venerdì 6 gennaio 2023

Corso di storia dell'architettura moderna: Lezione 1 Futurista
















L'architettura futurista è la denominazione di una forma di architettura della prima metà del Novecento teorizzata in Italia, caratterizzata da forte innovazione tecnica e formale, anti-storicismo, esasperato cromatismo, utilizzo di linee dinamiche, volta nel suo insieme a suggerire un'idea di velocità, movimento, urgenza e lirismo. Essa rappresentava uno dei principali settori di interesse del Futurismo, il movimento artistico fondato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti, firmatario del Manifesto Futurista nel 1909 che coinvolse poeti, musicisti ed artisti (come Boccioni, Balla, Depero e Prampolini) ma anche architetti. Tra i temi dei futuristi vi erano il culto dell'età delle macchine e la glorificazione della guerra e della violenza intesi come impulso vitalistico al rinnovamento. Antonio Sant'Elia è stato l'architetto che meglio ha rappresentato la visione futurista in una forma urbanaLa fabbrica del Lingotto di Torino, con la sua pista di prova sul tetto, fu indicata nel manifesto del 1934 come la "prima invenzione costruttiva futurista" in architettura. Nel 1912, tre anni dopo il Manifesto Futurista di Marinetti, Antonio Sant'Elia e Mario Chiattone presero parte alla mostra sulle Nuove Tendenze a Milano. Nel 1914 il gruppo presentò la sua prima esposizione con un "Messaggio" di Sant'Elia, che in seguito, con il contributo di Filippo Tommaso Marinetti, diventò il Manifesto dell'Architettura Futurista. Anche Boccioni lavorò in quegli anni su un manifesto simile, mai pubblicato, ritrovato tra le carte di Marinetti dopo la sua morte. Negli anni successivi si susseguirono da parte di esponenti futuristi numerosi manifesti ed articoli che trattavano il tema della nuova architettura, spesso in chiave polemica con i sostenitori della matrice classicista, mentre ben poche furono le costruzioni da essi effettivamente realizzate. Tra questi testi alcuni emergono soprattutto in virtù del ruolo preminente svolto da alcuni artisti e architetti all'interno del movimento: tra di essi gli scritti di Enrico Prampolini, il Manifesto dell'Architettura Futurista–Dinamica pubblicato nel 1920 da Virgilio Marchi ed il Manifesto dell'Arte Sacra Futurista di Fillia (Luigi Colombo) e Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato nel 1931. Il 27 gennaio 1934 fu pubblicato l'ultimo manifesto futurista relativo a temi architettonici, il Manifesto dell'Architettura Aerea, redatto da Marinetti, Angiolo Mazzoni e Mino Somenzi, che spostava il tema della nuova progettazione verso una scala urbanistica seppur in chiave visionaria. A seguito della morte di Marinetti (1944), principale animatore e mecenate, e della fine della seconda guerra mondiale (1945), il movimento futurista si dissolse, subendo per qualche decennio una sorta di ostracismo culturale a seguito delle sue connessioni con il regime fascista, mentre suoi membri continuarono la loro attività su autonomi percorsi artistici. Una visione della "città futurista", città utopica, città di desiderio, appare già nella prima pagina del Manifesto del futurismo di Marinetti, pubblicato su Le Figaro a Parigi il 20 febbraio 1909: «Avevamo vegliato tutta la notte (...) discutendo davanti ai confini estremi della logica e annerendo molta carta di frenetiche scritture. (...) Soli coi fuochisti che s'agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nella pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d'ali, lungo i muri della città. Sussultammo a un tratto, all'udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sradica d'improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso gorghi di un diluvio. Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l'estenuato borbottio di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell'ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.» Il tema della città viene sviluppato molto presto dai futuristi: essa è infatti il luogo privilegiato della modernità che, con la sua forza travolgente, sembra ormai a portata di mano; è il luogo in cui si incarna il futuro, la velocità il movimento. Il paesaggio urbano appare sconquassato dalle luci, dai rumori, che ne moltiplicano i punti di visione. La Città Nuova deve nascere e crescere contemporaneamente alla nuova ideologia del movimento e della macchina, non avendo più nulla della staticità del paesaggio urbano tradizionale. La visione della città appare violenta in due opere di Umberto Boccioni (autore anche di un Manifesto dell'Architettura futurista) del 1911, La città che sale e La strada entra nella casa: angoli che si intersecano, forme concentriche, piani tagliati, sono l'immagine del vortice della metropoli moderna. Il senso del movimento e della velocità, contro quello del monumentale e del pesante viene ripreso nel manifesto di Sant'Elia (firmato 11 luglio 1914, pubblicato in Lacerba, 1914): «Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca”.» E la nuova metropoli sorge solo sulle carte lasciate da Sant'Elia: città dalle gigantesche interconnessioni tra un edificio e l'altro, spinti verso l'alto da un ascensionale verticismo. A partire dal 1914 fioriscono le proposte progettuali che si sostituiscono nella visione percettiva e sensitiva dell'inizio. Al “protorazionalismo" di Chiattone fanno eco le proposizioni immaginative di Balla e ancora di Depero (1916), secondo una concezione più plastico-meccanicista, o di Enrico Prampolini (1913-1914) più tesa alla scomposizione. Le tavole degli anni trenta di Crali, Rancati, Fiorini, Somenzi e Spiridigliozzi rielaborano i temi santeliani delle stazioni multiuso e multilivello, delle case piramidali, del grattacielo e dell'attenzione al trasporto aereo. La vicenda di questa proposta urbanistica in Italia vide il tentativo da parte di Marinetti di collegare il futurismo al razionalismo, indicandone il capostipite in Sant'Elia, e di fare del proprio movimento l'arte ufficiale del regime fascista, ma la città futurista non trovò committenza. La mancata realizzazione delle progettazioni santeliane non dipende tanto dall'inesistenza di piante o sezioni degli edifici, ricostruibili dai disegni esistenti, quanto dalla non accettazione di proposte così innovative. A Sant'Elia va il merito di aver intuito la stretta dipendenza tra problema architettonico e problema urbanistico su cui, pur con linguaggi figurativi diversi, si è impostata la progettazione e la riflessione di tutti i movimenti architettonici moderni. L'interessamento del gruppo olandese De Stijl e di Le Corbusier all'architettura futurista è provato da scambi epistolari e da articoli su riviste europee. Un futuro per l'architettura futurista può essere scorto nell'opera di Richard Buckminster Fuller, inventore statunitense dedicatosi alla ricerca di soluzioni universalmente fruibili e a basso costo per le questioni dell'abitare e del viaggiare. Fuller viene definito un utopista tecnologico per la fiducia nella tecnologia quale strumento per il benessere dell'intera umanità, nel rispetto del sistema ambientale in cui è inserita. Le sue progettazioni sviluppano tematiche e intuizioni futuriste quali quelle dell'antidecorativismo, della caducità e transitorietà dell'architettura, del mondo come città collegata dalle comunicazioni aeree, della casa mobile, dei veicoli aerodinamici, del dominio su cielo, terra e mare. Nella sua produzione è racchiuso uno dei potenziali percorsi evolutivi che avrebbe forse compiuto l'architettura italiana, se non avesse negli anni venti-trenta troncato i legami con gli inizi storici e gli aspetti filosofici del futurismo e con la base nel mondo della tecnologia. All'avanguardia marinettiana va riconosciuto il merito di aver tentato di rispondere alle esigenze della vita moderna, proponendo una città verosimile e utopica al tempo stesso, poiché in essa convivono l'analisi della realtà contemporanea, caratterizzata dalla crescente industrializzazione e dall'espansione urbana, con il desiderio di una totale ricostruzione artificiale dell'universo. Relativamente alla figura di Sant'Elia, la cui vita ed attività sono state troncate dalle vicende belliche, si deve dire che la sua eredità è ragguardevole. Sebbene la maggior parte dei suoi progetti non siano mai stati realizzati, la sua visione futurista ha influenzato numerosi architetti e disegnatori: a lui è stata attribuita l'antesignana idea dell'esposizione degli ascensori sulle facciate degli edifici (anziché tenerli relegati "come vermi solitari" nelle trombe delle scale) ed i suoi disegni della Città nuova hanno ispirato il regista Fritz Lang per le architetture inserite nel suo capolavoro cinematografico Metropolis.

