si attardano su elementi arcaici, persino più originali che in passato, per un rinvigorirsi delle tradizioni e delle forme locali. Con il IV secolo inizia la produzione dei sarcofagi in pietra che condurrà in età ellenistica alle eccezionali urne rinvenute nell'ipogeo dei Volumni a Perugia. I materiali principali con i quali si esprime la grande scultura etrusca sono il bronzo e la terracotta; del primo restano scarse tracce che possono essere esemplificate nella Lupa capitolina e nella Chimera di Arezzo, della lavorazione della terracotta restano invece testimonianze notevoli in ambito pubblico e privato, con funzioni decorative, votive o funerarie.

Oreficeria

Gli artigiani etruschi furono in grado di praticare le più sofisticate tecniche di lavorazione dei metalli preziosi: repoussé (sbalso/cesello), incisione, filigrana, granulazione. La conoscenza di queste tecniche giungeva loro insieme agli artigiani e agli oggetti di lusso del Vicino Oriente, ma essi seppero perfezionarle padroneggiandole soprattutto nel VII e VI secolo a.C. I gioielli etruschi entravano a far parte dei corredi funerari e in questo modo sono giunti sino a noi. Oggetti di straordinaria ricchezza e fattura sono stati rinvenuti nelle tombe Barberini e Bernardini di Palestrina e nella Regolini-Galassi di Caere. Un oggetto che doveva in particolar modo distinguere lo status del defunto in questi contesti tombali era il pettorale in lamina d'oro. Allo stesso ambito produttivo occorre riferire il vasellame in materiale prezioso, come anche gli oggetti in avorio. Si tratta di oggetti importati o fabbricati sul luogo da artigiani immigrati; uno dei principali luoghi di stanziamento per questo tipo di artigianato estero sembra essere stato Caere e qui come altrove, Vetulonia per esempio, possono essersi formati gli apprendisti etruschi. Durante il VI secolo a.C. non si registrano innovazioni tecniche rispetto al periodo precedente, ma gli oggetti mostrano una maggiore attenzione agli aspetti coloristici mediante inserzione di pietre colorate. Tipicamente etruschi tra metà del VI secolo a.C. e la metà del V sono gli orecchini a bauletto; la produzione di epoca arcaica si concentra a Vulci ed è caratterizzata da una decorazione più semplice e da tipologie greco-orientali, mentre a Caere resta una produzione di oggetti più complessi e raffinati. Dopo il VI secolo a.C. la filigrana e la granulazione scompaiono, continua ad essere impiegato invece il repoussé. In epoca classica ed ellenistica si diffonde l'uso delle corone con foglie in lamina d'oro e quello delle bulle, decorate a sbalzo. La gioielleria etrusca di epoca ellenistica in particolare sembra derivare il proprio gusto dalle produzioni tarantine; tornano ad essere impiegate la filigrana e la granulazione.

ARTE ROMANA















Per arte romana si intende l'arte della civiltà di Roma, dalla fondazione alla caduta dell'Impero d'Occidente, sia nella città che nel resto d'Italia e nelle province orientali e occidentali. L'arte nella parte orientale dell'Impero, dopo la caduta dell'Occidente, sebbene sia in continuità con la Roma imperiale, viene indicata come arte bizantina. Le forme artistiche autoctone, nella fase delle origini e della prima repubblica, sono piuttosto elementari e poco raffinate. Con il contatto con la civiltà greca Roma avrà un atteggiamento ambivalente nei confronti della "superiore" arte greca: progressivamente ne apprezzerà le forme, mentre proverà disprezzo per gli autori, artisti greci socialmente inferiori nei confronti dei conquistatori romani (lo stesso atteggiamento era tenuto verso filosofi e poeti ellenici). Con il passare dei secoli l'arte greca avrà un sempre maggiore apprezzamento, anche se non mancheranno tendenze autoctone "anticlassiche" che costituiranno un elemento di continuità con l'arte romanica. Parlare di arte romana implica il trattare di produzione artistica nell'arco temporale di circa un millennio, con confini geografici di volta in volta più estesi. All'inizio di questo svolgimento il problema sul quale si sono soffermati gli studi è quello di individuare un momento di stacco tra la produzione genericamente italica (intesa come koinè tra l'arte campana, etrusca e laziale) e la nascita di un accento peculiare legato all'insediamento di Roma, diverso dagli altri e dotato di una propria specificità. Via via che il territorio amministrato da Roma si faceva più ampio sorge un'altra questione negli studiosi, cioè quella se comprendere o meno tutte le forme artistiche dei popoli assoggettati a Roma. Ciò porterebbe a comprendere sotto la stessa le civiltà artistiche più antiche, come quelle legate all'ellenismo (Grecia, Asia Minore, Egitto), e produzioni più incolte, messe in contatto con l'ellenismo proprio dai romani (come la penisola iberica, la Gallia, la Bretagna, ecc.). I due orizzonti (arte della città di Roma e arte antica in età romana) vanno entrambi tenuti presenti, anche per il continuo intrecciarsi delle esperienze legate alla produzione artistica da Roma alle province e viceversa. Tutta l'arte romana è infatti intessuta da un continuo scambio tra il centro e la periferia: da Roma partivano le indicazioni ideologiche e di contenuto che influenzavano la produzione, senza però proibire una certa diversità e autonomia di espressione legata alle preesistenti tradizioni. In particolare i Romani arrivarono a influenzare anche i centri ellenistici tramite un nuovo concetto dell'arte, intesa come celebrazione dell'individuo "nello Stato" e dello Stato come propulsore del benessere collettivo. Paul Zanker aggiunge che, l'ellenizzazione di Roma si ebbe con la conquista delle città e monarchie greche, che modificarono radicalmente le strutture politiche e sociali della Repubblica romana e dei suoi alleati italici. Egli con tale premessa, vorrebbe far iniziare il periodo dell'arte romana con l'epoca delle grandi vittorie di Roma su Siracusa (212 a.C.), Taranto (209 a.C.) e Perseo, re di Macedonia (168 a.C.), fino alla distruzione di Cartagine e di Corinto (146 a.C.).

