sabato 7 gennaio 2023

Corso della storia dell'arte di tendenza: Lezione 12 ARTE AMBIENTALE E LAND ART INDUSTRIALE


























La locuzione arte ambientale viene utilizzata per descrivere genericamente il processo artistico o l'opera d'arte in cui l'artista si confronta attivamente con l'ambiente. Questo ambiente, oltre alla sua dimensione ecologica e naturale, può essere inteso quindi anche come contesto formale, politico, storico e sociale.
Hal Foster, critico d'arte statunitense contemporaneo, definisce le opere di arte ambientale come «progetti di sculture site-specific che utilizzano materiale tratto dall'ambiente al fine di creare nuove forme o per re-indirizzare le nostre percezioni del contesto; programmi che importano oggetti nuovi, innaturali in uno scenario naturale a scopi simili; attività individuali sul paesaggio in cui il fattore tempo svolge un ruolo determinante; interventi collaborativi e socialmente consapevoli». Questa citazione mostra come la locuzione «arte ambientale» si riferisca a processi e risultati artistici anche molto diversi tra loro, alla cui base vi è però il superamento della concezione di autonomia dell'opera d'arte rispetto al contesto in cui viene collocata.
Germano Celant, critico d'arte italiano, afferma inoltre che tra l'opera e il contesto vi sia uno scambio reciproco: «l'arte crea uno spazio ambientale, nella stessa misura in cui l'ambiente crea l'arte».
Nonostante l'iniziale volontà dell'arte ambientale di combattere il “sistema dell'arte”, eliminando l'oggetto artistico in sé e, più in generale, la mercificazione dell'opera d'arte, diventò indispensabile esporre i lavori nelle gallerie e nei musei per il riconoscimento del loro status di opere d'arte e per riuscire a raccogliere i capitali finanziari necessari alla loro realizzazione. Questa necessità portò numerosi artisti a concepire l'opera ai fini della sua riproduzione fotografica e filmica, come nei casi di Richard Long e Robert Smithson, le quali hanno ora sia un valore documentario, sia un valore di mercato.
Il coinvolgimento dello spazio reale inizia ad essere un aspetto significativo delle opere d'arte a partire dalle fine degli anni '50, per poi continuare ad interessare le principali correnti artistiche (Neo-dadaismo, Arte Programmata, Minimalismo, Arte Processuale, Arte Povera, Arte Concettuale) per tutti gli anni '60, fino all'inizio dei '70. Inizialmente l'Arte Ambientale era molto più legata alla scultura, (in particolare come Site-Specific Art, Land Art e Arte Povera -) considerando la crescente critica nei confronti della scultura tradizionale e delle pratiche che venivano viste come sempre più obsolete e potenzialmente in disarmonia con l'ambiente naturale.
Già Boccioni nel 1912 teorizzava nel suo Manifesto tecnico della scultura futurista che non vi potesse essere rinnovamento se non attraverso la scultura d'ambiente, capace di modellare l'atmosfera che la circonda.
Altri precedenti dell'Arte Ambientale sono rintracciabili nella avanguardie storiche: l’Ambiente dei Proun del costruttivista El Lissitskij è uno spazio espositivo realizzato per la grande esposizione di Berlino nel 1923 in cui elementi architettonici, pittori e plastici sono indissolubilmente legati tra loro; mentre il Merzbau del dadaista Kurt Schwitters è un'accumulazione progressiva di oggetti quotidiani realizzata nella casa studio dell'artista ad Hannover e durata dieci anni, nel corso dei quali diventa testimonianza organica del vissuto dell'artista.
Contributi decisivi per quello che riguarda le installazioni ambientali sono rintracciabili anche in alcuni interventi d'allestimento compiuti da Marcel Duchamp: nel 1938 alla Galerie des Beux-Arts di Parigi nel corso dell'Esposizione internazionale del Surrealismo appende al soffitto più di 1000 sacchi di carbone; mentre nel 1942 per la mostra “First Paper of Surrealismo” tenutasi a New York riempie lo spazio con una fitta ragnatela creata con 12 miglia di filo.
Lo spazio, come sottolineano alcuni titoli delle sue opere (Ambiente spaziale con forme spaziali e illuminazione a luce nera, Galleria del Naviglio, Milano 1949), diviene uno degli elementi fondamentali nel lavoro di Lucio Fontana. L'interazione dello spazio con “giochi di luce” è mirata a produrre un effetto di spaesamento nello spettatore.
Un analogo senso straniante viene raggiunto anche da Pinot Gallizio dieci anni dopo, alla Galerie Drouin di Parigi, ma con mezzi completamente diversi: la Caverna dell'antimateria consiste infatti in 145 metri di tela dipinta che ricoprono completamente le superfici della galleria.
Altri artisti che utilizzano lo spazio come campo di azione per coinvolgere lo spettatore sono Enrico Castellani (Ambiente bianco o Spazio Ambiente, 1970) e Gianni Colombo (After Structure). Nel caso di quest'ultimo gli ambienti architettonici realizzati sono praticabili, nel senso che lo spettatore può camminare al loro interno (Spazio elastico, 1967).
Per Allan Kaprow, il primo artista a definire teoricamente le caratteristiche degli environment nell'articolo Introduction to a Theory nella rivista Bull Shit, il coinvolgimento degli spettatori e gli interventi a livello ambientale non sono che la diretta conseguenza della fusione di arte e vita.
La categoria oggi comprende l'utilizzo di molti nuovi media, spesso con valenze spettacolari.