Corso di storia dell'architettura moderna: Lezione 16/16 Tendenze

 Googie









Lo stile Googie, conosciuto anche come populuxe o doo-wop, è un genere dell'architettura futuristica influenzato dalla cultura dell'automobile, dell'era spaziale e dell'era atomica, originaria del sud della California alla fine degli anni 1940 e che perdurò fino alla metà degli anni 1960. Il termine Googie viene da un caffè ormai estinto costruito a West Hollywood. Caratterizzata da tetti affilati, dalla presenza di forme geometriche e dall'uso massiccio del cristallo e del neon, decorò molti motel, caffetterie e bowling tra il 1950 e il 1970. Esemplifica lo spirito di ciò che chiedeva una generazione entusiasta davanti alla prospettiva di un futuro brillante e altamente tecnologico. Via via che divenne chiaro che il futuro non avrebbe avuto l'aspetto profetizzato, lo stile cominciò a perdere le sue caratteristiche futuriste per assumere connotazioni atemporali. Quando passò lo stile Art Déco del decennio 1930, è rimasto svalutato, e infine molti dei suoi migliori esempi sono stati distrutti. Ciononostante, questo stile ha rappresentato una fase importante della moderna architettura degli Stati Uniti, la cui influenza è visibile in parte ancora oggi. Secondo l'autore Alan Hess nel suo libro Googie: Fifties Coffee Shop Architecture, l'origine del nome Googie si può far risalire al 1949, quando l'architetto John Lautner progettò una caffetteria con il nome di "Googie's", che aveva alcune caratteristiche architettoniche distintive. Il nome "Googie" era un soprannome familiare di Lillian K. Burton, la moglie del proprietario originale, Mortimer C. Burton.[4][5] Questa caffetteria era all'angolo di Sunset Boulevard e Crescent Heights a Los Angeles, ma fu demolita negli anni 1980.[6] Secondo Hess, il nome Googie passò ad indicare uno stile architettonico un giorno in cui il professor Douglas Haskell di Yale e il fotografo architettonico Julius Shulman stavano guidando per Los Angeles. Huskell insisté per fermare l'auto dopo aver visto Googie's, e proclamò: "Questa è l'architettura Googie". Rese poi il nome popolare dopo aver scritto un artícolo in una edizione del 1952 della rivista House and Home. Strutture a sbalzo, angoli acuti, pannelli plastici illuminati, forme libere e ritagli con boomerang e tavolozze d'artista e pinne caudali di automobile sugli edifici contrassegnavano l'architettura Googie, il che era disprezzabile per gli architetti più influenti, seguaci del Modernismo, ma ebbe difensori durante il periodo postmodernista alla fine del XX secolo. Gli elementi comuni che generalmente distinguono Googie da altre forme di architettura sono:

Tetti inclinati con un angolo verso l'alto: è quel particolare elemento con il quale gli architetti stavano creando una struttura esclusiva. Molte caffetterie nello stile Googie e altre strutture, hanno un tetto che sembra essere 2/3 di un angolo ottuso inverso. Un ottimo esempio di questo è il famoso, ma ormai chiuso, Johnie's Coffee Shop sul Wilshire Boulevard a Los Angeles.

Strutture a raggiera: le raggiere (starbursts, letteralmente "esplosioni stellari") sono un ornamento comune nello stile Googie, che mostra le sue influenze dell'era spaziale o di tipo capriccioso. Forse the il più notevole esempio della raggiera appare sul cartello "Welcome to Fabulous Las Vegas", che ora è diventata famosa. Il motivo ornamentale è, come scrive Hess, a forma di "un'esplosione ad alta energia".[9] Questa forma è un esempio di motivo non utilitario in quanto la forma a stella non ha una funzione effettiva ma serve esclusivamente come elemento decorativo.