Differenze con l'arte greca
«È uso greco non coprire il corpo [delle statue], mentre i Romani, in quanto soldati, aggiungono la corazza.» (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXIV, 18)

Le vittorie romane in Sicilia sui Siracusani nel 212 a.C., in Asia Minore sui Seleucidi a Magnesia nel 189 a.C. e la conquista della Grecia nel 146 a.C., con la presa di Corinto e di Cartagine, costituiscono due date fondamentali per l'evoluzione artistica dei Romani. «[Marco Claudio Marcello] fece trasportare a Roma le cose preziose della città, le statue, i quadri dei quali era ricca Siracusa, oggetti considerati spoglie dei nemici e appartenenti al diritto di guerra. Cominciò proprio da questo momento l'ammirazione per le cose greche e la sfrenatezza di spogliare dovunque le cose sacre e profane.» (Livio, XXV, 40.1-2.) Fino a quest'epoca il contatto con l'arte greca aveva avuto un carattere episodico, o più spesso mediato dall'arte etrusca e italica. Ora Roma possedeva direttamente i luoghi in cui l'arte ellenistica aveva avuto origine e sviluppo e le opere d'arte greche vennero portate come bottino a Roma. La superiorità militare dei romani cozzava con la superiorità culturale dei greci. Questo contrasto venne espresso efficacemente da Orazio, quando scrisse che la Grecia sconfitta aveva sottomesso il fiero vincitore (Graecia capta ferum victorem cepit). Per qualche tempo la cultura ufficiale romana disprezzò pubblicamente l'arte dei greci vinti, ma progressivamente il fascino di questa arte raffinata conquistò, almeno nell'ambito privato, le classi dirigenti romane favorendo una forma di fruizione artistica basata sul collezionismo e sull'eclettismo. In un certo senso i Romani si definirono in seguito i continuatori dell'arte greca in un arco che da Alessandro Magno giungeva fino agli imperatori. Ma, come riconosciuto da numerosi studiosi, vi sono alcune differenze sostanziali tra arte greca e romana, a partire in primo luogo dal tema principale della rappresentazione artistica stessa: i Greci rappresentavano un logos immanente, i Romani la res. In parole più semplici, i Greci trasfiguravano in mitologia anche la storia contemporanea (le vittorie sui Persiani o sui Galati diventavano quindi centauromachie o lotte fra Dei e Giganti o ancora amazzonomachie), mentre i Romani rappresentavano l'attualità e gli avvenimenti storici nella loro realtà. La forza morale e il senso di eticità delle rappresentazioni dei miti greci si era già comunque logorata nei tre secoli dell'ellenismo, quando da espressione comunitaria l'arte si era "soggettivata", diventando cioè espressione di volta in volta della potenza economica e politica di un sovrano, della raffinatezza di un collezionista o dell'ingegnosità di un artefice. In questo solco i Romani procedettero poi ancora più a fondo, arrivando a rappresentare l'attualità concreta di un avvenimento storico: prima di loro solo alcuni popoli del Vicino Oriente avevano praticato tale strada, rifiutata dai Greci. L'uso "personale" dell'arte nell'arte romana permise la fioritura dell'arte del ritratto, che si sostituì all'astrazione formale delle teste nelle statue greche. L'aggiungere teste realistiche a corpi idealizzati (come nella statua di personaggio romano da Delos), che avrebbe fatto rabbrividire un greco di età classica, era però ormai praticata dagli artisti neoattici della fine del II secolo a.C., per committenti soprattutto romani.

L'uso dell'arte romana
La produzione artistica romana non fu mai "gratuita", cioè non era mai rivolta a un astratto godimento estetico, tipico dell'arte greca. Dietro le opere d'arte si celava sempre un fine politico, sociale, pratico. Anche nei casi del migliore artigianato di lusso (vasi di metalli preziosi e ceramici, cammei, gemme, statuette, vetri, fregi vegetali architettonici, ecc.) la bellezza era connessa al concetto di sfarzo, inteso come autocelebrazione del committente della propria potenza economica e sociale. Le sculture ufficiali, per quanto valide esteticamente, avevano sempre intenti celebrativi, se non addirittura propagandistici, che in un certo senso pesavano più dell'astratto interesse formale. Ciò non toglie che l'arte romana fosse comunque un'arte "bella" e attenta alla qualità: la celebrazione imponeva scelte estetiche curate, che si incanalavano nel solco dell'ellenismo di matrice greca. I modelli greci tuttavia, persa la loro concezione astratta e oggettiva, subirono una sorta di "svuotamento", e questo ha alimentato a lungo un'impostazione detta "neoclassica", che inquadrava la produzione artistica romana nell'orbita di una decadenza dell'ellenismo. La Scuola viennese di storia dell'arte ha superato la concezione "neoclassica" dimostrando che in realtà i modelli greci, perso un significato originario, ne acquistarono un altro concreto e soggettivo; e questa libertà nella reinterpretazione di schemi iconografici del passato sfocerà poi, in epoca cristiana, nel riciclo e quindi nella continuità di questi modelli: la Nike alata che diventa angelo, il filosofo barbuto che diventa apostolo, ecc.

