giovedì 5 gennaio 2023

Corso Architetti italiani del XX Secolo: Lezione 1 Classe < 1900 Piacentini Sant'Elia Nervi Ponti Michelucci Muzio Pagano Samonà

Piacentini 1881













Marcello Piacentini (Roma, 8 dicembre 1881 – Roma, 18 maggio 1960) è stato un architetto, urbanista e accademico italiano. Fu protagonista sulla scena dell'architettura italiana nel trentennio 1910-1940, assumendo la figura di massimo ideologo del monumentalismo di regime soprattutto per la sua febbrile opera di regia applicata praticamente a tutta l'attività architettonica e urbanistica del ventennio fascista. Nel dopoguerra fu oggetto di forti polemiche a causa del suo legame con il regime, innescando un dibattito aperto e critico sulla sua persona. Figlio dell'architetto Pio Piacentini e di Teresa Stefani, conobbe ben presto il successo professionale. A soli ventisei anni, nel 1907 partecipa al concorso per la risistemazione del centro cittadino di Bergamo (sul quale interverrà tra il 1922 e il 1927). Operò intensamente in tutta Italia, ma durante il periodo fascista fu soprattutto a Roma che ebbe incarichi di particolare rilevanza. Gli edifici e gli interventi urbanistici realizzati da Piacentini nella Capitale non si contano: da una parte ne consolidarono l'immagine di architetto del regime o architetto di corte del duce,[2] e dall'altra connotarono significativamente l'aspetto della città. Di notevole qualità, anche se poco nota, è la primissima produzione di Piacentini, assai vicina al linguaggio dello Jugendstil tedesco e della secessione viennese. Grazie alla sua formazione cosmopolita e ai molti viaggi in Austria e Germania che poté effettuare in gioventù, egli assorbì le novità del classicismo "protorazionalista" specie di Hoffmann e di Olbrich. Tali suggestioni le espresse bene nella sistemazione del Cinema-Teatro Corso di piazza San Lorenzo in Lucina di Roma in cui non si adagiò su uno stanco repertorio rinascimentale ma volle inserire elementi moderni desunti dall'ambiente nordico (bovindi, sintesi delle arti, attenzione alle arti applicate); tuttavia l'esperimento invece di suscitare consensi destò accesissime polemiche tanto che Piacentini dovette modificare il progetto pagando di tasca propria. Nel 1905 si aggiudicò, assieme a Giuseppe Quaroni, il concorso di idee indetto dalla Deputazione provinciale di Basilicata per la costruzione di un nuovo ospedale psichiatrico a Potenza Il Progetto Ophelia, costituito da 18 padiglioni e altri edifici più piccoli, ha poi mutato destinazione d'uso ma ha segnato con la sua originalità architettonica lo sviluppo del quartiere Santa Maria del capoluogo lucano. Nel 1921 fondò, con Gustavo Giovannoni, e diresse la rivista "Architettura e Arti Decorative", pubblicata da Emilio Bestetti e Calogero Tumminelli, Editrice d'arte, che uscì fino al 1931. Creò un neoclassicismo semplificato che voleva essere a metà strada tra il classicismo del gruppo Novecento (Giovanni Muzio, Emilio Lancia, Gio Ponti ecc.) e il razionalismo del Gruppo 7 e del MIAR di Giuseppe Terragni, Giuseppe Pagano, Adalberto Libera ecc. In realtà Piacentini fuse entrambi i movimenti, riuscendo a creare uno stile originale, con un'impronta spiccatamente eclettica pur nella ricerca della monumentalità tipica delle tendenze estetiche del tempo. Nel 1929 Mussolini lo nominò membro dell'Accademia d'Italia, che raccoglieva i migliori intellettuali italiani. I richiami alla tradizione classica saranno, soprattutto a partire dagli anni Trenta, numerosi, contribuendo alla fissazione di quello stile littorio così caro a Mussolini e alle alte gerarchie fasciste. Tra i primati di quegli anni c'è la realizzazione del primo grattacielo d'Italia: si tratta del Torrione dell'ex INA - Istituto Nazionale Assicurazioni, a Brescia, creato nell'ambito della realizzazione di Piazza della Vittoria. Il Torrione, in cemento armato rivestito di mattoni rossi, stilisticamente ispirato ai grattacieli di Chicago, con i suoi 15 piani e 57,25 m d'altezza è tra i primissimi grattacieli in Europa. Fra gli incarichi più prestigiosi spiccano la direzione generale dei lavori e il coordinamento urbanistico-architettonico della Città universitaria di Roma (1935) e la sovraintendenza all'architettura, parchi e giardini dell'E42, ovvero l'Esposizione Universale di Roma che si sarebbe dovuta tenere nel 1942 e che costituisce l'attuale comprensorio dell'Eur (nell'incarico fu affiancato dall'allievo Luigi Piccinato, da Giuseppe Pagano, da Luigi Vietti e da Ettore Rossi). Ma se nel caso della Città Universitaria i giovani architetti coinvolti da Piacentini nella progettazione dei singoli edifici (come Giuseppe Capponi, Giovanni Michelucci, Gio Ponti, Gaetano Rapisardi, lo stesso Giuseppe Pagano e altri) ebbero la possibilità di esprimersi con una certa libertà, in occasione dei concorsi per i fabbricati dell'E42 prevalsero le soluzioni più monumentali. Anche il piano di sviluppo del futuro quartiere espositivo redatto da Piacentini e dai suoi collaboratori risentì di pesanti compromissioni, e le reiterate revisioni dello strumento urbanistico dell'Eur intervenute nel dopoguerra, ancorché in gran parte redatte sotto la guida dello stesso Piacentini e del suo collaboratore Giorgio Calza Bini, finirono per rendere del tutto irriconoscibili le idee portanti del suo principale ispiratore. In virtù del grande successo ottenuto con i lavori della città Universitaria del 1935, il Piacentini ebbe l'incarico, sempre nel 1935, del progetto della Città universitaria di Rio de Janeiro, in Brasile. «Io vedo la nostra architettura in una grande compostezza e in una perfetta misura. Accetterà le proporzioni nuove consentite dai nuovi materiali, ma sempre subordinandole alla divina armonia che è la essenza di tutte le nostre arti e del nostro spirito. Accetterà, sempre più, la rinunzia alle vuote formule e alle