Il boomerang era un altro elemento decorativo che catturava il movimento. Era usato strutturalmente al posto di un pilastro o esteticamente come una freccia stilizzata. Hess scrive che il boomerang era una resa stilistica di un campo di energia direzionale.

Il redattore Douglas Haskell descrisse lo stile astratto di Googie, dicendo che "Se assomiglia a un uccello, questo deve essere un uccello geometrico." Inoltre, deve sembrare che gli edifici sfidino la gravità, come notava Haskell: "...ogni volta che è possibile, l'edificio deve pendere dal cielo". Il terzo principio di Haskell per Googie era che avesse più di un tema – più di un sistema strutturale. A causa del suo bisogno di farsi notare dalle automobili che passavano lungo il corso commerciale, Googie non era uno stile famoso per la sua sottigliezza.

L'architettura Googie si sviluppò dall'architettura futuristica dello Streamline Moderno, estendendo e reinterpretando i temi tecnologici alla luce delle nuove condizioni degli anni 1950. Mentre l'architettura degli anni 1930 era relativamente semplice, Googie abbracciò l'opulenza. Hess sostiene che la ragione di questo era che la visione del futuro degli anni 1930 era ormai diventata obsoleta verso gli anni 1950 e così l'architettura si evolse di conseguenza. Durante gli anni 1930 i treni e le automobili Lincoln Zephyr avevano rappresentato la tecnologia più avanzata, e lo Streamline Moderno riprendeva le loro forme esteriori di tipo aerodinamico, levigate e semplificate. Questa semplicità potrebbe essere il simbolo della frugalità forzata degli anni della depressione. Il Googie influenzò fortemente il Retro-futurismo. Lo stile, simile ai cartoni animati, è esemplificato correttamente nei cartoni animati de I Pronipoti (The Jetsons), e a Disneyland di Anaheim (California), si trova il Googie Tomorrowland. Googie fu anche l'ispirazione per lo stile decorativo del set del film della Pixar Gli Incredibili - Una "normale" famiglia di supereroi (The Incredibles) e la serie televisiva animata Jimmy Neutron. Le tre zone classiche del Googie furono Miami Beach, dove le strutture commerciali si ispirarono al resort di Morris Lapidus e altri progettisti di hotel, la prima fase di Las Vegas, e il sud della California, dove Richard Neutra costruì una chiesa a Garden Groove nella quale si poteva entrare in automobile.