Innovazione nell'arte romana
Senza considerare l'architettura e soffermandosi solo sulle arti più propriamente figurative (pittura e scultura), appare chiaro che nell'arte romana la creazione ex novo, a parte alcune rare eccezioni (come la Colonna Traiana), non esiste, o per lo meno si limita al livello più superficiale del mestierante. Manca quasi sempre una cosciente ricerca dell'ideale estetico, tipica della cultura greca. Anche il momento creativo che vide la nascita di una vera e propria arte "romana", tra la metà del II secolo a.C. e il secondo triumvirato, fu dovuto in massima parte alle ultime maestranze greche e italiote, nutrite di ellenismo. In questo i Romani seguirono il solco degli italici, presso i quali la produzione artistica era sempre rimasta qualcosa di artigianale, istintivo, condizionato da fattori pratici esterni. Ma la freschezza dell'arte romana è data comunque dalla straordinaria aderenza alle tematiche e dalla mirabile capacità tecnica, anche in schemi ripetuti infinite volte.

Produzione di copie
Un fenomeno tipicamente romano fu la produzione in quantità di massa di copie dell'arte greca, soprattutto del periodo classico databile tra il V e il IV secolo a.C. Questo fenomeno prese avvio nel II secolo a.C. quando crebbe a Roma una schiera di collezionisti appassionati di arte greca, per i quali ormai non bastavano più i bottini di guerra e gli originali provenienti dalla Grecia e dall'Asia Minore. Il fenomeno delle copie ci è giunto in massima parte per la scultura, ma dovette sicuramente riguardare anche la pittura, gli elementi architettonici e le cosiddette arti applicate. Le copie di statue greche di epoca romana hanno permesso la ricostruzione delle principali personalità e correnti artistiche greche, ma hanno anche perpetrato a lungo tempo negli studiosi moderni alcune idee errate, come la convinzione che le tipologie dell'arte greca fossero caratterizzate dalla fredda accademicità delle copie, o che l'arte romana stessa fosse un'arte dedita principalmente alla copiatura, falsandone la prospettiva storica. Per i romani non esisteva lo storicismo e in nessuna fonte antica si trovano echi di un diverso apprezzamento tra opera originale e copia, che evidentemente erano considerati pienamente equivalenti. Non mancarono esempi però di raffazzonature, pasticci e modifiche arbitrarie, come nel caso di un Pothos di Skopas, del quale esistono copie simmetriche usate per fare pendant nella decorazione architettonica.

Eclettismo
Con l'afflusso a Roma di opere greche provenienti da molte epoche e aree geografiche è naturale che si formasse un gusto eclettico, cioè amante dell'accostamento di più stili diversi, con una certa propensione al raro e al curioso, senza una vera comprensione delle forme artistiche e dei loro significati. Ma l'eclettismo dei romani riguardava anche la presenza della tradizione italica, che si era inserita a uno strato molto profondo della società. Per i romani non solo era naturale accostare opere d'arte in stili diversi, ma l'eclettismo si riscontrava spesso anche nella medesima opera, assorbendo da più fonti diverse iconografie, diversi linguaggi formali e diversi temi. L'importanza dell'eclettismo nella storia artistica romana è anche data dal fatto che, a differenza di altre culture, non comparve, come di tendenza, al termine e al decadere culturale, ma all'inizio della stagione artistica romana. Uno dei più antichi esempi di questa tendenza si ha nell'ara di Domizio Enobarbo, della quale è conservato parte del frontone al Louvre (presentazione di animali per un sacrificio, con uno stile di derivazione chiaramente realistico e plebeo) e due lastre del fregio a Monaco di Baviera (in stile ellenistico, un corteo di divinità marine). L'eclettismo si manifestò precocemente anche in opere della massima committenza pubblica, come nell'Ara Pacis di Augusto.

Alle radici dell'arte romana: il rilievo storico
Il passo decisivo che segnò uno stacco tra arte greca e romana fu senz'altro la comparsa del rilievo storico, inteso come narrazione di un evento di interesse pubblico, a carattere civile o militare. Il rilievo storico romano non è mai un'istantanea di un avvenimento o di una cerimonia, ma presenta sempre una selezione didascalica degli eventi e dei personaggi, composti in maniera da ricreare una narrazione simbolica ma facilmente leggibile. Le prime testimonianze di questo tipo di rappresentazione pervenuteci sono l'affresco nella necropoli dell'Esquilino (inizi del III secolo a.C.) o le pitture nelle tombe di Tarquinia della metà del II secolo a.C. (ormai sotto la dominazione romana). Ma inizialmente la rappresentazione storica fu sempre un'esaltazione gentilizia di una famiglia impegnata in quelle imprese, come la Gens Fabia nel citato esempio dell'Esquilino. Gradualmente il soggetto storico si cristallizzerà in alcuni temi, entro i quali l'artista aveva limitato motivo di inserire varianti, a parte quelle particolarizzazioni legate ai luoghi, ai tempi ed ai personaggi ritratti. Per esempio per celebrare una guerr vittoriosa si seguiva lo schema fisso della:

    Profectio, partenza

    Costruzione di strade, ponti o fortificazioni

    Lustratio, sacrificio agli dei

    Adlocutio, incitamento delle truppe (allocuzione)

    Proelium, battaglia

    Obsidio, assedio

    Submissio, atto di sottomissione dei vinti

    Reditus, ritorno

    Triumphus, corteo trionfale

    Liberalitas, atto di beneficenza.

Tramite questi schemi fissi la rappresentazione diventava immediatamente esplicita e facilmente comprensibile a chiunque.