incolori ripetizioni, la assoluta semplicità e sincerità delle forme, ma non potrà sempre ripudiare per partito preso la carezza di una decorazione opportuna.» (Marcello Piacentini nel 1930). Nei piani di risanamento messi a punto per la città di Livorno seguì i principi dell'architettura razionalista italiana, pensando di lasciare nel centro solamente manufatti con funzione commerciale e governativa e attuando un diradamento delle strade per esaltare gli edifici. Altrove, tuttavia, Piacentini si attestò su posizioni urbanistiche di retroguardia[POV], propugnando delle idee distruttive, come lo sventramento di alcuni centri storici, lo sviluppo delle città a macchia d'olio e l'apertura di vie radiali. Fra le operazioni più note, emerge la demolizione della "Spina di Borgo" per l'apertura di Via della Conciliazione a Roma, su progetto elaborato nel 1936 (ma portato a termine nel 1950) insieme all'architetto Attilio Spaccarelli. Antecedenti, fra il 1927 e il 1936, sono gli imponenti lavori di sventramento della Contrada Nuova di Torino per realizzare il tratto di Via Roma da piazza Carlo Felice a piazza San Carlo. Inoltre a Brescia fu artefice della Piazza della Vittoria, per la quale il suo progetto vinse il concorso indetto dal Comune. In quest'ambito fu l'autore del primo grattacielo italiano, alto 57 metri. Fu membro influente di numerose commissioni, fra cui quelle per la variante generale al piano regolatore di Roma del 1909 istituita nel 1925, per il piano regolatore del 1931 e per la relativa variante generale del 1942 (quest'ultima non fu mai adottata ma nel dopoguerra fu resa praticamente operativa). Professore ordinario di Urbanistica alla facoltà di Architettura dell'Università "La Sapienza" di Roma, della quale fu anche preside, dopo la caduta del regime fascista subì un'effimera epurazione, ma fu riammesso ben presto all'insegnamento, lasciando la cattedra nel 1955 per raggiunti limiti di età. I suoi non pochi progetti architettonici del dopoguerra, tra cui il Piano di Fabbricazione dell'isola mediterranea di Pantelleria, risentono di una certa stanchezza,[POV]. Partecipa in seguito alla seconda ristrutturazione del Teatro dell'Opera di Roma del 1960, a parere di Bruno Zevi egregiamente restaurato all'interno e poi offeso da un'"insulsa" facciata. La sua ultima opera architettonica è il Palazzo dello Sport dell'EUR, progettato nel 1957 insieme a Pier Luigi Nervi, che rappresenta il risultato finale di una sofferta successione di varianti progettuali. Il suo ultimo intervento urbanistico è costituito dal piano regolatore di Bari del 1950, firmato insieme a Giorgio e Alberto Calza Bini. Anche se fece parte di una prima commissione elaboratrice, non ebbe alcuna influenza nella redazione del piano regolatore di Roma che sarà adottato nel 1962, ma in qualità di membro della commissione urbanistica del Campidoglio dal 1956 alla morte tentò di mantenere fermi i principi cui era portabandiera fin dall'anteguerra. È sepolto insieme al padre Pio Piacentini nella tomba di famiglia al Cimitero del Verano. Alla sua scomparsa dopo lunga malattia, su di lui cadde l'impietoso giudizio distruttivo di Bruno Zevi, che come architetto lo definì "morto nel 1925". Il tempo e una maggiore riflessione hanno condotto a una rivalutazione di alcune opere di Piacentini successive al 1911. Di recente, è stata sottolineata la riuscita di una delle numerose operazioni urbanistiche da lui realizzate: l'apertura del secondo tratto novecentesco di Via Roma a Torino del 1936. Il suo rapporto con il regime, indubbio e ampiamente documentato, pur essendo stato duraturo e proficuo, non manca di notevoli incongruenze. Nei primi anni venti infatti, Piacentini fu aggredito dalle squadre fasciste a Genzano dove aveva una casa e dei possedimenti: la causa di tale gesto probabilmente va ricercata nelle frequentazioni e nelle amicizie del giovane Marcello Piacentini, che già grazie al peso del padre Pio, aveva potuto gravitare attorno a personaggi della massoneria e dell'anticlericalismo come Ernesto Nathan ed Ettore Ferrari, poco gradite allora a Mussolini e di conseguenza al violento e intransigente fascismo rurale. Il successo di Piacentini nel ventennio poi non fu improvviso; già negli anni dieci egli si era imposto come promessa del panorama architettonico non solo romano e aveva ricevuto importanti incarichi pubblici come la costruzione di edifici provvisori per l'esposizione internazionale di Roma del 1911 e il padiglione italiano all'esposizione di San Francisco (1915). La Biblioteca di Architettura dell'Università degli studi La Sapienza di Roma conserva il "Fondo Piacentini", comprendente 2.300 volumi e 60 periodici, donato dalla figlia Sofia Annesi Piacentini negli anni 1970-71; la sede di Architettura della Biblioteca di Scienze Tecnologiche, Università degli Studi di Firenze conserva il "Fondo Marcello Piacentini", donato nel 1980, composto da materiali a stampa e documenti di archivio.Un commento di Marcello Piacentini su ciò che si è costruito in Italia dal 1933 al 1936 per chiarire il concetto di modernità nazionale: «Ad un esame più completo e approfondito queste opere denunciano una fisionomia unitaria, organicamente coerente e stilisticamente definita, non soltanto in obbedienza ai canoni di gusto attuale ma in diretto rapporto con influenze nazionali. Questa impressione di nazionalità può essere messa in dubbio da quei pochissimi critici che, per partito preso, o per difetto di competenza o per incapacità di senso di osservazione, confondono in un'unica impressione generica qualsiasi opera di architettura moderna e per la estensione del movimento moderno di diversissime regioni vogliono, ad ogni costo, reagire a questo internazionalismo apparente non con una accettazione nazionale delle grandi correnti di gusto ma con una infantile negazione totalitaria.»