Architettura complementare







L'architettura complementare è un movimento nell'architettura contemporanea che promuove la pratica architettonica radicata nella comprensione globale del contesto, con l'obiettivo di contribuire all'ambiente in modo tale da continuare e migliorare o enfatizzare le sue qualità preesistenti. Le caratteristiche indispensabili dell'architettura complementare includono la sostenibilità, l'altruismo, il contestualismo, l'endemismo e la continuità del linguaggio di design regionale specifico. L'architettura complementare si verifica all'intersezione di pattern locali e linguaggi di progettazione. Un pattern language rappresenta un insieme di regole più o meno formalizzate di interazione umana con forme costruite, risultanti da soluzioni pratiche sviluppate nel tempo secondo la cultura locale e le condizioni naturali. Un linguaggio di progettazione in architettura è un insieme di standard geometrici (formali) e materiali utilizzati negli edifici e in altre strutture artificiali, tradizionalmente derivanti dai materiali locali e dalle loro proprietà fisiche. L'architettura complementare interpreta la triade vitruviana per l'uso contemporaneo, mappando la durabilità (firmitas) contro aspetti di sostenibilità più ampia, l'utilità (utilitas) contro l'altruismo e il servizio alla società e la bellezza individuale (venustas) contro l'armonia con un contesto più ampio, l'identità regionale e lo spirito di posto. Il termine è stato coniato dall'architetto australiano Jiri Lev in Manifesto of Complementary Architecture, formulato per la prima volta nel 2015,in risposta al crescente impatto delle tendenze del design globalizzato e alla loro mancanza di sensibilità locale. La parola complemento ha radici nel latino complementum, da complēre a riempire, completare e rimane fedele a quell'origine nella sua ortografia e nei suoi significati che hanno a che fare con il completamento o l'adempimento. Storicamente, gli ambienti degli edifici sono stati prodotti in modo continuo ed evolutivo piuttosto che come singoli eventi rivoluzionari L'architettura complementare implica un'analisi sistematica delle tecniche tradizionali nel contesto di ambienti urbani vivaci, con l'obiettivo di riscoprire soluzioni sostenibili, stratificate, sfumate, contestuali e rispettose dell'ambiente per il tempo presente.Praticamente tutta l'architettura vernacolare e formale tradizionale prodotta prima del XX secolo è un'architettura complementare a causa di vincoli materiali e culturali intrinseci, così come molte opere ispirate da alcuni movimenti contemporanei come l'architettura contestuale, l'architettura indigena, l'architettura organica o la nuova urbanistica. La metodologia dell'architettura complementare è particolarmente utile laddove lo sviluppo contemporaneo penetra nel tessuto urbano storico compatto Il design complementare rispetta il contesto architettonico introducendo con cura elementi di design contemporaneo.Il movimento rifiuta specificamente la tendenza degli architetti contemporanei a costruire edifici piuttosto che città, trascurando il fatto che il valore di un edificio rimane nell'insieme architettonico, così come il contrasto del modernismo con la natura o il contesto per amore dell'innovazione come espediente e inevitabilmente distruttivo. Gli aderenti affermano che nel XX secolo si pensava che l'abdicazione degli elementi decorativi e delle forme tradizionali fosse un segno della ritrovata semplicità, solidarietà e sacrificio da parte dei socialisti e convenientemente conveniente dal lato capitalista della scena politica. Per estensione, che "quasi tutti gli edifici completati prima del XX secolo erano belli" e che la questione della bellezza nell'architettura contemporanea e futura è semplicemente una questione di "recupero delle vecchie abitudini.

Architettura neo-futurista







Il neo-futurismo (scritto talvolta neofuturismo) è un movimento artistico diffusosi tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo nelle arti, nel design e {nell'architettura che utilizza, riadattando in chiave contemporanea e attuale, alcuni elementi del futurismo. Fondatore del neofuturismo è considerato Daniel Schinasi, che nel 1969 redasse il Manifesto del Neofuturismo.Questo movimento potrebbe essere visto come un allontanamento dall'atteggiamento del post-modernismo e raffigura la credenza idealistica in un futuro migliore e "un bisogno di periodizzare il rapporto moderno con la tecnologia".Questo movimento d'avanguardia è un ripensamento futuristico dell'estetica e della funzionalità delle città che sono in rapida crescita. L'industrializzazione iniziata in tutto il mondo dopo la fine della seconda guerra mondiale ha dato il via a nuovi flussi di pensiero nella vita, nell'arte e nell'architettura, portando al postmodernismo, al neo-modernismo e poi al neo-futurismo. Nei paesi occidentali, l'architettura futurista si è evoluta in Art Deco, nel movimento Googie e nell'architettura high-tech e infine nel neo-futurismo. In Italia, infine, come espressioni del neofuturismo si segnalano, a partire dal secondo novecento: la rivista Futurismo Oggi curata da uno degli ultimi futuristi storici, Enzo Benedetto, attiva dagli anni 60 fino agli anni novanta, lo storico dell'arte Luigi Tallarico e a partire dal duemila i cosiddetti neofuturisti Antonio Saccoccio, Vitaldo Conte, Roberto Guerra e il futurologo Riccardo Campa, tra gli autori nel 2014, di "Marinetti 70. Sintesi della critica futurista" (Armando editore) con gli stessi Giordano Bruno Guerri, Gunther Berghaus, Giorgio Di Genova e altri.