Arte aulica e arte plebea, arte provinciale
La società romana fu caratterizzata sin dalle origini da un dualismo, che si è manifestato pienamente anche nella produzione artistica: quello tra patrizi e plebei e quindi tra arte patrizia (o "aulica") e arte plebea (o "popolare" che, dopo il I secolo d.C., trovò sviluppi nella produzione artistica delle province occidentali). Queste due correnti, la cui importanza storica è stata riconosciuta solo nella seconda metà del XX secolo, coesistettero fin dagli esordi dell'arte romana e gradualmente si avvicinarono, fino a fondersi nell'epoca tardoantica. Sarebbe sbagliato volere imporre una gerarchia assoluta in queste due correnti, essendo animate, a livello generico, da interessi e fini molto diversi: l'arte plebea aveva scopi di celebrazione inequivocabile del committente, di immediata chiarezza, di semplificazione, di astrazione intuitiva, che entreranno nell'arte ufficiale dei monumenti pubblici romana solo dal III secolo-inizi del IV secolo d.C. (a seguito di profondi mutamenti ideali e sociologici), provocando quella rottura con l'ellenismo che confluirà nell'arte medievale. L'arte plebea non seguiva il solco del naturalismo ellenistico, anzi rappresentò il primo vero superamento dell'ellenismo "ormai priva di slancio e di possibilità di nuovi sviluppi artistici". La corrente più aulica invece sopravvisse nella nuova capitale Costantinopoli, per poi uscire sublimata, tramite il contatto con centri artistici di lontana ascendenza iranica (Hatra, Palmyra, Doura), nell'arte bizantina, con una rinnovata attenzione al linearismo.

Storia dell'arte romana

Arte delle origini e della monarchia
Secondo la leggenda, la città di Roma venne fondata il 21 aprile nell'anno 753 a.C. Alle origini della città ebbe grande importanza il guado sul Tevere, che costituì per molto tempo il confine tra Etruschi e Latini, nei pressi dell'Isola Tiberina, e l'approdo fluviale dell'Emporium, tra Palatino e Aventino. Nell'età protostorica e regia non si può ancora parlare di arte "romana" (cioè con caratteristiche proprie), ma solo di produzione artistica "a Roma", dalle caratteristiche italiche, con notevoli influssi etruschi. Presso l'emporio vicino all'attraversamento del fiume, il Foro Boario, è stato scavato un tempio arcaico, nell'area di Sant'Omobono, risalente alla fine del VII-metà del VI secolo a.C., con resti di età appenninica che documentano una continuità di insediamento per tutta l'epoca regia. Sotto Tarquinio Prisco viene edificato sul Campidoglio il tempio dedicato alla triade capitolina, Giove, Giunone e Minerva, nella data tradizionale del 509 a.C., la stessa in cui viene collocata la cacciata del re e l'inizio delle liste dei magistrati. La data di fondazione del tempio poteva anche essere stata verificata dagli storici romani successivi grazie ai clavi i chiodi annuali infissi nella parete interna del tempio. I resti del podio del tempio sono ancora parzialmente visibili sotto il Palazzo dei Conservatori e nei sotterranei dei Musei Capitolini. Le sculture in terracotta che lo adornavano, altra caratteristica dell'arte etrusca, sono andate perdute ma non dovevano essere molto diverse dalla scultura etrusca più famosa della stessa epoca, l'Apollo di Veio dello scultore Vulca, anch'essa parte di una decorazione templare (il Santuario di Portonaccio a Veio). Anche la tipologia architettonica del tempio sul Campidoglio è di tipo etrusco: un alto podio con doppio colonnato sul davanti sul quale si aprono tre celle. Tra le opere più imponenti della Roma arcaica ci furono la Cloaca Maxima, che permise l'insediamento nella valle del Foro, e le Mura serviane, delle quali restano vari tratti. Bisogna attendere il periodo tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C. per trovare un'opera d'arte figurativa prodotta sicuramente a Roma: è la nota Cista Ficoroni, contenitore in bronzo finemente cesellato col mito degli Argonauti (dall'iscrizione Novios Plautios med Romai fecid, "Novio Plautio mi fece a Roma"). Ma la tipologia del contenitore è prenestina, l'artefice di origina osco-campana (a giudicare dal nome), la decorazione a bulino di matrice greca classica, con parti a rilievo inquadrabili pienamente nella produzione medio-italica.

Arte repubblicana
Il primo periodo dell'arte repubblicana fu una continuazione dello stile arcaico (come nei tempi gemelli dell'area di Sant'Omobono o quelli del largo Argentina). Una sostanziale rivoluzione si ebbe quando i romani entrarono in contatto sempre più stretto coi greci, che culminò nella conquista della Magna Grecia, della Grecia ellenica, della Macedonia e dell'Asia Minore. I bottini di guerra fecero arrivare in patria un enorme afflusso di opere d'arte, che metteva i romani nell'imbarazzante questione di accettare come superiore una cultura da essi sconfitta. Nacquero due partiti, uno filoelleno, fine amante dell'arte greca, capeggiato dal circolo degli Scipioni, e uno tradizionalista e filoromano capeggiato da Catone il Censore e i suoi seguaci. L'enorme afflusso di opere greche non si arrestò, anzi quando la domanda da parte di collezionisti appassionati superò l'offerta di opere originali, nacque il gigantesco mercato delle copie e delle opere ispirate ai modelli classici del V e IV secolo a.C. (neoatticismo). Fu solo dopo un certo periodo che i romani, "digerita" l'invasione di opere greche di tanti stili diversi (per epoca e per regione geografica) iniziarono a sviluppare un'arte peculiarmente "romana", anche se ciò fu dovuto in grande parte a maestranze greche e ellenistiche. In particolare fu sotto il governo di Silla che si notano i primi albori dell'arte romana, che si sviluppò originalmente soprattutto in tre campi: l'architettura, il ritratto fisiognomico e la pittura.