Sant'Elia 1888
























Antonio Sant'Elia (Como, 30 aprile 1888 – Monfalcone, 10 ottobre 1916) è stato un architetto e pittore italiano, esponente del futurismo. «Noi dobbiamo inventare e fabbricare ex novo la città moderna simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa moderna simile ad una macchina gigantesca» (Antonio Sant'Elia, giugno 1914) Antonio Sant'Elia nasce il 30 aprile 1888 a Como da Luigi Sant'Elia e Cristina Panzilla. Scopre sin da bambino una predisposizione naturale all'architettura e al disegno, oltre che doti sportive, specie nel salto e nella corsa. Nel 1903 completa gli studi tecnici, quindi si iscrive e frequenta la scuola di Arti e Mestieri “G. Castellini” nel corso di costruzioni civili idrauliche e stradali. Nel 1906 si diploma capomastro con una valutazione di 160/200 (il miglior voto lo ottiene in disegno, 47/50) e trova subito impiego tra gli addetti al completamento del Canale Villoresi a Milano. L'anno successivo ottiene l'incarico di collaboratore esterno presso l'Ufficio Tecnico Comunale di Milano, in qualità di disegnatore edile. Nel 1909, dopo aver inviato per un giudizio redazionale lo studio di una villa alla rivista “La Casa” ed avendone ottenuto la pubblicazione, decide di iscriversi all'Accademia di Brera nel corso comune di Architettura per la durata di tre anni. Frequenta il primo anno con delle buone votazioni e nel 1910 rinnova l'iscrizione, ma non risulta che abbia effettuato l'esame di qualificazione. A Brera, oltre a subire l'influenza dell'insegnante di prospettiva Angelo Cattaneo, Sant'Elia diviene amico dello scultore Girolamo Fontana e di Carlo Carrà. Frequentando ambienti culturali come il Caffè Cova e il Caffè Campari, incontra Umberto Boccioni. Dopo la rinuncia allo studio di Brera, inizia per Sant'Elia un fruttuoso periodo di concorsi; nel 1911 partecipa al concorso indetto dall'Unione Cooperativa di Milanino per la progettazione di un villino che rispondesse ai concetti dell'igiene e del comfort, come recitava il bando. Ne ricava un diploma d'onore. L'anno seguente riutilizza lo stesso progetto, con qualche modifica strutturale e in versione più rustica, per costruire la “Villa Elisi” a San Maurizio, Brunate (Como), per conto di Romeo Longatti; per le decorazioni fu coadiuvato da Girolamo Fontana. Sempre nel 1911, insieme ad Italo Paternoster (suo compagno di studi a Brera), partecipa al concorso internazionale per il nuovo cimitero di Monza, entrando nella graduatoria finale. La commissione selezionatrice esprime, però, un severo giudizio nei confronti del progetto del comasco, in quanto lo ritiene improntato da una speciale e simpatica originalità, ma privo di corrispondenza tra gli alzati, la sezione e le piante. Nel 1912 Sant'Elia sostiene all'Accademia di Belle Arti di Bologna l'esame per il diploma di “Professore di disegno architettonico”, svolgendo il tema “Facciata di un famedio per il cimitero di una città di media grandezza”. Ottiene l'ottimo risultato di 67/70. Ancora più brillante è la votazione di 70/70 ottenuto per l'esecuzione del tema sulla progettazione ex-tempore di una “Facciata con portale di un transetto di una grande chiesa metropolitana di una città capitale”. Tornato a Milano nel 1913, decide di aprire uno studio di Architettura, continuando a collaborare però con gli altri studi, tra i quali quello di Cantoni. Per lo stesso Cantoni disegna gran parte delle tavole progettuali relative al concorso per la nuova sede della Cassa di Risparmio di Verona. Il progetto, approntato anche dal pittore Leonardo Dudreville, si classifica tra i primi cinque degni di considerazione. Invitati dalla commissione giudicatrice ad effettuare modifiche che riuscissero ad inserire meglio l'edificio in uno spazio ricco di richiami storici, il Cantoni e Sant'Elia ripropongono l'elaborato con minime variazioni, aggiudicandosi il terzo posto. Sempre nel 1913 esegue uno studio e realizza una tomba per Gerardo Caprotti, morto il 7 ottobre 1913, situata ora nel Cimitero Urbano di Monza. Nel 1914 muore il padre, Luigi Sant'Elia, e Antonio realizza così una nuova tomba nel Cimitero Maggiore di Como. Nel mese di marzo, accettando l'invito dell'Associazione degli Architetti Lombardi, espone in una sala della Permanente di Milano alcuni schizzi, ottenendo diverse segnalazioni di riviste specializzate. Negli ultimi giorni della mostra, Sant'Elia presenta le tavole della Città Nuova, intitolate "Stazione di aeroplani e treni”, "Sei particolari di spazi urbani”, "La casa nuova" e "La centrale elettrica in tre disegni e cinque schizzi d'architettura". L'11 luglio esce su un volantino della direzione del Movimento Futurista uno scritto con il titolo “Manifesto dell'Architettura Futurista”. Nel maggio del 1915 l'Italia decide il proprio intervento nel conflitto mondiale. Sant'Elia, condividendo le idee degli altri esponenti futuristi, assieme a Marinetti e Boccioni, sceglie di arruolarsi come volontario. Inizialmente fa parte di un battaglione volontari ciclisti e poi, nell'inverno del 1916, della Brigata "Arezzo" sul fronte vicentino. Qui, in luglio, ottenne una prima medaglia d'argento dopo un attacco condotto nella zona del Monte Zebio. Alcune settimane dopo viene trasferito sul fronte carsico. Incaricato della costruzione di un cimitero per i caduti italiani della Brigata Arezzo nei pressi della Quota 85 a Monfalcone, con tombe disposte in fila e allineate secondo la gerarchia militare, il 10 ottobre 1916 Sant'Elia guida un assalto ad una trincea nemica proprio nei pressi di questa quota. Durante l'azione viene colpito mortalmente alla testa da una pallottola di mitragliatrice. Dopo essere stato inizialmente sepolto sul Carso isontino, il 23 ottobre 1921 i resti dell'architetto sono definitivamente sistemati nel Cimitero Maggiore di Como. L'eredità di Sant'Elia è ragguardevole. Sebbene la maggior parte dei suoi progetti non siano mai stati realizzati, la sua visione futurista ha influenzato numerosi architetti e disegnatori: a lui è stata attribuita l'antesignana idea dell'esposizione degli ascensori sulle facciate degli edifici (anziché tenerli relegati "come vermi solitari" nelle trombe delle scale) ed i suoi disegni della Città nuova hanno ispirato il regista Fritz Lang per le architetture inserite nel suo capolavoro cinematografico Metropolis. La mancata realizzazione delle progettazioni santeliane non dipende tanto dall'inesistenza di piante o sezioni degli edifici, ricostruibili dai disegni esistenti, quanto dalla non accettazione di proposte così innovative. Le progettazioni di Sant'Elia sviluppano tematiche e intuizioni futuriste quali quelle dell'antidecorativismo, della caducità e transitorietà dell'architettura, del mondo come città collegata dalle comunicazioni aeree, della casa mobile, dei veicoli aerodinamici, del dominio su cielo, terra e mare. Nella sua produzione è racchiuso uno dei potenziali percorsi evolutivi che avrebbe forse compiuto l'architettura italiana, se non avesse negli anni venti-trenta troncato i legami con gli inizi storici e gli aspetti filosofici del futurismo e con la base nel mondo della tecnologia. A Sant'Elia va il merito di aver intuito la stretta dipendenza tra problema architettonico e problema urbanistico su cui, pur con linguaggi figurativi diversi, si è impostata la progettazione e la riflessione di tutti i movimenti architettonici moderni. L'interessamento del gruppo olandese De Stijl e di Le Corbusier all'architettura futurista è provato da scambi epistolari e da articoli su riviste europee.