Corso di storia dell'architettura moderna: Lezione 15 ARCHITETTURA BLOB


https://youtu.be/XkFhwIsg0q0







Architettura blob, blob architettura, blobitettura, blobbismo, sono termini per rappresentare un movimento architettonico contemporaneo in cui le costruzioni hanno una forma organica, amebiforme, rigonfiata. Il nome allude esplicitamente alla pellicola della fantascienza Fluido mortale (The Blob) del 1958. Benché il termine 'architettura blob' sia in voga già da metà degli anni novanta, il termine Blobitecture comparve sulla stampa nel 2002, sulla colonna "On Language" di William Safire per il New York Times Magazine in un articolo intitolato Defenestrazione.[2] L'intento dell'articolo era dare un significato degradante alla parola, ma la parola si è diffusa ed è spesso usata per descrivere costruzioni con curve e lineamenti flessuosi.Il termine 'architettura blob' è stato coniato dall'architetto Greg Lynn nel 1995 nei suoi esperimenti di disegno digitale con oggetti binari di grandi dimensioni o BLOBs. Ben presto un discreto numero di architetti e di designer d'arredo iniziarono a sperimentare con software BLOB per creare nuove e inusuali forme. Nonostante il suo organicismo, l'architettura blob sarebbe impensabile senza uno strumento del genere o altri programmi CAD similari. Gli architetti definiscono le forme manipolando gli algoritmi del modello computerizzato. Alcune funzioni CAD d'aiuto nello sviluppo di questo design sono NURBS, modellazione libera di superfici, e digitalizzazione di modelli scolpiti strettamente correlato con la tomografia computerizzata. Un precedente è Archigram, un gruppo di architetti inglesi che lavora dagli anni sessanta, del quale Peter Cook ha fatto parte. Interessati ad un'architettura gonfiabile così come in figure che potrebbero essere generate dalla plastica. Ron Herron, anch'egli membro dell'Archigram, realizzò architetture di tipo "blob" nei suoi progetti degli anni sessanta, come Walking Cities ed Instant Cit, così come fece anche Michael Webb con Sin Centre. C'era un clima di architettura sperimentale con un'aria psichedelica negli anni settanta dei quali fecero parte l'irrealizzata Endless House[9] di Frederick Kiesler altro caso di prime architetture di tipo blob, anche se è simmetrica in pianta disegnata prima dell'avvento del computer; il suo progetto per il Santuario del Libro (costruzione cominciata, 1965) dalla caratteristica forma a goccia che cade anch'esso anticipa forme che suscitano l'interesse degli architetti oggi. Fuori dall'Archigram, ad essere assimilata alle forme della moderna architettura bloboidale anche la morfologia zoomorfa della Casa Saldarini dell'architetto Vittorio Giorgini, edificio del 1962. Inoltre sono da prendere in considerazione, se si guarda l'architettura blob come richiesta di forma piuttosto che di tecnologia, i disegni organici di Antoni Gaudí a Barcellona e degli espressionisti come Bruno Taut e Hermann Finsterlin, la Xanadu House (1979) di Roy Mason. Nonostante l'interpretazione stretta di architettura blob (cioè quella progettata con il supporto del calcolatore), la parola, in particolare nell'uso comune, viene ad essere associata con una serie di costruzioni curve o di forma strana compresi il Guggenheim Museum di Bilbao (1997) e l'Experience Music Project (2000) di Frank Gehry, oltre a queste, che in senso stretto non sono costruzioni di tipo blob, anche se sono state progettate con i più avanzati strumenti di progettazione assistita da elaboratore, in particolare il CAD CATIA.[11] La ragione di ciò è che sono stati progettati attraverso dei modellini fisici piuttosto che mediante la manipolazione di algoritmi al computer. La prima vera costruzione blob può essere considerata quella realizzata nei Paesi Bassi da Lars Spuybroek (NOX) e da Kas Oosterhuis. Chiamata il padiglione dell'acqua (1993-1997), non solo ha un design completamente computerizzato per mezzo di CAD, ma anche un interno completamente interattivo in cui i suoni e le luci possono essere trasformati dai visitatori. Un'altra costruzione che può essere considerata un esempio di architettura blob è la Kunsthaus di Graz, Austria, disegnata da Peter Cook e Colin Fournier ed inaugurata nel 2003. Altri esempi sono le rare escursioni sul tema di Herzog & de Meuron nella loro Allianz Arena (2005). Dal 2005, Norman Foster ha evoluto il suo stile verso l'architettura blob come si può vedere nel disegno della libreria filologica presso la libera università di Berlino o il Sage Gateshead.