Ritratto
L'altro importante traguardo raggiunto dall'arte romana a partire dall'epoca di Silla è il cosiddetto ritratto "veristico", ispirato alla particolare concezione "catoniana" delle virtù dell'uomo patrizio romano: carattere forgiato dalla durezza della vita e della guerra, orgoglio di classe, inflessibilità, ecc. Il diverso contesto dei valori nella società romana portò però divergere dai modelli ellenistici con i volti ridotti a dure maschere, con una resa secca e minuziosa della superficie, che non risparmia i segni del tempo e della vita dura. Tra gli esempi più significativi del "verismo patrizio" ci sono la testa 535 del Museo Torlonia (replica tiberiana), il velato del Vaticano (replica della prima età augustea), il ritratto di ignoto di Osimo, il busto 329 dell'Albertinum di Dresda, ecc. Il crudo verismo di queste opere è mitigato in altri esempi (70-50 a.C.) dal plasticismo più ricco e una rappresentazione più organica e meno tetra, con la rigidezza mitigata da un'espressione più serena: è il caso la testa 1332 del museo Nuovo dei Conservatori (databile 60-50 a.C.) o il ritratto di Pompeo alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Nonostante la rilevanza solo in ambito urbano e la breve durata temporale, il ritratto romano repubblicano ebbe un riflesso e seguito notevole nel tempo, soprattutto nei monumenti funerari delle classi inferiori che guardavano al patriziato con aspirazione, come i liberti.

Pittura
In questo periodo si colloca anche la costituzione di una tradizione pittorica romana. Essa viene detta anche "pompeiana", perché studiata nei cospicui ritrovamenti di Pompei e delle altre città vesuviane sommerse dall'eruzione del Vesuvio del 79, anche se il centro della produzione artistica fu sicuramente Roma. Era tipico per una casa signorile avere ogni angolo di parete dipinta, da cui deriva una straordinaria ricchezza quantitativa di decorazioni pittoriche. Tali opere però non erano frutto dell'inventiva romana, ma erano un ultimo prodotto, per molti versi banalizzato, dell'altissima civiltà pittorica greca. Si individuano quattro "stili" per la pittura romana, anche se sarebbe più corretto parlare di schemi decorativi. Il primo stile ebbe una documentata diffusione in tutta l'area ellenistica (incrostazioni architettoniche dipinte) dal III-II secolo a.C. Il secondo stile (finte architetture) non ha invece lasciato tracce fuori da Roma e le città vesuviane, databile dal 120 a.C. per le proposte più antiche, fino agli esempi più tardi del 50 a.C. circa; è forse un'invenzione romana. Il terzo stile (ornamentale) si sovrappose al secondo stile ed arrivò fino alla metà del I secolo, all'epoca di Claudio (41-54). Il quarto stile (dell'illusionismo prospettico), documentato a Pompei dal 60 d.C., è molto ricco, ma non ripropone niente di nuovo che non fosse già stato sperimentato nel passato. In seguito la pittura, a giudicare da quanto ci è pervenuto, si inaridì gradualmente, con elementi sempre più triti e con una tecnica sempre più sciatta; bisogna però anche sottolineare che per il periodo successivo 79 non abbiamo più l'unico e straordinario catalogo pittorico delle città vesuviane sepolte.

Arte imperiale classica

La prima fase dell'impero e il classicismo augusteo.
Con il principato di Augusto ebbe inizio una radicale trasformazione urbanistica di Roma in senso monumentale. Nel periodo da Augusto ai Flavi si nota un irrobustirsi di tutti quegli edifici privi dell'influenza del tempio greco: archi trionfali, terme, anfiteatri, ecc. Nell'arco partico del Foro Romano (20 a.C. circa) nacque una forma ancora embrionale dell'arco a tre fornici. Risalgono a questo periodo i più spettacolari edifici per spettacoli: il teatro di Marcello (11 a.C.), l'anfiteatro di Pola, l'Arena di Verona, il teatro di Orange e poco dopo il Colosseo (inaugurato da Tito nell'80 e poi completato da Domiziano).

Scultura
Anche nelle arti figurative si ebbe una grande produzione artistica, improntata ad un classicismo finalizzato a costruire un'immagine solida e idealizzata dell'impero. Si recuperò, in particolare, la scultura greca del V secolo a.C., Fidia e Policleto, nella rappresentazione delle divinità e dei personaggi illustri romani, fra cui emblematici sono alcuni ritratti di Augusto come pontefice massimo e l'Augusto loricato, quest'ultimo rielaborato dal Doriforo di Policleto. L'uso di creare opere nello stile greco classico va sotto il nome di neoatticismo, ed è improntato a un raffinato equilibrio, che però non è esente da una certa freddezza di stampo "accademico", legata cioè alla riproduzione dell'arte greca classica idealizzata e priva di slanci vitali. Solo durante la dinastia giulio-claudia si ebbe un graduale attenuarsi dell'influenza neoattica permettendo la ricomparsa di un certo colore e calore nella produzione scultorea.

Pittura
Tra il 30 e il 25 a.C. poteva dirsi pienamente compiuto lo sviluppo del secondo stile pompeiano. Ascrivibile al terzo stile è la decorazione della Casa della Farnesina o la Casa del Criptoportico a Pompei. A cavallo tra la fine del regno di Augusto e l'epoca claudia si collocano gli affreschi della grande sala della villa di Prima Porta di Livia, con la veduta di un folto giardino, culmine della pittura di giardini illusionistici. Forse risale all'epoca di Augusto anche la famosa sala della villa dei Misteri, dove sono mescolate copie di pitture greche e inserzioni romane. Le ricostruzioni dopo il terremoto di Pompei del 62 videro nuove decorazioni, per la prima volta nel cosiddetto quarto stile, forse nato durante la decorazione della Domus Transitoria e della Domus Aurea.

Toreutica e glittica
Nel periodo di Augusto anche la toreutica e la glittica ebbero la migliore fioritura, con un notevole livello sia tecnico che artistico, con più naturalezza rispetto all'arte in grande formato. Tra i pezzi più pregiati il tesoro di Hildesheim, la Gemma Augustea (29 a.C.), il cammeo di Augusto e Roma e il Grande cammeo di Francia (di epoca tiberiana).