Nervi 1891

















Pier Luigi Nervi (Sondrio, 21 giugno 1891 – Roma, 9 gennaio 1979) è stato un ingegnere, imprenditore e accademico italiano, specializzato nell'edilizia civile. Fu socio dell'Accademia nazionale delle scienze e autore di alcune grandi opere. Collaborò con architetti di fama internazionale, tra cui Le Corbusier e Louis Kahn.Nato a Sondrio da genitori liguri, a causa del lavoro del padre (direttore postale) durante l'infanzia fu costretto a cambiare più volte residenza. Si iscrisse alla facoltà di ingegneria dell'Università di Bologna, conseguendo la laurea nel 1913. Subito dopo trovò lavoro nell'ufficio tecnico della Società per Costruzioni Cementizie a Bologna; qui si formò professionalmente, approfondendo i problemi di ogni tipo di struttura. Durante la prima guerra mondiale svolse servizio nel Genio militare. Nel 1923 fondò a Roma la sua prima impresa, la Società per costruzioni Ing. Nervi e Nebbiosi, che nel 1932 divenne Nervi e Bartoli. Nel 1924 sposò Irene Calosi, da cui ebbe quattro figli. Tre di loro lo affiancheranno nel lavoro, mentre il quarto, Carlo Nervi, sarà oncologo a Roma. La prima struttura realizzata da lui, il Ponte sul fiume Cecina nel comune di Pomarance (PI) porta la data 1920. Nel 1925 realizzò la copertura in cemento armato con apertura mobile e la galleria del teatro Politeama Pratese di Prato. Il Teatro Augusteo di Napoli fu realizzato tra il 1926 e il 1927, ma il primo lavoro a destare interesse a livello internazionale fu lo stadio "Berta" di Firenze Campo di Marte (successivamente noto come Stadio Artemio Franchi) con le particolari scale elicoidali e la famosa Torre Maratona. Il concorso per l'opera si svolse nel 1930 e il suo progetto fu giudicato il migliore per la raffinatezza strutturale, per l'impatto delle strutture totalmente a vista e per l'attenzione al contenimento dei costi di costruzione. Nervi continua la sua ricerca nello sviluppo delle costruzioni anche con progetti e studi di tipo programmatico. Così nel 1932 espone a Firenze lo studio per un albergo galleggiante progettato insieme all'architetto Rubens Magnani. L'albergo (non realizzato) dispone di 16 camere ed è pensato come luogo di soggiorno tipo da ancorarsi al largo in prossimità di città marine. Essendo studiato per gli abitanti di queste città che non abbiano la possibilità di assentarsi dal loro luogo di residenza per una villeggiatura, l'idea contiene anche un originale aspetto funzionale che ulteriormente pone in evidenza la multiforme ricerca di Nervi. La stessa attenzione al controllo tecnico ed economico rese vincenti anche i progetti per aviorimesse, realizzati per conto della Regia Aeronautica italiana. Gli hangar generalmente erano costruiti in legno o metallo, ma all'epoca questi materiali erano preziosi e venivano destinati alla produzione bellica. Restano visibili i famosi "hangar in galleria" realizzati sull'isola di Pantelleria. Applicando innovative soluzioni nella progettazione delle ampie volte di copertura, caratterizzate da archi incrociati di cemento, tra il 1935 e il 1943 costruì due dei quattro hangar dell'idroscalo di Orbetello, i due dell'idroscalo di Marsala e i quattro dell'aeroporto di Castel Viscardo/Orvieto, impiegando l'avveniristica ed elegante struttura "geodetica". Tali realizzazioni consentivano di ridurre il numero dei punti di appoggio, aumentando considerevolmente le luci interne destinate ad ospitare gli aerei. Nulla resta delle costruzioni di Orvieto ed Orbetello, distrutte dai tedeschi in ritirata alla fine dell'ultimo conflitto; sono invece in buono stato di conservazione le aviorimesse coeve da lui costruite presso l'idroscalo di Marsala e sull'aeroporto di Pantelleria, in Sicilia. Dopo una prima realizzazione con la tecnica tradizionale che prevedeva il getto di calcestruzzo su centine, in quelle successive sfruttò dei conci prefabbricati, collegati con getti di solidarizzazione nel corso della messa in opera, riducendo ancor di più i costi di costruzione. Da Orbetello partì un'importante spedizione di idrovolanti Savoia-Marchetti S.55 che, alla guida di Italo Balbo, attraversò l'Atlantico con scalo in Islanda. Del meraviglioso complesso resta solamente qualche muro malridotto, dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale. La produzione degli anni trenta e quaranta (stadio di Firenze, aviorimesse), con la sua chiarezza compositiva, impose all'attenzione del pubblico Nervi, che ben presto divenne il simbolo dell'evoluzionismo in architettura, il simbolo di un continuum tra il grande passato artistico dell'Italia e il presente. In questo senso la figura di Nervi fu utilizzata dal regime fascista per propagandare il "progresso" e proposta all'opinione pubblica come un idolo, tanto che le sue opere erano conosciute anche da coloro che a malapena sapevano i nomi dei grandi maestri del Rinascimento. Sebbene figura particolare, Nervi era comunque legato al Razionalismo Italiano e nel dopoguerra assieme a Bruno Zevi, Luigi Piccinato, Mario Ridolfi e altri fu tra i fondatori nel 1945 a Roma dell'Associazione per l'Architettura organica. Nel dopoguerra, la prima opera significativa fu il Salone per Torino Esposizioni, in cui sfruttò la nuova tecnologia del ferro-cemento per realizzare la grande volta a botte trasparente. Dal 1946 al 1961 insegnò alla facoltà di Architettura dell'Università Sapienza di Roma. Tra il 1953 e il 1958 si occupò della realizzazione della sede dell'UNESCO a Parigi e, con l'affermarsi della sua figura di progettista al di fuori dell'Italia, a questa fecero seguito numerosi incarichi internazionali. Nel 1950 fu insignito della laura honoris causa in Architettura di Buenos Aires. Seguiranno quelle di Edimburgo e Monaco (1960), Varsavia (1961), Harvard e Dartmouth College (1962), Praga (1966), Londra (1969). La costante attenzione nei confronti del rapporto tra forma e struttura, tra architettura e ingegneria, tra etica dei costi ed estetica della costruzione, contraddistinse anche la produzione dei suoi scritti e il suo impegno come docente universitario: fra il 1945 e il 1962 fu professore incaricato di Tecnica delle costruzioni e Tecnologie dei materiali della facoltà di Architettura dell'Università "La Sapienza" di Roma. Tra il 1956 e il 1961 collaborò alla progettazione del Grattacielo Pirelli a Milano e, nello stesso periodo, alla progettazione del complesso di opere per le Olimpiadi di Roma del 1960. Sempre del 1961 è il Palazzo del Lavoro per l'esposizione Italia 61 a Torino e la progettazione della Cartiera Burgo a Mantova. L'incarico più prestigioso per Pier Luigi Nervi fu quello conferitogli nel 1964 da papa Paolo VI per la costruzione della nuova Aula delle Udienze Pontificie in Vaticano, nota come Aula Nervi. Muore nel 1979 a Roma all'età di 87 anni. Il filo conduttore di tutta l'opera di Nervi è la staticità. Egli affermava: «Come sempre in tutta la mia opera progettistica ho constatato che i suggerimenti statici interpretati e definiti con paziente opera di ricerca e di proporzionamento sono le più efficaci fonti di ispirazione architettonica. Per me questa regola è assoluta e senza eccezioni». La prima produzione di Nervi si scontrava comunque con una non perfetta gestione degli spazi, ma questo era dovuto in larga misura alla scarsa intesa con i collaboratori. A tal proposito, esempi significativi sono il grattacielo Pirelli (1955-1959), il cui progetto architettonico è di Giò Ponti (Nervi ha progettato esclusivamente le strutture in cemento armato), e il grattacielo di Place Vitoria a Montréal (1962-1966), il cui progetto architettonico è di Luigi Moretti. Il Nervi più autentico si manifesta nelle opere più recenti, i cui progetti sono stati redatti da lui o in collaborazione con architetti di minor calibro. Ne sono esempio il Palazzetto dello Sport di Roma (1956-1957, con Annibale Vitellozzi), la cartiera Burgo a Mantova (1961-1963, con il figlio Antonio), il grattacielo di Australia Square a Sydney (1961-1967, progetto architettonico di Harry Siedler), l'Aula delle Udienze Pontificie in Vaticano (1966-1971). Per uno spirito contemplatore la natura riserva una miriade di spunti alla creazione, ma al contempo, nell'atto della creazione e della costruzione, si rivelano i vincoli imposti dalle leggi fisiche, che limitano la creatività dell'artista. Pier Luigi Nervi ha saputo, nel corso della sua vita di costruttore, superare questi vincoli in maniera brillante, quanto determinata. Lo ha fatto con la sperimentazione e la ricerca (le sue coperture ne sono un esempio). Per Nervi l'arte non è concepibile soltanto come estetica, ma è pura funzionalità e staticità.