11 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 1

  

Vi racconto la Storia dell’Architettura 1 raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.

12 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 2


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog  “Homo ludens” (
https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.



13 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 3


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 3
. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/) L’opera completa si compone di 3 volumi.

  

Corso di storia dell'architettura moderna: Lezione 14 DECOSTRUTTIVISMO



https://youtu.be/cBsznfr38T0







Il decostruttivismo è un movimento architettonico spesso contrapposto al movimento postmoderno. I suoi metodi, in reazione al razionalismo architettonico, vogliono de-costruire ciò che è costruito. Proprio la fonte indicata dice che non è così]. Il teorico del decostruttivismo è il filosofo francese Jacques Derrida e la nascita del fenomeno è avvenuta con una mostra organizzata a New York nel 1988 da Philip Johnson, nella quale per la prima volta appare il nome di questa nuova tendenza architettonica, che fu definita “Deconstructivist Architecture”. Alla mostra di New York furono esposti progetti di Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Bernard Tschumi e del gruppo Coop Himmelb(l)au. In questa esposizione veniva estrapolata un'architettura "senza geometria" (la geometria euclidea), piani ed assi, con la mancanza di quelle strutture e particolari architettonici, che sono sempre stati visti come parte integrante di quest'arte. Una non architettura, quindi, che si avvolgeva e svolgeva su se stessa con l'evidenza e la plasticità dei suoi volumi. La sintesi di ciò è una nuova visione dell'ambiente costruito e dello spazio architettonico, dove è il caos, se così si può dire, l'elemento ordinatore. Le opere decostruttiviste sono caratterizzate da una geometria instabile con forme pure e disarticolate e decomposte, costituite da frammenti, volumi deformati, tagli, asimmetrie e un'assenza di canoni estetici tradizionali. I metodi del decostruttivismo sono indirizzati a "decostruire" ciò che è costruito, una destrutturazione delle linee dritte che si inclinano senza una precisa necessità. Siamo davanti a un'architettura dove ordine e disordine convivono. Si arriva a costruire oggetti d'uso quotidiano come l'edificio Chiat Day Mojo di Gehry.Comune alla ricerca dei decostruttivisti è l'interesse per l'opera dei costruttivisti russi degli anni venti del Novecento, che per primi infransero l'unità, l'equilibrio e la gerarchia della composizione classica per creare una geometria instabile con forme pure disarticolate e decomposte. È questo il precedente storico di quella “destabilizzazione della purezza formale” che gli architetti decostruttivisti esasperano nelle loro opere attuando così un completamento del radicalismo avanguardistico costruttivista. Da ciò scaturisce la cifra “de” anteposta al termine costruttivismo, che sta a indicare la “deviazione” dall'originaria corrente architettonica presa a riferimento. Dopo il periodo postmoderno (anche se, per ironia, entrambi i movimenti, seppur antitetici, sono stati promossi da Philip Johnson) il decostruttivismo riconduce la ricerca architettonica nel filone iniziato dal Movimento Moderno, anche se alcuni critici ritengono comunque il decostruttivismo come esercizio puramente formale, dove sono assenti quei temi sociali che erano propri del Movimento Moderno. Molti critici annoverano tra i maggiori architetti decostruttivisti Frank O. Gehry, noto per il Guggenheim Museum di Bilbao, anche se Gehry stesso ha sempre dichiarato di non sentirsi decostruttivista.

11 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 1

  

Vi racconto la Storia dell’Architettura 1 raccoglie in maniera divulgativa e narrativa le lezioni tenute nel corso di molti anni d’insegnamento superiore ed universitario e pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.

12 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 2


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 2. In questo secondo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione prebellica ed interbellica pubblicate nel blog  “Homo ludens” (
https://nonmirompereitabu.blogspot.com/). L’opera completa si compone di 3 volumi.



13 VI RACCONTO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA 3


 
Vi racconto la Storia dell’Architettura 3
. In questo terzo volume sono raccolte le biografie e le opere degli architetti della generazione postbellica pubblicate nel blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/) L’opera completa si compone di 3 volumi.