I Flavi

Gli imperatori della dinastia flavia proseguirono nell'edificazione di opere di grande impegno. Fra queste spicca il Colosseo, il simbolo più famoso di Roma. In quell'epoca l'arte romana si sviluppò superando la pesante tutela dell'arte neoattica, generando nuovi traguardi artistici. Nel campo della scultura non è ancora chiaro quanto fu determinante l'ispirazione al mondo ellenistico per superare la parentesi neoattica. In ogni caso nei rilievi nell'Arco di Tito (81 o 90 d.C.) si nota un maggiore addensamento di figure e, soprattutto, una consapevole disposizione coerente dei soggetti nello spazio, con la variazione dell'altezza dei rilievi (dalle teste dei cavalli a tutto tondo alle teste e le lance sagomate sullo sfondo), che crea l'illusione di uno spazio atmosferico reale. Inoltre per la prima volta si trova portata a compimento la disposizione delle figure su una linea curva convessa (piuttosto che retta), come dimostra il rilievo della processione dove a sinistra le figure sono viste di tre quarti e di faccia, e all'estrema destra di dorso mentre entrano sotto il fornice della Porta Triumphalis. Lo spettatore ha così la sensazione di essere circondato e quasi sfiorato dal corteo, secondo un tendenza che verrà ulteriormente sviluppata nel "barocco" antoniniano dal III secolo in poi.

Il tempo di Traiano

 
Sotto Traiano (98-117 d.C.) l'impero conobbe il suo apogeo, ed anche l'arte riuscì, per la prima volta (stando a quanto ci è pervenuto) a staccarsi dall'influenza ellenistica, portando un proprio, nuovo prodotto artistico (il rilievo storico) ai livelli dei grandi capolavori dell'arte antica: i rilievi della Colonna Traiana. In questa opera, dove confluisce tutta la perizia tecnica ellenistica e la scorrevole narrazione romana, si svolge per circa duecento metri continui la narrazione delle campagne in Dacia di Traiano, priva, come scrive Ranuccio Bianchi Bandinelli, "di un momento di stanchezza ripetitiva, di una ripetizione, insomma, di un vuoto nel contesto narrativo". Vi sono molte innovazioni stilistiche, ma è straordinario come anche il contenuto, per la prima volta in un rilievo storico, riesca a superare la barriera del freddo distacco un po' compassato delle opere augustee e ancora flavie: le battaglie sono veementi, gli assalti impetuosi, i vinti ammantati di umana pietà. Scene dure, come i suicidi di massa o la deportazione di intere famiglie, sono rappresentati con drammatica e pietosa partecipazione e la ricchezza di dettagli e accenti narrativi fu probabilmente dovuta a un'esperienza diretta negli avvenimenti. I rilievi della Colonna, come anche la nuova tipologia di ritratto imperiale (il "ritratto del decennale"), sono caratterizzati da un senso di umana dignità e forza morale, che non ha niente di sovrumano, di teatrale, di retorico. Traiano è l'optimus princeps (il "primo funzionario" dello Stato) e amministra con la disciplina e la razionalità, senza richiami trascendeti o aloni augurali e religiosi.

Il tempo di Adriano

Il successore, l'imperatore Adriano, era appassionato di cultura ellenistica. Fece edificare, prendendo parte alla progettazione, Villa Adriana a Tivoli, grandioso complesso architettonico e paesaggistico le cui architetture riprendono ecletticamente modelli orientali ed ellenistici. Fece inoltre ricostruire il Pantheon di Roma, con la cupola perfettamente emisferica appoggiata ad un cilindro di altezza pari al raggio e pronao corinzio, uno degli edifici romani meglio conservati e il suo mausoleo, ora Castel Sant'Angelo, al Vaticano. In scultura tipici della sua epoca sono i ritratti di Antinoo, suo giovane amante morto in circostanze misteriose e da lui divinizzato con un culto ufficiale per tutto l'Impero. Il classicismo adrianeo si discostò abbastanza da quello dell'arte augustea (neoatticismo), più freddo e accademico, essendo anche ormai la società romana profondamente cambiata dai tempi del primo imperatore. Facendo un paragone con l'arte moderna si potrebbe affermare che l'arte augustea era stata una sorta di neoclassicismo, quella adrianea di romanticismo. Sotto Adriano Roma aveva ormai consolidato una società articolata, una cultura propria e un livello artistico notevole e indipendente, non era più ai primi passi e non aveva quindi più bisogno del rigido sostegno degli artisti ateniesi come era avvenuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. L'amore verso la Grecia classica di Adriano va comunque collocato nell'ambito dell'interesse privato del princeps, non fu un evento di largo raggio che suscitò una vera e propria problematica artistica (un "rinascenza" o "rinascimento"), e svanì con la scomparsa del protagonista. Questa forma artistica era però espressione anche di un preciso programma politico, legato a un avvicinamento del sovrano (e quindi di Roma) alle province di cultura ellenica, come documentano anche i suoi frequenti viaggi.

Gli Antonini

Sotto la dinastia degli Antonini, la produzione artistica ufficiale continuò nel solco del classicismo adrianea, con alcune tendenze che si svilupparono  ulteriormente. Il gusto per il contrasto tra superfici lisce e mosse (come nel ritratto di Adriano), trasposto su una composizione d'insieme produsse il rilievo estremamente originale della decursio nella base della colonna Antonina. Conseguenza fu anche l'accentuazione del chiaroscuro. Sotto Commodo si assistette a una svolta artistica, legata alla scultura. Nelle opere ufficiali, dal punto di vista formale si ottenne una dimensione spaziale pienamente compiuta, con figure ben collocate nello spazio tra le quali sembra "circolare l'atmosfera" (come negli otto rilievi riciclati poi nell'Arco di Costantino). Dal punto di vista del contenuto si assiste alla comparsa di sfumature simbolico-religiosi nella figura del sovrano e alla rappresentazione di fatti irrazionali. Questa tendenza è evidente nella Colonna di Marco Aurelio che, sebbene ispirata a quella Traiana, presenta molte novità: scene più affollate, figure più scavate, con un chiaroscuro più netto e, soprattutto, la comparsa di elementi irrazionali (Miracolo della pioggia, Miracolo del fulmine), prima avvisaglia di una società ormai in cerca di evasione da una realtà difficile, che di lì a poco, durante il successivo sfacelo economico e politico dell'impero, sarebbe sfociata nell'irrazionalismo anti-classico.