Ponti 1891













Giovanni Ponti, detto Gio (Milano, 18 novembre 1891 – Milano, 16 settembre 1979), è stato un architetto e designer italiano fra i più importanti del dopoguerra. «Gli italiani sono nati per costruire. Costruire è carattere della loro razza, forma della loro mente, vocazione ed impegno del loro destino, espressione della loro esistenza, segno supremo ed immortale della loro storia.» (Gio Ponti, Vocazione architettonica degli italiani, 1940) Gio Ponti si laureò in architettura presso l'allora Regio Istituto Tecnico Superiore (il futuro Politecnico di Milano) nel 1921, dopo aver sospeso gli studi durante la sua partecipazione alla prima guerra mondiale. Nello stesso anno si sposò con la nobile Giulia Vimercati, di antica famiglia brianzola, da cui ebbe quattro figli (Lisa, Giovanna, Letizia e Giulio). Inizialmente, nel 1921, aprì uno studio assieme gli architetti Mino Fiocchi ed Emilio Lancia (1926-1933), per poi passare alla collaborazione con gli ingegneri Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini (1933-1945). Nel 1923 partecipò alla I Biennale delle arti decorative tenutasi all'ISIA di Monza e successivamente fu coinvolto nella organizzazione delle varie Triennali, sia a Monza che a Milano. Negli anni venti, avviò la sua attività di designer all'industria ceramica Richard Ginori, rielaborando complessivamente la strategia di disegno industriale della società; con le sue ceramiche, vinse il "Grand Prix" all'Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi del 1925. In quegli anni, la sua produzione fu improntata più ai temi classici, mostrandosi più vicino al movimento Novecento, esponente del razionalismo. Sempre negli stessi anni iniziò anche la sua attività editoriale: nel 1928 fondò la rivista Domus, testata che diresse fino alla sua morte, eccetto che nel periodo 1941-1948 in cui fu direttore di Stile. Assieme a Casabella, Domus rappresenterà il centro del dibattito culturale dell’architettura e del design italiani della seconda metà del Novecento.L'attività di Ponti negli anni trenta si estese all'organizzazione della V Triennale di Milano (1933) e alla realizzazione di scene e costumi per il Teatro alla Scala. Partecipò all'Associazione del Disegno Industriale (ADI) e fu tra i sostenitori del Premio Compasso d'oro, promosso dai magazzini La Rinascente. Ricevette tra l'altro numerosi premi sia nazionali che internazionali, diventando infine professore di ruolo alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel 1936, cattedra che manterrà sino al 1961. Nel 1934 l'Accademia d'Italia gli conferì il "premio Mussolini" per le art. Nel 1937 incaricò Giuseppe Cesetti di eseguire un pavimento in ceramica di vaste dimensioni, esposto alla Mostra Universale di Parigi, in una sala dove ci sono anche le opere di Gino Severini e Massimo Campigli. Nel 1941 fonda la rivista Stile, la cui pubblicazione termina nel 1947. Nel 1951, si unì allo studio insieme a Fornaroli, l'architetto Alberto Rosselli. Nel 1952 costituisce con l’architetto Alberto Rosselli lo studio Ponti-Fornaroli-Rosselli. Qui iniziò il periodo di più intensa e feconda attività sia nell'architettura che nel design, abbandonando i frequenti riallacci al passato neoclassico e puntando su idee più innovative. Fra il 1966 ed il 1968 collaborò con l'impresa di produzione Ceramica Franco Pozzi di Gallarate. Il Centro Studi e Archivio della Comunicazione di Parma conserva un Fondo dedicato a Gio Ponti, consistente in 16.512 schizzi e disegni, 73 plastici e maquettes. L’archivio Ponti è stato donato dagli eredi dell'architetto (donatori Anna Giovanna Ponti, Letizia Ponti, Salvatore Licitra, Matteo Licitra, Giulio Ponti) nel 1982. Questo fondo, il cui materiale progettuale documenta le opere realizzate dal designer milanese dagli anni Venti agli anni Settanta, è pubblico e consultabile. Gio Ponti morì a Milano nel 1979: riposa al Cimitero Monumentale. Il suo nome ha meritato l'iscrizione al Famedio del medesimo cimitero. Gio Ponti ha disegnato moltissimi oggetti nei più svariati campi, dalle scenografie teatrali, alle lampade, alle sedie, agli oggetti da cucina, agli interni di transatlantici. Inizialmente nell'arte delle ceramiche il suo disegno rifletteva la Secessione viennese e sosteneva che decorazione tradizionale e arte moderna non fossero incompatibili. Il suo riallacciarsi e utilizzare i valori del passato trovò sostenitori nel regime fascista, incline alla salvaguardia della "identità italiana" e al recupero degli ideali della "romanità", che si espresse poi compiutamente in architettura con il neoclassicismo semplificato del Piacentini.Nel 1950 Ponti cominciò a impegnarsi nella progettazione di "pareti attrezzate", ovvero intere pareti prefabbricate che permettevano di soddisfare diversi bisogni, integrando in un unico sistema apparecchi e attrezzature fino ad allora autonome. Ricordiamo Ponti anche per il progetto della seduta "Superleggera" del 1955 (prod. Cassina), realizzata partendo da un oggetto già esistente e di solito prodotto artigianalmente: la Sedia di Chiavari, migliorato in materiali e prestazioni. Nonostante questo, Ponti realizzerà nella Città universitaria di Roma nel 1934 la Scuola di Matematica (una delle prime opere del Razionalismo italiano) e nel 1936 il primo degli edifici per uffici della Montecatini a Milano. Quest'ultimo, a caratteri fortemente personali, risente nei particolari architettonici, di ricercata eleganza, della vocazione di designer del progettista. Negli anni cinquanta, lo stile di Ponti si fece più innovativo e, pur rimanendo classicheggiante nel secondo palazzo per uffici della Montecatini (1951), si espresse pienamente nel suo edificio più significativo: il Grattacielo Pirelli in Piazza Duca d’Aosta a Milano (1955-1958). L'opera fu costruita intorno a una struttura centrale progettata da Nervi ed è il grattacielo in calcestruzzo armato più alto del mondo[senza fonte] (127,1 metri). L'edificio appare come una slanciata e armoniosa lastra di cristallo, che taglia lo spazio architettonico del cielo, disegnata su un equilibrato curtain wall e i cui lati lunghi si restringono in quasi due linee verticali. Quest'opera anche con il suo carattere di "eccellenza" appartiene a buon diritto al Movimento Moderno in Italia.