LAND ART INDUSTRIALE










La Land Art Industriale è una forma di arte contemporanea che incorpora le modalità della Land Art ma si caratterizza per l’intervento dell’artista non più sulla natura ma sul paesaggio legato all’industria. Le opere hanno come peculiarità l’uso di materiali e tecniche proprie dell’industria ribadendone l’importanza nel contesto urbano contemporaneo.

Nel contesto urbano delle prime due decadi del 2000 la riflessione sul rapporto uomo e natura muta radicalmente. I cambiamenti climatici e il decadimento della fiducia novecentesca verso lo sviluppo continuo gettano una nuova luce sulle rovine di quanto costruito fino ad ora. L’industria, prima motore della società, assume un ruolo sempre minore, gli stabilimenti sono sempre più piccoli e sopravvive unicamente chi ha saputo portare a frutto il proprio know how.
Questo nuovo contesto industriale inizia ad interessare diversi artisti sotto vari aspetti. Principalmente nasce un grande interesse verso le modalità produttive dei materiali, l’industria sa modificare e lavorare la materia dandole nuova vita, l’artista, sempre più lontano dall’essere artigiano e sempre più progettista, intuisce le potenzialità e comincia un rapporto diretto con queste realtà.
Nascono le residenze in fabbrica e sempre più spesso il risultato viene spostato direttamente all’esterno dello stabilimento.
Questo peculiare rapporto con il territorio e l’industria porta alla luce un nuovo modo di fare arte urbana, una Land Art che modifica il territorio produttivo.
Vengono definite opere di Land Art Industriale tutte quelle produzioni artistiche che nascono in rapporto diretto tra artista e industria e che si instaurano nel territorio.
Ne sono un esempio le installazioni all’esterno delle fabbriche, solitamente realizzate utilizzando i macchinari stessi a disposizione dell’azienda e dove l’artista agisce come progettista.
La Land Art Industriale non può direttamente essere definita come un movimento, piuttosto come un insieme di pratiche e soprattutto di modalità di rapporto arte/azienda.
Nel 2020 il gruppo F/ART di Preganziol con Studio Tonnato promuovono la nascita del primo museo di Land Art Industriale lungo la strada del Terraglio.
Il Terraglio, crocevia di industria e storia, si presta perfettamente per la realizzazione di questo rapporto, ospitando opere che seguano i punti chiavi della Land Art Industriale.
Sebbene non vi sia una definizione ancora condivisa, per rendere programmatica la selezione delle opere per il Museo del Terraglio F/ART e Studio Tonnato hanno sviluppato un manifesto della Land Art Industriale.
Perché un’opera possa pienamente definirsi di Land Art Industriale deve essere realizzata secondo i seguenti punti programmatici:
1. L’artista non è protagonista assoluto dell’opera d’arte ma accetta che sia il luogo a completare il proprio lavoro;
2. L’industria va difesa in quanto scrigno della memoria;
3. L’industria non viene più solo protetta, ma interpretata anche nella sua assenza: cambia quindi il rapporto con il territorio;
4. Le opere sono collocate in un hic et nunc e sono costruite privilegiando materiali industriali. Esse escono dal paesaggio, per poi far ritorno nel territorio.
Cambiando i termini i significati non perdono di potenza. Il rapporto complesso all’interno del Terraglio tra industria, archeologia (le ville venete), cittadine e natura, diventa la chiave del lavoro, la leva, il fulcro diventano gli stabilimenti produttivi, da cui creare la spinta per il cambiamento percettivo.

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