Il Basso Impero

La tumultuosa successione di Commodo mise in luce, nel 192, tutte le debolezze istituzionali dell'Impero, dando il via a un periodo di grave instabilità politica, economica e sociale che portò alla crisi del III secolo. L'Impero romano entrò nella sua fase discendente, chiamata anche "Basso Impero". L'arte prese una direzione anti-ellenistica, cercando forme meno organiche, razionali e naturalistiche. Più che un momento di crisi artistica (o "decadenza", secondo l'impostazione storica agli studi di matrice neoclassica), fu un fenomeno di più ampio raggio, che corrispondeva a nuove esigenze sociali e culturali del mutato contesto, che non si riconosceva più nel naturismo, la razionalità e la coerenza formale dell'arte di derivazione greca: le necessità di evasione, di isolamento, di fuga dalla realtà portarono a nuove concezioni filosofiche religiose, dominate dall'irrazionalità e dall'astrazione metafisica, che si riflessero in maniera profonda nella produzione artistica.

Inoltre il confluire nella capitale un numero sempre maggiore di persone dalle province (funzionari, mercanti, artisti, ma anche gli stessi imperatori), contrapposto alla perdita di autorità e di importanza del Senato e dell'antica aristocrazia romana, portò nella capitale i modi dell'arte cosiddetta provinciale e plebea che già da secoli era orientata verso un maggiore espressionismo opposto alla rappresentazione fedele della natura.

Il periodo dei Severi

Già nei rilievi dell'Arco di Settimio Severo (202-203), si infittisce l'uso dello scalpello che crea solchi profondi e quindi toni più chiaroscurali; inoltre si afferma una rappresentazione della figura umana nuova, in scene di massa che annullano la rappresentazione individuale di matrice greca; anche la plasticità è diminuita. L'imperatore appare su un piedistallo circondato dai generali mentre recita l'adlocutio e sovrasta la massa dei soldati come un'apparizione divina.

Il-III secolo

L'ultima fase dell'impero, a partire da Diocleziano, Costantino fino alla caduta della parte occidentale, è caratterizzata dalla perdita delle certezze e dall'insinuarsi di una sensibilità nuova. In architettura si affermarono costruzioni per scopi difensivi, come le mura aureliane o il Palazzo di Diocleziano (293-305 circa) a Spalato, provvisto di solide fortificazioni. I ritratti imperiali in quegli anni divennero innaturali, con attenzione al dettaglio minuto piuttosto che all'armonia dell'insieme (come nella Testa di Gordiano III), idealizzati, con sguardi laconici dai grandi occhi (come nella Statua colossale di Costantino I). Non interessava più la rappresentazione della fisionomia, ma ormai il volto imperiale doveva esprimere un concetto, quello della santità del potere, inteso come emanazione divina.

Il IV secolo

Ancora più emblematico di questa progressiva perdita della forma classica è l'arco di Costantino (312-315), dove sono scolpiti bassorilievi con figure dalle forme tozze e antinaturalistiche, affiancate a materiale di spoglio dalle forme ancora classiche del II secolo. Nell'Adlocutio l'imperatore si erge seduto al centro in posizione rialzata sulla tribuna, l'unico girato frontalmente assieme alle due statue ai lati del palco imperiale, raffiguranti (piuttosto grezzamente) Adriano a destra e Marco Aurelio a sinistra. La posizione dell'Imperatore acquista una valenza sacrale, come di una divinità che si mostri ai fedeli isolata nella sua dimensione trascendente, sottolineata anche dalle dimensioni leggermente maggiori della sua figura. Si tratta infatti di uno dei primissimi casi a Roma nell'arte ufficiale di proporzioni tra le figure organizzate secondo gerarchia: la grandezza delle figure non dipende più dalla loro posizione nello spazio, ma dalla loro importanza. Un altro elemento interessante dei rilievi dell'arco di Costantino è la perdita dei rapporti spaziali: lo sfondo mostra i monumenti del Foro romano visibili all'epoca (basilica Giulia, arco di Settimio Severo, arco di Tiberio e colonne dei vicennalia della tetrarchia - gli ultimi due oggi scomparsi), ma la loro collocazione non è realistica rispetto al sito sul quale si svolge la scena (i rostra), anzi sono allineati parallelamente alla superficie del rilievo. Ancora più inconsueta è rappresentazione in "prospettiva ribaltata" dei due gruppi laterali di popolani, che dovrebbero stare teoricamente davanti alla tribuna ed invece sono ruotati e schiacciati ai due lati. Queste tendenze sono riscontrabili anche nel celebre gruppo dei tetrarchi, già a Costantinopoli e ora murato nella basilica di San Marco a Venezia. L'allontanamento dalle ricerche naturalistiche dell'arte greca portava d'altro canto una lettura più immediata ed una più facile interpretazione delle immagini. Per lungo tempo questo tipo di produzione artistica venne vista come chiaro esempio di decadenza, anche se oggi studi più ad ampio raggio hanno dimostrato come queste tendenze non fossero delle novità, ma fossero invece già presenti da secoli nei territori delle province e che il loro emergere nell'arte ufficiale fu il rovescio di un processo di irradiazione artistica dal centro verso la periferia, con il sempre presente (anche in altre epoche storiche) ritorno anche in senso opposto di tendenze dalle periferie al centro. Con l'editto del 313 con il quale Costantino permise la libertà di culto ai cristiani si ebbe la formazione di un'arte pubblica del Cristianesimo, che si espresse nell'edificazione delle grandiose basiliche a Roma, in Terra Santa e a Costantinopoli: nacque l'arte paleocristiana.