Michelucci 1891








Giovanni Michelucci (Pistoia, 2 gennaio 1891 – Firenze, 31 dicembre 1990) è stato un architetto, urbanista e incisore italiano. Fu uno dei maggiori architetti italiani del XX secolo, celebre per aver progettato ad esempio la stazione di Firenze Santa Maria Novella e la chiesa dell'Autostrada del Sole. Nato a Pistoia da una famiglia proprietaria di una fonderia per la lavorazione del ferro, nel 1911 ottenne il diploma dell'Istituto Superiore d'Architettura. Lavorò alla fabbrica paterna e l'attività di incisore del celebre architetto, condotta negli anni giovanili e poi ripresa in tarda età, ha un posto considerevole per quanto finora poco indagato nella storia della xilografia italiana del primo Novecento. La sua opera di xilografo si sviluppò almeno per un decennio dal 1913 fino al 1923-24, biennio assai tribolato per il giovane Michelucci, sia per il bisogno di conquistare un'autonomia rispetto alla famiglia sia per l'insofferenza nel confronti del ristretto ambito di provincia, dove mancavano incentivi intellettuali e adeguate possibilità di lavoro. Dall'amico Renato Fondi venne coinvolto in progetti editoriali, quello della "Famiglia Artistica" e de "La Tempra", che lo legheranno al critico pistoiese anche nelle successive esperienze romane. Frattanto fu richiamato al fronte durante la prima guerra mondiale; nel 1916, a Caporetto il giovane Michelucci realizzò una piccola cappella, quella che può essere considerata la sua prima opera architettonica. Si tratta di un piccolo oratorio a pianta quadrata, dotato di un campanile a telaio ligneo sorretto da una muratura in pietra; elemento di particolare interesse è la presenza di un angolo bucato in facciata, per consentire ai militari di assistere alle funzioni liturgiche dal prato antistante. Nel 1920 ottenne la cattedra al Regio Istituto Nazionale d'Istruzione Professionale di Roma e si dedicò ai progetti per alcune abitazioni nei pressi di Pistoia. Anche a Roma, dove si trasferì con la moglie Eloisa Pacini, si occupò inizialmente dei disegni per alcune villette, mentre in Toscana realizzò i padiglioni per la Fiera dell'Artigianato di Firenze. Una svolta importante della sua carriera si presentò nel 1933, quando insieme con il Gruppo Toscano, formato da Nello Baroni, Pier Niccolò Berardi, Italo Gamberini, Sarre Guarnieri, Leonardo Lusanna, si aggiudicò il primo premio nel concorso per la Stazione di Firenze Santa Maria Novella. Il progetto, che si inseriva a pochi metri dall'omonima chiesa fiorentina, ebbe una notevole fama anche all'estero, non solo per il linguaggio architettonico di matrice razionalista, ma anche per la capacità di inserirsi armoniosamente in un contesto storico di grande rilevanza. Ormai divenuto un architetto affermato, Michelucci collaborò col celebre Marcello Piacentini per la sistemazione della Città universitaria di Roma. Nel 1938 a Pescara, Michelucci completa il progetto di Antonino Liberi, per trasformare il Kursaal "Aurum" in distilleria del famoso liquore, realizzando il retrostante edificio a ferro di cavallo. Negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale tornò a insegnare all'Università di Firenze, per essere eletto, tra il 1944 e il 1945 Presidente della Facoltà d'Architettura. Nel dopoguerra, Michelucci presentò, senza successo, alcune ipotesi per la ricostruzione dei quartieri intorno a Ponte Vecchio distrutti durante il conflitto bellico. I piani di ricostruzione adottati portarono però alla creazione di sterili falsi storici con grande disappunto dello stesso Michelucci, che quindi si trasferì a Bologna, dove insegnò alla facoltà d'Ingegneria dell'Università. Tornò tuttavia in Toscana per la realizzazione di una piccola chiesa a Collina, nei pressi di Pistoia, intesa non solo come luogo sacro e di celebrazione, ma anche come spazio di aggregazione tra i fedeli; infatti, le forme derivarono da quelle delle case coloniche che insistevano nei dintorni, a sottolineare la volontà di avvicinare la popolazione al proprio luogo di culto. Per questo essa rappresentò un punto di svolta per l'attività di Michelucci, il quale ebbe modo di scrivere in proposito: "Avevo sempre creduto di essere stato antifascista [...] Per il mio antifascismo arrivai a dir male dell'urbanistica perché non potevo attaccare direttamente la politica [...] A distanza di venti anni rivedendo quello che ho fatto in quel periodo (anche se non ciò che ho scritto) m'accorgo che c'ero dentro come gli altri e la mia reazione non valse ad eliminare dalle mie costruzioni il fascismo che era nell'aria, la retoria, l'accademia [...] La reazione improvvisa e violenta che ho avuto è stata con la costruzione della chiesa di Collina". Sempre nella città natale, intorno al 1950, elaborò i disegni per la Borsa merci, opera ottimamente integrata nel centro storico pistoiese e successivamente ampliata dallo stesso architetto. Negli anni cinquanta si registrano numerose attività, soprattutto nel campo dell'architettura sacra, che vedrà Michelucci assoluto protagonista nella costruzione di diverse chiese anche nei decenni successivi: la chiesa della Vergine a Pistoia (dove si avverte un'adesione al patrimonio del passato, pur senza convenzionalità)[4], la chiesa della Beata Maria Vergine di Pomarance (dotata di una pianta a sviluppo longitudinale dove però è preminente la centralità), progetta la piccola cappella di Lagoni di Sasso a Sasso Pisano (in cui si evidenzia una maggiore libertà formale)[5]. Viene tradizionalmente attribuito a Michelucci l'oratorio della Compagnia di Santa Maria Assunta a Iolo, Prato.[6] In ambito civile, si ricordano il progetto, non realizzato, per un grattacielo a Sanremo, il Ponte alle Grazie a Firenze e, sempre nel capoluogo toscano, la sede storica della Cassa di Risparmio di Firenze; in particolare quest'ultima realizzazione, con il suo grande volume centrale a doppia altezza illuminato da grandi vetrate, mostra la volontà di annullare ogni barriera tra gli spazi architettonici e la stessa città, creando quindi un costante e innovativo dialogo tra la banca e l'ambiente circostante. Nello stesso periodo collaborò anche alla stesura del Piano Regolatore di Firenze e fu consulente per quello di Ferrara. Alla fine degli anni cinquanta progettò il Grattacielo di piazza Matteotti a Livorno, originale composizione articolata in netto contrasto con la purezza dello Stile Internazionale. Con Carlo Scarpa lavorò al riassetto di alcune sale della Galleria degli Uffizi, realizzò alcuni edifici universitari a Bologna e si dedicò alla chiesa del Cimitero della Vergine a Pistoia, progetto in cui emerge la ricerca di uno spazio percorribile mediante la creazione di percorsi interni ed esterni alla chiesa. Sempre a Pistoia, nel 1959 innalzò una chiesa all'interno del Villaggio Belvedere: l'edificio, concepito ancora come spazio di unione e socializzazione dei fedeli, presenta una planimetria fortemente dilatata, con una sinuosa copertura che preannuncia la ricerca di un'architettura simbolica, legata ai temi della tenda e della croce. Successivamente, all'inizio degli anni sessanta, costruì l'Osteria del Gambero Rosso a margine del parco di Collodi e la Cappella Sacrario ai Caduti di Kindu a Pisa. Nel 1961 furono invece avviati i lavori per la chiesa dell'Autostrada del Sole, a pochi chilometri da Firenze: in quest'opera confluiscono molti temi cari a Michelucci, come lo spazio percorribile, il rapporto tra i diversi materiali (in questo caso pietra, rame e calcestruzzo armato) e la plasticità delle superfici nella ricerca di un'integrazione tra i vari spazi architettonici. Nell'impetuosa plasticità del tutto calcestruzzo armato a faccia vista dell'interno (con i segni e i disegni delle casserature) e nell'evidenza delle membrature, si rintracciano canoni del brutalismo. Nella pietra delle murature, nel rame della copertura e nella sinuosità dei volumi esterni che si adagiano sul terreno, nei particolari quasi decorativi si rileva invece la vicinanza ai temi dell'architettura organica. Tuttavia Michelucci rifiutò qualsiasi etichetta, compresa quella del "razionalista",[7] preferendo perseguire esclusivamente l'ideale di un'architettura fatta di uomini, capace di soddisfare i bisogni, non solo materiali, della società. A questo progetto seguirono quelli per la Sede della Direzione provinciale delle Poste e Telegrafi di Firenze, per il suggestivo Santuario della Beata Vergine della Consolazione a San Marino (ove si avverte l'influenza della chiesa dell'Autostrada e l'eco di Notre-Dame du Haut) per le chiese di Arzignano (ove, rispetto alle precedenti è maggiore il controllo planimetrico dell'insieme) e di Longarone, epicentro del disastro del Vajont, la cui realizzazione fu duramente osteggiata dal parroco della comunità. Nel 1964, collaborò con lo scultore Marcello Guasti al Monumento ai Tre Carabinieri a Fiesole. Nel 1966, a seguito della terribile alluvione di Firenze, Michelucci approntò dei disegni per la sistemazione dei palazzi intorno a piazza Santa Croce, ma anche in questo caso, come era accaduto per i quartieri di Ponte Vecchio dopo la guerra, senza successo. Successivamente, con Bruno Sacchi, realizzò la sede del Monte dei Paschi di Siena a Colle di Val d'Elsa, ancora una volta unendo insieme materiali diversi e cercando di dialogare col circostante senza però rinunciare a un linguaggio architettonico contemporaneo. Nonostante l'età avanzata l'attività di Michelucci proseguì per tutti gli anni settanta e ottanta; si ricordano ad esempio gli impegni per la chiesa di Santa Rosa a Livorno, il progetto per il memorial a Michelangelo sulle Alpi Apuane e per il complesso teatrale di Olbia. Muore l'ultimo dell'anno del 1990, all'antivigilia del suo centesimo compleanno. Pochi giorni prima aveva completato il progetto per la nuova Stazione di Empoli. Le sue ceneri riposano, assieme a quelle della moglie, nella villa Il Roseto, che era stata sua residenza e che ospita oggi la Fondazione Michelucci. I suoi insegnamenti e la sua filosofia progettuale sono testimoniati anche dalle numerose riviste d'architettura che Michelucci ha fondato nel corso della sua vita, come La Nuova Città, creata tra la fine del 1945 e l'inizio del 1946, e dai numerosi articoli che ha scritto. Tra i suoi allievi si ricordano Nello Baroni, Vittorio Di Pace, Edoardo Detti e Marco Dezzi Bardeschi.

Muzio 1893







Giovanni Muzio (Milano, 12 febbraio 1893 – Milano, 21 maggio 1982) è stato un architetto e accademico italiano. Fu, nel campo dell'architettura, l'iniziatore e l'esponente più rappresentativo del movimento artistico Novecento e in genere della corrente tradizionalista che caratterizzò l'architettura italiana degli anni venti e trenta, in rivalità con il razionalismo. Nato a Milano, dove il padre Virginio Muzio, affermato architetto bergamasco, fu professore incaricato di architettura all'Accademia di Belle Arti dal 1896 al 1902, si trasferì a Bergamo quando quest'ultimo terminò l'attività didattica. Nel capoluogo orobico frequentò il Liceo ginnasio Paolo Sarpi, quindi studiò presso l'Università degli Studi di Pavia, risiedendo nel Collegio Ghislieri, ed infine al Politecnico di Milano; dopo avere combattuto nella prima guerra mondiale (la permanenza in Veneto e la possibilità di studiare le ville palladiane fu visto da Muzio come uno degli elementi originari del proprio linguaggio architettonico che fu infatti definito all'epoca come "neopalladianesimo") e aver compiuto un viaggio in Europa, nel 1920 Muzio aprì in via San'Orsola a Milano uno studio con Giuseppe De Finetti, Giò Ponti, Emilio Lancia e Mino Fiocchi e partecipò attivamente alla vita culturale milanese. Nel 1926 nacquero i suoi primi due figli, Jacopo e Lucia, e nel 1932 il terzo, Lorenzo. Fu a lungo insegnante al Politecnico di Torino, di cui progettò la sede centrale di Corso Duca degli Abruzzi, ed al Politecnico di Milano, fino al 1963. Tra il 1919 ed il 1922 Muzio realizzò quella che lui stesso considerò un'opera manifesto: la cosiddetta "Ca' Brutta" in via Moscova, che suscitò scandalo o comunque un grande scalpore, come dimostra il nome attribuito popolarmente all'edificio, a causa dell'uso quasi stravagante degli elementi del linguaggio classico. Muzio in polemica sia con l'eclettismo neogotico e neorinascimentale che ancora sopravviveva a Milano e con il Liberty floreale, propose nella Ca' Brutta un ritorno del classicismo, ridotto a volumi puri ed elementi architettonici semplici, lontani da ogni storicismo eclettico. I suoi riferimenti sono da ricercare nel neoclassicismo ottocentesco lombardo. La sua architettura si avvicina alla "metafisica" di Giorgio De Chirico ed al "Realismo magico" producendo un monumentalismo severo a cui si riconosce oggi un grande valore urbano. La proposta di Muzio tende a modificare radicalmente la morfologia del quartiere (all'epoca caratterizzato dalla presenza di villini) inserendo una volumetria molto elevata, un fabbricato maggiore in altezza e dalla tipologia completamente diversa. Attraverso i documenti si scopre che i primi attriti furono con l'amministratore pubblico. Muzio non segue il perimetro del lotto per creare una corte interna ma divide letteralmente il lotto in due parti creando una nuova strada all'interno del lotto stesso. L'edificio non ha di fatto un prospetto continuo su via Turati ed è proprio questa scelta volumetrica che provoca la reazione dell'amministrazione milanese. Muzio quindi deve legare i due edifici per mediare con le autorità, e lo fa inventando un vero e proprio arco trionfale. Questa continuità innestata sopra ad una discontinuità è uno dei modi tipici di operare di Muzio. Terminati i lavori l'edificio tuttavia appare in tutta la sua urlante novità. La facciata non corrisponde a quella proposta al comune e nell'estate del 1922 si scatenano una serie di battaglie che sfociano nella demolizione di due altane che coronano il fronte principale. Con questo sacrificio le acque si calmarono. Durante gli anni venti collaborò con l'amico Mario Sironi per vari allestimenti e padiglioni, tra cui il padiglione per l'Expo di Barcellona e l'allestimento della triennale di Monza del 1930. Si occupò anche di urbanistica fondando nel 1924 il Club degli urbanisti, insieme ad altri famosi architetti con i quali partecipa a concorsi, tra cui il più significativo fu il progetto per Milano Forma Urbis Mediolani del 1927, sviluppando un'idea di città ordinata e compatta non lontana dalle esperienze ottocentesche. Negli anni '20 progettò in Valle d'Aosta alcune centrali ed impianti idroelettrici per la Società Idroelettrica Piemontese: centrali di Maen (1924-28), di Covalou (1925-26), di Promeron (1926-28) e di Isollaz (1926-27). Negli anni '50 realizzò altre due centrali: Avise (1952) e Quart (1955)[14]. Negli edifici delle centrali Muzio, pur impiegando un linguaggio storicista, riuscì a dare coerenza alla forma degli spazi e dei vari involucri edilizi attraverso il rispetto della funzione ed all'uso di geometrie essenziali. Gli anni '20 e '30 furono caratterizzati da una sempre più intensa attività progettuale, che comprendeva partecipazioni a concorsi e varie collaborazioni tra cui ai progetti dei palazzi dell'INA e dell'INPS all'EUR. In quegli anni fu una delle figure più importanti dell'architettura italiana, ma fu oggetto di critiche da parte di alcuni intellettuali legati al movimento moderno. Oltre a numerosissimi edifici residenziali, progettò importanti edifici pubblici di Milano tra cui l'Università Cattolica del Sacro Cuore in Largo Gemelli a Milano (1927-34) ed il Palazzo dell'Arte al Parco Sempione (sede della Triennale di Milano) e il Tempio della Vittoria. Tra il 1940 e il 1942 partecipò al concorso internazionale per l'Anıtkabir, il mausoleo di Mustafa Kemal Atatürk. Il suo progetto si classificò secondo nel secondo gruppo dei 5 progetti meritevoli di menzione.