Verso l'arte medievale

La forma antica di produrre arte non venne distrutta, come si sarebbe portati a pensare, né dalle invasioni barbariche, né dal Cristianesimo. Soprattutto in campo artistico questi nuovi poteri si dimostrarono rispettosi dei modi precedenti: Courtois[6] dimostrò bene come i barbari, pur senza comprenderla, rispettarono la maniera romana di derivazione ellenistica, permettendo la sua sopravvivenza per almeno tutto il secolo V e, in parte, VI, anche se ormai svuotata di qualsiasi contenuto originario. La maniera antica si estinse definitivamente solo ad opera degli imperatori bizantini, per i propri fermenti interni che irradiarono una cultura nuova, su basi completamente diverse da quelle antiche, dai centri di Costantinopoli, di Antiochia, di Tessalonica e di Alessandria, con notevoli influenze anche dai vicini centri dell'oriente sasanide.

Le forme artistiche

La scultura
Già nei periodi imperiali la scultura romana era in continuo progresso: i volti sono rappresentati con realismo al contrario dell'arte greca basata soprattutto sul corpo. Ancora a differenza dell'arte greca classica la scultura romana non rappresenta solo la bellezza ideale ma anche le virtù morali.

Il rilievo storico
Il rilievo storico fu la prima vera e propria forma d'arte romana. Si sviluppò nel tardo periodo repubblicano, nel I secolo a.C. e, come per il ritratto romano, si formò dalla congiunzione del naturalismo ellenistico nella sua forma oggettiva, con i rilievi dell'arte plebea, una corrente legata sia alla mentalità civile e al rito religioso dei romani, e si ha così il suo sviluppo. Di questo stile i primi esempi che lo descrivono sono ben riassumibili nel piccolo fregio trionfale del tempio di Apollo Sosiano, semplice ed incisivo, riferito appunto al trionfo di Sosio del 34 a.C., ma forse di esecuzione più tarda del 20-17 a.C., simile anche a quello successivo dell'altare al centro dell'Ara Pacis. Per questo stile è buon uso ricordare la formula ogni genere letterario per metro diverso, quindi ogni genere corrisponde ad uno stile diverso, causa la sua equità strutturale nel tempo. Interessante è anche il fregio che doveva adornare un altare molto simile a quello dell'Ara Pacis, trovato sotto al "Palazzo della Cancelleria" e ora Musei Vaticani, la cosiddetta base dei Vicomagistri (30-50 d.C.): vi si legge una processioni per un sacrificio, dove si vedono gli animali, gli assistenti sacerdoti e i musicanti. Qui con lo scorcio delle trombe e la posizione dei suonatori di dorso, si ha uno dei pochi esempi di dilatazione spaziale: il fondo non esiste, è uno spazio libero, entro al quale le figure si muovono.

Il ritratto
Il ritratto, col rilievo storico, è la forma più caratteristica dell'arte romana. Entrambi erano frutto della manifestazione di un forte legame oggettivo e pratico dei Romani, lontano da ogni astrazione metafisica. Il rilievo storico però ha le sue radici nell'arte plebea di tradizione medio-italica, il secondo è stato invece creato dall'ambiente patrizio a partire dal ritratto ellenistico. Vi sono precedenti del ritratto sia nella medio-italica (testa di Giunio Bruto), e in quella etrusca seppur non prima del IV secolo a.C.; ma il ritratto tipico romano è tutt'altra cosa, si rifà al culto familiare piuttosto che alla sfera onoraria e funerale, anche se poi queste lo assorbiranno. Direttamente collegato alla tradizione patrizia dello ius imaginum, la sua nascita è strettamente connessa allo sviluppo nella età Sillana del patriziato, e si svilupperà fino al secondo triumvirato; per esempio nella statua di personaggio romano da Delos si notano le fattezze ben individualizzate della testa ritratta impostata su un corpo in posizione eroica di classica idealizzazione. A partire da queste esperienze i mercanti romani tornati in patria, divenuti nel frattempo "aristocrazia del denaro", impostarono le premesse per l'arte del ritratto. In quell'epoca si definì quindi una committenza alta e aristocratica, interessata a ritratti idealizzati e psicologici, nel ricco stile ellenistico "barocco", e una committenza "borghese", interessata a ritratti fedeli nella fisionomia, anche a scapito dell'armonia dell'insieme e della valenza psicologica, nello stile cosiddetto "verista" (come nel ritratto di ignoto di Osimo). Dalla prima età imperiale avrà una stasi date le nuove richieste della classe dirigente, ma rimane statico fra le classi medie ed emergenti. Il ritratto è dotato di un minuzioso realismo, che ama descrivere le accidentalità della epidermide, una attenzione non all'effetto di insieme tipico del realismo ellenistico, ma alla minuziosità e alla estrema analisi descrittiva; tutto è celebrazione di austerità della vecchia stirpe di contadini forse in realtà mai esistita. Tutto è per la fierezza della propria stirpe. Proprio per queste caratteristiche tende ad adattarsi ad una sola classe sociale, e non è espressione di una società. Il I secolo è stato un secolo di varie aggregazioni stilistiche, un puro momento di formazione e quindi di incertezze e di varie convivenze prima di un completo assorbimento di ogni carattere, di ogni sfumatura di importazione, un fondo che incarna vari elementi culturali italici e ellenistici. Il ritratto romano quindi, come tutta l'arte romana, si esprimeva con diversi linguaggi formali.

Nessun commento:

Posta un commento