Pagano 1896







Giuseppe Pagano, nato Giuseppe Pogatschnig (Parenzo, 20 agosto 1896 – Mauthausen, 22 aprile 1945), è stato un architetto italiano. Morì di malattie provocate da maltrattamento nell'infermeria del lager di Gusen. Giuseppe Pogatschnig nasce a Parenzo, cittadina della costa istriana, nel 1896. Partecipa come volontario irredentista alla Prima guerra mondiale, arruolandosi il 24 maggio 1915, nelle file italiane pur essendo suddito austriaco: arruolandosi, italianizza il proprio cognome cambiandolo da Pogatschnig a Pagano. Inviato al fronte come sottotenente al 53º reggimento fanteria il 2 novembre 1915, fu ferito per la prima volta durante l'assalto del Monte Sabotino. Con il 228º reggimento, nel maggio 1916, venne ferito per la seconda volta in varie parti del corpo. Fu decorato con due medaglie di bronzo al valore. Nel luglio del 1917, con il 58º fanteria, fu ferito e imprigionato dagli austriaci a quota 124 di Grazigna. Fu detenuto, insieme ad altri "irredenti" che avevano combattuto in eserciti nemici dell'Impero Austroungarico, a Lubiana e poi a Theresienstadt. Nel giugno 1918 evase; dopo varie vicissitudini fu ricatturato in Italia e riportato a Theresienstadt. Nell'ottobre del 1918 evase di nuovo. Partecipò ai moti rivoluzionari austriaci, durante i quali meritò la sua terza medaglia al valor militare; venne anche processato come disertore,[non chiaro] ma fu assolto con formula piena. Dopo il liceo a Capodistria si iscrisse al Politecnico di Torino e frequentò i corsi della facoltà di architettura: con un anno di anticipo sui cinque previsti dal corso di studi, si laurea con lode nel 1924. Il progetto di villa che costituì la sua tesi di laurea fu realizzato con poche varianti a Parenzo. Resta fuori dal razionalista "Gruppo 7" di estrazione più milanese ma ne condivide le tesi. Nel 1927 viene nominato capo dell'ufficio tecnico dell'Esposizione internazionale di Torino del 1928 cui ebbe seguito la pubblicazione di una serie di articoli sui quotidiani cittadini, capaci di generare riflessioni critiche sull'architettura moderna rivelando la genialità polemica di Pagano. Dal 1931 è a Milano, dove dirige insieme a Edoardo Persico la rivista Casabella che continuerà a dirigere da solo dal 1936, dopo la morte di Persico, a fianco di Anna Maria Mazzucchelli. Continueranno a pubblicare la rivista sotto variati nomi Casabella-costruzioni, Costruzioni-Casabella e Costruzioni rischiando anche il sequestro fino all'interruzione delle pubblicazioni nel 1943. Alla fine del 1940, per un breve periodo, si occupa della rivista Domus diretta insieme a Massimo Bontempelli e Melchiorre Bega. È chiamato ad insegnare all'ISIA, l'innovativa scuola d'arte che era sorta da pochi anni a Monza. Nel 1935, dovendo preparare materiale forografico per la Mostra dell'Architettura Rurale alla VI Triennale di Milano, scopre la passione della fotografia. Collabora a diversi progetti, come il piano urbanistico "Milano verde", con altri architetti razionalisti, tra cui Franco Albini, Giancarlo Palanti, Ignazio Gardella, Irenio Diotallevi. Tra le sue opere più importanti Palazzo Gualino a Torino (1928), l'Istituto di Fisica della Città universitaria di Roma (1934), e la Bocconi a Milano (1936-42), che sono da annoverarsi tra le maggiori del Razionalismo Italiano. Si arruola volontario insieme ai suoi colleghi della Scuola di mistica fascista nella Seconda guerra mondiale, comprende però in un secondo momento l'impossibilità di conciliare il suo impegno civile e la sua visione della società con il Fascismo. Nel dicembre del 1942 dà le dimissioni dalla scuola di "Mistica" e dal partito. Nel giugno 1943, mentre si trovava a Cuneo come addetto al deposito, entra in contatto con il movimento clandestino antifascista. «Egli aveva già presi contatti (ndr giugno 1943) con le organizzazioni locali antifasciste per passare a un'attività più diretta nel campo politico; aveva iniziato l’opera di sondaggio e di propaganda anche con i colleghi e i dipendenti militari; durante una licenza s'era messo in rapporto con alcune organizzazioni antifasciste a Milano» (Giancarlo Palanti) Il 9 novembre 1943 per una fatale indicazione sbagliata finisce in prossimità dell'ingresso della caserma della milizia fascista di Carrara, dove viene arrestato e duramente malmenato. Rinchiuso al Castello di Brescia, ha la possibilità di riconsiderare tutte le sue posizioni di architetto e d'intellettuale attraverso lettere, disegni e letture. Il 25 marzo del 1944 viene trasferito nelle carceri giudiziarie bresciane da dove sempre più intensamente progetta di evadere. Vi riesce il 13 luglio alle 3 di notte, durante un bombardamento, insieme ai 260 detenuti senza aver ucciso nessuno. Ritorna da clandestino a Milano riprendendo le attività politiche. Il 6 settembre tradito da tre falsi clandestini fu arrestato, malmenato e condotto alla Villa Triste gestita da Pietro Koch; lì incontra molti attivisti del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale). Durante il periodo di prigionia fu spesso torturato ma anche trattenuto come ostaggio in vista di possibili scambi di prigionieri. Progetta un'ulteriore evasione per il 1º ottobre, che fallisce poiché erano nel frattempo evasi alcuni detenuti piantonati nel vicino ospedale Muti: per questo motivo il 30 settembre 1944 tutti trasferiti i prigionieri di Villa Triste furono trasferiti nel carcere di S. Vittore. Il 9 novembre del 1944 viene trasferito nel campo di concentramento di Bolzano e dopo otto giorni deportato nel campo di concentramento di Mauthausen. Trasferito dopo dieci giorni in un altro sottocampo, a Melk, e costretto a lavorare in miniera per circa un mese, nel dicembre vienne trasferito in infermeria, ma dopo un mese per una denuncia ritorna nel campo di lavoro. Il 4 (o 6?) aprile del 1945 i Russi sono in prossimità di Melk e Pagano in condizioni di salute precaria in seguito ad un pestaggio, è trasferito a Mauthausen dove muore il 22 aprile. Il campo verrà liberato tredici giorni dopo.

Samonà 1898




Giuseppe Samonà (Palermo, 8 aprile 1898 – Roma, 31 ottobre 1983) è stato un architetto, urbanista e politico italiano. Considerato uno dei maggiori architetti italiani della sua epoca, fu altrettanto celebrato come urbanista. Giuseppe Samonà è una delle figure più complesse dell'architettura italiana del Novecento. La sua importanza è da ricondurre al Regio istituto superiore di Architettura di Venezia (poi IUAV) che viene chiamato a dirigere nel 1943. Proveniva da due storiche famiglie dell aristocrazia siciliana, essendo stato generato da don Carmelo Samonà e dalla Principessa Adele Monroy di Pandolfina. Laureatosi presso l'Università di Palermo nel 1922, nel 1927 intraprende la carriera da docente insegnando dapprima all'Università di Messina e poi, dal 1931 al 1936 all'Università Federico II di Napoli. Fra i suoi progetti più importanti, quello del 1929, che prevede la riedificazione dello scenario portuale della città di Messina con la cosiddetta "Palazzata" o "Teatro marittimo", costituito da una cortina di tredici edifici, stilisticamente omogenei, collegati da porte monumentali. La ricostruzione della Palazzata non fu mai portata a termine, e furono solo i primi due edifici (quelli dell'INA) con la relativa porta intermedia ad essere costruiti secondo il progetto della ricostruzione. Nel 1936 viene chiamato dall'Istituto Universitario di Architettura a Venezia, dove prosegue l'attività accademica fino al 1971 e dove fonda, fra l'altro, la cosiddetta "Scuola di Venezia". Fra gli altri progetti di Samonà, il Centro Traumatologico Ospedaliero di Bari (1948), Villa Scimemi a Palermo (1950), l'attuale Palazzo dell'Enel di Palermo, un tempo "Edificio Sges" (1961), l'edificio sede della Banca d'Italia a Padova, il Municipio di Gibellina (1971) e il Teatro Popolare di Sciacca (1974), parzialmente completato nel 2015 (sala "A") ed aperto al pubblico nel maggio del 2015. Dal 25 maggio 1972 al 4 luglio 1976 è Senatore della Repubblica. Eletto nelle liste del Partito Comunista Italiano in Veneto, aderisce, fin dal suo esordio in politica, al Gruppo della Sinistra Indipendente. È ricordato anche per essere stato uno dei "quattro saggi", insieme a Giancarlo De Carlo, Umberto Di Cristina e Anna Maria Sciarra Borzì, incaricati di redigere il "Piano Programma" del centro storico di Palermo (1979 - 1981).